Film > Zootropolis
Ricorda la storia  |      
Autore: amy_lee91    07/02/2019    6 recensioni
Per una madre, veder fuggire il proprio figlio, senza un reale motivo, quando l'intenzione è di proteggerlo da ogni cosa, fa male.
Un fulgido biglietto lasciato su un tavolo non può riparare gli errori fatti, ma può indurre al perdono? Anche dopo tutto questo tempo?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nick Wilde, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

 

Seconde possibilità

 

 

 

   Quando scoprì di essere incinta era felicissima, senz’altro, ma crescere un figlio, da sola, non sarebbe stato facile. Ne era più che consapevole.

I mesi passavano veloci ed il ventre cresceva a vista d’occhio; ce l’avrebbe fatta: non era sola; avrebbe avuto il suo pargolo tra le braccia, nel giro di un mese.

L’emozione era indescrivibile, ma altrettanto era palpabile il dispiacere e la consapevolezza che quella creatura innocente sarebbe cresciuta senza l’affetto di un padre. Non avrebbe fatto nulla: lei avrebbe amato loro figlio per entrambi, anche se lui se n’era andato, indifferente.

Poi nacque; gli passò delicatamente la zampa tra le piccole orecchie e gli sorrise stanca, ma felice.

«Non aver paura, amore mio: mamma ci sarà sempre per te.»

Queste parole hanno sempre risuonato forti e chiare nella testa della scaltra volpe: Nicholas Wilde.

 

                          

 

 

 

Era impressionante la velocità con cui cresceva; ogni passo, un centimetro in più che si andava ad aggiungere all’altezza del piccolo Nick. E la madre, solo nel guardarlo, sentiva un irrefrenabile moto d’orgoglio diramarsi in petto.

Nonostante avesse gli stessi occhi del padre, lui era diverso: di buon cuore e propenso ad aiutare gli altri; dotato di un’ingenuità e purezza d’animo, che per i luoghi comuni, doveva essere estranea ad una volpe.

Pensò, la mamma, che forse esistevano davvero troppi luoghi comuni e stereotipi. Lei lo aveva cresciuto diversamente: gli aveva insegnato a guardare oltre; a guardare oltre, a non far di tutto l’erba un fascio.

Desiderava con tutto il suo cuore far parte dei giovani scout ranger e ricordava sempre Nick quanti sacrifici fece la madre per racimolare un gruzzolo di soldi, comprargli la divisa ed esaudire il suo piccolo grande sogno di cucciolo

Era emozionato, quando la sera del giuramento giunse. Aveva il cuore in gola, che gli batteva forsennatamente ed un nodo allo stomaco per quel miscuglio di agitazione ed emozione assieme.

Non gli importava fosse l’unico predatore del gruppo; era sicuro non importasse neanche ai suoi futuri compagni.

«Allora Nick, sei pronto?», domandarono i suoi amici, con un sincero sorriso sulle labbra, in apparenza.

Il volpacchiotto rispose felice, saltellante e frenetico, scendendo per le scale, in tono sicuro e sguardo deciso.

«Sì, io sono nato pronto.», disse con quel sorrisetto impertinente, ma dannatamente voglioso di mettersi alla prova, far del bene ed aiutare.

«Bene!», disse uno degli scout e poi le luci si spensero; una torcia venne puntata sul suo musetto e fu costretto a strizzare gli occhi per la luce improvvisa; ingenuamente, forse per la trepidazione, sorrise entusiasta, in attesa del suo gran momento.

«Pronuncia il giuramento!», lo intimarono, mentre i loro sorrisero divennero lentamente ambigui e criptici; i loro sguardo molto più calcolatori e meno mansueti.

«Io, Nicholas Wilde, prometto di essere coraggioso, leale, disponibile….e affidabile.», ripeté subito dopo, con il muso piegato in un sorriso che trasmetteva una chiara e luminosa felicità. La sua espressione rifletteva con minuzia esattamente come si sentiva in quel preciso istante. La sua felicità però crollò rapidamente, come un castello di carte in balia del vento.

«Anche se sei una volpe?»

La voce dei suoi compagni si fece arcigna, malevola, accusatoria, come d’altronde lo divennero i loro ghigni, prepotenti e perfidi, in volti così giovanili, che sarebbero dovuti essere estranei alla cattiveria.

«Ma…non capisco…», balbettò appena il volpacchiotto, deglutendo e rovinando a terra dopo la spinta di un compagno.

Una secchiata d’acqua gelata l’avrebbe fatto tremare meno, come d’altronde una pugnalata avrebbe fatto meno male. Non capiva davvero dove avesse sbagliato; a lui sembrava di aver fatto tutto bene e di essersi comportato sempre in maniera impeccabile.

«Se credevi ci saremmo fidati di una volpe senza museruola, allora sei più scemo del previsto.»

Sgranò i suoi occhi, e furono le ultime parole che il suo cervello riuscì a processare, perché un attimo dopo era inchiodato a terra, forzatamente, e con una museruola a stringergli il muso.

Sentì più di un battito mancare e senza voltarsi più indietro, scappò ferito, uscendo dall’edificio. Si nascose dietro la schiena e poggiò la schiena lungo il muro, scivolando a terra, fino a sedersi, prendendosi il muso tra le zampe.

Avvertiva un dolore sordo all’altezza del petto, bruciante e fastidioso; aveva la sensazione di avere il cuore in una bacinella di acqua ghiacciata, talmente sentiva una fredda stretta.

Non riuscì più a trattenere le lacrime e così pianse, pianse e pianse, fino ad esaurire le lacrime.

Non avrebbe più pianto: lo giurò a sé stesso. E se la volpe, per il mondo, altro non era che una creatura disonesta ed inaffidabile, non avrebbe avuto senso essere qualcosa di diverso.

 

                                      

 ♠

 

 

Nick crebbe e con lui la sua aridità, la sua scottatura. Le sere in cui a riportarlo in casa erano degli agenti di polizia, aumentavano.

La madre era affranta e per quanto provasse a stargli vicino, lui non accettava nessuna forma di aiuto: non ne aveva bisogno. Lui non era un debole, non più; e sapeva badare a sé stesso benissimo da solo.

Però gli faceva male deludere sempre più frequentemente, e così decise, un giorno di fare una scelta drastica: scappò di casa. Sarebbe stato meglio per lui e per la mamma, che senz’altro si sarebbe dovuta vergognare soltanto di avere un figlio del genere, pensò Nick.

Era notte fonda quando fuggì: legò dei lenzuoli, spalancò la finestra, prese il proprio borsone in spalla e si calò da quella, approfittando del sonno della madre e della poca luminosità che c’era nella sua via.

Sapeva di essere stato un codardo, ma nella sua mente non conosceva altri modi per non recare più dispiaceri alla madre.

Si voltò solo una volta, fissando la finestra della camera da letto, illuminata appena dalla abatjour accesa.

«Perdonami.», sussurrò al vento, sperando in cuor suo, che l’indomani, la madre, l’unica ad esserle stata vicino, nel leggere quel laconico biglietto lasciato sul tavolo della cucina, lo perdonasse e capisse il perché del suo gesto. Anzi, forse, considerò, sarebbe stato meglio lo odiasse, almeno non sarebbe più stato il dolore a riempire le giornate della madre.

Poi se ne andò, senza più voltarsi indietro.

 

 

 

 

 

Erano passati ormai anni e tutto sommato, Nick non se la stava passando male.

Certo, il pensiero della madre, spesso affollava i suoi pensieri, ma tignoso e cinico com’era, li scacciava via con un colpo di zampa.

Si era messo in società, se così si può dire, insieme ad un fennec: Finnick.

Il traffico delle zampe ghiacciolo, alla fin fine, insieme alla consegna giornaliera di legname (anche se è da dire, che non si limitavano a quello, perché se ne ingegnavano di ogni tipo per spillare grana al prossimo fessacchiotto), non andava male, anzi.

«Ah! Mi fruttano duecento bigliettoni al giorno, sciocchina. Trecentosessantacinque giorni all’anno, da quando ho dodici anni. E il tempo è denaro… perciò smamma!», sputò sarcastico, la volpe, verso la coniglietta in divisa, ignaro che proprio con il suo sarcasmo si sarebbe fatto fregare.

Rimase allibito ed interdetto per la facilità con cui la “tenera” coniglietta l’aveva incastrato. Si sentì quasi oltraggiato: lui, il re dei magheggi e delle truffe, truffato a sua volta, e con un’astuzia sottile ed impercepibile, per di più. Lo indispettì molto.

Ed accompagnò quindi la piccola Judy al “The mystic spring oasis”, quel club naturalista, facendole ottenere quell’informazione in più che l’avrebbe avvicinata un po’ di più alla lontra scomparsa: la targa della macchina.

«Ammetto che è stato molto istruttivo.», disse, mentre si sistemava il nodo della cravatta con un gesto malizioso. «Non ringraziarmi per l’indizio: anche un’idiota saprebbe identificare una targa, perciò ora mi prendo quella penna e poi…adieu.”, rimase con quella zampa protesa a mezz’aria e la schiena piegata in avanti.

Judy imprecò: non aveva accesso al database per arrivare al proprietario di quella macchina.

Era già offeso di essere stato così stupidamente raggirato, che restare qualche altro minuto in più in compagnia di chi aveva offeso la sua intelligenza, lo infastidiva, per quanto ammirasse.

«Dammi quella penna, per favore!», la incitò, spazientito.

Nuovamente, fu vittima dell’astuta coniglietta, che con abili parole, lo costrinse ad aiutarla.

Per quanto gli rodesse che quella minuta coniglietta, più bassa di lui almeno di un abbondante quarantina di centimetri, l’avesse fregato, una parte di sé crogiolava nell’insolito piacere di aver a che fare con qualcuno in grado di tenergli testa e rispondergli con altrettanta scaltrezza.

«Coniglietta, ho fatto ciò che mi hai chiesto. Non puoi tenermi in pugno per sempre!», tradito da una punta di esasperazione nella voce.

Il patto, alla fine, fu quello di renderlo complice per altre trentasei ore. Gongolò internamente Nick, avendo intuito – dopotutto – di essere utile alla causa della coniglietta. Il fatto che lo stesse incastrando continuamente lo innervosiva, ma di riflesso godé nel constatare che il suo aiuto fosse indispensabile.

La realtà era che, sin dal primo incontro, si era creata quella sorta di dualità ed interdipendenza. Lei era come la luce: radiosa, solare, combattiva ed ottimista, e lui come l’oscurità: ambiguo, ingannevole, chiuso e fin troppo riflessivo.

Da quando fu additato di essere in difetto solo perché una volpe, non sentì più il bisogno di difendere nessuno che non fosse sé stesso.

Eppure, gli fu impossibile non seguire il bisogno di proteggere qualcun altro. Gli fu impossibile non intromettersi tra l’agente Hopps ed il bufalo, il Capitan Bogo.

Che si fosse rispecchiato in Judy? Probabile. Quella coniglietta sapeva essere tanto furba ed astuta, quanto fragile ed emotiva; l’impulso di prendere le sue difese fu talmente forte, che non riuscì a chiudere la bocca.

Zittì l’imponente bufalo, spiattellandogli con estrema sincerità, la verità in faccia: le avevano dato un giubbino, un triciclo giocattolo e solo quarantotto ore per un caso che loro, in due settimane, non avevano nemmeno sfiorato con un dito. Non l’avrebbero aiutata, lo sapeva. E perché poi? Perché un coniglio.

Dove mai si è visto un coniglio poliziotto? Dove si è mai visto un coniglio con del fegato? Tradizione vuole che i conigli fossero vili e codardi. Il comportamento di quel branco di beoti, per di più adulti, gli ricordò inevitabilmente l’esperienza con gli scout.

Con l’unica differenza che il comportamento dei suoi compagni scout potesse essere imputato ad un certo grado di immaturità, essendo giovani… ma dove poteva collocare un comportamento simile da parte di esseri grandi, formati, con la loro esperienza alle spalle?

Nick e Judy erano più simili di quanto potessero immaginare; lo capirono entrambi.

Entrambi vittime di luoghi comuni che descrivono l’uno come falso, l’altro come un pauroso.

La differenza, tra loro, era che una sì, aveva avuto la forza di combattere il bullismo esercitato da quell’idiota, almeno al tempo, di Gideon Grey ed aveva avuto anche la determinazione di inseguire e realizzare il proprio sogno, ma non sapeva difendere i propri punti deboli e li metteva alla mercé degli altri; l’altro aveva avuto la debolezza di finire per credere che il luogo comune non sottolineasse altro che una verità che si ostinava a nascondere con tutte le sue forze, ma in compenso era riuscito a costruirsi una corazza che gli faceva scivolare ormai le opinioni altrui di dosso, ed una maschera che calava solo a pochi privilegiati: a nessuno.

A nessuno, certo, aveva pensato fino a quel momento. Poi, all’improvviso:

«Non mostrare mai il tuo lato debole.», le consigliò, con lo sguardo su un punto indefinito.

La sua carotina ci aveva preso alla grande. L’avrebbe tenuto in pugno e per sempre; lo capì da quando su quella funivia aveva aperto il cuore ad una perfetta sconosciuta. E lo stava capendo anche in quel preciso istante, che si trovava dinanzi a quella porta.

Non era cambiato nulla da quando era scappato. Forse la vernice delle tegole era un po’ più sbeccata, ma d’altronde erano passati più di vent’anni.

Non riusciva ad avanzare di un passo, talmente era teso, ma poi, una zampina a lui ben conosciuta, gli accarezzò l’avambraccio.

«Non aver paura, Nick!», lo incitò, la piccola coniglietta. «Se avrai bisogno, io sarò lì. Non devi far altro che girarti e mi troverai.», gli sussurrò dolcemente, rassicurante.

I suoi occhietti ametista si incastonarono a quelli smeraldo del volpone e gli sorrise: il cuore di Nick perse un battito, ma poi ricambiò il sorriso, andando a carezzare con estrema delicatezza la guanciotta morbida di Judy. Si abbassò quel poco per posarle un bacio leggero sulla fronte.

«Grazie!», le disse soltanto, poi voltò lo sguardo verso la porta.

Judy decise di farsi un po’ più da parte e se ne andò alla volante; non voleva intromettersi in un momento così intimo per lui.

Nick aveva il cuore in gola e lo sguardo timoroso, divorato in parte dai sensi di colpa per aver recato dolore a chi teneramente l’aveva amato fin da quando aveva scoperto di portarlo in grembo.

Come la collega, aveva anche lui la divisa. Ironia della sorte: tante di quelle volte fu riportato dai poliziotti in casa dalla mamma ed ora, era lui in persona a vestire il ruolo del poliziotto ed a bussarle alla porta.

La zampa quindi si alzò e pigiò il campanello. Furono interminabili quei secondi di silenzio, ma poi quella voce arrivò, insieme ai passi che si facevano sempre più vicini, e Nick sprofondò nel panico. Un panico misto ad un turbinio di emozioni inspiegabili.

La porta si aprì e le lacrime gli raggiunsero gli occhi. Non ebbe la forza di frenare il suo istinto e travolse la madre, stringendola forte a sé, tra le braccia.

«Io… sono stato un’idio-», non riuscì a terminare, che la madre lo interruppe subito, ricambiando l’abbraccio.

«Ti ho perdonato.», gli mormorò in lacrime, zittendo di colpo Nick, la volpe ottusa e pure emotiva; cominciarono a singhiozzare entrambi, stretti l’uno all’altra, quasi ne dipendesse della loro vita, per quelle che sembrarono ore.

In tutti quegli anni, la madre non aveva coltivato rancore; non avrebbe potuto: era suo figlio e lo amava, nonostante tutto. Aveva coltivato soltanto la profonda speranza di rivederlo un giorno.

Si persero tra le braccia dell’altro, come se volessero recuperare il tempo perso.

Asciugò poi con i pollici delle zampe entrambi gli occhi umidicci della mamma, che lo guardava con fierezza, e lei fece altrettanto; solo in calce a quel gesto, la mamma di Nick si accorse della coniglietta che osservava curiosa e commossa, da dentro la volante, la scena.

Tirò su con il muso.

«E lei chi è? Una collega? Un’amica? La tua fidanzata?», domandò la mamma, tempestandolo di quelle domande che per vent’anni non ha potuto fargli; quelle domande che in piena adolescenza avrebbero fatto ruotare gli occhi e sbuffare sonoramente. Per lo meno per quanto riguarda l’amicizia e l’amore.

La madre di Nick rivolse un piccolo saluto alla giovane poliziotta, invitandola a scendere dalla macchina.

Nick rimase interdetto e perplesso: realmente, dopo così tanti anni, era quella la prima domanda che gli aveva fatto sua madre? Se ci fosse una tresca tra colleghi?

Inarcò il sopracciglio, il cuore tamburellò addolcito e la bocca si spalancò, divertito.

Si voltò istantaneamente verso la macchina, alla ricerca degli occhietti viola che tanto lo facevano tremare, dissimulando l’imbarazzo con uno sguardo sornione, che pareva dire alla coniglietta, di cui aveva notato lo sguardo imbarazzato: “Andiamo, carotina, lo sai che si vede lontano un miglio che mi ami?”.

Judy, che era dotata di un udito che si rispetti, drizzò subito le orecchie alla domanda della volpacchiotta, rivolta al figlio, ed arrossì sotto quel manto bianco, quando Nick si voltò per guardarla furbesco. Judy gli rivolse un sorriso timido, capì il suo sguardo e l’espressione complice risposte per lei: “Se lo so? Sì, sì, lo so!”.

Il destino gli aveva dato una seconda possibilità per riscattarsi dinanzi al mondo ed ai suoi stupidi pregiudizi, e questa volta, davvero era stato scaltro e furbo come una volpe: non se l’era fatta sfuggire.

E fu dopo quel fugace scambio di pensieri tra il canide e la leporide, che quest’ultima scese per incamminarsi verso il collega. Si presentò alla signora Wilde e poi entrarono nella sua casa, come all’inizio della loro avventura: insieme.

 

 

 

Angolo dell'autore:

Ciao a tutti. 
Questa è la primissima volta che pubblico in questo fandom ^^
Spero vi piaccia e che si capisca anche l'andamento della storia.

Ho preso spunto da un video trovato su youtube, di cui vi riporto il link:

https://youtu.be/UpZqAPp0T78

Amy

 

 

 

 

  
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Zootropolis / Vai alla pagina dell'autore: amy_lee91