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Autore: Huilen4victory    11/02/2019    2 recensioni
Dicono che l'amore non possa sistemare tutto - che essendo parte essenziale dell'essere umani non può che essere imperfetto come la nostra natura. E forse è vero. Ma se era Jimin la sua versione di amore imperfetto, Jungkook era felice di poterla avere.
Genere: Angst, Drammatico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Jeon Jeongguk/ Jungkook, Park Jimin
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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* E ora bisogna bere
** Anche tu Bruto figlio mio

 

L'amore (im)perfetto



 

La cosa peggiore nel negare di avere un problema non era il negare in se.

Era il fatto che, in effetti, non andava sempre così male.

C'erano dei momenti in cui tutto appariva normale, andava secondo i piani, privo di qualsiasi stupido inconveniente lungo la strada - momenti in cui avevi il controllo.

Il finestrino dell'auto è abbassato, una leggera brezza entra e ti arruffa gentilmente i capelli. Una vista panoramica si dipana davanti a te da dietro gli occhiali da sole che ti proteggono gli occhi dal caldo sole di settembre.

Sei lì al volante, schiena che affonda nel sedile e una mano sul volante mentre l'altra poggia pigra sul cambio. E tu senti che tutto è come dovrebbe essere.

È una bella sensazione, così dolce e rassicurante che inizi a pensare che qualsiasi cosa ti sia successa in passato sia stata solo frutto della tua immaginazione, una fantasia della tua mente paranoica, che non sarebbe mai tornata perché adesso stai bene. Alla grande.

Dopotutto, sei stato un adulto fantastico e perfettamente funzionante fino ad ora.

La cosa peggiore di avere un problema e negarlo era che i bei giorni erano sufficienti a giustificare le bugie che continui a raccontarti, abbastanza da farti credere che i giorni brutti non siano mai accaduti. Ma purtroppo i bei giorni non durano mai.

Jeon Jungkook aveva 25 anni quando si era laureato all'università a pieni voti. Viveva nella periferia di una città né piccola né grande e trascorreva le sue giornate a cercare lavoro. Era il figlio più giovane di una famiglia di quattro persone. Non erano mai stati ricchi e questo lo aveva costretto a rendersi conto fin da quando era un ragazzino di come funzionava il mondo reale, ma sopratutto gli aveva insegnato la gratitudine verso quei genitori che, pur lottando contro le avversità, era riusciti a dare a lui e suo fratello una casa amorevole. Crescendo, Jungkook aveva incontrato molte persone ma ne aveva scelte solo due da tenere al suo fianco, due amici intimi che non avrebbe scambiato per niente al mondo. Oltre a questo possedeva un gatto che aveva preso con sé durante il suo primo anno di college e che lo aveva aiutato a superare la nostalgia di casa. Ma non era solo questo.

Jungkook appariva a tutti gli effetti l'epitome del bravo ragazzo.

Non era mai stato coinvolto in risse o in misfatti da ubriaco. Non fumava. Era il tipo che a scuola segnava il maggior numero di goal a calcio, superava l'esame di guida al primo tentativo, batteva tutti a karaoke, e sembrava persino dotato della capacità di vincere ogni stramaledetta partita a carte.

Sì, Jeon Jungkook era il ragazzo che era sempre parso troppo bravo in tutto. Ma Jeon Jungkook era anche lo stesso uomo che terrorizzato, stringeva il volante come se ne andasse della sua vita.

Era ironico come la vita si divertisse a sconvolgere i piani delle persone, riuscendo in un attimo a cancellare tutto il positivo di una persona e trasformarlo in una versione contorta e goffa.

Jungkook sentiva le mani calde e sudaticce. Aveva provato ad asciugarle più volte sui pantaloni, ma la cosa si era rivelata controproducente perché uno, ogni volta che lasciava andare il volante per asciugarsele, un'ondata di panico lo investiva talmente forte da togliergli il fiato; e due, tempo qualche secondo e le sue mani tornavano sudate come prima.

Si sentiva più come un navigatore inesperto che cercava di mantenere il controllo del timone di una nave nel bel mezzo di una tempesta che un uomo che guidava lungo la strada più dritta e tranquilla del mondo.

Sei una persona completamente razionale, Jungkook si rimproverò mentalmente. Hai iniziato a guidare a sedici anni sul vecchio pick-up di tuo zio. Qualunque paura tu possa provare è solo uno stupido scherzo della tua mente. Il traffico è minimo, non ci sono camion o bici sulla strada e le condizioni meteorologiche sono perfette. Non c'è davvero nulla che possa essere considerato pericoloso.

Nulla,

... eccetto, forse, te stesso.

Era un pensiero che Jungkook non avrebbe dovuto rievocare ma che non gli riuscì di evitare. Improvvisamente si rese conto di quanto le sue membra dolessero per la posa rigida e tesa che aveva, così vicino e incurvato sul volante che sembrava quasi piegato in due. Le sue nocche gli facevano male a causa della stretta ferrea eppure nonostante l'uso di quella forza bruta sentiva lo stesso come se il volante potesse scappare alla sua presa in qualsiasi momento, facendolo finire contro un'altra macchina o il guardrail.

Questo non può star succedendo a me, pensò disperatamente Jungkook mentre digrignava i denti con forza.

Cercò di razionalizzare dicendosi che avrebbe dovuto sopportare la situazione solo per altri dieci chilometri. Che cos'erano dieci chilometri di una strada dritta con poco traffico? Poco più di dieci minuti? Poteva farcela, si disse, e una volta raggiunta la sua destinazione, poteva dimenticare che tutto ciò era accaduto. Aveva un colloquio di lavoro a cui andare, dannazione. Non poteva permettersi di soccombere a questa....qualunque cosa fosse.

Poteva farcela.

Ancora un po', solo un altro chilometro, un altro minuto. Ogni minuto era fatto di sessanta secondi. E dieci minuti in un giornata equivalevano al nulla.

Strinse gli occhi per concentrarsi, cercando di ignorare disperatamente la paura annegante che lo stava consumando dall'interno.

Poteva farcela. Era impossibile che così non fosse.

Ma fu allora, mentre pensava queste parole, che si rese conto di dove esattamente si trovasse. Quella su cui stava guidando era l'unica strada che portava dove doveva andare. A breve un fiume che tagliava i campi sarebbe apparso e, sopra di esso, un ponte.

Un ponte.

Ora si che era sicuro, al cento per cento, che sarebbe morto.

Non appena fosse passato con la sua macchina su quel ponte, lui avrebbe perso il controllo del veicolo e avrebbe finito con lo schiantarsi. Con il panico che gli pompava nelle vene si rendeva conto che non solo era stretta ma anche priva di corsie di emergenza in cui fermarsi e la prima piazzola utile si trovava dopo il ponte.

Sto per morire, insistette la voce nella sua testa.

Con violenza si sforzò tuttavia di mantenere quel poco di lucidità che gli rimaneva. Si avvicinò al ponte mantenendo una velocità costante e anche quando il suo istinto gli urlava di fermare la macchina e scappare, continuò a guidare, perchè fare marcia dietro era impraticabile ed era continuare a guidare oltre il ponte o morire.

Jungkook cercò di tenere gli occhi bene aperti e accelerò nella speranza di accorciare quella parte del viaggio e raggiungere l'area di riposo.

Il tratto di strada sul ponte sembrava non finire mai fino a quando infine quasi con sorpresa, finì. La vista di Jungkook iniziò ad annebbiarsi e sentiva di star per svenire dalla paura.

Non appena con la sua macchina fu oltre il ponte, accostò nel primo sprazzo lungo la carreggiata disponibile e fermò la macchina.

Sentiva le gambe rigide e pesanti, e il sudore gli colava  dalle tempie. L'autista dietro di lui suonò il clacson, ma a Jungkook non poteva importare di meno. In sua difesa, aveva messo la freccia nonostante la paura che provava nello staccare anche solo un dito dal volante.

Tirò quindi il freno a mano e spense il motore. Solo allora riuscì a rilassarsi.

Emise un lungo sospiro mentre le sue dita allentavano finalmente la presa dolorosa sul volante. Spinse indietro il sedile e allungò le gambe per mettersi comodo. Mentre si asciugava le mani nei pantaloni per l'ennesima volta quel giorno, notò che le sue mani tremavano.

Cristo.

Era patetico.

Era un adulto, senza lavoro certo e ancora sotto il tetto dei genitori, ma aveva vissuto il mondo reale ed era in grado di prendersi cura di se stesso. Era un uomo santo cielo, e forse era la solita retorica sessista, ma non poteva esistere che un giovane uomo avesse una tale paura di guidare.

Si disse che era un disagio passeggero dovuto allo stress. Una volta che avesse trovato un lavoro e la sua situazione si fosse fatta stabile, tutto sarebbe tornato al suo posto. In realtà, non aveva nemmeno bisogno di essere così drastico, era sicuro che sulla via del ritorno questo si sarebbe trasformato in un ricordo trascurabile.

Si lasciò scivolare sul sedile. I suoi muscoli si stavano finalmente rilassando, ma si sentiva ancora un po' scosso. Se voleva arrivare in tempo per il colloquio, aveva un disperato bisogno di ripigliarsi. E possibilmente convincere il suo cuore a rallentare il ritmo forsennato.

Si guardò intorno per distrarsi e calmarsi. Il posto sembrava familiare e ricordò come si era fermato lì un altro paio di volte quando si era sentito sopraffatto. Una volta pioveva così violentemente che per non perdere la testa aveva dovuto fermarsi.

Tutti aveva degli episodi ogni tanto e nessuno ne faceva un dramma, si sgridò Jungkook. Aveva bisogno di tornare alla normalità il più presto possibile.

I suoi occhi vagarono, senza cercare niente di particolare. Ma forse, in realtà, il suo occhio aveva notato qualcosa.

Delle case a schiera fiancheggiavano la strada e solo strette strisce di giardino separavano queste da essa cosicché le case erano praticamente a ridosso della carreggiata.

Da dietro una tenda leggermente scostata, un giovane uomo con i capelli neri come la pece e le labbra carnose lo stava osservando. Nel momento in cui i loro sguardi si incontrarono, Jungkook lo riconobbe.

Ma nella loro città, tutti conoscevano la storia di Park Jimin soprattutto grazie ai pettegolezzi che mormorati dai coetanei erano arrivati fino alle orecchie degli adulti.

Personalmente Jungkook aveva frequentato la scuola ai tempi di Jimin, ma all'epoca non si conoscevano. Quindi il ricordo che Jungkook aveva del viso di Jimin sebbene esistente era inaccurato. Tuttavia fu la lunga, brutta cicatrice che aveva rovinato la tenera pelle dello zigomo, ciò che rese Jimin riconoscibile.

Jungkook distolse lo sguardo mentre l'umiliazione lo investiva.

Si sarebbe sentito mortificato di essere visto in quello stato vergognoso da chiunque, ma essere visto da Park Jimin - il pazzo tossicodipendente - era inconcepibile.

Il suo sguardo si posò immediatamente sull'orologio digitale sul cruscotto. Per quanto stare fermo del tempo in più gli avrebbe fatto comodo, si rifiutò di rimanere lì un secondo di più.

Riposizionò il sedile, fece un respiro profondo e riportò il veicolo sulla strada.

C'erano solo nove chilometri da percorrere, altri nove minuti prima di raggiungere la sua destinazione, si disse.

Arrivò sette minuti prima, anche con la sua piccola deviazione.

Parcheggiò dietro l'edificio e controllò il suo aspetto nello specchietto retrovisore. Per una sorta di miracolo era ancora in ordine come quando era uscito di casa. Con un sospiro di sollievo, scese dalla macchina e si diresse verso l'edificio.

Il colloquio di lavoro si svolse come al solito, le stesse domande riciclate che lo interrogavano sulle sue esperienze lavorative e le sue aspirazioni da neo laureato. Era sempre scioccato dalla sua capacità di raccontare bugie elaborate sotto forma di risposte ragionevoli nella speranza di rendersi migliore di quello che in realtà era.

Perchè in effetti non aveva scelto di iscriversi a economia perché lo aveva trovato interessante ma perché lo aveva trovato una scelta sicura. Non esisteva infatti una realtà in cui il suo lavoro sarebbe mai coinciso con il suo sogno. La pittura era per gli artisti della Parigi dell'800, non per un giovane del XXI secolo che aveva delle vere responsabilità. Nonostante ciò gli riusciva sempre di tirare fuori un sorriso durante ogni colloquio e stringere la mano agli intervistatori con calore, come se gli avessero prospettato il futuro più allettante.

Con quel senso di incertezza che lo circondava dopo ogni intervista, si affrettò a tornare nella sua macchina.

Il viaggio di ritorno a casa fu tranquillo, proprio come doveva essere. Si aprì persino alcuni dei bottoni della sua camicia e si godette il viaggio. Affrontò la sfida del ponte senza sforzo - a parte un piccolo solletico allo stomaco facilmente trascurabile.

Fu facile sopprimere i ricordi del suo precedente episodio di panico. Cercò di convincersi che era stato momentaneo e che non sarebbe mai più accaduto.

Non c'era niente di sbagliato in lui. Niente.





 

Diverse ore dopo al pub preferito di Jungkook nel centro della città, Jungkook si sedette al bar con una birra ghiacciata di fronte a lui. Sentendosi a suo agio per la prima volta quell'oggi. C'era qualcosa nell'incontrarsi con gli amici d'infanzia dopo tanto tempo che riusciva sempre a sollevare l'umore di Jungkook.

A Jungkook piaceva pensare ai suoi amici come a una piccola banda di vagabondi.

"Pensi che se bevo molta birra e svengo, riesco a cancellare completamente le mie preoccupazioni?" chiese Jungkook tra il serio e il faceto.

Non era sempre stato un bevitore di birra, era solito preferire l'alcool pesante. Ma i suoi amici dovevano lavorare il giorno dopo, e Jungkook si sarebbe sentito un alcolizzato se fosse stato l'unico a ordinare superalcolici.

Namjoon scosse la testa, sorseggiando la sua birra. "Non farlo", disse Namjoon, "c'ho provato. Non funziona mai." Namjoon era ancora alla sua prima birra e la stava assaporando come se fosse l'unica cosa buona che gli fosse stata concessa quella settimana.

"Dai ragazzi, l'alcol non è la risposta,” commentò Hoseok. Sia Jungkook che Namjoon guardarono Hoseok di sbieco.

"Solo uno che non regge neanche una tisana parla così,"disse Jungkook, indicando l'acqua e limone di Hoseok.

Hoseok fulminò entrambi con lo sguardo, prendendo il suo bicchiere e ingollando metà del suo contenuto. "Bene, siate distruttivi. Vivete pure uno stile di vita malsano. Guardatemi pure avere un viso da ragazzino quando il vostro invece si riempirà di rughe prima dei trenta!”

"Non possiamo fermare la contingenza del passare del tempo Jung Hoseok, siamo polvere e ombra. Polvere e ombra. Come diceva il buon vecchio Orazio, nunc est bibendum.* Ascolta gli antichi poeti, sii saggio, elevati, " disse Namjoon rapito. Hoseok gemette irritato, nascondendo il viso dietro il suo bicchiere mentre Jungkook scoppiava a ridere.

Amava i suoi amici anche solo per cose del genere. Considerando la grande differenza di età tra Jungkook e il suo vero fratello maggiore, era stato felice di poter contare su amici che avevano quasi la sua stessa età ed era convinto che senza Hoseok e Namjoon la sua vita sarebbe stata molto diversa.

Si conoscevano da quando Jungkook aveva cinque anni e Namjoon e Hoseok sette. Hoseok in particolare essendo suo vicino di casa, non aveva esitato a prendere il timido Jungkook sotto la sua ala. E ora, eccoli, così tanti anni dopo, brindando per le loro vite che erano così diverse da come se le erano immaginate da bambini.

Namjoon aveva un lavoro ben pagato ma stressante nella vicina città. Era il più intelligente dei tre e avrebbe potuto facilmente lasciare la loro piccola città natale per diventare qualcuno di importante altrove. Ma si era innamorato e aveva ritenuto la sua relazione molto più importante di qualunque carriera avesse potuto avere.

Tuttavia Jungkook sapeva che sotto sotto una parte di Namjoon ancora bruciava per la fame di ambizione. A volte, quando le giornate di lavoro di Namjoon erano più impegnative del solito, era difficile ricordare tutte le buone ragioni che aveva avuto per restare. Namjoon apprezzava particolarmente questi incontri perché gli consentivano di rilassarsi e al tempo gli impedivano di portare il suo cattivo umore a casa.

Hoseok era l'opposto di Namjoon. Era single, non era stato innamorato da quando il suo ex fidanzato l'aveva tradito e gli aveva spezzato il cuore, e aveva deciso di abbracciare quindi uno stile di vita libero. Faceva il ballerino per una compagnia di ballo dagli orari flessibili ma i cui spettacoli lo portavano spesso fuori città, e talvolta fuori dal paese, per lunghi periodi di tempo.

Jungkook invidiava entrambi - Namjoon per aver trovato l'amore della sua vita e Hoseok per aver perseguito il suo sogno nonostante le difficoltà. Ecco perché ultimamente aveva trovato delle scuse per non parlare con loro e schivare così le domande sulla sua vita. Il suo senso di inadeguatezza a volte era così intenso che sentiva che lo avrebbe ingoiato per intero. Eppure Namjoon e Hoseok erano i suoi migliori amici e lui li amava. E lui aveva il sacrosanto dovere di essere un buon amico e di essere felice per loro invece di invidioso di loro.

"Non sei nemmeno ubriaco! Non puoi fare il namjoonico di mercoledì sera!" Si lamentò Hoseok.

Namjoon lo fulminò. "Quante volte devo dirti che il mio nome non può essere usato come aggettivo?"

"Non dovresti sentirti onorato? Chi lo sa, potresti finire in un'enciclopedia, essere il fondatore di un nuovo movimento filosofico nell'età moderna: il Namjoonismo,”  disse Hoseok nella sua migliore imitazione del tono" ispirato "di Namjoon.

Jungkook quasi soffocò nel suo ultimo sorso di birra.

Hoseok gli diede una pacca sulla schiena, "Su su, non puoi morire qui. Soprattutto non prima di aver riconosciuto la paternità di quella parola,"disse Hoseok, battendolo con più vigore.

"Hyung!" Urlò Jungkook inorridito. Namjoon non aveva idea che fosse stato Jungkook a inventare la parola.

"Tu quoque Brute fili mi,**" esclamò allora Namjoon con teatrale tono di tradimento.

E quello fu il segnale per Jungkook per lasciare quel tavolo di sciocchezze.

"Dove stai andando? Vieni qui,"gridò Hoseok, ridendo.

"Vado a ordinare un altro giro e mi allontano da te ... traditore,” disse Jungkook.

"Farai meglio a riportare patatine fritte se vuoi essere perdonato Bruto,” disse Namjoon a un indolente Jungkook.

Certo che avrebbe riportato delle patatine. Namjoon era una persona sensibile e nonostante sapesse che loro stavano solo scherzando, Jungkook non voleva comunque rischiare di turbarlo.

Jungkook si diresse verso il bancone, quasi vuoto ad eccezione di qualche abituè che preferiva bere al bancone piuttosto che prendere un tavolo.

Jungkook si appoggiò ad esso, cercando di attirare l'attenzione del barista. Il barista lo vide con la coda dell'occhio e annuì rassicurandolo di essere stato notato. Jungkook sorrise, tamburellando con le dita sul legno lucido. I suoi occhi si mossero distratti lungo bancone fino a fermarsi su un profilo familiare.

Park Jimin.

Jimin era seduto verso la fine del bancone e parlava a voce molto alta con un altro uomo che stava ridendo di qualcosa che Jimin aveva detto. So stava portando un bicchiere alle labbra e Jungkook dal colore dedusse si trattasse di una semplice aranciata.

"Voleva ordinare?" Una voce arrivò dall'altro lato del bancone. Jungkook  fu costretto a distogliere lo sguardo da Jimin. Ordinò un'altra birra e le patatine per Namjoon e corse via prima di lanciare un'ultima occhiata a Jimin.

Al suo ritorno, trovò Hoseok che raccontava a Namjoon le difficoltà che aveva avuto con il suo gruppo di ballo durante il suo ultimo tour.

"Giuro, sono dei bravi ragazzi, ma devono capire che anche se siamo solo ballerini di riserva dobbiamo sempre fare del nostro meglio. Siamo professionisti, dannazione."

"Amen!" Esclamò Jungkook mentre si lasciava cadere dalla parte di Hoseok. "Prima di chiedermelo Namjoon hyung, le tue patatine stanno arrivando. E Hoseok hyung, non tutti condividono la tua alta etica del lavoro, sei tu quello speciale. "

Hoseok sospirò. "Non sono poi chissà che. Apprezzo solo quello che ho. Essere in grado di ballare e guadagnarsi da vivere con questo, è un privilegio."

"Per il quale hai lavorato duro, dovresti essere orgoglioso,” aggiunse Namjoon.

"Lo sono," disse Hoseok arrossendo. Hoseok non si dava mai abbastanza credito.

Jungkook lasciò vagare di nuovo i suoi occhi, cercando di distrarsi dal dolore nel suo petto - gli ultimi resti di un sogno appassito. C'era stato un tempo in cui anche lui aveva voluto provare a perseguire l'arte.

"Hyung cosa sai di Park Jimin?" Chiese all'improvviso, prendendo un grande sorso della sua birra per nascondere il suo imbarazzo mentre il suo sguardo, per qualche motivo, era atterrato ancora una volta sull'uomo menzionato. Jungkook non sapeva cosa glielo avesse fatto chiedere.

"Cosa intendi con cosa so?" chiese Hoseok, un po 'perplesso.

"Beh sì, stavamo parlando di ballare e ho pensato ai vecchi tempi e dal momento che lui è qui, mi sono incuriosito,” rispose Jungkook. Sembrava una scusa patetica persino alle sue stesse orecchie.

"Oh, davvero?" Chiese Namjoon mentre si voltava per cercare Jimin. Hoseok lo schiaffeggiò sulla nuca.

"Non usare quel tono. Non è un fenomeno da baraccone,” lo rimproverò Hoseok.

"Quale tono? In realtà, ho avuto una conversazione interessante in libreria su Nietzsche un paio di settimane fa e in seguito ho scoperto che quel giovane era Park Jimin. Quindi forse dovrei dire ciao? O forse no, non ci siamo mai presentati. Un peccato,” disse Namjoon.

"Tu leggi Nietzsche?”Chiese Hoseok sbalordito.

"Hai parlato con lui?”Chiese invece Jungkook.

Poi la voce vivace del cameriere li interruppe.

"Le vostre patatine!” Annunciò.

Namjoon sorrise mostrando le sue fossette come se la presenza del cibo avesse completamente cancellato qualsiasi altro pensiero dalla sua mente.

“Comunque se me lo stai chiedendo a causa di quelle vecchie voci Jungkook, lascia che ti dica che non ti credevo così credulone," disse Hoseok accigliato. Jungkook si sentì in colpa. Non poteva negare che gran parte del suo interesse per Jimin derivava dalle voci sul suo passato.

"Ero solo curioso, hyung...non importa,”  Jungkook si scusò.

"E' un bravo ragazzo. Almeno la persona che conoscevo era un bravo ragazzo. Anche se ha avuto qualche problema, odio pensare che sia cambiato a causa di ciò,” proseguì Hoseok.

Jungkook decise che era meglio che tenesse la bocca chiusa, dopotutto erano lì per godersi la serata e non per discutere. E si ripromise di ignorare Jimin.

Eppure neanche mezz'ora dopo il suo sguardo tornò di nuovo al bancone. Fu deluso dal constatare che Park Jimin non era più lì.



 

Mi stai prendendo in giro, pensò Jungkook quando la prima ondata di disagio lo travolse.

Era andato via, si disse, era passata una settimana dall'ultimo episodio e da allora aveva guidato senza problemi. Allora perché stava succedendo di nuovo?

Eppure, nonostante i suoi migliori sforzi per nascondere la verità, non poteva ignorare l'ansia che provava nel notare le prime gocce di pioggia colpire il finestrino dell'auto.

Sembrava che la sua presa sul volante non fosse abbastanza stretta e continuava ad avere l'orribile sensazione che esso gli potesse sfuggire di mano ogni momento. Non importava quante volte Jungkook si fosse detto quanto fosse improbabile che ciò si verificasse. La sua mente continuava a rifiutare ogni ragionamento. E più gocce di pioggia colpivano il parabrezza, più il terrore si imposessava di lui.

Sapeva di essere in pericolo perché non appena il suo cervello avesse perso la battaglia contro l'irrazionalità, lui avrebbe perso la testa. La sua presa era così forte sul volante che le nocche gli facevano male. Stava percorrendo di nuovo quella stessa strada, passando sopra lo stesso ponte e di nuovo non c'era nessun posto in cui fermarsi.

Il suo corpo era ricoperto da sudore freddo.

Non chiudere gli occhi, non osare chiudere gli occhi, stai guidando, patetico mucchio di spazzatura.

Aveva una vaga idea del motivo per cui questi episodi continuavano a capitargli. Il tutto poteva risalire a quel giorno di mesi fa quando aveva quasi avuto un incidente d'auto sotto una pioggia battente.

Di quel giorno ricordava di essere stato arrabbiato, ma quella rabbia esisteva solo per nascondere la sua tristezza. Lui stava guidando troppo velocemente attraverso la pioggia e per giunta dell'acqua si era accumulata sulla strada non drenata e lui su una curva aveva finito col perdere il controllo.

Ricordava bene la sensazione di perdere il controllo del veicolo.

Fortunatamente non era rimasto ferito e la macchina non si era schiantata da nessuna parte eccetto una strisciata lungo il guardrail ma, in qualche modo, quella perdita di controllo era diventata una metafora di tutte le volte che successivamente si era sentito impotente.

Il solo pensarci era troppo per lui e non ne aveva bisogno in quel momento, lo avrebbe solo spinto più vicino a un attacco di panico.

Il ponte non sarebbe stato la sua fine, si disse mentre faceva del suo meglio per non guardare in basso, per non lasciare che il suo sguardo si concentrasse sul fiume che scorreva sotto di esso.

Dopo quella che sembrò un'eternità, finalmente attraversò il ponte e parcheggiò la macchina nel suo solito posto. Tirò il freno a mano e spense il motore, prima di crollare sul volante. Stava ansimando, dopo aver trattenuto il respiro per così tanto tempo senza nemmeno accorgersene.

Perché gli stava succedendo questo? Jungkook pensò mentre cercava disperatamente di non soccombere al suo crollo mentale. Non gli era permesso di arrendersi, aveva ancora così tanto da fare, così tanto da sistemare nella sua vita.

Poi sentì un forte bussare al finestrino. Sorpreso, sbatté la fronte contro il cruscotto a cui seguì una smorfia di dolore. Massaggiandosi la tempia si voltò quindi verso il finestrino al di là del quale vi trovò un Jimin bagnato fradicio. Gli occhi di Jungkook guizzarono. Era stato così in preda al panico che aveva dimenticato che Jimin viveva in quella strada.

Jungkook gemette internamente. Per quanto lo desiderasse non poteva ignorare l'altro.

Abbassò quindi il finestrino, non potendo fare a meno di notare come i lineamenti morbidi di Jimin facessero a pugni con la sua cicatrice.

"Ehi, stai bene?" Chiese Jimin. La sua voce suonava forte, anche con i tergicristalli che stridevano sul parabrezza. Jungkook trovò la voce di Jimin piacevole, anche quando l'attenzione non era gradita.

"Meravigliosamente,” rispose Jungkook, con sarcasmo.

Imbarazzato, evitò il contatto visivo con Jimin e il suo sguardo in qualche modo atterrò sullo specchietto retrovisore. Era così pallido che sembrava un fantasma.

"Non hai un bell'aspetto, vuoi venire dentro a riposarti un attimo?" Chiese Jimin.

Jungkook si sentì ancora più infastidito. Non aveva bisogno che Jimin riconoscesse la sua debolezza, doveva andarsene da lì il prima possibile.

"No grazie. Vado via subito, mi dispiace di aver bloccato il tuo cancello di ingresso,” rispose Jungkook. Si raddrizzò sul sedile, ma quando le sue dita afferrarono le chiavi non riuscì a girare la chiave nell'accensione per quanto tremavano.

"Non preoccuparti. Entra un attimo, giuro che non mordo," insistette gentilmente Jimin, come se stesse girando in punta di piedi intorno alle paure di Jungkook. Jungkook lo guardò con la coda dell'occhio, sospettoso del suo movente.

Chi era lui per Jimin se non un paranoico qualunque che era finito parcheggiato davanti a casa sua?

Jungkook tornò a guardare Jimin. Notò quanto fosse bagnata la frangia di Jimin e, per qualche strana ragione, fu quello che lo convinse a fidarsi di lui. Forse lui era solo un caso di beneficenza per Jimin, ma per quanto fastidiosa e non voluta fosse, Jungkook sentiva che la preoccupazione di Jimin non era falsa.

Uscì dalla sua macchina con cautela, come se si aspettasse che il terreno sotto i suoi piedi affondasse. Jimin aveva già iniziato a camminare fino alla sua porta d'ingresso e Jungkook lo seguì da vicino. Jimin lottò per un attimo con la chiave e per un momento Jungkook si chiese se avrebbe dovuto approfittare di quella distrazione e fuggire. Ma le sue gambe pesanti lo tenevano incollato al suo posto.

Hoseok aveva detto che Jimin era una brava persona, vero?

Jimin finalmente riuscì ad aprire la porta. Entrò e si tolse le scarpe bagnate. Non aspettò Jungkook sulla soglia, ma entrò direttamente in casa, quasi dandogli la possibilità di andarsene se lo voleva.

Quel semplice gesto vinse le ultime resistenze di Jungkook. Si tolse le scarpe e chiuse la porta. Rabbrividì e saltellò quindi sul posto cercando di riscaldarsi e riacquistare la calma.

Non si aspettava una casa così accogliente e pulita. C'era persino un soffice tappeto rosso all'ingresso che copriva la maggior parte del pavimento che conduceva dal corridoio al soggiorno. Si sentì per un momento stupito dalla bellezza delle fotografie appese alle pareti e le ammirò mentre si inoltrava nella stanza.

"Tè o caffè?" Arrivò la debole voce di Jimin da qualche parte all'interno della casa, proprio nel momento in cui Jungkook si era fermato di fronte a una grande immagine mozzafiato di un ponte che si stagliava nell'orizzonte ed era immerso nella luce del tramonto. Jungkook si voltò nella direzione da cui proveniva la voce, incerto se seguirla o meno. Qualche passo ovattato echeggiò nel corridoio e poi la testa di Park Jimin apparve nel soggiorno.

"Tè o caffè?” Chiese Jimin di nuovo. La sua frangia era ancora un po' bagnata, ma non stava più gocciolando e indossava una maglietta bianca e asciutta.

"Tè?" Rispose Jungkook con improvvisa goffagine. Jungkook non era solito accettare inviti da estranei e neppure se ne andava in giro mostrando segni di debolezza, eppure eccolo lì.

"Perfetto. Possiamo berne una tazza insieme," disse Jimin dondolandosi nervosamente sui talloni prima di ritirarsi. Non era esattamente un invito, ma Jungkook seguì il suo istinto e lo seguì in cucina.

Rispetto al soggiorno la cucina era molto piccola tuttavia appariva ben organizzata, le stoviglie erano immacolate e appese in file ordinate su dei ganci e gli scaffali erano ricoperti da spezie e oli di ogni genere tutti accuratamente sigillati ed etichettati.

Questa versione di Jimin era quella di una persona ordinata che coltivava molti hobby, assai lontana dall'immagine da delinquente che la gente gli aveva cucito addosso. A meno che non nascondesse della marijuana sotto il lavandino.

Jimin si voltò leggermente di lato di modo da non dare completamente le spalle al suo interlocutore mentre riempiva il bollitore di acqua.

"Mi dispiace di non essermi presentato formalmente anche se scommetto che sai già chi sono. Questa città è così piccola," disse, quasi ridacchiando mentre attaccava il bollitore alla presa. Si grattò la pelle sotto la cicatrice un gesto che denotava più nervosismo che necessità.

"Sono Park Jimin, ma sei nella mia cucina quindi sentiti libero di chiamarmi solo con il mio nome", disse, voltandosi del tutto stavolta e rivolgendo a Jungkook un gran sorriso. Jungkook inarcò un sopracciglio. Non capiva come Jimin riuscisse a suonare così disinvolto con un estraneo che aveva letteralmente raccolto da davanti casa sua. "Sei Jeon Jungkook, vero?" aggiunse poi questi.

Il tono affermativo della domanda sorprese Jungkook non poco.

"Sì. Come lo sai?" Chiese Jungkook stranito. A scuola e in città era Jimin quello famoso. Jungkook era sempre stato il bravo ragazzo che rigava dritto e durante i suoi giorni di scuola, dubitava si fosse fatto chissà quale fama.

"Mi ricordo vagamente di te da scuola ma immagino che il tuo nome mi è rimasto impresso perchè Hoseok non faceva che parlare di te. Per di più ora lavoro nel garage di tuo zio," Jimin concluse alzando le spalle.

"Ah," Jungkook rispose dando sfoggio di elevata eloquenza. Ora che ci pensava bene ricordava di aver sentito suo padre commentare come gli affari di suo zio stessero andando bene al punto da aver bisogno di un paio di mani in più. "Non assomigli per niente a un meccanico,” commentò Jungkook perplesso per poi rendersi conto di quanto offensivo il suo tono incredulo potesse suonare. Jungkook arrossì violentemente tuttavia Jimin invece di apparire offeso, scoppiò a ridere.

"Lo penso anche io. Era in effetti l'ultimo mestiere che avrei mai scelto. Però con mia grande sorpresa ho scoperto che non solo sono bravo con le mani,  ma che mi piace il lavoro. Litigare con i pezzi di una macchina è stranamente rilassante."

"Capisco quello che dici. Anche a me piace lavorare con le mani,” disse Jungkook  ripensando a quando prendeva un pennello in mano.

Il forte sibilo del bollitore interruppe la loro chiacchierata. Jimin si voltò per servire il tè e Jungkook ne approfittò per lasciarsi scivolare su una sedia del tavolo, stanco.

Jimin gli chiese quale tipo di tè preferiva e poi proseguì parlando di cose prive di importanza come i diversi tipi di thè verde o chissà altro. Sembrava non essere minimamente turbato dal silenzio di Jungkook, neppure quando Jungkook per la mezz'ora successiva non fece altro che tormentare la tazza che aveva tra le mani e sorseggiare il liquido che c'era dentro.

Era difficile immaginare che la persona che aveva di fronte fosse stata davvero coinvolta anche in solo metà delle cose che la gente gli appioppava. Ma poi di nuovo, nessuno avrebbe mai sospettato che un ragazzo come Jungkook potesse avere dei seri problemi di ansia. Una copertina raramente diceva molto del libro.

Un'immagine gli attraversò la mente, quella di un giovane Jimin nella sua uniforme scolastica, seduto sotto le tribune del campo da calcio che alternava tiri di sigaretta a sorsi di una bottiglia che puzzava inequivocabilmente di vodka. Jungkook aveva solo quindici anni allora e Jimin diciassette, ma quest'ultimo era già stato etichettato come pessima compagnia da evitare.

"Grazie per il tuo tè,”Jungkook, si trovò allora a dire, senza curarsi di aver interrotto Jimin a metà frase.

"Prego," rispose Jimin, un po' sorpreso dal repentino cambio di umore. Jungkook era indeciso se sentirsi imbarazzato o meno, ma il fatto era che lo infastidiva l'essersi dimenticato chi esattamente era la persona che era venuta in suo soccorso. Dopotutto Jungkook sapeva tutto di Jimin – da come aveva sfidato i suoi genitori durante la sua fase ribelle liceale, a come aveva successivamente spezzato loro il cuore quando aveva buttato via i soldi del college nel tunnel della droga.

Secondo le indiscrezioni, Park Jimin all'epoca era risultato essere così mentalmente instabile che neppure la leva militare aveva saputo che farsene di lui. Era stato quindi esentato dal servizio e, come dicevano le malelingue, ricoverato a forza in una struttura mentale. Ma non finiva lì, dicevano che la sua cicatrice fosse autoinflitta e dicevano, dicevano ...

Jungkook si alzò di scatto dalla sedia la quale grattò bruscamente sul pavimento.

"Se avrai ancora bisogno di una pausa in futuro, sentiti libero di parcheggiare davanti casa mia. E se hai voglia di bere dell'altro tè, non esitare a bussare alla mia porta, non disdegno della buona compagnia," disse Jimin, cercando di suonare amichevole e rassicurante.

Perché Jimin stava facendo questo? Chi era mai Jungkook per lui se non l'idiota che aveva avuto un esaurimento nervoso davanti a casa sua?

Le guance di Jungkook ardevano per l'imbarazzo e la vergogna - vergogna per avere un'opinione orribile nei confronti di qualcuno che gli aveva appena aperto le porte di casa, imbarazzo per aver mostrato un lato così patetico di se. Così patetico che perfino un ex tossicodipendente aveva pietà di lui, così patetico da sputare sulla gentilezza di un'altra persona senza ritegno.

Jungkook annuì debolmente, prima di precipitarsi fuori da lì.

Una volta tornato alla sua macchina non ne volle sapere di continuare il viaggio ma decise di tornare subito a casa. E una volta che fu giunto, rimase a lungo seduto nella sua macchina a rimuginare su quanto era accaduto.

Si sentiva strano e terribilmente in colpa, ma perlomeno la sua ansia, o qualunque cosa fosse, sembrava sparita del tutto. Si augurò con tutto se stesso che fosse l'ultima volta che gli faceva visita.



 

Qualche giorno dopo l'attacco d'ansia che Jungkook si ostinava a chiamare piccolo insignificante incidente, l'orrore per come si era comportato e su come si erano svolte le cose lo raggiunse. Era stato così tremendamente scortese e prevenuto nei confronti di Jimin. Non importava che fossero estranei che non avevano mai interagito prima di allora, Jungkook avrebbe comunque dovuto comportarsi da adulto decente.

Per la verità Jungkook era addirittura in debito nei suoi confronti e sebbene avesse riconosciuto tale cosa abbastanza facilmente, agire per mettere rimedio a ciò non lo fu altrettanto.

Era inutile raccontarsi che gli erano mancate occasioni per recuperare perchè Jungkook nell'arco di tre giorni lo aveva visto due volte al supermercato e un'altra al bar. Ogni volta, Jungkook si era ritrovato a camminare nella direzione opposta o aveva fatto finta di non vederlo.

Quel pomeriggio tuttavia, proprio mentre si dirigeva in libreria per comprare un libro che Namjoon gli aveva raccomandato, Jungkook se lo trovò di nuovo davanti e quella volta si decise ad avvicinarlo.

Attento a non apparire troppo palese nelle sue intenzioni, Jungkook si spostò lentamente dietro lo scaffale più vicino al suo bersaglio, fingendo di essere alla ricerca del suo libro. Jimin era a un paio di passi da lui e stava rovistando in un grande cesto pieno di libri usati. Aveva un ottimo aspetto e la giacca in pelle che sfoggiava gli calzava a pennello e gli davano un'aria sbarazzina. Jungkook cercò di non pensare al fatto che lui invece indossava un paio di jeans  i cui strappi erano lungi dall'essere il risultato di una scelta alla moda.

"Hai letto davvero Nietzsche?" Chiese Jungkook di punto in bianco e con un tono di voce decisamente troppo alto. Jungkook gemette internamente.

Jimin sobbalzò per la sorpresa tuttavia sorrise nel rendersi conto che si trattava di Jungkook.

"Ciao, anche a te," rispose allora, stuzzicandolo.

"Oh. Ciao,” Jungkook rispose come ricordandosi che avrebbe potuto semplicemente esordire con un saluto. Era troppo tardi ormai anche per quello che seguì dopo. “Si. Ti ho visto da fuori e ho pensato di venire a salutarti. Dal momento che, sai, sono qui per comprare un libro che questo mio amico mi sta chiedendo di leggere da un secolo anche se sa che leggere non è proprio il mio forte. Mi ha detto che ha discusso di Nietzsche con te ed è per questo che ti ho fatto quella domanda. A proposito, la conversazione con te l'ha colpito un sacco, e lascia che ti dica che non è un'impresa facile," disse Jungkook, rabbrividendo internamente per ennesimo sfoggio di misera eloquenza.

Jimin rimase per un attimo immobile, sembrava che stesse cercando di elaborare il fiume di parole che Jungkook gli aveva appena vomitato addosso. Si voltò verso Jungkook, la fronte aggrottata e lo sguardo pensoso, e poi all'improvviso schioccò le dita in segno di riconoscimento.

"Ah sì, penso di ricordare! Gambe lunghe, occhiali, voce profonda e fossette? "Chiese Jimin in tono vivace.

"Proprio lui!" Jungkook esclamò contento.

"Davvero? Bene! Sono contento di non aver fatto una pessima figura allora. Ha l'aria di essere un ragazzo intelligente e avevo paura di aver detto un mare di sciocchezze considerando che ho letto Nietzsche per sbaglio e non perchè fosse mia intenzione,” disse Jimin grattandosi la nuca in imbarazzo.

"Come fa qualcuno a leggere Nietzsche per sbaglio?"

"Beh, la copertina era praticamente identica a un libro che volevo comprare da tanto tempo e quel giorno andavo piuttosto di fretta quindi non ho neanche fatto caso al titolo? Poi quando ho capito il mio errore ormai che l'avevo comprato mi sono detto che tanto valeva leggerlo ... non dirlo al tuo amico però," Jimin spiegò con fare cospiratorio.

"Non lo farò," lo rassicurò Jungkook non potendo evitare che un sorriso si facesse largo sul suo viso, il nervosismo di cui era stato preda completamente scomparso.

Poi prima che potesse fermarsi, chiese, “ti va di prendere un caffè?"

Un silenzio seguì alla sua domanda e proprio quando si stava pentendo di aver aperto bocca, Jimin prontamente rispose,"volentieri."

Jimin parve sorpreso della sua risposta tanto quanto Jungkook.

"Oh. Bene. Allora lasciami andare a prendere il mio libro e poi possiamo andare," disse Jungkook quasi agitandosi.

Jimin sorrise, "ti aspetto fuori."

Jungkook cercò di non strapensare la cosa e si diresse con passo deciso verso la cassa per farsi dare il libro il più in fretta possibile.

Un paio di minuti dopo stava camminando assieme a Jimin verso il caffè più vicino. Il momento di coraggio di Jungkook si era prontamente esaurito e ora camminava con le mani in tasca, lambiccandosi il cervello alla ricerca di una frase che rompesse il ghiaccio. Grazie al cielo Jimin era già pronto sul pezzo.

"Hai detto che non ti piace molto leggere, c'è qualcos'altro che ti piace fare nel tempo libero?"

"Beh, sono una persona semplice, mi piace fare jogging, mi piace sistemare le cose quando si rompono. Mi piaceva dipingere,” Jungkook rispose, sentendo le sue spalli rilassarsi poco a poco.

"Che tipo di pittura? Acquerello o olio? Paesaggi o ritratti? Pittore preferito?”chiese Jimin, curiosità evidente nella sua voce.

"Wow. Sono un sacco di domande,” scherzò Jungkook," Ma per rispondere alla tua prima domanda, pittura a olio."

Parlarono di pittura fino a quando raggiunsero la caffetteria. Una volta arrivati tuttavia erano così assorti nella loro conversazione che decisero di prendere un caffè da asporto e continuare la loro passeggiata. Si dissero che la giornata era troppo bella per sprecarla rimanendo seduti al chiuso, ma in realtà nessuno dei due voleva rischiare di rovinare il momento. A Jungkook il loro incontro appariva come una ventata di aria fresca dopo tanti giorni stagnanti e sospettava che anche Jimin provasse lo stesso.

Si fermarono all'angolo della strada principale, incuranti dei bicchieri in mano praticamente mezzi vuoti e di chicchessia.

Poi lo sguardo di Jungkook cadde distrattamente su una donna di mezza età che stava aspettando fuori dalla pasticceria lì accanto, con il suo cane. La cosa in sé non sarebbe stata nulla di eclatante se non fosse che quella donna li stava fissando, e origliando, con morboso e maleducata intenzione. Jungkook si contorse sul posto, lottando per non sbottare contro di lei e fare una battuta al riguardo.

Anche Jimin parve accorgersene ma al contrario di lui optò per un approccio più diretto. "Buongiorno signora!" la salutò quindi sorridendo. La signora, imbarazzata, voltò il viso e fece finta di non averli visti.

La mascella di Jungkook quasi cadde sul pavimento davanti a tale palese impudenza,

Jimin sospirò prima di segnalare a Jungkook di continuare a camminare.

"Purtroppo mi capita spesso, mi dispiace che tu ci sia finito in mezzo. Immagino sia la conseguenza di avere una reputazione come la mia,” disse Jimin, cercando di non dare a vedere quanto la cosa lo disturbasse." Capisco se ti mette a disagio."

Jungkook osservò Jimin il quale stava guardando ostinatamente come se stesse cercando di evitare la reazione di Jungkook.

Jungkook notò anche come la gente li fissava - alcuni solo leggermente incuriositi, altri in modo più invadente. Eppure Jimin camminava con il mento alzato e le spalle diritte. Qualunque cosa Jimin avesse commesso in passato, l'aveva fatto a se stesso, ed era una questione tra Jimin e la sua famiglia soltanto.

Jungkook pensò allora alla sua reazione iniziale, a come si era vergognato di trovarsi di fronte a Jimin; di come non riuscisse ancora a cancellare l'etichetta di "pazzo tossicodipendente" dal suo cervello ogni volta che pensava a lui; pensò a come, pur ignorare i suoi problemi, era stato più che pronto a ignorare le buone intenzioni di Jimin e tutto per via di voci malevole e insicurezze personali.

"Ma che dici, va tutto bene. Proseguiamo,” Jungkook disse, sorridendo a Jimin e ignorando volutamente il loro pubblico. Jimin lo guardò allora, come se stesse cercando di valutare la sincerità delle sue parole.

Jungkook non si offese di quel piccolo esame, e dopotutto considerando la sua iniziale riluttanza  Jimin aveva molte ragioni per essere sospettoso. Qualsiasi cosa trovò nel suo volto, Jimin la ritenne sufficiente per continuare il discorso come se nulla fosse.

Ad un certo punto fu evidente che entrambi i loro bicchieri di carta giacevano vuoti da un pezzo e che il sole ormai stava scendendo sull'orizzonte. Jungkook guardò il suo telefono per controllare l'ora.

"Se hai bisogno di essere altrove, per favore non ti preoccupare, sentiti libero di andare,” suggerì Jimin. Jungkook si accigliò. Non aveva voglia di andarsene in realtà, non ancora. Non si era mai sentito così a suo agio con qualcuno che non fossero Namjoon e Hoseok e lo colpiva come, durante i loro due incontri, Jimin fosse disposto a  concedergli tutto lo spazio, compresa una via di fuga, se voleva. Era quasi come se si aspettasse che Jungkook potesse aver voglia di fuggire. Jungkook fece una smorfia pensando a come l'aveva fatto davvero durante il loro primo incontro.

"Sì, devo tornare indietro. Ma sono venuto in macchina quindi se vuoi posso darti un passaggio a casa,” disse Jungkook. Non appena le parole gli uscirono dalla bocca, Jungkook sentì' il sangue defluire dal viso mentre un profondo senso di mortificazione lo investiva da capo a piedi.

Jimin l'aveva visto, forse più volte, avere un crollo nervoso proprio davanti al cancello di casa sua. Aveva visto le sue mani tremare mentre cercavano di accendere la macchina e lo aveva visto mentre prendeva grandi boccate d'aria nel tentativo di calmarsi. Non ci sarebbe voluto un genio per capire cosa stava succedendo - che c'era qualcosa che faceva scattare Jungkook con forza ogni volta che si metteva dietro a un volante. Perchè mai avrebbe dovuto voler accettare un passaggio da lui?

Non dire di no, pensò Jungkook.

"Se per te non è problema, allora grazie," disse Jimin. Jungkook non si era mai sentito così sollevato prima d'ora.

Si diressero quindi dove Jungkook aveva parcheggiato la macchina, con calma e ancora desiderosi di prolungare il loro momento insieme. Durante il tragitto chiacchierarono ancora e Jungkook fu lieto di constatare come le sue mani non tremarono mai e salda era la sua presa sul volante.

Non avrebbe dovuto sentirsi orgoglioso di un risultato così insignificante, si disse, eppure lo era. Era orgoglioso di aver parcheggiato con sicurezza davanti alla casa di Park Jimin come se quei terribili momenti di panico non fossero mai esistiti.

"Grazie per il passaggio," disse Jimin prima di uscire dall'auto.

"A presto," rispose Jungkook con un sorriso.

Erano parole comuni di commiato, ma Jungkook si ritrovò a desiderare che quel a presto corrispondesse al vero, un totale cambiamento di rotta se ripensava alle sue sensazioni iniziali. Scuotendo la testa Jungkook riportò la macchina in strada consapevole di dover riattraversare il ponte per tornare a casa eppure la giornata era stata così piacevole e lui si sentiva così in pace con se stesso che il suo corpo rimase rilassato, senza tradire sensazione di nervosismo alcuno. Forse le cose sarebbero andate bene d'ora in avanti.



 

Quando Jungkook aveva detto "a presto" era stato sincero, ma aveva anche immaginato una situazione molto diversa da quella in cui si trovava in quel momento. Ancora una volta, si trovava con la sua macchina davanti alla casa di Jimin, le mani aggrappate violentemente al volante e un velo di sudore in fronte.

Probabilmente Jimin non era nemmeno a casa, lui un lavoro, sebbene part time, ce l'aveva ed era probabile che fosse ancora lì.

Una parte di Jungkook si augurava che fosse così, che Jimin si trovasse da tutt'altra parte, lontano dal triste spettacolo che lui stava dando. Tuttavia non appena Jungkook si fu avvicinato alla porta di Jimin, questa si spalancò senza che lui avesse bisogno di bussare, rivelando un Jimin in tenuta casalinga, con tanto di tuta, maglietta consunta oversize e pantofole. L'altra parte di Jungkook ne fu lieta, e Jungkook provò a far finta che quella fosse una normale visita amichevole e non un posto sicuro in cui ritornare in sé.

"Tè o caffè?" Chiese Jimin come se non avesse bisogno di sapere perché Jungkook fosse lì, come se non avesse notato il pallore di Jungkook, e come se fosse del tutto normale che lui cercasse conforto nella casa di qualcuno con cui aveva interagito solo un paio di volte.

"Tè, grazie," rispose Jungkook, schiarendosi la gola. Non si sentiva in grado né di sorridere né di aggiungere qualcosa di più eloquente di quello. Jimin non sembrò infastidito ma anzi invitò ancora una volta Jungkook a seguirlo dentro casa.

"Fai come se fossi a casa tua, siediti pure sul divano se vuoi. Io torno subito."

Jungkook fece come gli era stato detto, le gambe che si muovevano per inerzia.

Quando Jimin tornò con il tè, Jungkook era tornato padrone di se anche se sentiva ancora come se i suoi muscoli fossero fatti di gelatina. Bevve lentamente, evitando ogni contatto visivo, preso com'era dall'imbarazzo.

Jimin lo lasciò fare e decise di guardare la tivù aspettando che Jungkook si sentisse a suo agio. Funzionò. Jungkook non tardò a unirsi a lui e quando ebbe finito il suo tè si era talmente rilassato che stava ridendo insieme a Jimin.

Nonostante Jungkook desse segni di essersi ripreso Jimin non lo prese come il segnale per iniziare a interrogarlo e per la verità Jungkook non riusciva a ricordarsi un'occasione in cui l'altro non gli avesse dato ampio spazio.

Jungkook gettò uno sguardo a Jimin e i suoi occhi si fermarono brevemente sulla sua cicatrice. Ma fu solo un attimo perchè ben presto quegli stessi occhi ripercorsero dolcemente la curva del naso e delle labbra di Jimin. Distolse lo sguardo, sperando che Jimin non se ne fosse accorto.

"Stavo andando al centro commerciale prima di fermarmi qui," buttò la Jungkook a un certo punto, "ti piacerebbe venire con me?"

Come l'ultima volta che Jungkook lo aveva invitato, Jimin sembrava sorpreso dalla sua proposta tuttavia al pari dell'altra volta accettò di buon grado, strappando a Jungkook il primo sorriso del giorno.

Jimin non fece commento alcuno quando Jungkook si sedette al volante e sedendosi sul sedile del passeggero decise di accendere la radio. Era un buon segnale e infatti Jungkook non sperimentò nessuna brutta sensazione, non capiva se era dovuto alla pausa presa o alla presenza rassicurante di Jimin.

Il perfetto clima emotivo rimase tale per tutto il pomeriggio, tanto che, quando fu il momento di riportare Jimin a casa, Jungkook guidò con disinvoltura - i finestrini erano infatti abbassati e la sua mano era sul cambio.

"Mi sono divertito, dovremmo rifarlo,” disse Jungkook una volta che ebbe spento il motore.

Jimin tuttavia non rispose e un sorriso misterioso si fece largo sul suo viso.

"Non mi devi nulla, Jungkook," disse Jimin, guardando dritto davanti a se.

"Non capisco," rispose Jungkook, perplesso. Jimin appariva di colpo strano ed era come se stesse aspettando che Jungkook smettesse di essere così gentile e lo cacciasse dalla macchina.

"Uscire con me, invitarmi a fare cose. Non ti ho  aperto la porta di casa mia perché volevo che ti sentissi grato o qualcosa del genere, perciò non mi devi niente, "disse Jimin, continuando a non guardare Jungkook negli occhi.

"Non te lo sto chiedendo perché mi sento in obbligo, te lo sto chiedendo perché passare del tempo con te mi diverte. Ammetto, che di certo non è stata mia intenzione conoscerti, non così almeno ...” Jungkook si interruppe, mordendosi il labbro per la frustrazione. Era già abbastanza difficile riferirsi alle circostanze dei loro incontri, non voleva che la situazione finisse col creare un grande malinteso. "Ma voglio conoscerti meglio e perchè no diventare amici. Fare tutte le cose che gli amici fanno, " continuò Jungkook, grattandosi la nuca nervoso.

Jimin si voltò verso di lui allora, gli occhi che vagavano sul suo viso come se stesse testando Jungkook, cercando il fantasma di una bugia. Quando Jimin sorrise, Jungkook seppe di aver superato il test.

"Beh perchè no? È meglio se ci scambiamo i numeri, giusto? Che ne dici?"

"Certo!" Disse Jungkook, prendendo il telefono dalla tasca così velocemente che quasi gli scivolò via dalle mani.

"Chiamami anche hyung da ora in poi," disse Jimin prima di scendere dalla macchina.

Jungkook sorrise e i suoi occhi seguirono Jimin finchè questi non chiuse la porta di casa dietro di se.



 

Da quel momento in poi, andò così. Due amici che si divertivano insieme.

Dal momento che Jungkook era ancora a caccia di lavoro, e quindi aveva più tempo libero a disposizione, era spesso lui quello che si dava da fare per andare incontro a Jimine  ai suoi orari.

A volte prendevano un caffè insieme subito dopo che Jimin aveva finito con il suo turno mattutino, altre volte invece Jungkook andava direttamente nel garage di suo zio con la scusa del "passavo di qui" e offriva a Jimin un passaggio. Quelli erano i momenti migliori, quelli in cui parlando di tutto e di nulla se ne andavano in giro per la città, facendosi beffe degli sguardi curiosi delle casalinghe ficcanaso.

Non furono tuttavia gli unici sguardi interrogativi che Jungkook ricevette.Infatti la sua amicizia con Jimin subì un picco tale che Jungkook si trovò a dover evitare le domande curiose di sua madre.

Quando si trattava di scelte di partner, i suoi genitori sapevano già che Jungkook non aveva un genere prediletto, avendo fatto infatti coming out durante il suo primo anno di college. Le domande  preoccupate di sua madre tuttavia non avevano come tema il genere maschile di Jimin, ma il suo passato e la sua oscura reputazione.

Jungkook avrebbe voluto spiegarle quanto Jimin si fosse speso per lui, ma ciò avrebbe significato rivelare i suoi attacchi di panico e pertanto quella non era un'opzione percorribile. Quindi, a parte usare le parole brava persona e buon amico per descriverlo, non c'era niente che potesse davvero dire per farle cambiare idea.

Jungkook si chiedeva spesso se sarebbe stata così schizzinosa se avesse saputo che anche Jungkook aveva i suoi problemi che per giunta non avevano nulla a che vedere con l'alcool o la droga. O se sapesse come Jungkook avesse sviluppato una severa compulsione a mentire che gli rendeva estremamente facile ignorare ciò che gli stava accadendo.

Anche se guidare con Jimin accanto aveva fatto calare la gravità dei suoi episodi, non significava che la sua ansia fosse domata del tutto. Jungkook sapeva che quando la sua stretta sul volante si faceva più ferrea avrebbe sentito lo sguardo di Jimin posarsi più spesso su di lui. Nessuno dei due comunque sembrava intenzionato a dire nulla al riguardo.

E poi in mezzo ai momenti di calma ecco che si ripresentavano prepotenti i brutti momenti - quando mentire non era abbastanza per coprire la sua paura; quando il reprimere l'evidenza non lo aiutava affatto a sentirsi meno come qualcuno che stava lottando disperatamente per tenere la testa fuori dall'acqua.

Tuttavia tutte le volte che le sue mani tremavano e lui si sentiva l'ultimo essere umano sulla terra, Jungkook parcheggiava regolarmente la sua macchina di fronte a quell'ormai famigliare cancello.

A volte non usciva nemmeno e restava nell'abitacolo, in attesa. A volte invece si sentiva così scosso dentro e si sentiva così soffocato, come se lo spazio si stesse chiudendo su di lui, da non riuscire a rimanere in macchina. Allora usciva e, se era fortunato, Jimin era dietro la porta ad aspettarlo.

Jungkook avrebbe voluto aprirsi con Jimin e riuscire a trovare le parole giuste per esprimere la sua agonia. Avrebbe dato qualsiasi cosa per essere in grado di descrivere cosa stava succedendo nella sua testa. Sapeva che Jimin non lo avrebbe giudicato, né tantomeno lo avrebbe guardato come se fosse una patetica imitazione di uomo come faceva Jungkook tutte le volte che si guardava nello specchietto retrovisore.

Ma non ci riusciva. Ogni volta che ci provava, la sua gola si serrava e le parole che sentiva sulla punta della lingua gli erano troppo dolorose al punto che Jungkook desiderava non essere lui la persona che le stava dicendo.

In fin dei conti era semplice, no?

Jungkook era un uomo con dei gravi problemi di ansia e una fobia di guidare talmente fuori controllo che talvolta persino andare da casa sua a quella di Jimin sembrava un successo titanico. Era così spaventato che ogni volta che passava su quel ponte lui era convinto che fosse l'ultima.

"A volte ho la sensazione che la mia vita sia solo me che stringo i denti mentre guido sopra quel ponte sperando di non morire. Ha senso per te? "Jungkook confessò una notte nella tranquillità che seguì alla fine di un film.

Jimin annuì, un sorriso dolceamaro che gli stuzzicava gli angoli della bocca. "Sì, si può dire che ho avuto anche io i miei ponti."

Lo sguardo di Jungkook atterrò sulla cicatrice di Jimin. Quella porzione di pelle appariva sbiadita, di un colore più chiaro, e tagliava rozzamente la carne tenera sotto l'occhio di Jimin.

Se Jungkook avesse avuto più coraggio, avrebbe chiesto la storia dietro quella cicatrice, l'avrebbe accarezzata teneramente con la punta delle dita, e, se gli fosse stato permesso, avrebbe persino appoggiato le sue labbra su di essa. Ma Jungkook era semplicemente se stesso e da tempo riconosceva di essere un vigliacco.

Perciò Jungkook quella volta come tutte le antecedenti, non chiese. Invece, lasciò che il silenzio li avviluppasse come una soffice coperta, perché le difficoltà hanno quel modo di creare comprensione senza bisogno di parole.




 

Avendo Jungkook trascorso così tanto tempo con Jimin, era stato impossibile per la sua famiglia e i suoi amici non notare un sostanziale cambio di umore, il quale si era fatto più leggero.

Per quanto a Jungkook piacesse la sua privacy e non volesse rivelare come Jimin e lui fossero diventati amici, non voleva comunque nascondere la loro amicizia. Anche se era più che pronto a negare il suo problema, non avrebbe mai negato Jimin.

Jimin era diventato una persona importante nella sua vita, molto più di quanto Jungkook stesso e chiunque altro avrebbe potuto prevedere. Jungkook non poteva in alcun modo giustificare altrimenti come  tutti i suoi tragitti includevano una sosta presso la casa di Jimin. E, sebbene la tranquillità che lui ricavava da Jimin fosse diventata in buona misura una dipendenza, sapeva anche che non era così semplice.

Sì, la presenza di Jimin era salutare per la psiche ferita di Jungkook, ma il fatto che Jimin gli facesse bene non obbligava di certo Jungkook a sviluppare sentimenti per lui. Era la presenza di quei sentimenti ciò che rendeva Jimin il suo porto sicuro, e non il contrario.

Sapeva di star nuotando in acque torbide, ma conosceva anche il suo cuore. E sfidava chiunque a mettersi nei suoi panni e rimanere indifferente a una persona che senza nessun secondo fine lo aveva accolto a braccia aperte.

Quindi se voleva fare le cose nel modo giusto e dare il benvenuto a Jimin nella sua vita con tutto il cuore, i suoi due mondi separati - Jimin e gli altri - dovevano mescolarsi.

Jungkook non era stupido, aveva notato come Jimin, nonostante i suoi sforzi, si preoccupava moltissimo di come le voci sul suo passato potevano colpire negativamente le persone intorno a lui. Infatti anche se Jimin non si scomponeva sotto lo sguardo e i mormorii della gente, non la prendeva altrettanto bene quando tutta quella malevola attenzione era diretta a Jungkook.

Il suo affetto crescente per Jimin unito al desiderio di collegare i suoi mondi, fece sì che Jungkook si decidesse finalmente ad invitare Jimin a uno dei suoi incontri settimanali con Namjoon e Hoseok.

Tuttavia quando Jungkook quella sera annunciò che stava arrivando un suo nuovo amico, ne seguì una sequela di fischi ed espressioni di sorpresa poco divertenti.

"Aspetta, quindi è questa la persona colpevole di monopolizzare tutto il tuo tempo?” Hoseok chiese ammiccando.

"Guarda, non so cosa ti abbia detto Namjoon, ma si tratta solo di un amico," Jungkook ribatté, cercando di non agitarsi sotto lo sguardo suggestivo di Hoseok.

"Sì. Un amico. Ti crederei se non apparissi a disagio come un cactus che chiede di essere abbracciato ... Inoltre siamo stati noi i tuoi unici amici da praticamente tutta una vita e in tutto questo tempo non ci hai mai presentato qualcuno di nuovo ... Immagino che questa persona sia speciale."

Jungkook serrò le labbra. Anche se Jimin era effettivamente solo un amico, perdere tempo a cercare di convincere Hoseok avrebbe solo confermato i suoi sospetti. Il fatto che in effetti Jungkook stese dibattendo con se stesso la possibilità, se c'era, di spingere l'amicizia con Jimin un po' più in là. . "Oh guardalo Joon, sta arrossendo!" Disse Hoseok, inarcando il sopracciglio.

Prima che Jungkook potesse pensare difendersi, Jimin fece il suo ingresso nel pub, e a Jungkook fu risparmiato l'onere di trovare una battuta convincente.

Jimin si guardava intorno cercando di individuarlo cosicchè Jungkook agitò entusiasta la mano. La faccia di Jimin si illuminò non appena notò Jungkook. Hoseok e Namjoon dovettero averlo notato anche loro perchè improvvisamente non avevano più niente da dire.

Era un po' surreale per Jungkook guardare Jimin prendere posto al loro tavolo e presentarsi. E non potè fare a meno di sentire una piacevole sensazione di calore per tutta la serata in cui vide Jimin sorridere in compagnia dei suoi amici.

"Lui ti piace."

Sembrava che Hoseok avesse aspettato tutta la serata che Jimin andasse in bagno solo per poter dire questo a Jungkook. Jungkook strinse forte il bicchiere che aveva in mano.

"Certo che mi piace, è un mio amico," disse Jungkook, costringendosi a guardare negli occhi Hoseok.

"Sai cosa intendo. Prima ti stavo stuzzicando ma ora che vi ho visto interagire ... credo proprio che lui ti piaccia davvero. La cosa mi preoccupa un po'." Di tutte le cose che Hoseok poteva dire questa era l'ultima che Jungkook si sarebbe aspettata.

"Non capisco. L'ultima volta che l'hai menzionato mi hai detto che era una brava persona, e ora che sono coinvolto con lui, sei preoccupato? "

"Che lui sia una brava persona non vuol dire che non abbia dei problemi, Jungkook."

"E allora? Tutti commettiamo errori e facciamo cazzate, io e  te compresi Hoseok, "disse Jungkook scaldandosi.

"Ma certo," intervenne Namjoon. "Siamo tutti persone e in quanto tali imperfette. È solo che all'improvviso trascorri tutto il tuo tempo con lui e non capiamo esattamente come sia successo visto che non molto tempo fa non avevi affatto una buona opinione di lui. "

"Allora non lo conoscevo, come non lo conosci tu ora. Cosa c'è di così sbagliato nell'incontrare qualcuno, sentire una connessione e voler quindi approfondire?” Chiese Jungkook. Namjoon gli gettò un'occhiata strana, ma prima che potesse rispondere Jimin ritornò dal bagno.

Se aveva percepito uno cambio d'umore nell'aria, non diede segno di averlo notato e si sedette al posto riprendendo la conversazione precedente.

Jungkook fece del suo meglio per mascherare la sua delusione. L'interrogatorio di Namjoon e Hoseok gli aveva lasciato dell'amaro in bocca.

Probabilmente percepirono l'effetto che le loro parole avevano avuto su Jungkook perché alla fine della serata, Namjoon gli diede una pacca più affettuosa del solito sulla schiena e Hoseok gli strinse l'avambraccio a mo' di scusa. Jungkook sorrise loro ma brevemente. Non aveva voglia di riprendere l'argomento e fu svelto ad andare dietro a Jimin, lieto di potersi crogiolare nella sua presenza senza stupidi pregiudizi.

Il ritorno in macchina fu silenzioso, soprattutto perché Jungkook era pensieroso e Jimin, come sempre, gli lasciava la libertà dei suoi silenzi. Forse anche Jimin era perso a sua volta nei suoi pensieri, considerò Jungkook.

"Siamo arrivati,” disse Jungkook quando ebbe parcheggiato davanti alla casa di Jimin. Ma Jimin rimaneva seduto e non sembrava affatto desideroso di lasciare la macchina. C'era qualcosa di strano che pendeva tra loro e quando Jimin si voltò verso di lui sembrava che stesse cercando di trovare le parole giuste da dire, le sue labbra strette in una linea sottile.

Dicevano che Jimin da adolescente aveva sfidato i suoi genitori con il suo comportamento ribelle, dicevano che aveva spezzato loro il cuore quando aveva infine buttato via i loro soldi nel tunnel famelico della dipendenza quando lui era al college. Dicevano che era stato esonerato dal servizio militare e che aveva trascorso quegli anni in una struttura mentale. Dicevano che c'era qualcosa che non andava nella sua testa e che c'era qualcosa che non andava in lui nel suo insieme. Dicevano, dicevano, dicevano ... e ancor prima di conoscerlo Jungkook aveva detto lo stesso.

C'è stato un tempo in cui Jungkook non si sarebbe mai sognato di guardare in direzione di Jimin, eppure ora, ogni volta che lo guardava, Jungkook sentiva come se il mondo smettesse di girare sul suo asse e si fermasse.

In un atto di fede, Jungkook decise di ignorare ciò che era giusto e ciò che non lo era. Jimin era il suo unico imperativo. Così si sporse in avanti, lentamente per dare il tempo all'altro di reagire, finchè le sue labbra si posarono su quelle di Jimin. Sentì le labbra di Jimin tremare sotto le sue e spaventato rimase immobile. Ma prima che di potersi staccare e al tempo rimproverarsi per la sua arroganza, sentì le labbra di Jimin muoversi contro le sue.

E il mondo tornò a ruotare sul suo asse e Jungkook con lui. Jungkook sospirò di soddisfazione.

Non c'era modo alcuno di fermarsi, allora. Non c'era nulla che avrebbe impedito alle sue mani di prendere il viso di Jimin tra le mani e accarezzargli la guancia con il polpastrello del pollice. Non c'era nulla  che gli avrebbe potuto impedire di far scivolare la sua lingua nella bocca di Jimin e reclamarlo come suo, non c'era nulla che lo avrebbe convinto a lasciarsi scivolare quel momento tra le dita.

E quando sentì le dita di Jimin afferrargli la maglia per avvicinarlo, fu entusiasta di scoprire che anche Jimin non aveva alcuna intenzione di lasciarlo andare.



 

Iniziarono uno schema - o forse era sempre stato lì nascosto sotto le coperte in attesa che loro lo rivelassero.

Ora che Jungkook aveva iniziato, gli era praticamente impossibile smettere di baciare Jimin. Ma la cosa migliore era che Jimin sembrava essere sulla sua stessa lunghezza d'onda.

E così si baciavano a ogni occasione, quando Jungkook varcava la soglia della casa di Jimin, dietro gli scaffali della libreria, e molto spesso sul divano di Jimin quando Jungkook rimaneva ben oltre i titoli di coda.

E quando Jungkook affondava il naso nel collo di Jimin e inalava il suo profumo e appoggiava le labbra sulla pelle per sentire le sue pulsazioni, sentiva che la presenza di Jimin poteva essere sufficiente per lavare via ogni tristezza.

Desiderò che potesse essere così semplice, di poter portare con sé dovunque andasse il calore con cui Jimin lo avvolgeva e fosse abbastanza da fargli dimenticare le sue paure. Perché la cosa peggiore non erano i brutti giorni, ma il fatto che i bei giorni ci fossero ma non durassero.

Come quella settima. Era stata una settimana stressante, aveva ricevuto un'altra telefonata che gli diceva quanto fosse eccellente, ma anche come non fosse quello che l'azienda per cui aveva sostenuto il colloquio stesse cercando. Era stato ennesimo colpo al suo fragile ego e fu sufficiente a spedire la sua mente in un loop di paranoia, mentre si chiedeva che cosa esattamente ci fosse di sbagliato in lui per essere respinto ogni volta.

Per giunta essere stato costretto a dare un passaggio ai suoi zii in aeroporto, il che aveva significato  guidare in autostrada, non aveva giovato affatto ai suoi nervi. Aveva avuto un tale terrore durante tutto quel maledetto viaggio che sentiva ancora la paura addosso come una seconda pelle.

Perciò persino con Jimin al posto del passeggero, il tragitto in città quel pomeriggio non fu affatto facile. Sentiva le braccia rigide e si ritrovò a digrignare i denti per tutta la durata del viaggio. Jimin non aveva potuto nascondere la sua profonda preoccupazione.

Faceva male. Faceva male sapere che Jimin aveva una ragione per preoccuparsi. Jungkook provò a scrollarsi di dosso quella sensazione e fece del suo meglio per apparire rilassato durante la loro passeggiata in centro, nella speranza che Jimin si dimenticasse dell'accaduto. Ma evidentemente il destino si divertiva a prendersi gioco di lui e il tragitto di ritorno fu altrettanto snervante e il suo stato di ansia troppo evidente per essere spazzato via.

Sapeva che non poteva evitare un confronto. L'aveva evitato per troppo tempo ed aveva solo senso affrontare il discorso alla luce di questo nuovo episodio.

"Forse dovremmo parlarne,” iniziò Jimin con tutta la gentilezza del mondo. Le sue parole furono come uno schiaffo in faccia. Jungkook strizzò gli occhi.

"No, non ce n'è bisogno."

Jimin sospirò e anche quel suono risultò snervante a Jungkook.

"Sai come ci siamo incontrati. E non ho mai chiesto perché era evidente che tu non eri pronto a parlarne. Ma-"

"Esattamente. Non ne abbiamo mai parlato e di certo non dobbiamo iniziare ora. Ho tutto sotto controllo. Questa è solo una fase passeggera."

"Non andrà via solo perchè lo vuoi tu,” Jimin disse: "Io, tra tutte le persone, so di quel che parlo perchè dio solo sa quanto avrei voluto che desiderarlo bastasse.”

"Per favore. Non ora ,” Jungkook quasi supplicò. Non ora, mai.

"Non devi parlare per forza con me, ma con qualcuno devi parlare. Combattere in silenzio non farà che peggiorare le cose."

"Parlare con chi? Con la mia famiglia? Così non mi lasceranno mai più toccare un macchina? Con te? Così avrai la prova che sono davvero fuori di testa? Con qualche psicologo che non potrò mai permettermi perché sono senza lavoro? No. Non lascerò che nessuno pensi che io sia pazzo."

Si pentì delle parole non appena uscirono dalla sua bocca. La faccia di Jimin si trasformò in una maschera di dolore.

"Non c'è niente di male nel chiedere aiuto, Jungkook."

Jungkook si piegò sul sedile. Si sentiva una persona spregevole per aver detto una cosa del genere a Jimin ma, allo stesso tempo, si sentiva incapace di accettare quanto l'altro potesse avere ragione.

Jungkook si chiese perché tutto dovesse finire con annegare nel senso di colpa.

Jimin avrebbe potuto lasciarlo lì senza degnarlo di un'occhiata, invece si chinò per baciargli la guancia.

"Provaci."




 

Non era come se Jungkook non ci avesse provato prima.

Non appena si era accorto che qualcosa non andava, aveva cercato di trovare una soluzione, ma il fatto di essere disoccupato e senza risorse economiche da investire in un aiuto professionale non aveva reso la faccenda semplice.

Fu così che finì per ricevere assistenza gratuita in una associazione pro bono. Dire che non era andata bene, sarebbe stato un eufemismo. Si era sentito denigrato e se chiedere aiuto significava sentirsi dire quanto fosse sbagliato, allora preferiva rimanere senza aiuto.

"Un altro," chiese Jungkook al barista indicando il suo bicchiere vuoto. Era già incamminato verso l'ubriacatura sicura.

Era seduto al bancone del solito bar da solo e  in un giorno feriale. Stava cercando di affogare i suoi dispiaceri ma, sfortunatamente, come lo aveva avvertito Namjoon, bere non lo aiutava a dimenticarsi dei ricordi spiacevoli e le parole di Jimin, come quelle dello psicologo, continuavano a rimbombargli in testa.

Non era colpa di Jimin. Non poteva sapere che chiedere aiuto non sarebbe servito a niente.

 

"È solo questo particolare periodo della mia vita. Ho una laurea di cui non so che farmene e ho passato gli ultimi cinque anni a studiare qualcosa che non mi piaceva e ora eccomi qui nel mondo degli adulti. Non mi sono mai sentito così impotente prima d'ora ed è per questo che il mio buon senso non sembra funzionare. Guidare non dovrebbe sembrarmi come un biglietto di sola andata per una morte inevitabile."

"Hai sempre avuto pensieri suicidi?"

Jungkook sentì il sangue ribollirgli nelle vene per quanto profondamente era stato frainteso.

"Non ho mai voluto morire,” rispose con rabbia incredula.

"Forse vuoi sentirti così. Forse la tua è solo sete di attenzione."

 

Jungkook ingollò il whisky che il barista gli aveva portato, in una volta sola. Si sentì bruciare la gola e la sua vista iniziò ad annebbiarsi. Non solo aveva ignorato sistematicamente i messaggi dei suoi amici, ma anche quelli di Jimin, che nonostante avesse tutto il diritto di essere arrabbiato con lui per le parole che gli aveva detto l'ultima volta, cercava ancora di dargli una mano. Jungkook avrebbe dato qualunque cosa per essere libero da se stesso e dalla sua incapacità di aprirsi a chi voleva bene e sebbene gli mancassero sia Jimin che i suoi amici, preferiva isolarsi. Non vederli voleva dire non affrontare il suo senso di inadeguatezza.

"Signore, ha qualcuno che possiamo chiamare? O preferisce un taxi? "Chiese qualcuno, probabilmente il barista, dopo un po'.

"Non.. Jimin," borbottò. Era vagamente consapevole del fatto di avere la testa appoggiata al bancone. Aveva voluto dire di chiamare chiunque tranne lui, quindi, naturalmente, lo staff dalle sue parole capì esattamente il contrario.

"Jungkook, andiamo, andiamo," la dolce voce di Jimin arrivò da qualche parte sopra l'orecchio dopo quella che parve un'eternità. Jungkook non aveva voglia di collaborare e non voleva essere visto in quello stato, specialmente non quando solo pochi giorni prima avevano discusso dell'incapacità di Jungkook di funzionare come una persona ragionevole.

Tuttavia era così ubriaco che non riuscì ad opporsi quando Jimin gli mise un braccio sotto le spalle e lo guidò di peso fuori dal bar.

"Dove hai parcheggiato?" Chiese Jimin. Jungkook si rifiutò di dirglielo, ma Jimin era intelligente e, soprattutto, sobrio, quindi infilò le mani nella tasca posteriore di Jungkook e prese le sue chiavi. Premette il pulsante di sblocco e trovò subito la sua macchina.

Ogni forza residua abbandonò Jungkook non appena si rese conto che non aveva altra scelta che lasciare che Jimin si prendesse cura di lui.

Jimin riuscì a trascinare Jungkook fino alla macchina e depositarlo nel sedile del passeggero, fino ad allacciargli la cintura.

"Non ho bisogno della tua pietà. Non voglio essere il tuo caso umano,” mormorò Jungkook dopo che Jimin ebbe iniziato a guidare.

"Non ti compatisco. Semplicemente ci tengo a te, Jungkook."

"Perché? Sono stato un peso fin dall'inizio."

"Hai solo un problema, e i problemi possono essere risolti,” disse Jimin, cercando di ragionare con lui.

"Non ho un problema. Sono il problema. "

Jungkook chinò la testa di lato e appoggiò la fronte sul vetro freddo. In seguito avrebbe desiderato che sentire Jimin piangere, fosse stato solo un trucco della sua mente ubriaca.

 

Jungkook si svegliò con un mal di testa martellante e una gola così secca che deglutire era un'agonia.

Strinse forte gli occhi prima di tentare di aprirli e fortunatamente incontrò la penombra di una stanza con le persiane quasi del tutto abbassate.

Una volta che riuscì a mettere a fuoco, notò un bicchiere d'acqua e alcuni antidolorifici sul comodino. Li inghiottì come se la sua vita dipendesse da ciò.

Si era appena alzato e messo a sedere sul letto, passandosi la mano sul viso stanco, quando sentì dei passi che si avvicinavano.

"Sei sveglio. Ho approfittato della pausa pranzo per controllare se stavi bene."

Era Namjoon. Si trovava a pochi metri da lui e, non appena i loro occhi si incontrarono, Jungkook si ricordò di quello che era successo la notte precedente. Ricordò come Jimin aveva bussato alla porta di Namjoon,  la breve e accesa discussione tra i due prima di decidere di portare Jungkook nella stanza degli ospiti.

 

"Mi dispiace," mormorò Jungkook, sentendosi ancora più stanco di prima.

"Cosa ti sta succedendo Jungkook? Ieri Jimin è venuto qui nel bel mezzo della notte trascinandosi dietro di se un te a malapena cosciente. Fortunatamente Hyejin è in viaggio d'affari e non ha dovuto assistere al tuo stato.Non credo di averti mai visto così ubriaco in vita mia e sono preoccupato, molto preoccupato."

"Jimin non ha niente a che fare con le stronzate che infliggo a me stesso,” replicò Jungkook prima che Namjoon potesse persino iniziare ad accusare.

"Lo so. E' parso piuttosto affezionato a te, anche quando gli hai vomitato sopra le scarpe. Tuttavia non posso fare a meno di pensare che qualcosa comunque lui centri."

Jungkook scosse la testa anche se il farlo peggiorava il suo mal di testa.

"Lui è rimasto solo impigliato nel mio casino."

"Jungkook, qualunque cosa ti stia passando per la testa, puoi parlarmene. Ti ascolto volentieri."

"Grazie, ma penso che sia una cosa che devo risolvere da solo,” ribatté Jungkook sulla difensiva. Namjoon scrollò le spalle. Era evidente che non era d'accordo.

“Come vuoi...” concesse suo malgrado. “Almeno resta qui finchè non ti sei ripigliato. Fatti una doccia, mangia qualcosa. Jimin ha detto che dopo pranzo si sarebbe fermato per chiarire le cose con te e gli ho detto che per me andava bene. Quindi puoi tranquillamente farlo entrare."

Jungkook annuì sentendosi a disagio al solo pensiero di vedere Jimin.

Namjoon se ne andò un paio di minuti dopo. Jungkook si sentì malissimo al pensiero che Namjoon avesse sprecato la sua pausa pranzo per lui.

Decise comunque di seguire il suo consiglio e si fece una doccia, la quale fu un balsamo per il suo corpo stanco. Poi indossò i vestiti puliti che Namjoon aveva lasciato per lui sul letto e mangiò gli avanzi che trovò nel frigo, e solo allora Jungkook iniziò a sentirsi più se stesso.

Il campanello suonò proprio mentre lui stava finendo di lavare i piatti. Jungkook deglutì nervosamente ma non esitò a rispondere alla porta.

Jimin apparve sull'uscio, esausto ma determinato. Incapace di formare parole diverse da un debole "ciao", Jungkook lo fece entrare.

Andarono nella stanza degli ospiti e si sedettero in silenzio sul letto, abbastanza vicini perché le spalle si sfiorassero. Jungkook non sapeva da dove cominciare o quali parole usare per scusarsi, ma prima che potesse trovare il coraggio di farlo, Jimin iniziò per primo.

"Due anni fa ho avuto un grave crollo mentale. Mi hanno trovato nella mia stanza, dalla quale apparentemente non uscivo da giorni, seduto sul pavimento sporco che fissavo in stato apparentemente catatonico il muro, una ferita profonda e ancora aperta nella parte sinistra della mio viso. Dal momento che non ricordo nulla, non hanno saputo determinare se tale ferita è stato autoinflitta, se qualcuno mi ha fatto del male, o se sia trattato solo di un incidente. Quello che so è che sono stato fortunato che qualunque cosa mi abbia ferito non mi abbia trapassato l'occhio. Hanno trovato anche  della droga e una seria infinita di bottiglie di alcol vuote e non sparse su tutto il bancone della cucina. Fu questo che inizialmente portò i medici e la mia famiglia a pensare che il mio stato fosse il risultato delle mie molte dipendenze. Ma un consulente dell'ospedale vide qualcos'altro in me, riconobbe alcuni sintomi. Fu allora che mi diagnosticarono per la prima volta un disturbo bipolare."

Jimin interruppe il suo raccolto come se stesse raccogliendo i pensieri. Sembrava proprio fosse la prima volta che raccontava questa storia. Jungkook rimase in silenzio, in ascolto.

"Fu una benedizione. Alla fine, dopo una vita di a chiedermi cosa ci fosse di sbagliato in me avevo la risposta. Avevo combattuto per anni senza sapere che avevo una battaglia da combattere. Cadevo spesso in stati di profonda tristezza che potevano durare mesi o giorni, e poi bruscamente e senza motivo alcuno tornavo euforico e niente in quei momenti mi sembrava abbastanza. Non c'era nulla là fuori che riusciva a lenire il mio tormento o aiutarmi a far fronte ai cambiamenti violenti del mio umore. Avrei tanto voluto non essermi vergognato di ammettere che qualcosa non andava e aver parlato con qualcuno dell'incubo che era la mia testa. Avrei tanto voluto che i miei genitori non avessero guardato dall'altra parte di fronte al mio disagio e che fossero riusciti ad ammettere che c'era un problema e che non si trattava solo di una fase adolescenziale. Perché allora, forse, non avrei cercato di trovare una cura alla malattia che non sapevo di avere nelle droghe, nell'alcol o nel sesso, qualsiasi cosa, nella speranza di silenziare la voce nella mia testa che continuava a dirmi quanto patetico e  inutile fosse e che mi aveva reso paranoico per tutta la mia vita."

Un profondo senso di tristezza avvolgeva e si irradiava da Jimin, così intenso da colpire Jungkook come un pugno nello stomaco, e quando Jungkook si voltò a guardarlo scoprì che Jimin lo stava guardando con tanta comprensione da lasciarlo senza fiato.

"Anche dopo che mi è stato dato il farmaco giusto, non sono stato in grado di accettare la mia condizione per molto tempo. Mi vergognavo di essere come ero e mi sentivo spaventato da quello che la gente avrebbe pensato di me. Ma la medicina ha funzionato e quando finalmente sono riuscito a liberarmi della nebbia che mi teneva imprigionato, ho capito come non ci fosse vergogna alcuna nel voler migliorare e nell'accettare di aver bisogno di aiuto. Non è stato facile e a volte mi sento ancora in imbarazzo, ma ogni volta che succede, ogni volta che il peso del giudizio degli altri si abbatte come un macigno sulle mie spalle, mi guardo allo specchio e la mia cicatrice mi ricorda quanto sono fortunato ad essere vivo.”

Jimin allora prese le mani di Jungkook tra le sue e le strinse delicatamente. "Jungkook so che è spaventoso. So che è spaventoso ammettere di aver perso il controllo, ma non c'è nulla che mi ferirebbe di più che vederti cadere perchè non permetti agli altri di aiutarti."

Jungkook desiderò che la presenza di Jimin, il suo semplice tocco, potesse bastare a bilanciarlo. Ma così non era e Jungkook non riusciva nemmeno a guardarlo in viso.

Avrebbe voluto dirgli che aveva cercato di chiedere aiuto e non aveva funzionato; avrebbe voluto dirgli che desiderava che qualcuno potesse guardargli nella mente e capire cosa c'era che non andava in lui senza che lui lo dicesse ad alta voce. Ma più di ogni altra cosa avrebbe voluto smettere di avere paura, sempre.

"Non è ..." così grave, provò a dire Jungkook. Ma capì di non essere neanche lontanamente pronto  ad ammetterlo e tuttavia dire quella bugia, dopo che Jimin gli aveva rivelato il cuore, gli dava la nausea.

"Penso che dovresti andare ora hyung", disse Jungkook quindi, prima di alzarsi e correre a nascondersi in bagno.

Rimase lì immobile, il fiato corto e inframezzato, finché non sentì il rumore della porta d'ingresso che si apriva e si chiudeva. Dovette aggrapparsi al lavandino con tutte le sue forze per non crollare sul pavimento. Sconfitto.

La verità era che quello che avrebbe fatto soffrire lui era vedere Jimin ferito. Jungkook sapeva di essere una bomba a orologeria pronta a esplodere e non poteva rischiare che Jimin rimanesse colpito semplicemente perché Jungkook aveva sentimenti per lui.



 

Ciò che finisce per spezzarti, non è il fallimento in se. E' aver fatto del tuo meglio e fallire comunque.

Sapeva che era una cattiva idea, ma quali altre opzioni aveva se non andare di nuovo dallo psicologo pro bono?

Così fece ritorno all'associazione e sebbene, riluttante riaprì il suo cuore e svelò le sue paure. Inutilmente.

"Penso che il tuo problema sia peggiorato dall'ultima volta che abbiamo parlato. Ti suggerisco di fissare un appuntamento per una terapia nel mio studio in centro. Se mi dai il tuo nome, dirò alla mia assistente di segnarti."

Wow. Non solo l'uomo sorvolava di proposito sul fatto che, se frequentava le sessioni gratuite, era perchè non poteva permettersi una vera terapia nell'ufficio lussuoso in centro città, ma non si ricordava nemmeno il suo nome.

Quella fu l'ultima goccia.

Jungkook uscì dall'edificio in uno stato di completa confusione e in quello stato salì in macchina. Non aveva un posto dove andare dal momento che avendo litigato con Jimin aveva tagliato l'unico porto sicuro. Il suo posto in cui tornare. Jimin gli mancava così tanto.

E non era solo il fatto di avere un porta aperta, ma il fatto di poter seppellire il naso nell'incavo del collo di Jimin e sentirsi di appartenere.

Stava guidando da soli cinque minuti e le mani gli sudavano già copiosamente, si sentiva perso e faceva fatica riconoscere le strade. Dove stava andando? Jungkook non lo sapeva, sapeva solo che il panico era l'unica cosa che gli scorreva nelle vene. Il suo telefono appoggiato sul cruscotto continuava a squillare e intuendo che la salvezza poteva venirgli da  lì, con sforzo sovraumano, Jungkook allungò la mano tremante e accettò la chiamata, riuscendo per qualche miracolo ad attivare l'altoparlante.

"Jungkook mi dispiace per aver chiamato e so che volevi che io ti dessi spazio..."

"Hyung, ci ho provato,”  la sua voce suonava alterata, quasi folle. Seguì il suono di qualcuno che si muoveva, ma Jungkook non poteva esserne sicuro, non quando le macchine che viaggiavano nella direzione opposta stavano venendo contro di lui. Jungkook si lasciò sfuggire un gemito di terrore puro.

"Jungkook dove sei?" Arrivò la voce di Jimin ma suonava ovattata.

"Ho paura, tanta,” urlò Jungkook. Era così spaventato. Sapeva che stava per morire. Stava per morire di sicuro.

"Jungkook dove sei!" Venne l'urlo di Jimin.

Jungkook non rispose. Era come ipnotizzato dalla strada che aveva davanti, finché non riconobbe un profilo familiare, e se non fosse andato così fuori di testa avrebbe riso dell'ironia del destino.

"Il ponte,” disse con voce calma prima che i doppi fari di un grosso camion lo accecassero. Chiuse gli occhi e sentì le sue mani girare il volante a destra e il suono assordante di un clackson.

Il sopra divenne sotto e il sotto divenne sopra, più e più volte, così velocemente che sentiva le vertigini. E quando finalmente il veicolo si fermò, la nausea si trasformò in un dolore terribilmente insopportabile nella sua testa, nel suo petto, ovunque. Così male che non gli riusciva neanche di urlare.

Aprì gli occhi un'ultima volta e vide il profilo di un ponte prima che tutto diventasse nero.



 

Era una calda notte di maggio. La musica che veniva dalla palestra  dove i ragazzi ballavano al ritmo dei successi dell'estate precedente, probabilmente stava rimbombando per tutto l'isolato.

Namjoon era in angolo a chiacchierare con la sua cotta di due anni, e Hoseok era da qualche parte a sbaciucchiarsi con il suo nuovo ragazzo. Jungkook decise fosse il caso di andare alla ricerca di aria fresca soprattutto perchè qualcuno aveva appena corretto le caraffe di succo con qualcosa di più forte dell'aranciata e lui non voleva essere li quando il personale scolastico se ne fosse accorto.

Si ritrovò quindi a camminare vicino al campo di calcio, l'odore dell'erba appena tagliata gli colpì le narici e un coro di cicale faceva da colonna sonora.

Si sentiva accaldato e confuso e non capiva perchè si trovava li dove si trovava. Aveva quindici anni ed era al ballo, grazie ai suoi amici più grandi che lo avevano invitato. Era tutto in ghingheri e le scarpe gli facevano male, ma anche così non si era mai sentito meglio.

Poi, proprio mentre passava vicino agli spalti, sentì il suono nauseante di qualcuno che si svuotava lo stomaco dietro il cespuglio.

Jungkook accelerò il passo, non volendo essere trascinato nel caos di qualcun altro o essere coinvolto in una rissa tra ubriachi. Per quanto il suo liceo avesse una buona reputazione, persino una scuola d'élite come la sua aveva delle mele marce che cercavano di rovinare tutto.

Ma proprio mentre era sul punto di darsela a gambe, un ragazzo inciampò davanti a lui, quasi apparendo dal nulla, e Jungkook sobbalzò.

Gli bastò un'occhiata veloce per riconoscerlo. In realtà a tutti in città sarebbe bastato un'occhiata per riconoscere il ribelle Park Jimin. Park Jimin era completamente zuppo da capo a piedi, come se avesse appena fatto un bagno da vestito. Aveva inoltre le labbra pallide su una pelle del viso ancora più pallida. Jungkook lo guardò mentre tentava di camminare - barcollando così tanto da risultare ridicolo.

Jungkook sembrava ipnotizzato - quasi comicamente - e Jimin, probabilmente sopraffatto dalla sensazione di essere osservato, girò la testa abbastanza perché i loro sguardi si scontrassero.

Guardò Jungkook come se lo stesse sfidando a dire o fare qualsiasi cosa. Ma Jungkook non si mosse. Non chiese a Jimin se stava bene, e non si offrì di aiutarlo.

Il suo cuore si contrasse così forte che il dolore si diffuse dal suo petto attraverso tutto il corpo, perchè sapeva che a un certo punto nel tempo, avrebbe rimpianto quel momento.

Il cicaleccio delle cicale risuonava assordante nelle sue orecchie.

Non è giusto, disse una voce nella sua testa. Fai qualcosa.

L'adrenalina gli entrò in circolo e senza rendersene conto si ritrovò a correre dietro a Jimin senza nemmeno capire il perché.

Le luci sul campo da calcio non sembravano più abbastanza luminose e improvvisamente non riusciva più a distinguere la strada davanti a lui. Ma Jungkook non poteva fallire, aveva bisogno di raggiungere Jimin, mettergli una mano tremante sulla spalla e chiedergli se c'era una luce in quell'oscurità. Per dire a Jimin che voleva trovare la sua solo per lui perché …

 

Quando aprì gli occhi tutto gli parve di colpo troppo luminoso. Sentiva le membra pesanti come e la mente annebbiata come gli capitava a volte dopo aver dormito troppo.

Non ebbe il tempo di elaborare o anche solo tentare di indovinare dove si trovava, perché poco dopo sua madre chiamò il suo nome e lo tirò fuori dalla sua nebbia.

L’'ambiente sterile e il monitor che suonava al suo fianco gli rese chiaro che si trovava in ospedale. Gli faceva male dappertutto.

Poco dopo arrivò un dottore e fece a Jungkook un paio di domande per verificare il suo stato mentale prima di informarsi sulle sue condizioni e informarlo.

Aveva avuto un incidente d'auto. L'impatto gli aveva causato la rottura di un paio di costole, un taglio profondo alla testa e lividi e contusioni dappertutto.

Era fortunato, l'ambulanza era già in viaggio prima che l'autista del camion che si era fermato per dare una mano avesse il tempo di chiamare i soccorsi, gli disse dottore. Jungkook non si sentì di condividere il suo ottimismo non quando la preoccupazione segnava il volto di sua madre. E non quando l'unica persona che voleva vedere davvero non era nemmeno lì.

Si sentiva esausto ed era un miracolo che fosse riuscito a rimanere sveglio durante la visita del dottore. Sua madre notando il suo stato gli accarezzò la guancia e gli disse di riaddormentarsi. Jungkook scosse la testa. Prima doveva saperlo.

"Dov'è Jimin?" Non aveva dubbi che fosse stato Jimin a chiamare l'ambulanza. E aveva bisogno che sapessero che se era vivo era grazie a lui.

Con suo sollievo, sua madre non gli rivolse il solito sguardo di disapprovazione. Gli sorrise invece e gli disse che Jimin sarebbe passato più tardi, che non era uscito dall'ospedale da quando Jungkook era stato ammesso e che lo avevano mandato a casa perchè si facesse una doccia e si riposasse un po'.

Solo allora Jungkook si permise di chiudere gli occhi e riposare.

La seconda volta che si svegliò si sentì più lucido, ma ancora debole e contuso. Almeno questa volta fu felice di vedere che accanto a lui c'era Jimin, seduto su una sedia accanto al letto.

"Grazie,” sussurrò Jungkook.

Jimin sembrava lottare per mantenere la calma, ma anche così riuscì a sorridere.

"Grazie a Dio ho deciso di chiamarti," disse Jimin prendendo la mano di Jungkook nella sua.

Con tutta la forza che poteva padroneggiare, Jungkook strinse la mano di Jimin. Era giunto il momento, pensò mentre sentiva le lacrime formarsi agli angoli degli occhi.

"Avevi ragione. Ho un problema hyung. Ho bisogno di aiuto." Chiuse gli occhi con forza mentre finalmente, finalmente, il pesante fardello che lo aveva schiacciato per tutto il tempo si sollevò dalle sue spalle. Era spaventato e si sentiva perso, ma la vergogna che aveva previsto non arrivò mai.

Le dita di Jimin gli accarezzarono la fronte scostandogli la  frangia e poi si spostarono delicate lungo il viso in una carezza. Jungkook riaprì gli occhi, osservando i lineamenti morbidi di Jimin.

"Andrà meglio," disse Jimin, e per qualche ragione, Jungkook gli credette.

 

Dicono che la guarigione è un processo. Jungkook presto scoprì che alcune ferite pur tagliandoti in due non necessariamente lasciavano cicatrici visibili.

Scoprì anche che uscire allo scoperto davanti alla sua famiglia e ai suoi amici non si fu così spaventoso come aveva pensato. Permettere loro di vedere la sua parte più fragile ancora lo innervosiva, ma la sua famiglia e i suoi amici lo rassicuravano sul fatto che non c'era niente di sbagliato in lui. Jungkook non ne era sicuro, ma anche quando non sapeva cosa pensare di se stesso, sapeva che voleva migliorare.

Non voleva più essere paralizzato dalla paura.

Ma più di ogni altra cosa, voleva essere un uomo su cui Jimin poteva contare.

Jungkook si agitò sul suo posto.

"Stai bene Jungkook? Vuoi che mi fermi? "Chiese Hoseok dal posto di guida. Era strano percorrere quella strada familiare e non essere lui al volante, ma visto il suo stato mentale ancora fragile e la convalescenza, non era il caso che ci provasse così presto. Aveva deciso, insieme al suo nuovo terapista, di affrontare le cose senza fretta. Era stato difficile accettare di affidarsi a qualcun altro per un problema che una parte di lui ancora considerava una sciocchezza ma sperava che, quando avesse fatto i conti con tutto, avrebbe smesso di vergognarsi per aver avuto bisogno di aiuto.

"Sì tutto bene. Per fortuna non ho mai avuto problemi con l'essere un passeggero. "

Un'altra cosa che stava cercando di migliorare era la compulsione a nascondere il suo malessere dietro a bugie il che voleva dire essere più trasparente. Il terapeuta aveva detto che nascondere le sue lotte le avrebbe solo esacerbate e, allo stesso tempo, non avrebbe permesso agli altri di venire in suo aiuto.

"Scusa. Non volevo presupporre che fosse così,” disse Hoseok. Jungkook scosse la testa, sorridendo mentre dava un buffetto alla coscia di Hoseok.

"No, va bene. Parlarne va bene. "

Hoseok sorrise senza aggiungere altro. I suoi amici non l'avevano mai guardato dall'alto in basso. Se mai, si erano sentiti  in colpa per non aver notato prima i problemi di Jungkook. Ma Jungkook si era affrettato ad assicurargli che non avevano nulla di cui scusarsi perchè invece di chiedere aiuto, tutti gli sforzi di Jungkook erano andati a nascondere la verità e comportarsi come se il problema non esistesse. Sarebbe stato impossibile per loro notare che qualcosa non andava.

Dopo un po ', Jungkook riconobbe il profilo del ponte, segno che erano vicini alla sua destinazione. Sentì una punta di nervosismo, ma non era il suo vecchio senso di paura solo il senso di anticipazione all'idea di quello che doveva fare.

Hoseok parcheggiò nello stesso punto in cui Jungkook era solito lasciare la macchina, rimanendo seduto mentre Jungkook scendeva e si dirigeva verso il cancello che era già aperto come se aspettasse solo lui.

Jungkook non ebbe nemmeno bisogno di bussare, Jimin aprì la porta non appena Jungkook fu davanti alla porta. Gli occhi di Jungkook si spalancarono nell'osservare la bellezza del volto di Jimin da vicino dopo così tanti giorni.

Rimasero congelati sulla soglia per un paio di secondi prima che Jungkook prendesse un profondo respiro e dicesse.

"Ciao. Posso entrare? " Jungkook non dovette aspettare.

"Sì, certo," disse Jimin senza doverci pensare neanche due volte. Gettò uno sguardo alla macchina parcheggiata in strada mentre si faceva da parte per far entrare Jungkook. "Anche Hoseok entrerà?"

"Nah, non posso restare a lungo comunque. Inoltre volevo parlare con te in privato,” rispose Jungkook.

Jimin lo condusse verso la cucina, l'espressione tesa, e Jungkook desiderò che quello che stava per dire non aggiungesse una piega alla sua fronte corrugata.

Jungkook sedette al tavolo da pranzo mentre Jimin preparava un po' di tè.

"Caffè questa volta", disse Jungkook. Jimin si fermò un attimo prima di annuire. In qualche modo si sentiva come se anche quel piccolo dettaglio simbolizzasse un cambiamento tra loro.

"Scusa per aver impiegato un po 'di tempo prima di venire a vederti hyung," iniziò Jungkook una volta che ricevette la tazza di caffè tra le mani." Tra l'apprensione dei miei genitori e la mia convalescenza, non è stato facile lasciare casa. Credo anche di aver avuto bisogno di tempo."

"Non hai nulla da spiegare Jungkook. Sei appena uscito vivo da un grave incidente. Certo che hai bisogno di tempo. "

"E' più di questo ... Non potevo tornare ad affrontarti come il  guscio di me stesso quando mi hai dato così tanto,” confessò Jungkook avvertendo lo sguardo di Jimin su di lui. "Ho parlato alla mia famiglia e ai miei amici del mio problema e ho raccontato loro tutti gli episodi che ho avuto, tra cui anche l'ultimo. Sanno della mia fobia, ma più di ogni altra cosa ora sono finalmente in grado di ammetterlo a me stesso. Sto seguendo una terapia con un bravo dottore, e anche se non sono felice che i miei genitori spendano tutti quei soldi, non accettare il loro aiuto sarebbe un ben povero modo di ripagarli dei loro sacrifici.” Fece un altro respiro profondo cercando di mantenere la sua determinazione, perché c'era qualcosa che aveva davvero bisogno di dire a Jimin.

"Ho ancora paura e sono ancora in via di guarigione in ogni senso, e forse non guarirò mai del tutto... Ma penso che se imparerò ad accettare me stesso forse potrò lo stesso vivere bene. E so che ti ho detto di andartene e so che ci vorrà più tempo per tornare in buoni rapporti - per essere amici perchè so che è troppo chiederti di considerarmi come qualcosa di più - ma spero che quando sarò passato un po' di tempo e io cominciero a stare meglio ed ad essere qualcuno che non sia sola una persona a metà, spero che vorrai darmi una possibilità. Perché sinceramente, penso di essermi profondamente e completamente innamorato di te. "

Gli occhi di Jimin si sgranarono per la sorpresa, e Jungkook si sentì vulnerabile, ma doveva la verità,  tutta la verità a Jimin. Anche se veniva respinto. Perchè dopo aver ricevuto tanto senza dare nulla questo era il minimo che poteva fare. Essere sincero con la persona che amava.

“Per favore. Aspettami."

Jungkook chiuse gli occhi, il cuore che gli batteva a mille ma sentendosi sollevato per aver finalmente detto quello che albergava nel suo cuore sin dall'inizio.

Qualunque cosa Jimin avesse risposto, si sentiva comunque grato di avere avuto questa possibilità. E alla fine di averlo incontrato.

"Lo farò. Lo farò, Jungkook. Perché penso di essermi profondamente e completa innamorato di te anche io."

Dicono che l'amore non possa sistemare tutto - che essendo parte essenziale dell'essere umani non può che essere imperfetto come la nostra natura. E forse è vero. Ma se era Jimin la sua versione di amore imperfetto, Jungkook era felice di poterla avere.

Prese la mano di Jimin nella sua e le loro dita si intrecciarono.






NdA: Questa storia viene dal mio profondo e come tale è molto personale. Non so quante persone avranno piacere a leggerla ma l'ho scritta lo stesso nella speranza di poter confortare tutti quelli che, per un motivo o per un altro, hanno paura. Per dire loro che non c'è niente di male nell'averla e che non c'è niente di male nel voler stare bene e chiedere quindi aiuto. Abbiamo tutti i nostri ponti da percorrere. A tutti voi come a me: coraggio!

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