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Autore: La_Sakura    13/02/2019    6 recensioni
Genzo Wakabayashi non è solo il portiere più acclamato e titolato del momento: è anche l’erede dell’impero della Wakabayashi Corp., una delle multinazionali più importanti sul mercato.
Non se n’è mai preoccupato troppo: con suo padre fisso al comando, e i fratelli già ampiamente attivi in varie filiali, non ha mai dovuto prendere le redini, riuscendo così a posticipare costantemente il suo completo inserimento in azienda. Forte della collaborazione della Personal Assistant di suo padre, ha continuato a concentrarsi sulla sua carriera di portiere paratutto del FC Bayern München, riuscendo pienamente a raggiungere gli obiettivi che si era prefissato.
O, per lo meno, così è stato fino ad ora.
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Serie "Im Sturm des Lebens"
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Karl Heinz Schneider, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Im Sturm des Lebens'
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ET - Capitolo 1

 

Seduta nel sedile posteriore dietro a Herr Wakabayashi, Julia si godeva il panorama: solitamente quando si recava alla SWK era lei che guidava, così non si soffermava molto a pensare e a riflettere. Sì, perché una parte di lei faceva fatica ad accettare quel lato della sua vita, quella madre biologica che fin da piccola non riconosceva negli affetti. Lei aveva trovato la sua famiglia nei nonni che l’avevano cresciuta ed educata, le avevano insegnato l’amore e il rispetto, e avevano fatto di lei la donna che era.

Quando Herr Wakabayashi indicò a Genzo il vialetto da percorrere, lei sussultò: non poteva nemmeno contare sul supporto di Martha, rimasta a Monaco a sistemare un paio di questioni in sospeso nei lavori di Frau Wakabayashi.

«Peter mi ha detto che hanno dovuto sedarla. Probabilmente la terranno in camera al momento.»

Si diresse verso la reception e la ragazza al desk la riconobbe subito, perché sbiancò e balbettò qualcosa di simile a un saluto.

«La stanza di Diete Wagner per cortesia.»

«Mi… favorisce un documento per… favore?»

«Non credo ce ne sia bisogno. – Herr Wakabayashi intervenne – Ci dica la stanza e si premuri di avvisare un suo superiore del fatto che Fräulein Wagner è arrivata con i signori Wakabayashi.»

La giovane si ammutolì e dopo aver comunicato il numero della stanza si attaccò al telefono.

I tre si diressero verso l’ascensore, salirono al secondo piano e percorsero tutto il corridoio fino al numero 215. Julia esitò per un attimo, quindi posò la mano sulla maniglia e, trattenendo il respiro, entrò.

Genzo la seguì a ruota e rimase senza parole: una donna minuta e pallida quasi scompariva all’interno di un letto forse troppo grande per contenerla. I lunghi capelli ramati, dello stesso colore di quelli di Julia, giacevano sparpagliati sul cuscino come tentacoli sfiniti da una lotta; aveva gli occhi chiusi e le labbra semi aperte, il volto contratto in una smorfia di dolore.

La manager si sedette sul bordo del letto e sfiorò delicatamente la mano destra della genitrice, che aprì gli occhi di scatto e la fissò.

«Salve, Diete, come sta?»

La donna non rispose, continuò a fissarla con uno sguardo indefinito; Julia non demorse.

«Mi hanno detto che non è stata bene…»

Di nuovo nessuna risposta. La ragazza sospirò.

«Vedo che non ha più acqua: gliela vado a prendere…»

Si alzò e fece per allontanarsi quando la donna, infine, parlò.

«Julia…»

Le cadde la borsetta di mano: rimase lì impietrita per qualche secondo, per poi voltarsi verso la madre con gli occhi sbarrati.

«Mia figlia Julia è… dai miei genitori… Wolfach… Vorrei solo sapere se… sta bene…»

Non rispose: lo stupore per ciò che Diete Wagner aveva appena detto l’aveva colta e la immobilizzava. Fu Herr Wakabayashi a intromettersi.

«Ce ne occupiamo noi, Frau Wagner.»

«Io… non volevo fare ciò che ho fatto… io… volevo solo… vorrei che lei… cresca bene…»

Il portiere si avvicinò di un passo e affiancò Julia, che era come in catalessi.

«Signora, vedrà che andrà tutto bene.» continuò l’uomo, avvicinandosi a loro con l’ausilio della stampella.

«Lei era in acqua, adora fare il bagnetto. – Diete Wagner iniziò a piangere – Non so perché… cosa… io…»

Julia corse fuori dalla stanza: percorse mezzo corridoio poi si bloccò, i pugni serrati, lo sguardo basso, mentre la consapevolezza del ricordo che era riaffiorato nella mente della madre prendeva vita. Herr Wakabayashi e Genzo la osservavano dalla porta della camera, incapaci di dire o fare qualunque cosa, l’uno perché era a conoscenza delle dinamiche di quel rapporto madre-figlia, l’altro perché non lo era. Fu il magnate, dandogli una gomitata, a sospingere il figlio verso la ragazza.

«Julia…» mormorò quando fu a pochi passi da lei.

«Non so se ricordo quell’episodio perché l’ho vissuto o perché nonna me lo raccontava in continuazione. Avevo poco più di tre anni, mi avevano regalato una piscina gonfiabile, la tenevano in giardino. – fece una pausa – Non so perché fossimo da sole, di solito non lo facevano mai, lei era troppo… instabile per occuparsi di me.»

Si interruppe: Genzo fece un altro passo verso di lei e si fermò a pochi centimetri dalla sua schiena.

«Quando tornarono lei era… sopra di me e… mi teneva la testa sott’acqua con entrambe le mani. – si fermò, per la prima volta dopo tanto tempo stava dando voce a quel racconto – La fortuna è stata che l’acqua era poca e loro erano stati via giusto un attimo…»

Il portiere era come congelato, brividi glaciali gli correvano lungo la spina dorsale impedendogli qualunque movimento. Non poteva credere alle sue orecchie, le parole della ragazza gli vorticavano nella mente, confondendolo. La vide rallentare il respiro, fino a quel momento accelerato, e notò che aveva allentato i pugni. Dille qualcosa… si esortò, ma tutte le parole che gli venivano in mente erano futili e banali. Lei si voltò verso di lui e nel suo sguardo Genzo vi lesse tutta la fragilità di quella ragazza cresciuta troppo in fretta, alla ricerca di un posto nel mondo adeguato a lei.

Fece un mezzo passo ancora per avvicinarsi ancora, mentre lei abbassava lo sguardo, quasi vergognandosi della propria fragilità. Le prese una mano e gliela strinse per infonderle calore e fiducia; Julia rispose alla stretta e annuì leggermente per far capire al ragazzo che aveva recepito il tacito messaggio di quel gesto.

Un uomo distinto uscì dall’ascensore in quel momento sistemandosi la cravatta.

«Fräulein Wagner! – si avvicinò con entusiasmo esagerato – Sono molto felice per la sua visita qui…»

«Ne è felice?»

Julia sollevò lo sguardo e Genzo, che le aveva lasciato la mano, vi riconobbe la stessa determinazione che l’aveva caratterizzata durante i vari meeting a cui avevano partecipato.

«Ne è felice?» ripeté, incalzandolo nella risposta. Il padre di Genzo li raggiunse.

«Herr Fuchs, converrà con me che non è il luogo più adatto per dei falsi convenevoli. Meglio andare nel suo ufficio e parlarne con calma e in privato.»

L’uomo annuì e li condusse al 4° piano.

 

«… e questo è quanto.»

Il direttore della clinica, Herr Fuchs, aveva raccontato per filo e per segno ciò che era avvenuto il giorno precedente tra Herr Hagner e Frau Wagner. Julia aveva ascoltato ogni singola parola e ora stava cercando di esprimere a voce ciò che le vorticava dentro.

Fu Herr Wakabayashi a prendere in mano la questione intavolando il discorso.

«Ciò che è accaduto è inammissibile, Herr Fuchs. Vi abbiamo affidato Frau Wagner per salvaguardare la sua incolumità.»

«Le ripeto che si tratta di uno spiacevole inconveniente che non capiterà più: ho parlato personalmente con Herr Hagner e…»

«E cosa? – intervenne Julia – Le ha garantito che non disturberà più mia madre? E quando tornerà a trovare sua moglie come farete ad assicurarvi che non si avvicini a lei, eh? Lo marcherete a vista?»

«Fräulein Wagner, non so come faccia a sapere di Frau Hagner ma…»

«La domanda non è come io faccia a sapere di Frau Hagner, di cui per inciso sono venuta a conoscenza solo di recente tramite il figlio; la domanda è come diamine facesse Herr Hagner a sapere di mia madre, dato che io non gliene ho parlato, e tantomeno l’hanno fatto i signori Wakabayashi.»

L’uomo diventò rosso per l’imbarazzo, mentre Genzo collegava mentalmente un altro tassello della storia.

«Fräulein Wagner, non vorrà insinuare che…»

«Insinuare? Insinuare, Herr Fuchs? Io le sto solo ponendo una domanda alla quale lei fatica a rispondere. Devo per caso pensare che sia stato lei a farsi sfuggire dettagli della mia vita privata con Herr Hagner? Magari mentre giocavate a golf.»

L’uomo scattò in piedi ora paonazzo, mentre Julia non si scomponeva e li lisciava l’orlo della gonna sul ginocchio della gamba accavallata.

«Io non le permetto di fare simili illazioni nel mio ufficio.»

Un lampo attraversò gli occhi di Julia, mentre un sorriso le si formava sulle labbra.

«Si dà il caso, Herr Fuchs, che il Golf Club che lei e Herr Hagner frequentate sia un luogo di ritrovo di alcune persone che conosco e che mi conoscono molto bene, e proprio queste mi hanno comunicato di avervi visto spesso insieme, lì…»

L’uomo si risedette e deglutì a fatica, ormai conscio di essere stato scoperto nella sua ingenuità. Julia, al contrario, si alzò.

«Le comunicherò al più presto la data in cui verrò a prelevare mia madre. – allungò la mano verso il Direttore della clinica – Arrivederci.»

L’affermazione della giovane lo bloccò, e temendo di non aver capito le chiese spiegazioni.

«Ha intenzione di portare sua madre in vacanza? Le servirà qualcuno che la segua e la aiuti…»

«No, Herr Fuchs, porterò mia madre in una struttura più adeguata dove possano garantirmi l’anonimato e la riservatezza che qui sono mancate.»

Non rimase lì ad ascoltare ma si diresse veloce verso l’ascensore per poter tornare da sua madre.

La trovò dormiente, rilassata, un mezzo sorriso che le piegava le labbra all’insù. La vide accarezzarsi la pancia e mormorare Julia

Era tornata nel suo mondo, nel mondo in cui era ancora in dolce attesa, in cui il suo ragazzo era accanto a lei, in cui si apprestavano a far crescere il frutto del loro amore.

Si chinò su di lei e le sfiorò la fronte con un bacio, non si lasciava mai andare a questo genere di cose, chissà perché poi. Osservò la stanza sterile e vuota e si trovò a pensare che qualche fiore in più l’avrebbe resa più gradevole. Decise mentalmente che nella nuova struttura si sarebbe assicurata che alla madre non mancassero mai dei fiori freschi, avrebbero rallegrato l’ambiente. Uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle e trovò Genzo ad attenderla, appoggiato al muro del corridoio antistante, con le mani nelle tasche e la testa bassa.

«Tutto bene? – le chiese, avvicinandosi a lei quando si accorse che era uscita – Se vuoi rimanere ancora possiamo…»

«Va tutto bene, Genzo. – lo interruppe lei – Torniamo a casa.»

Herr Wakabayashi li stava aspettando nella hall della struttura, era visibilmente provato dal viaggio e dallo sforzo dovuto alla discussione col direttore della clinica. Julia gli si avvicinò e gli porse il gomito per aiutarlo a raggiungere la macchina. Nessuno disse nulla per tutto il viaggio di ritorno, non c’era bisogno di parole in casi come questi.

«Troveremo una struttura più adeguata.» fu tutto quello che disse Herr Wakabayashi prima di sparire all’interno della sua villa.



Siamo entrati di prepotenza nel passato di Julia, che irrompe come un fiume in piena nel suo presente, riportandole alla mente eventi passati. Capiamo un po' di più il malessere di sua madre, il perché sia stata messa in una clinica così specializzata, e soprattutto perché Julia non ne parli così volentieri. 

Non è di certo una situazione facile, e Genzo se ne rende conto: forse per la prima volta da quando li conosciamo, riesce a vedere la ragazza per quello che è veramente. 

Lascio a voi le elucubrazioni, io vi abbraccio forte come sempre.

Sakura 

   
 
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