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Autore: Marra Superwholocked    18/02/2019    1 recensioni
Ultimo capitolo della Trilogia delle impavide cacciatrici milanesi.
Durante il loro anno sabbatico, Catherine e Silvia avranno modo di capire se la caccia ai mostri fa realmente per loro. Tuttavia, da semplici cacciatrici in prova, si ritroveranno a dover escogitare un piano per eliminare la minaccia di Arimane, creatura malvagia scappata dalla sua Gabbia ai confini dell'Universo. Il Dottore le aiuterà anche questa volta? E Storybrooke da che parte starà?
Dal testo:
«Ed ecco a voi» disse Amnesha girando la scatolina bianca per mostrare alle cacciatrici il suo contenuto, «l'ultimo Fagiolo Magico.»
Genere: Angst, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Belle, Emma Swan, Henry Mills, Regina Mills
Note: Cross-over, Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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PARTE SECONDA
Ciao, bestiolina


CAPITOLO IV
Stairway To Heaven*...
...okay, maybe not
(Parte Prima)


Silvia russava. Catherine avrebbe voluto ucciderla.
Alla fine, la minore delle due si arrese e si alzò dal letto. Nel mettersi le scarpe, guardò la sua migliore amica bofonchiare mezza scoperta e in una posizione comoda solo per un gatto. Aveva caldo ed era stremata dalla fatica, ecco perché russava così tanto, ma a Catherine venne comunque l'istinto – fortunatamente represso – di soffocarla con un cuscino. Si stropicciò gli occhi ed uscì sulla veranda del motel, passeggiata di legno instabile che collegava tra loro tutte le stanze della struttura, portando con sé il suo computer.
Catherine si sedette ai piedi della loro porta, una volta richiusa, e, prima di accendere il portatile, ammirò l'alba autunnale stretta nel suo fidato giubbotto. Era fredda e tutto sembrava essere rinchiuso in una bolla azzurra. Da lì riusciva a scorgere parte della città in cui erano arrivate dopo il Chupacabra e ben due fantasmi: Bologna, ancora lei. Più o meno.
Il panorama era così rilassante che la ragazza non avrebbe mai più voluto andarsene. Tuttavia era solo una piccola sosta fra tante tappe. Diede un ultimo sguardo alle nuvole rosa sopra le punte dei sempreverde, lontani di fronte a lei, ed accese infine il computer.
Subitamente, Catherine si collegò alla rete. Controllò la posta elettronica, rispose ai messaggi dei suoi ex compagni di classe che la cercavano su Facebook e poi, infine, dette una sbirciata alla cronoca tramite un giornale online. Non l'avesse mai fatto!
«Silvia! Silvia, svegliati!»
«Ohh» replicò l'altra con gli occhi ancora chiusi ed impastati dal sonno.
«Ho trovato un caso!» esultò. Catherine era piombata di nuovo in camera portando con sé scompiglio ed entusiasmo. Aveva in mano del fantastico materiale per dare vita al loro non quarto, ma bensì quinto caso se si conta anche Mary, il demone sconfitto grazie all'aiuto del Dottore.
«Ah, un caso? Bene.» Silvia sbadigliò, non ancora consapevole di chi fosse. Mai svegliare un Acquario in quel modo... Potrebbe rovinarti l'intera giornata.
«Non mi sembri molto felice» osservò Catherine intristendosi.
Silvia si alzò dal suo letto e, senza mettersi gli occhiali, si diresse verso il bagno. «Be', Sherlock, è come se mi avessi svegliata investendomi con un carrarmato, fai un po' te!»
Catherine rise. «Ops» disse mentre Silvia si fissava allo specchio. «Ne hai ancora per molto o prima o poi inizierai a lavarti?»
La maggiore si massaggiò gli occhi, poi prese spazzolino e dentifricio. Poco prima che iniziasse a lavarsi i denti, tuttavia, Silvia sentì un gallo cantare. D'istinto si arrestò e, con gli occhi chiusi, pregò Catherine: «Cathy, dimmi che non è l'alba.»
Catherine, allora, scappò via correndo disordinatamente mentre Silvia si spazzolava i denti con malavoglia: Catherine aveva scelto di essere mattiniera proprio quel giorno, quando Silvia non aveva riposato bene durante la notte. Si sentiva a pezzi, il dentifricio salato non la aiutava, anzi le dava più sonnolenza.
«Comunque sembrerebbe che a Ferrara stiano diventando tutti santi, uno dopo l'altro» gridò Catherine dal suo letto.
«First of all»[1] sputacchiò Silvia, sporcando di dentifricio mezzo lavandino, «abbassa la voce...» Sentì la compagna d'avventure ridacchiare, consapevole del tono di voce alto che le veniva naturale usare. «E poi... What the hell?!»[2]
«Sì, sis, lo so» proseguì Catherine ora con un volume più moderato. «Per questo mi sembrava appunto un caso!»
In quel momento Silvia uscì dal bagno, raggiungendo Catherine ed il suo portatile. «Hai un buon fiuto, Cathy!» La minore le sorrise. «Dimmi tutto su questi santi» la invitò lei.
La minore si schiarì la voce. «Sette scomparsi, quattro donne e tre uomini, tutti cristiani. Due di loro, marito e moglie, avevano ritrovato la Fede dopo un incidente stradale e la morte della figlia più piccola. Gli altri sono, o erano, credenti ma non praticanti. Ma, oltre a questo, non c'è nulla che li accumini.»
«Allora come fai a dire di aver trovato un caso?»
Catherine sorrise ed esclamò: «Leggi qua!» poco prima di porgerle il computer che mostrava ancora l'articolo di cronaca. La ragazza aveva evidenziato la parte più interessante dell'articolo, intitolato Miracolo o "solo" un serial killer?, e dalla faccia che Silvia assunse nel leggerla parve piacerle.
«Cathy...» Silvia faceva fatica a credere ai propri occhi. «Sei sicura che questo non sia un sito satirico o qualcosa del genere? Sai, tipo Nonciclopedia?» chiese preoccupata.
«No, è scritto da esperti e ottimi giornalisti, purtroppo! Ho fatto alcune ricerche sui nomi!»
«Accidenti, mi sembra tutto così assurdamente simile ad un libro di Stephen King, Insomnia...»
«Non l'ho ancora letto, che vuoi dire?» chiese Catherine inclinando la testa di lato.
«Nel libro, King parla di alcuni anziani che cominciano ad avere difficoltà a dormire. Per questo, sviluppano una particolare dote: possono vedere le auree delle persone. Inoltre, fatto più inquietante, possono vedere delle strane creature, invisibili ai più, che agiscono per conto del Destino. Mi pare vi fosse nulla di divino, ma non ne sono sicura... Comunque una di queste creature è credo impazzita e uccideva gente a caso in milioni di modi possibili.» Silvia appoggiò il computer sulle gambe della sua proprietaria e si aggirò per la stanza, probabilmente pensando a voce alta: «Può darsi che Stephen King non sia del tutto matto come dicono!»
«Nel senso che credi davvero che quelle creature esistano?» Catherine la guardò con un mezzo sorriso. Silvia stava dicendo sul serio?
«Sì, perché no?» esclamò la maggiore. Cominciò a vestirsi; voleva capirci qualcosa di più, su questa storia, poiché se la sua teoria era corretta... Molta gente rischiava grosso! «Sette persone scomparse dopo che sulle loro teste appare un'aureola? Oltre che ridicolo, è pericoloso. Che sia una delle creature di King o no, dobbiamo fermarla subito.» Barcollò un istante e decise che forse era meglio infilarsi le scarpe da seduta. Le stomaco le brontolò, seguito da quello di Catherine. Entrambe si guardarono in faccia, incapaci di non ridere. «Sto morendo di fame! Presto, andiamo!»
Uscite dalla loro camera, si misero in viaggio e, appena varcati i confini di Ferrara, si diressero verso un bar, uno qualsiasi, quando incontrarono un'umile edicola. Per un euro e qualche centesimo, Silvia acquistò un quotidiano e mostrò a Catherine la prima pagina: avevano foto e nominativi degli scomparsi di Ferrara.


La porta del bar scampannellò e Catherine e Silvia vissero un dejà-vu tremendamente angosciante. Grazie a questo, tuttavia, Catherine si ricordò di una cosa importantissima: «Sis, hai nascosto bene quel libro?» le chiese d'un tratto.
«Sàmhach!»[3] le rispose l'altra, con la stessa parola di quando non voleva farla agitare mentre sorrideva al barista. «L'ho oscurato insieme agli attrezzi da lavoro.» E per attrezzi da lavoro Silvia intendeva pugnali, balestre, macheti, pistole e fucili, ovviamente.
«Ciao! Cosa posso farvi?» chiese loro il barista.
Silvia notò le vene nel braccio del ragazzo e rimase lì impalata a fissare ciò che più l'attraeva in una persona. Catherine se ne accorse, lo sapeva, e rispose per entrambe: «Due cappucci e due cornetti vuoti, grazie!»
Il barista ampliò il suo sorriso ed indicò la teca dei cornetti: «Fate pure. Banco o tavolo?»
«T-tavolo» balbettò Silvia ricevendo anche una pacca sullo stomaco da Catherine, la quale andò a prendere le brioches.
«Smettila, Dean» scherzò quest'ultima sedendosi.
«Shut up, Sammy!» la seguì poi Silvia.
Poco dopo ecco i cappuccini, ma il barista sembrava più attratto da una coppia di muratori appena entrati nel piccolo locale piuttosto che da Silvia. Essa notò tutto questo e preferì incupirsi ed ascoltare i discorsi della gente attorno a loro.
Una donna, probabilmente colombiana, parlottava con un'altra donna, la quale, dai tratti rigidi e spigolosi, era quasi certamente di origini russe. «La mia povera signora» stava dicendo la colombiana con le mani giunte come in preghiera. «La sua sorella è stata scelta dal Signore!» esclamò poi facendosi il segno della croce. La russa la guardava con tanto d'occhi, stentava a crederci.
Silvia prese allora il quotidiano acquistato qualche istante prima. Guardò attentamente le foto di ogni donna scomparsa: ce n'era una sola su quattro dell'età giusta per avere una sorella che avesse bisogno di una badante. E fino a che Silvia non sentì le parole della colombiana, prima di sapere quanto soffrisse la sorella della scomparsa, ella era rimasta piuttosto professionale; ora, invece, si sentiva a pezzi proprio come le persone coinvolte nel caso e Catherine, la quale girava il suo cappuccino fissandolo raffreddarsi da un bel po' di tempo. «Ehi, Cathy, tutto bene?» stava stupidamente per chiederle, ma non fece in tempo poiché il barista tornò dalle due cacciatrici con aria curiosa.
«Poliziotte?»
«Cosa» esclamò Silvia più che chiedere. Okay che non era fresca come un fiorellino appena sbocciato, ma si vedeva che era troppo giovane, per dinci!
«Ahem... No» sorrise Catherine. «Siamo...» brancolò nel buio. La sua mente sembrò in tilt mentre i suoi occhi supplicarono la compagna di viaggio.
La copertura era l'unica cosa a cui non ebbero mai pensato prima di quell'istante, ma fortunatamente Silvia si fece trovare pronta: «Investigatrici private» disse lei. «Stiamo cercando sette dispersi. Ne sai qualcosa?» Mostrò poi l'articolo al barista, pochi attimi per capire ed ecco che egli fece un mezzo passo all'indietro, impallidito.
«S-siete le uniche, sapete?» disse lui con voce tremante.
Catherine e Silvia si guardarono l'un l'altra, accigliate, poi, all'unisono, chiesero: «Come, scusa?»
«Siete le uniche... Qui nessuno si è ancora interessato veramente al caso! Ho raccontato alla polizia quello che ho visto, ma mi hanno riso in faccia. Anzi! Ho rischiato il reparto psichiatrico! Purtroppo siamo in un quartiere ...bigotto.» Il ragazzo tornò ora più vicino alle ragazze, mantenendo un tono di voce piuttosto basso ma udibile. «Chi vi ha ingaggiate? Anzi, no, non ditemelo» Sembrava molto turbato e cominciava a sudare. Fece finta di pulire un tavolo lì vicino e rimise sul bancone lo strofinaccio. «Fareste meglio ad andarvene, non sto scherzando!» bisbigliò dando alle due ragazze dei tovagliolini puliti e poi filò dietro al bancone.
Catherine e Silvia non sappero come reagire. Come si faceva a rimanere tranquilli avendo il distintivo e vedendo tutte quelle persone sparire una dopo l'altra? Silvia non ne poteva più di gente come quella. Si alzò, stanca e confusa e seguì il barista.
Lui la vide e alzò il mento. A Silvia venne da sorridere: quel ragazzo era proprio una prima donna adorabile. Sulla maglietta blu a maniche lunghe vi era scritto qualcosa, in bianco, che Silvia notò solo in quell'istante: Gabriele, il suo nome.
«Avanti, Gabe» fece la smorfiosa. Sapeva che non avrebbe funzionato, ma volle provarci lo stesso. Gli accarezzò il gomito da dietro e quello si ritrasse immediatamente.
«No» disse lui. «Non dirò nient'altro.»
Silvia si rassegnò insoddisfatta. Andò alla cassa ed estrasse il portafogli dalla tasca posteriore dei jeans tirando poi fuori una banconota da venti euro. «Pago e ce ne andiamo, tranquillo.»
Gabriele lasciò cadere lo strofinaccio zuppo nel lavandino e si asgiugò le mani nel camice rosso. Fece lo scontrino e prese con due dita affusolate la banconota, sfiorando la mano di Silvia, sbadatamente. Subito, entrambi ritrassero le loro mani, come se avessero ricevuto la scossa l'una dall'altro. Si guardarono perplessi ed increduli per qualche istante. La banconota era rimasta sola soletta sul bancone, ma ecco che Gabriele fu il primo a riprendersi: tirò fuori il resto che le spettava e lo pose gentilmente sul piattino, prendendo poi la banconota per riporla nel cassetto.
Ancora un po' intontita, Silvia prese il resto, lo infilò nel suo portafogli e si diresse fulminea da Catherine. «Svelta, andiamo» esclamò dandole una leggera pacca sula schiena.
«Ma non ho ancora finito» protestò l'altra masticando da un lato la punta del cornetto burroso.
«Catherine Sarah Girado!» Silvia la guardò severamente, con gli occhi sbarrati e la bocca un po' all'ingiù. Era la prima volta che pronunciava il suo nome per intero. Le fece cenno di seguirla, poi prese l'uscio del locale.
Catherine, dunque, non poté fare altro che afferrare cornetto, quotidiano e telefono e seguirla fuori.
Cominciarono a camminare, senza meta, lungo le strade invernali di Ferrara addobbate con ghirlande dai profumi inebrianti. Al centro di ogni ghirlanda vi era una foto accompagnata da un nastrino color perla con la scritta Santa della settimana. La ragazza in foto appariva felice e beata e, esattamente come le due cacciatrici avevano letto nell'articolo di giornale poche ore prima, ella aveva una strana luce attorno alla nuca; era così luminosa che dava quasi fastidio agli occhi, anche solo a guardare l'immagine stampata e lucida.
Catherine si avvicinò alla ghirlanda più vicina a loro. «Macabro» sospirò.
«Umano» replicò Silvia guardando altrove. «Non sanno cosa in realtà stia succedendo. Non sanno darsi alcuna spiegazione se non una divina e, per questo, non riescono a vedere la verità.»
Catherine si accigliò, ma rimase a fissare i rametti di pino intrecciati nella ghirlanda. «E quale sarebbe la verità?»
La maggiore si strofinò le mani per riscaldarsi. «Stephen King.»
«Oh, ma dai!» ridacchiò Catherine. «Non dirmi che ci credi sul serio!»
Silvia alzò le spalle mezzo secondo. In quel momento, da dietro, le arrivò un'improvvisa folata di vento gelido e rabbrividì, chiudendosi di più dentro il suo giubbotto verde militare. L'accompagnava ancora quell'espressione torva e seria che aveva nei momenti di pensierosità particolarmente angosciante.
«Sis, che hai?» le chiese infine Catherine.
Un'altra folata di vento gelido. Questa volta Silvia si mise a posto i ricci ribelli. L'aria era così fredda e inquietante che nemmeno le foglie secche osavano danzare sui marciapiedi, ma correvano. «La negoziante aveva davvero ragione.»
«Cosa?!» esclamò Catherine.
«Ho toccato per sbaglio la mano del barista e... Ho visto ciò che ha visto lui. Non sono mai riuscita in questo potere, Cathy. La magia sta cambiando troppo in fretta. Dobbiamo sbrigarci a fermare tutto questo!»
Catherine balbettò parole sconnesse prima di riprendersi e parlare. «Non sappiamo nemmeno cosa stia succedendo davvero alla magia, come pensi di riuscire a fermarla? Non ci sono più regole!»
«Già» disse Silvia sorridendo all'amica. «Non ci sono più regole»


Note:
[1] Traduz.: "Prima di tutto"
[2] Traduz.: "Ma che cavolo...?!"
[3] Tradotto dal gaelico scozzese significa pace, ma anche tranquillo/a


*https://www.youtube.com/watch?v=iXQUu5Dti4g (Tasto destro del mouse; Aprire in unaltra scheda)

   
 
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