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Autore: SofyTrancy    22/02/2019    0 recensioni
"Naoto Shirogane.
Questo era il nome di ciò che lo aveva messo completamente K.O., lasciandolo lì, inerme, al suolo.
No, non era esatto: c’era altro che lo tormentava; che lo attanagliava dentro; che piano piano mangiava tutte le forze che gli rimanevano.
Yu Narukami.
Già pensare a quei nomi portò il cuore di Kanji a vacillare, seppur per un attimo.
Ma oramai c’era abituato.
Come già detto, non era la prima volta che accadeva."
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kanji Tatsumi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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STORIA SCRITTA PER IL COW-T9 INDETTO DA LANDE DI FANDOM
PROMPT: Pioggia

Non era la prima volta che accadeva


Non era la prima volta che accadeva.

Completamente al buio, chiuso nella propria stanza, Kanji Tatsumi era sdraiato sul proprio futon, la divisa scolastica ancora addosso nonostante fosse ormai sera.

Con il dorso della mano poggiato sulla fronte e gli occhi chiusi, il ragazzo ascoltava il ticchettare della pioggia contro il davanzale della finestra aperta.

L’acqua stava entrando nella camera, poteva sentire una piccola pozza formarsi accanto a lui e sfiorargli gentilmente la mano sinistra, poggiata al suolo contro il pavimento, così come poteva percepire il vento freddo che continuava a intrufolarsi all’interno e gli accarezzava la pelle attraverso la maglia ancora bagnata.

Ma lui non si muoveva.

Rimaneva lì, fermo.

Naoto Shirogane.

Questo era il nome di ciò che lo aveva messo completamente K.O., lasciandolo lì, inerme, al suolo.

No, non era esatto: c’era altro che lo tormentava; che lo attanagliava dentro; che piano piano mangiava tutte le forze che gli rimanevano.

Yu Narukami.

Già pensare a quei nomi portò il cuore di Kanji a vacillare, seppur per un attimo.

 

Ma oramai c’era abituato.

Come già detto, non era la prima volta che accadeva.

 

Li vedeva.

Li vedeva ogni giorno.

Il modo in cui si scambiavano un singolo sguardo: per altri sarebbe stato un niente, solo una coincidenza; ma non per lui.

Il modo in cui lei arrossiva leggermente ogni volta che l’altro le faceva un complimento: per altri sarebbe stata una cosa normale, solo semplice imbarazzo; ma non per lui.

Il modo in cui le loro mani si sfioravano, ogni volta che ne avevano l’occasione: per altri sarebbe stato un semplice tocco, solo un qualcosa da fare tra amici; ma non per lui.

Aveva visto anche il modo in cui lui le poggiava delicatamente la mano sulla guancia, il modo in cui lei gli sorrideva, il modo in cui i loro volti si avvicinavano ogni volta che si baciavano.

E se non li vedeva, ecco che partiva l’immaginazione.

Chissà cosa stavano facendo in quel momento, mentre lui si trovava ancora lì, fermo, la mano sinistra oramai quasi congelata dall’acqua gelida sul pavimento.

Chissà dove erano.

Chissà come si stavano guardando.

Chissà come reagivano l’una al tocco dell’altro.

Poteva quasi vederli.

Poteva vedere come lei si rabbrividisse ogni volta che lui la sfiorava; come lui ridesse alla sua reazione; come le guance di lei arrossissero.

 

Ma oramai c’era abituato.

Come già detto, non era la prima volta che accadeva.

 

Un fulmine cadde al suolo, illuminando la stanza.

Ma Kanji non si mosse.

A cosa sarebbe servito reagire?

Le poche volte che ci aveva provato non era servito a niente.

Si era solo fatto ancora più male, si era ferito ulteriormente, si era solo reso conto della verità.

Lui non avrebbe mai potuto avere Naoto per sé.

 

Non importava quanto ci pensasse.

Non importava quanto lo volesse.

Non importava quanto soffrisse.

Semplicemente non poteva.

 

Questo perché lui non era Yu; non era il senpai perfetto che l’aveva salvata; non era l’uomo che aveva attirato il suo sguardo.

E questo Kanji lo vedeva ogni volta che si guardava allo specchio, ogni volta che notava i piercing che gli infilzavano il viso, ogni volta che osservasse i suoi capelli tinti ricoperti da gel.

Quello era.

Un teppista.

Solo un teppista.

E quando questa consapevolezza veniva a galla, allora sì che faceva male.

Ed era in quei momenti che lui sentiva il suo cuore lacerarsi completamente.

Voleva solo gridare, urlare, lasciarsi andare.

Voleva solo iniziare a correre sotto quella dannatissima pioggia, non fermarsi, non tornare indietro mai più.

Voleva solo sparire, morire, annegare sotto l’acqua che stava entrando dalla finestra e che adesso aveva sul serio allagato il pavimento, arrivando a inzuppare anche lo stesso futon su cui lui si trovava.

Ma presto sarebbe passata, come tutte le altre volte.

 

Oramai c’era abituato.

Come già detto, non era la prima volta che accadeva.

   
 
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