Storie originali > Commedia
Segui la storia  |       
Autore: Mel_deluxe    22/02/2019    2 recensioni
Martin le fa un veloce sorriso, poi si prende qualche secondo per andare verso la macchinetta di fianco a lei e schiacciare il numero 08 per il suo caffé.
Decaffeinato, riconosce Wendy. Che schifo, poi ovvio che non sono amici.
«Senti, ho bisogno che tu mi faccia un favore questo weekend» dice lui all’improvviso, portandosi il bicchierino di plastica alla bocca non appena la macchinetta gli annuncia che è pronto.
Wendy alza lo sguardo, leggermente sorpresa. Si conoscono da quasi dieci anni ed è la prima volta che Martin viene da lei per un favore.
«Oh, okay, dimmi pure».
«Ho bisogno che tu venga a Brighton con me per tre giorni e faccia finta di essere la mia fidanzata davanti alla mia famiglia».
Wendy fissa il suo collega in silenzio.
Il suo caffé è pronto, glielo conferma il biiiip prolungato della macchinetta, ma non riesce a fare a meno di guardare Martin senza nemmeno sbattere le palpebre. Mantiene un’espressione apatica per quasi dieci secondi, prima di riprendersi dallo shock e riuscire a formulare una risposta sensata. Ma tutto quello che riesce a dire è un confuso:
«Ehm… no…?»
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
N.d.A
Io ce provo anche a scrivere cose brevi, ma abbiamo capito che non fa proprio per me xD
Scusate ancora l'immenso ritardo, ero persa nei siti di fanfiction inglesi a leggere tutto il giorno e a sentirmi uno schifo perché ho un grande complesso di inferiorità verso tutti quegli autori  stanca ahahaha.
Grazie a voi che continuate a stare appresso - (grazie tantissimo a chi61 che mi lascia sempre le sue recensioni; scusami se non ti rispondo, perché non so mai cosa dire, ma sappi che mi fanno sempre un sacco piacere!!!) - ed ecco il capitolo, per me, più noioso in assoluto da scrivere. Spero che sia un po' più piacevole da leggere. Scusate se ci sono errori, l'ho un po' controllato di fretta.
Mel.




 


E va bene, lo confesso, non mi stavi simpatico fin dal primo istante in cui ti ho conosciuto. Ma, ammettiamolo, non puoi decisamente darmene una colpa: chiunque avrebbe reagito allo stesso modo in quella situazione.
Puoi darmene una colpa? Certo che non puoi darmene colpa, su.
E non era per il fatto che avessi già dei pregiudizi su di te prima ancora di averti conosciuto, perché a scuola eri già popolare e tutti sapevano chi eri e ti amavano e ti lodavano o perché non capissi proprio il motivo per cui potessi piacere a mia sorella così tanto.
Quando ripercorro quella nostra primissima serata nella mia testa, trovo tante cose che sarebbero potute andare diversamente. Mia sorella innanzitutto non avrebbe mai dovuto chiedermi di uscire con lei un venerdì sera solo perché voleva avere qualcuno al primo appuntamento con il ragazzo per cui aveva una cotta, era una cosa talmente stupida da fare, specialmente perché si stava parlando di me, che nel campo della socializzazione con nuove persone ero ai livelli del pattume.
Secondo, perché ero ancora minorenne e non potevo legalmente bere, terzo, perché odiavo uscire la sera, odiavo gli alcolici e decisamente odiavo trovarmi lì in quel momento.
Per questo, quando Vicky sorseggiava il suo mojito dal bicchiere e alzava preoccupata ogni due secondi gli occhi verso di me chiedendomi “è già arrivato?”, io non facevo altro che sbuffare e alzare gli occhi al cielo.
Quando finalmente ti ho visto arrivare e ho dovuto avvisare Vicky con gli occhi, lo ammetto, a quel punto ho pensato che eri carino (perché effettivamente eri carino, molto carino) ma solo per un istante, poi il disgusto è ritornato, quando ti sei seduto di fianco a Vicky e l’hai salutata con un viscido  bacio sulla guancia.
«Comunque lei è mia sorella Wendy, spero non ti dispiaccia se resta con noi per oggi» mi ha presentata Vicky, senza nemmeno guardarmi.
Tu hai risposto cordialmente che no, non ti dispiaceva, ma era così ovvio che sotto sotto mentivi, perché a quale malato di mente piacerebbe avere la sorella minore della propria  ragazza ad un appuntamento?
A me dispiaceva essere lì invece, dispiaceva eccome. Rimpiango il fatto di non avervelo detto ad alta voce, ma non volevo di certo interrompere quell’idillico quadretto davanti a me.
«Wendy, certo, ci conosciamo già» hai detto tu, con quel tuo disgustoso, falsissimo sorriso, stringendomi la mano da sopra il tavolo. «Ti vedo ogni tanto, in corridoio. Sei al terzo anno giusto?»
«Quarto» ho precisato io seccata, senza alzare lo sguardo dal mio drink.
Non mi interessava entrare nelle vostre conversazioni. Ero lì perché mi ci aveva portato (-obbligato-) Vicky, e non di certo perché mi interessava conoscerti. Ma tu continuavi a rivolgermi la parola, a farmi domande, a farmi quei maledetti, larghi sorrisi. Non volevo parlare con te, non volevo neanche vederti, per la verità, ma tu insistevi fin troppo e io ero troppo educata per dirti di smetterla.
Ora che ci penso avrei dovuto capirlo già da allora.
E quando Vicky si è alzata per andare in bagno, lasciandoci soli, hai fatto quella stupida domanda che ha rovinato tutto:
«Perdona se te lo dico ma… non sei forse un po’ troppo giovane per bere?»
Ho alzato lo sguardo indignata.
«Ho quindici anni».
«Appunto».
«Stai zitto, hai solo due anni in più di me, non è che sei legittimato a farmi la paternale!»
Forse mi disgustava un po’, il fatto che Vicky volesse stare con un ragazzo più piccolo di lei, o forse eri solo tu, il tuo atteggiamento, la tua voce o il tuo accento a darmi fastidio, non so.
«D’accordo, non certo voglio dirti quello che puoi o non puoi fare» hai risposto tu, sorridendo di nuovo. (Dio, quanto eri irritante!) «Solo… se sai già di non reggere bene l’alcol, non dovresti bere solo per fare bella figura con gli altri…»
Ma come ti sei permesso di dirmi una cosa del genere, sentiamo?
Era vero, forse non reggevo l’alcol, forse mi sentivo già brilla dopo solo due sorsi di quel drink che Vicky aveva ordinato per me, e FORSE si notava anche, ma che diritto avevi di farmelo sapere, eh?
Non avevi alcun diritto di lanciarmi su un piatto d’argento quella sfida, era ovvio che l’avrei accettata: sarebbe stata una sconfitta troppo scoraggiante per il mio ego.
Lo sai che non riesco a rifiutare le sfide. Che cosa mi hai fatto fare?
Non avevi alcun diritto di osservarmi ordinare un drink dopo l’altro, ovviamente usando la carta di credito di mia sorella, perché mai avrei potuto accettare che mi si dicesse una cosa del genere; non avevi alcun diritto di preoccuparti per me quando avevi già Vicky lì di fianco a cui pensare.
E di certo non avevi il diritto di tenermi i capelli mentre vomitavo l’anima piegata sulla tazza del wc pubblico del pub qualche ora dopo, mentre mia sorella era fuori che si disperava perché che cosa avrebbe mai dovuto dire adesso ai nostri genitori? Che mi aveva portata fuori, speso centinaia di soldi per farmi ubriacare irresponsabilmente e, soprattutto, illegalmente?
Era tutta colpa tua, perché Vicky ora stava piangendo e tu eri nel bagno con me a osservarmi rigurgitare i litri di alcol che avevo ingerito, sempre e solo per colpa tua.
«Te l’avevo detto che non dovresti bere così tanto» ti ho sentito ridacchiare dietro di me, e a quel punto ti avrei preso anche a schiaffi, ma il vomito non me lo permetteva.
Così ho semplicemente cercato di calmare la tosse e ho commentato, con tutta la sincerità che allora possedevo:
«Vaffanculo, Martin Forres…»
Quindi forse è vero, non mi piacevi già dall’inizio, ma puoi davvero darmene una colpa?
Di certo no, dato che la colpa è solo tua, tu al nostro primissimo incontro hai avuto la faccia tosta di farmi ubriacare e di rinfacciarmelo subito dopo.
Non lo vedi? Non lo vedi che sono io quella ad avere ragione?
Era colpa tua, tutta colpa tua.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
(E va bene, forse era anche un po’ colpa mia)
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
A Londra sta nevicando.
Wendy ha scoperto, non appena tornata al lavoro, che il sole ha avuto la faccia tosta di rimanere alto in cielo per tutto il periodo in cui lei è stata via, e solo il lunedì in cui ha rifatto piede a Londra, la neve ha cominciato a cadere leggera dal cielo.
Ma non le dispiace in fondo, osservare i fiocchi volteggiare lentamente fuori dalla finestra del suo ufficio, con il mento appoggiato sulla mano, mentre si passa la penna rossa tra le dita.
«Ancora a pagina 7?»
Wendy alza sorpresa lo sguardo verso Sally, che è appena apparsa davanti alla sua scrivania con un caffé dalla macchinetta in mano.
Sally appoggia il caffé sulla scrivania di Wendy senza dire altro e la ragazza la guarda con gratitudine.
«Ho dedotto che, dato che in questi giorni non passi mai dalla macchinetta, ne volessi uno».
È da una settimana intera, ovvero da quando è tornata a Londra, che Wendy non entra nella sala relax e, di conseguenza, non ha ancora avuto l’occasione di bere il suo adorato caffé della macchinetta.
Wendy sorride leggermente, senza dire altro e accetta con un piccolo “grazie” il suo caffé.
È da una settimana che sta cercando in tutti i modi di evitare Martin. Dopo il loro imbarazzante viaggio silenzioso lunedì mattina, vederlo al lavoro è l’ultima cosa che vorrebbe. Si sono incrociati qualche volta, in corridoio, guardandosi con occhi spalancati in imbarazzo e ogni tanto si sono anche lanciati degli sguardi da lontano, ma Wendy preferisce cambiare direzione ogni volta che lo vede venire dalla sua parte, piuttosto che affrontarlo direttamente.
Non è esattamente felice in questo modo, ma non sa davvero come fare per esserlo.
Sally poco dopo si prende la briga di posizionare una sedia davanti alla sua scrivania, come fa di solito quando hanno dei momenti di pausa.
Wendy per la verità al momento non è in pausa, è impegnata a editare qualche osceno romanzo rosa-erotico scritto da una delle solite scrittrici cinquantenni dalla prosa asciutta ed essenziale che Dennis le ha consegnato tre ore fa. Forse per il fatto che il romanzo è scritto atrocemente, forse per il fatto che deve aggiungere una correzione ogni due righe, o forse perché la sua testa al momento è da tutt’altra parte, Wendy è riuscita a lavorare solo su sette pagine nelle abbondanti tre ore che ha avuto a disposizione.
Così inizia a sorseggiare il caffé che gentilmente le ha portato dalla macchinetta, ma si rende conto, non ha alcun sapore. Se la Wendy di una settimana fa avesse bevuto quello stesso caffé, forse avrebbe sospirato di gioia e lo avrebbe buttato giù tutto in un solo sorso, ma adesso tutto le pare vuoto e insapore.
Dopo neanche un sorso, Wendy riappoggia il caffé sul tavolo, senza fare commenti per evitare di offendere Sally e voltandosi verso il romanzo davanti a lei senza dire nulla. Ma la sua migliore amica è più sveglia di lei e si accorge immediatamente dell’inaspettato comportamento:
«Wow, avevo capito che la situazione era brutta, non pensavo fosse così tanto tragica» le fa Sally ridacchiando, e sporgendosi verso di lei. «Allora, Wen? Cos’è successo questo weekend di tanto terribile da farti improvvisamente rifiutare perfino il caffé».
Wendy vorrebbe risponderle, vorrebbe davvero raccontare tutto. È vero, conosce Sally da meno tempo di Hannah, e di certo con lei non ha lo stesso intimo rapporto che ha con l’altra sua migliore amica, ma Sally ha comunque la sua stessa età e ed è un’editor anche lei: in certe cose sono molto più simili di quanto possa pensare, e si fida enormemente di lei.
Ma non ce la fa, non è ancora pronta per parlarne. Forse perché la fa ancora troppo soffrire, forse perché si trova in una situazione di paralisi che non può, non vuole, ancora risolvere…
Così si limita a sorridere tristemente e a scuotere la testa.
«Scusa Sally… è solo…» inizia a dire. «Per adesso non voglio parlarne. Spero che tu capisca…»
«Ma certo» le dice Sally, prendendole una mano. «Solo, quando sei pronta per parlarne sappi che sono sempre qui per te».
A Wendy viene quasi da piangere. Che cosa ha fatto esattamente di tanto straordinario nella sua scorsa vita per meritarsi delle amiche tanto meravigliose come Hannah e Sally?
«Per la verità, Wen… » riprende all’improvviso Sally, alzando leggermente il viso per guardarla negli occhi. «Non sono venuta qui solo per chiederti come stai. Dennis mi ha mandato a chiamarti».
Wendy la guarda per un secondo in silenzio, sbattendo le palpebre ripetutamente.
«Dennis…?» domanda confusa. «Perché, di che vuole parlare?»
«Non lo so. Ha detto solo che ti vuole subito nel suo ufficio, è urgente a quanto pare».
«Oh… oh!»
Wendy si alza di colpo, sistemandosi i vestiti e cercando di fare in modo che la sua agitazione non si noti troppo.
Forse Dennis si è finalmente accorto che Wendy sta lavorando decisamente male da quando è tornata dal suo weekend. Magari l’ha fatta chiamare perché vuole rimproverarla o peggio, è già pronto a licenziarla in tronco…
Oddio.
Inizia a sudare freddo e i pensieri non l’abbandonano nemmeno quando, pochi secondi dopo, bussa timidamente alla porta del suo capo ed è accolta da un allegro:
«Avanti!»
Quando finalmente entra nell’ufficio, leggermente tremante, Dennis è in fondo alla stanza, in piedi dietro alla sua scrivania intento a leggere un fascicolo di fogli tra le sue mani.
«Oh, Wendy, eccoti, accomodati pure!»
Non è che Wendy abbia avuto tanti lavori nella sua vita: prima di lavorare qui ha fatto un mese da au pair in Francia e lavorato come cameriera in un cafè mentre ancora frequentava l’università, ma Dennis è decisamente il capo più strano che abbia mai avuto.
Deve avere pochi anni in più di lei, ma la sua crescita deve essersi evidentemente fermata a quando ne aveva quindici, perché è alto un metro e settantadue, ha ancora una faccia da bambino e una voce squillante che metterebbe in imbarazzo perfino un gruppo di neonati strillanti.
È fin troppo amichevole e fin troppo allegro con tutti i suoi dipendenti, trattandoli come dei vecchi amici e invitandoli occasionalmente a bere tutti insieme al pub dietro l’isolato.
Detto questo, a Wendy non dispiace affatto questo suo atteggiamento, tanto che i suoi sorrisi amichevoli e i suoi commenti affettuosi avevano colto la sua attenzione per quasi tutta la durata dell’estate scorsa, almeno fino al momento in cui lui non le aveva fatto notare – e solo allora lei lo aveva capito – che si comportava in quel modo con tutti e che, sebbene voleva bene a Wendy come qualcosa di più di una dipendente, non aveva comunque intenzione di uscirci insieme.
Wendy era stata talmente imbarazzata dalla sua cotta non ricambiata per il suo capo, che era stata quasi sul punto di dare le dimissioni il giorno dopo, ma Dennis aveva per fortuna reso il tutto più semplice tra di loro: già il giorno dopo si era comportato come se quella stupida e avventata dichiarazione non fosse mai avvenuta e, fino ad oggi, i due non ne avevano mai parlato apertamente.
Meglio così. Wendy si sentiva ancora morire dentro ogni volta che ci ripensava.
Dennis si siede alla sua scrivania quasi nello stesso istante in cui Wendy si posiziona sull’unica sedia posta davanti ad essa, tremando e reggendosi ai braccioli come se ne dipendesse della tua vita.
 «Allora?» le dice Dennis, con uno sfizioso sorrisetto sulle labbra, dopo qualche secondo di imbarazzante silenzio, in cui Wendy è certa di aver urlato interiormente almeno dieci volte. «Perché non me lo hai detto prima?»
Wendy lo fissa in silenzio per una attimo, più confusa che mai.
«Ehm… detto cosa?»
Il sorriso di Dennis si allarga ancora di più.
«Che avevi scritto un libro così bello, no!» esclama con ovvietà.
Oh, no.
Wendy d’istinto alza lo sguardo al soffito, imprecando sottovoce.
Una volta capito al volo il motivo per Dennis l’ha mandata a chiamare, Wendy si rilassa improvvisamente sulla sua sedia, sentendosi stupida ad essersi preoccupata così tanto inutilmente.
Era ovvio che non ci sarebbe stato nessun richiamo, ma che cosa si aspettava?
Così si limita a guardare il suo capo, seduto davanti a lei, con sguardo tediato. Dennis intanto continua a sorriderle, quasi fosse più emozionato di lei per la cosa.
«Immagino tu abbia parlato con Martin…» commenta seccata la ragazza, appoggiandosi allo schienale della sedia e incrociando le braccia al petto.
«Sì beh, deduco che ci abbia parlato anche tu!». Wendy non ha tempo di capire quello che intende Dennis con questa frase, perché subito dopo ha già cambiato discorso: «Lasciatelo dire, Wendy, è un romanzo grandioso… insomma, dato che fai l’editor di lavoro era ovvio che sapessi già scrivere bene, ma ammetto che mi hai… beh, parecchio stupito!»
Wendy non commenta nemmeno. Non sa perché Dennis sembri così entusiasta della cosa o il perché le non lo sia tanto quanto lui.
Non lo sa nemmeno lei… si sente come se avesse appena vinto alla lotteria, ma senza ricevere un premio che le piaceva.
Bello schifo.
«Allora…» continua Dennis, appoggiando le dita sul fascicolo che prima stava leggendo, ora lasciato davanti a lei sulla scrivania. «Sei già pronta a firmare il tuo contratto?»
Wendy spalanca gli occhi, completamente presa alla sprovvista.
«Mphf, cosa?» esclama, dopo una brevissima risata nervosa. «D-di già?»
«Beh, Martin mi ha consegnato il vostro contratto stamattina, quello su cui avete lavorato, quindi pensavo che sarebbe meglio sbrigarci con le pratiche-»
«Aspetta, aspetta, aspetta» lo interrompe Wendy, inclinandosi in avanti. «Stai… stai dicendo che hai intenzione di pubblicare davvero il mio libro? Così com’è, adesso, oggi, in questo momento e con questa… con la nostra casa editrice? E che Martin Forres, quello stesso Martin Forres che lavora qui, sta cercando di farmi da agente?»
È tutto sbagliato. È tutto completamente sbagliato.
Lei non dovrebbe vincere in questo modo. Non dovrebbe vincere così facilmente e poi rendersi conto che non è affatto felice che stia succedendo.
Maledetto, maledetto Martin Forres per aver reso il suo sogno così semplice da realizzarsi, e poi aver ucciso tutto il suo amore un secondo dopo averlo fatto.
«Beh, è ovvio, che lo voglia pubblicare, Wendy! Sarebbe un suicidio economico non farlo, il tuo romanzo è oro puro!» dichiara Dennis con il suo solito entusiasmo. «E poi credevo che tu e Martin andaste d’accorto, non è così? Beh, d’altronde ha creato un contratto davvero coi fiocchi per te!».
Wendy non si sofferma su ciò che le ha detto all’inizio: non ricorda che lei e Martin siano mai andati d’accordo (escludendo ovviamente i tre giorni a Brighton, di cui però Dennis non è a conoscenza), ma non ha nemmeno tempo di protestare, che il suo capo le ha già posto sotto gli occhi il famoso contratto creato da (apparentemente) il suo nuovo agente.
Wendy lo prende in mano con calma e, dopo un ultimo, velocissimo sguardo di rassicurazione al suo capo, inizia a leggere lentamente il contratto.
Lo legge tutto, in silenzio, prendendosi il suo tempo, e Dennis attende senza protestare, aspettando tutto il tempo senza dire una parola.
A metà del contratto, Wendy sospira rumorosamente.
È incredibile: Martin ha creato un affare decisamente troppo buono per qualunque scrittore, garantendole tutti i diritti riservati, il 60% dei guadagni sulle vendite, promozioni, eventi dedicati nelle librerie, nelle scuole e altro ancora…
Senza dire altro, Wendy appoggia il contratto sulla scrivania di Dennis. Lui la guarda incuriosito, poi però le sorride amabilmente, quando la vede prendere una delle penne davanti a lei e con un sorriso triste sul viso, porre una firma l’ultima pagina con enfasi.
«Wow…» commenta sottovoce Dennis, con un leggero sorriso. «è stato veloce».
Wendy richiude il tappo della penna con decisione, rimettendola al suo posto, ma si tiene il contratto ancora per sé, continuando a guardarlo sconsolatamente.
«Già» dice, prima di ritornare a osservare attentamente il suo nuovo, ufficializzato contratto. «Era decisamente un buon affare».
«Certo. Se posso chiedertelo, ma solo perché solo molto curioso… hai già scelto un titolo, vero?»
«Mh?». Wendy alza improvvisamente gli occhi, salvo poi riabbassarli in totale vergogna. «Un titolo? Oh, giusto, dovrei pensarci in effetti…»
Il fatto è che non ha mai penato ad un titolo per il suo libro perché dubitava che qualcuno l’avrebbe mai letto.
E ora, invece, in un attimo è tutto diventato vero, proprio qui, proprio ora, proprio davanti a lei.
È fatta, pensa.
Tutti i suoi sogni sono appena diventati realtà.
E allora perché…
E allora perché si sente così vuota dentro?
«A proposito, Wendy» esclama improvvisamente Dennis, abbassando la faccia, quasi imbarazzato, e facendo finalmente staccare gli occhi di Wendy dal contratto. «So che è passato un po’ tempo e… non voglio di certo metterti a disagio, perciò puoi tranquillamente dire di no, sia chiaro… ma- oddio, probabilmente mi darai dell’ipocrita, dato che ho improvvisamente cambiato idea, ma…»
Wendy lo guarda mentre cerca a fatica di buttare fuori quelle parole, senza capire dove voglia arrivare.
«Ecco, riguardo alla cosa che mi hai chiesto qualche mese fa…» continua Dennis, diventando sempre più rosso in faccia, quasi dello stesso colore dei suoi capelli. «Non lo so… forse il tuo libro deve avermi fatto realizzare che dopotutto non è poi una così cattiva idea provarci… Insomma, ti andrebbe di prendere una birra giù al pub con me, questa sera?»
Wendy lo fissa per un attimo incredula, cogliendo finalmente ciò che voleva dirle.
«Oh!» esclama, ancora scioccata dalla richiesta. «Oh, io…»
Dennis le ha appena chiesto di uscire.
Il suo capo Dennis, quello per cui aveva un’imbarazzante cotta adolescenziale meno di cinque mesi fa, le ha appena chiesto di uscire…
Potrebbe dire di sì, in effetti. E nel retro della sua testa sta iniziando ad insinuarsi un pensiero che forse dire di sì sia la scelta più appropriata da fare al momento.
Dennis d’altronde è carino, è amichevole, è interessante, e ha un buon lavoro; di certo guadagna più di lei, è quasi del tutto certa che abbia un appartamento a Westminster (cosa che le farebbe decisamente comodo), le sta molto simpatico e la  tratta parecchio bene. Lei se n’era accorta già da tempo, che Dennis è, sotto ogni aspetto, una persona con la quale vale la pena provarci, e sotto sotto lo pensa anche adesso.
Ma questo è tutto ciò che aveva sempre voluto: pubblicheranno il suo libro, fa da anni un lavoro che le piace, ha una famiglia che le vuole bene, delle amiche meravigliose e, se ora dicesse di sì a Dennis, potrebbe anche avere un ragazzo che è più che perfetto per lei, e allora tutto sarebbe ancora più incredibile di quanto non sia già per lei.
Tutto quello che ha sempre desiderato è proprio qui, a portata di mano, tutto quello che le basterebbe per ottenerlo è dire un misero “” e la sua vita sarebbe, da ogni punto di vista, perfetta.
Ma, per quanto si sforzi a volerlo, non riesce a dire di sì.
Perché per quanto quel piccolo pensiero sia insistente e decisamente presente, la sua mente, nel momento in cui Dennis le ha fatto quella domanda, è immediatamente volata ad un certo ragazzo con i capelli neri, decisamente troppo alto per lei, a cui piace dondolarsi sulle altalene nella notte come un bambino di dieci anni, che adora sdraiarsi nella neve e fare commenti azzardati (non sempre appropriati) e che è assolutamente adorabile quando indossa il suo paio di occhiali.
Perciò sorride amaramente, perché ormai ha capito che è troppo tardi per poter riuscire a oscurare completamente quel pensiero.
È troppo tardi per dire sì a Dennis, è troppo tardi per dire sì a chiunque: per quanto non lo desideri affatto, è troppo tardi per riuscire a togliere Martin Forres dalla sua testa.
Perciò alza lo sguardo verso il suo capo, pronta per declinare cortesemente, quando Dennis sembra leggerle automaticamente nel pensiero:
«Ovviamente non voglio metterti pressione» le dice, dopo interminabili secondi di silenzio. «Sappi che, anche se mi dici di no, questo non cambia niente tra… uhm, noi: non ho intenzione di trattarti diversamente da come faccio tutti i giorni, insomma».
Wendy gli sorride amabilmente. Forse non si merita nemmeno tutto questo.
«Scusami davvero, Dennis…» gli risponde Wendy, sospirando. «Non prendertela, ma non penso che sia una buona-»
«È tutto okay» si affretta a ribadire Dennis, senza nemmeno lasciarla finire. «Capisco perfettamente. Non volevo rischiare di dirti che già lo sapevo, dato che non ne avevo avuto conferma da te, ma sono certo che Martin è bravissimo ragazzo…».
Wendy spalanca gli occhi, non sicura di aver sentito bene.
«Cosa?» esclama, incredula. «N-no… devi aver frainteso! Non è per quello che-»
«Wendy, andiamo…» ridacchia Dennis, appoggiando la schiena alla sedia. «Pensi che non l’abbia capito? Tutti nell’ufficio lo hanno capito, tutti hanno notato, il modo in cui bisticciate, in cui vi fate sempre commenti alla spalle, ma poi lui si presenta con un mazzo di pervinche al lavoro e scappate per un weekend insieme… non pensi sia l’ora di finirla con tutto questo diniego?»
«Sul serio, non è affatto così!» continua Wendy, insistente, senza dare troppo peso alle confusionarie parole di Dennis. - Cosa intende con “tutti nell’ufficio lo hanno capito”??? -  «Stai andando fuori strada. Tra me e Martin non c’è assolutamente nu-»
«Insomma, avevo già dei sospetti da tempo, ma credo di averlo capito quando ho ricevuto questo contratto qui». Dennis indica con decisione il contratto nelle mani di Wendy, come per evidenziare il suo punto. «Deve essere davvero un rapporto speciale, se ha fatto così tanto per te».
Ha fatto così tanto per te…
Wendy sospira esasperata, dopodiché si alza in piedi all’improvviso, probabilmente  rossa in faccia, a giudicare dal modo in cui Dennis la fissa ridendo.
«Non so che genere di pettegolezzi tu abbia sentito dagli altri…» dice Wendy, avviandosi verso la porta. «Ma non c’è nulla di vero».
Ed è così, non c’è nulla, nulla di vero tra di loro.
Wendy inizia a domandarsi se ci sia mai stato qualcosa di minimamente vero.
 
 
 
Dopo il suo fatidico incontro con Dennis, Wendy ritorna alla sua postazione che già fatica a reggersi in piedi. Di certo non aiuta il fatto che, non appena arriva alla sua scrivania, un enorme mazzo di pervinche è posto al centro di essa, dentro ad un vaso di vetro dall’aspetto decisamente costoso.
Wendy attende un attimo, prima di lasciarsi andare e sospirare, per la milionesima volta in quella giornata. In un veloce scatto, stacca il biglietto di carta pinzata al mazzo, scritto a mano da una scrittura che riconosce all’istante:
 
Scusa ancora per tutto. Spero che il contratto ti sia piaciuto.
Ti ho vista sorridere. Sei bellissima quando sei felice.
M.F.
 
 
 
Sabato pomeriggio Wendy decide di uscire con Hannah, perché dopo una settimana del genere, ha davvero il bisogno psicologico di parlarne con la sua migliore amica della sua situazione.
Con il fatto che Hannah e Sally adesso hanno una figlia di due anni a cui badare, è molto più difficile incontrarsi fuori dal lavoro, ma una volta che Hannah ha sentito per telefono la notizia della pubblicazione del libro, era talmente felice per la cosa, che ha accettato con entusiasmo e ha deciso di risolvere portando sua figlia appresso a loro, in una tranquilla passeggiata ad Hyde Park, ora che finalmente hanno un week-end libero dalla neve.
Wendy decide di fermarsi per prendersi un caffé americano doppio (perché il caffé le manca decisamente a questo punto della sua vita) dopodichè si posizionano sull’unica panchina del parco illuminata dal sole, con il passeggino di Mia in mezzo a loro.
Mentre Wendy sta sorseggiando il suo caffé, Hannah si sporge per prendere Mia in braccio.
«Allora?» inizia, voltandosi verso di lei. «Di cosa volevi parlarmi?»
Wendy finisce con calma il suo caffé. Sorseggia in silenzio, si alza per buttarlo nel cestino più vicino e si rigetta sulla panchina, asciugandosi le labbra con un violento gesto della mano. Prende fiato due volte, prima di voltarsi verso di lei e risponderle.
«D’accordo, allora, uhm…». È strano, di solito lei ed Hannah hanno sempre condiviso tutto, è la prima volta che le nasconde un problema per così tanto tempo. Wendy si rende conto, il motivo è anche perché non sa bene come spiegarsi senza far sembrare il tutto completamente irragionevole. «Mettiamo che tu… insomma, immagina che ci sia questa persona che proprio non sopporti. Che conosci da tanti anni, che sei costretta a vedere tutti i giorni, e, anche se pensi che è decisamente attraente, non riesci proprio a fare a meno di sentirti irratata ogni volta che la incroci…»
Hannah la osserva per un secondo in silenzio, con uno sguardo che lascia intendere che ha già capito dove il discorso voglia arrivare, e che non ne è assolutamente sorpresa.
«Mh-mh?» fa Hannah, in un tono deciso, per capire che ha capito benissimo a chi si riferisca Wendy, ma la ragazza decide di continuare lo stesso con il suo discorso mantenendo il più assoluto anonimato:
«E… mettiamo che tu e questa persona che tu detesti vi troviate in una situazione insieme, non desiderata da te, sia chiaro, in cui sei costretta a passarci un sacco di tempo. E durante tutto questo tempo ti accorgi che dopotutto questa persona non è così male e che forse, forse (dico per modo di dire, molto teoricamente, sia chiaro) potrebbe anche piacerti un filino…»
Hannah continua ad ascoltarla in silenzio, senza battere ciglio, mentre fa saltellare leggermente Mia, seduta sulle sue cosce, lanciandole ogni tanto dei veloci sguardi. Wendy prende un lungo sospiro, prima di riprendere:
«Poi però questa persona ti fa una cosa brutta, che ti fa molto male, e la sua giustificazione è che in realtà tu anche tu gli piacevi già da tempo e che tutto questo lo ha fatto solo e solamente per te. E anche se piace anche a te, tu non puoi proprio fare a meno di offenderti. Così cerchi di andare avanti con la tua vita, ma sebbene gli sforzi, proprio non ci riesci. Anzi, sei tentata di tornare indietro da lui e di lasciar perdere tutto, ma il tuo orgoglio proprio non te lo permette.
Insomma, dato che hai sempre i consigli più adatti, volevo chiederti… che cosa faresti tu in questa situazione… sempre teoricamente parlando?»
Una volta finito il discorso, Wendy si ferma a prendere fiato, dato che improvvisamente non ne ha più in gola.
Hannah sospira rumorosamente, alzando Mia dalle sue gambe per rimetterla con delicatezza nel passeggino davanti a lei.
«Innanzitutto, se stiamo parlando di Martin come penso…»
«Martin? Martin chi? Non ho detto nessun nome, questo è solo un discorso astratto, si sta parlando…»
«…teoricamente, lo so, l’hai già detto. E allora, mettiamo per un attimo – sempre teoricamente parlando – che questa… “misteriosa persona” sia il nostro collega, di nome Martin Forres. Ora, se immaginiamo tu e Martin in questa situazione che tu mi hai appena descritto… non pensi che lui abbia tutto il diritto di fare le cose in segreto?»
Wendy la guarda scandalizzata.
«Cosa? No! Come fai a dire una cosa del genere?» protesta lei, mantenendo sempre un tono di voce basso per non spaventare Mia, ora felice e spensierata al sicuro nel suo passeggino. «Se gli piacessi veramente, allora dovrebbe avere il coraggio di dirmi le cose in faccia!»
«Wendy, te lo dico perché ti conosco, ma il tuo problema è che quando ti metti in testa una certa cosa, non riesci a cambiare idea, per quanto gli altri cerchino di convincerti. Sapevamo tutti quanti che Martin aveva una cotta per te: io, Sally, Dennis, perfino Alice Gambe Lunghe se n’era accorta, non è che lui sia mai stato così tanto attento a nasconderlo, per la verità» continua Hannah, guardandola negli occhi. «Ed è così: è come sei fatta tu, non dovresti dargliene una colpa perché ha cercato di farsene una ragione. Dimmi, perché ti ha fatto così tanto arrabbiare il fatto che ti abbia tenuto delle cose nascoste?»
Wendy sbuffa, voltandosi dall’altra parte. Non le importa nemmeno più che la sua copertura sia crollata e che ora stiano parlando di lei e Martin apertamente. Non le importa, perché pian piano sta iniziando a capire quello che intende Hannah e, in effetti, si sta drammaticamente rendendo conto che ha ragione.
È colpa sua. È sempre stata colpa sua, dannazione.
«Non lo so, forse…» dice in un sussurro, puntando lo sguardo sulla punta delle proprie scarpe. «Forse perché mi ha fatto sentire esclusa. Mi ha fatto sentire come se non si fidasse di me…»
«Beh, non puoi dargliene una colpa, tesoro. Ti voglio bene, lo sai, ma la verità è  che Martin ha provato numerose volte ad avvicinarsi a te; sei sempre stata tu l’unica ad essere scortese tra i due».
Wendy si gira di scatto verso la sua migliore amica, ora completamente indignata.
«Uh? Questo non è assolutamente vero!» esclama ad alta voce, sentendosi sotto accusa improvvisamente. «Quando mai gli ho risposto male senza motivo, sentiamo?»
Hannah la guarda per un secondo in silenzio, alzando un sopracciglio in segno di sfida.
«Sul serio, Wendy? Vuoi che ti tiri fuori una lista?»
 
 
11/9/2015, ore 12.12
«Ho una domanda divertente: a che servono esattamente dieci penne colorate sulla scrivania?»
«Non so, la tua esistenza a che serve invece?»
 
31/3/2016, ore 8.45
«Ciao».
«Oddio no, ti prego, ancora tu, lasciami in pace, AGH, aria, per piacere!»
«Ho solo detto ciao…».
 
21/10/2016, ore 10.22
«Hey-»
«Giuro che se non la smetti di parlare in questo istante, mi butto giù dalla finestra».
«Non siamo al piano terra?»
«Sì. Ma voglio un’uscita drammatica».
 
5/5/2017 ore 9.10
«Hey, Wendy, stavo pensando che per il tuo libro potresti chiedere a Dennis se-»
«La cosa mi stupisce: tu sai pensare?»
 
 
«E va bene! Forse gli ho risposto male qualche volta, forse sono stata scortese ogni tanto, ma questo non cambia che lui mi abbia mentito, che mi abbia ingannata per mesi e solo perché, per qualche assurdo motivo che ancora non comprendo, gli interessava il mio culo piatto!»
«Senti Wendy, le relazioni tra voi etero sono fin troppo complicate per me da capire ancora a pieno, e ho letto così tanti romanzi rosa osceni da fare invidia a qualunque comare di questa città, ma lascia che ti dica una cosa…» riprende Hannah, ora con un tono decisamente più calmo e gentile del suo. «Conosci Martin da così tanto tempo e hai sempre detto, fin da quando ti conosco, che odi tutto di lui. Il suo modo di fare, il suo credersi migliore di te, eccetera. Poi però dopo soli tre giorni passati insieme a lui, tutto il passato improvvisamente si cancella e ti rendi conto che addirittura ti piace? Non credi, allora, di avere un tantino sbagliato a giudicare? Che tu ti sia semplicemente fissata troppo quei difetti che tu vedevi in lui, che tanto te lo facevano odiare, perché hai semplicemente deciso che volevi odiarlo a tutti i costi?»
Wendy la guarda per un attimo, poi sbuffa di nuovo, incrociando le braccia e girandosi dall’altra parte, per fissare il parco davanti a sé, con i bambini che giocano sul prato con gli ultimi rimasugli di neve, e le loro madri sedute sulle panchine a chiacchierare senza degnarli di uno sguardo.
Detesta tutto questo. Detesta questo stupido dramma all’Orgoglio e Pregiudizio (romanzo che, tralatro, non le è mai neanche piaciuto), detesta Martin per averlo creato, detesta rendersi conto dell’amara realtà, detesta rendersi conto di essere sempre stata quella in torto tra i due…
E soprattutto detesta Hannah che glielo ha appena fatto realizzare.
Così si volta di nuovo verso di lei, con uno sguardo offeso negli occhi, e le rivela:
«Lo sai, ti odio, perché hai questo strano talento nel dire la verità, e quasi sempre è una verità che detesto».
Hannah le sorride fieramente. Prende in braccio Mia per un ultima volta e le stampa un bacio sulla guancia prima di rispondere a Wendy allegramente:
«Lo so. Sono sorpresa che tu ci abbia messo così tanto per capirlo».
 
 
Wendy, una volta tornata a casa, si getta sul divano di casa sua lanciando un urlo di sollievo, senza nemmeno togliersi il cappotto, ormai completamente stremata dalla giornata.
Respira per qualche secondo con gli occhi chiusi, provando a rilassarsi.
Quando riapre gli occhi appaiono davanti a lei, appoggiati sul tavolo da pranzo che si trova esattamente nel suo campo visivo, i due mazzi di pervinche che Martin le ha regalato. Quello più vecchio, ormai risalente a due settimane fa, è ormai leggermente appassito, ma lì alla luce del crepuscolo sembra nuovamente risplendere.
Vede il suo tavolo, che è improvvisamente diventato un’ enorme, bellissima esplosione di viola, verde e azzurro. I fiori scintillano così tanto alla luce del sole, che, senza rendersene conto, Wendy si ritrova a sorridere sotto i baffi.
Si alza lentamente a sedere, prendendosi il suo tempo per togliersi finalmente il cappotto e le scarpe, tuttavia rimanendo incollata con il sedere al divano.
Una volta sistematasi, rivolge la sua attenzione al libro posto sul tavolino davanti a lei.
Si tratta di Il sentiero di un uomo, il libro scritto da Martin, quella stessa copia nuova di zecca che lui le ha regalato prima di partire, e che lei ha lasciato momentaneamente su quel tavolino da quando è tornata a Londra, non del tutto sicura sul che cosa farsene. La sua copertina rossa è leggermente illuminata dai raggi del tramonto e il nome di Martin risplende sotto i suoi occhi, a culminare quel meraviglioso quadro.
Wendy fissa pensierosa il libro in silenzio, con le mani a mo’ di preghiera appoggiate sul mento.
Dopo qualche secondo di dilemmi inutili, sospira un convinto “oh, al diavolo” e afferra con decisione il libro, aprendolo di scatto sulla primissima pagina.
Senza neanche volerlo, Wendy si ritrova davanti agli occhi la pagina su cui Martin le ha scritto la sua dedica:
 
 
Dedicato ad una meravigliosa pervinca, da parte del tuo scrittore preferito:
 
“(…)si intrecciano, con le loro lucide foglie, i tralci della mite pervinca, il fiore caro a Rousseau, azzurro-cielo come nessun cielo è mai stato azzurro”
-J.P. Jacobsen, da “Niels Lyhne”
 
Grazie di tutto,
Martin Forres
 
 
Wendy sorride con una nota di malinconia, passando lentamente le sue dita sulla carta e sull’inchiostro asciutto, quasi potesse sentire le mani di chi ha scritto quelle parole.
Dopodichè, dopo aver preso un lungo respiro ed essersi fatta abbastanza coraggio, Wendy volta la pagina e incomincia a leggere.
 
 
Capitolo Primo
 
C’è una storia interessante, che mi piacerebbe raccontare, riguardo ad un ragazzo che conoscevo bene, il quale un giorno come un altro ha deciso di salire sul primo aereo per l’Australia e di dedicarsi al suo folle, follissimo sogno. Perché i sogni, di sa, sono belli proprio perché sono  folli…
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Commedia / Vai alla pagina dell'autore: Mel_deluxe