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Autore: Lady Aquaria    24/02/2019    0 recensioni
Estratto dal capitolo 1:
Certo che voleva Camus, dentro di sé non aveva mai smesso di provare per lui qualcosa di più del semplice affetto; anche se a sé stessa lo negava, per Camus provava ancora amore.
"Io e papà ci siamo amati, un tempo."iniziò, cercando le parole più adatte."Amare, Lixue, capisci? È qualcosa di molto più forte del volersi bene."
"Quanto forte?"
Forte abbastanza da indurre una ragazza nemmeno ventenne a rivolgere fredde parole cariche d'odio all'altro. Un sentimento così intenso da indurla a restare a letto per giorni dopo il suo abbandono, tanto potente da spingerla a prendere a pugni il fratello che le aveva proposto di abortire.
EDIT: Storia completamente revisionata! Vale
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aquarius Camus, Dragon Shiryu, Nuovo Personaggio, Shunrei / Fiore di Luna
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le vie del Destino'
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capitolo 41
41.
Memories.
 
 
"Ho saputo che hai preso le mie difese."
Hyoga si sedette al tavolo, mentre Mei, al lavandino, era intenta a trafficare con i biberon e il latte in polvere, attenta alle dosi per ogni singolo contenitore; accanto al piano cucina, i tre neonati aspettavano più o meno pazientemente di ricevere la poppata del mattino.
"A-ha." gli rispose, senza dedicargli troppa attenzione.

"Non eri tenuta a farlo, voglio dire... non dopo quel che ti ho detto."
"Non c'è di che." tagliò corto lei, addolcendo lo sguardo poco dopo, prendendo in braccio Joséphine e rivolgendo ad Alex e Milo qualche parola in cinese.
"Non allatti?"
"Ho smesso di produrre latte ancora prima di uscire dall'ospedale." rispose Mei, soprapensiero. "Ma poi, scusa... a te cosa importa?"

"Sei di nuovo arrabbiata per quel motivo?"
Finalmente alzò lo sguardo su di lui, mentre la piccola si attaccava vorace al biberon.

"Hai sbagliato avverbio, tesoro. Sono ancora arrabbiata per quel motivo." lo corresse. "È diverso. Posso sapere per quale motivo vuoi a tutti i costi ricucire con me? Non sono nessuno per te, non si ricuce con un estraneo."
Hyoga roteò gli occhi, in una perfetta imitazione di Camus.

"Senti, capita a chiunque di dire spropositi quando non si riesce a ragionare. Avrai sicuramente litigato anche con Shiryu nel corso degli anni, no?"
"Certo." gli concesse. "Ma Shiryu è mio fratello. Condividiamo la stessa famiglia e lo stesso sangue, non siamo estranei. E se devo regolare i conti con lui, posso farlo tranquillamente, prendendolo a ceffoni o torturandolo con un silenzio senza fine. Dovessi mai mettere le mani addosso a te, non arriveresti al prossimo compleanno, calcolando che ho anni di rancore represso dentro che ho accantonato per amore del tuo angelo custode."
Hyoga non replicò all'ultimo affondo. Si limitò a sorbire un sorso di tè, cercando di riprendere il discorso: Camus gli aveva raccontato tutto nei minimi particolari e si era scoperto stupito dalla mancanza di freni che Mei aveva dimostrato contro Shaka. Non era la prima volta che l'affrontava verbalmente, del resto.
"Avrei voluto esserci e vedere la sua faccia. Shaka, intendo dire." disse poi, vedendola ridacchiare con soddisfazione.

"Aveva gli occhi fuori dalle orbite." convenne Mei, poco dopo. "Sibilava come una serpe, furioso: ancora non ha capito che posso diventare peggio di una vipera se qualcuno tocca le persone che mi sono care. Dohko e Camus hanno addestrato allievi degni di questo nome, non animali come lui. Con tutto il rispetto per gli animali, s'intende."
Si schiarì la voce, cercando con cura le parole da adoperare.
"Su una cosa, però, Shaka aveva ragione. Tu non puoi sapere com'era Isaak, ma non era proprio un sant'uomo. Ha davvero fatto a Kiki ciò che ti ha raccontato."
"So com'è Camus." precisò. "So che non ha mai dato certi insegnamenti e tanto per la cronaca, se Kanon è abile anche solo la metà di suo fratello nel distorcere la realtà e manipolare la gente, allora possiamo anche dare una risposta al comportamento di Isaak durante la battaglia contro Poseidone."
"Per certi versi Saga è un agnellino in confronto. Tu non lo conosci così come non conosci Isaak."
"Sai, è difficile conoscere a fondo una persona, anche se con lei ci trascorri la vita, o sei costretta ad averla tra i piedi di continuo. Ne ho avuto prova non molto tempo fa."
"Come vuoi. Comunque, Kanon ha solo riportato alla luce certi atteggiamenti di Isaak, non ha dovuto faticare molto." osservò Hyoga.

"Che ci piaccia ammetterlo o no, tutti abbiamo una vena di cattiveria nascosta in noi, senza alcuna eccezione. Io ne ho una bella grossa e non ne ho mai fatto mistero, Camus ha la sua e beh, è dannatamente bravo a usarla, quando vuole. Anche tu... per quanto ti piaccia recitare la parte dell'allievo perfetto e senza macchia –e non lo sei - ne possiedi una. Hai ampiamente dimostrato che come il tuo Maestro, quando vuoi, sei abile nell'usarla."
 
*
 
Tre cimiteri in un pomeriggio: Camus si sentiva emotivamente e fisicamente stanco, soprattutto dopo la visita obbligata alla tomba di famiglia. Dopo Beijing e Parigi, eccoli infine a Kobotec, dove Mei l'aveva costretto ad accompagnarla.
"Come mai hai insistito tanto per venire qui?"
"Jurji rientra in quella rosa di persone che ho pregato per le Anfidromie, e ti ricordo che Alexandre porta anche il suo nome. Una pianta e una visita alla sua tomba mi sembrano il minimo, non ti pare? Andrei anche da Natassia, se sapessi dove si trova."

Camus si schiarì la voce.
"Non tocchiamo quest'argomento, per favore. Vado dal guardiano a chiedere dov'è sepolto Jurji."
Mei scosse la testa, intravedendo Hyoga una ventina di metri a est, distratto da qualcosa: un corteo funebre, proveniente dalla piccola chiesetta ortodossa a fianco del camposanto. A giudicare dalla bara bianca e piccola, doveva essere un bambino.
"Era qualcuno che conoscevi?" domandò a Hyoga.
"Conosco la sua famiglia. Ma le mie maledizioni hanno colpito la persona sbagliata." le rispose. "Irina. Una nipote di Oleg." aggiunse dopo qualche secondo, quando notò il suo sguardo interrogativo. "Il mio bersaglio era lui, non la bambina."

"Mi sarei stupita del contrario."
Hyoga assottigliò lo sguardo, notando il vecchio Oleg in fondo al camposanto, dietro il figlio e la nuora distrutti dal dolore.
"Adesso sai che cosa si prova." borbottò, in russo.
"No, Hyoga. Questo no. Per quanto quell'uomo meriti di soffrire per il male che vi ha fatto, non dovresti neanche pensare certe cose. Porta male, soprattutto ora che Freya è incinta." Mei s'interruppe guardando, con un groppo in gola, la nuora di Oleg prostrarsi sulla bara della figlia. "Nessun genitore dovrebbe piangere suo figlio, è ingiusto e contro natura e sono certa che preferirebbero esserci loro là dentro, al posto della figlia. E poi, pensa a questo: se al posto di quei due genitori ci fossi tu?"

"Cosa succede?" Camus spuntò alle loro spalle, parlando a bassa voce.
"La nipote di Oleg." Hyoga gli indicò il gruppetto di persone riunite intorno a una fossa.
"Svetlana?"

"Irina."
"Oh. Il Karma gira, Oleg."

Mei inarcò un sopracciglio, guardando prima l'uno, poi l'altro.
"Adesso ho capito da chi hai preso, certo non da quella santa donna di Natassia."
"Riguardo cosa?"
"Porta male, malissimo, pensare certe cose. Soprattutto quando lui sta per avere un figlio e noi ne abbiamo quattro, tre dei quali di poche settimane: quel Karma potrebbe ritorcersi contro di noi! Ricordatevelo, prima di vomitare certe cattiverie. Vogliamo andare, adesso? Per quanto mi riguarda abbiamo già ampiamente sfidato gli Dèi. Vergognatevi, tutti e due."

Tornati all'ingresso laterale del cimitero, Camus spiegò una cartina.
"Il guardiano ha preferito indicarmi la tomba sulla mappa piuttosto che accompagnarci." borbottò, seguendo le indicazioni. "Sciocco superstizioso: dice che nessuno vuole più seppellire i parenti accanto alla tomba di Jurij perché sentono energie negative provenienti da quel posto."
A Mei non piacque il tono usato da Camus, ma preferì lasciar correre. Posò lo sguardo sulla tomba, sola in un piccolo appezzamento di terra dimenticato da tutti, circondata da altri appezzamenti pieni di lapidi e rigogliosi sempreverdi.
"Io sento solo molta tristezza. E tanta, troppa ignoranza." sospirò, infilando dei guanti da giardinaggio e iniziando a strappare le erbacce incolte.

"Anche questo, povero papà." mugugnò Hyoga.
"Certa gente non ha rispetto per i vivi, figuriamoci per chi non lo è più." aggiunse Mei. "C'è bisogno di ricalcare le lettere, alcune sono così sbiadite che si fatica a leggerle: la prossima volta vedrò di portare dell'inchiostro apposito."
"Grazie."
Appesa alla croce sulla sommità della lapide, una specie di lungo rosario ripiegato in più giri: Mei lo toccò con delicatezza, rigirando la medaglietta appesa insieme a una nappina e una croce ortodossa.
Chiuse gli occhi, mentre iniziavano a balenarle in testa scene che dovevano essere avvenute in quello stesso cimitero almeno due decenni prima: una valigia posata accanto alla lapide, una donna palesemente incinta mentre si inginocchiava e pronunciava qualche parola, prima di sfilarsi dal polso quello stesso rosario e appenderlo alla croce.
"Una corda da preghiera." commentò Camus, adocchiando il monile, che una volta doveva esser stato completamente nero, ma che ora, nei punti esposti al sole, virava verso il grigio. "Un chotki ortodosso. Chissà chi l'ha lasciato qui..." si voltò cercando con lo sguardo le altre lapidi, ma erano tutte spoglie. Ben curate, ma spoglie.
"Natassia." commentò Mei, leggendo le incisioni sulla medaglietta. "Questo rosario è stato creato per tuo padre, da parte di tua madre. L'ho vista quando ho toccato il rosario."
Hyoga si chinò verso la lapide di suo padre, sfiorando le incisioni con le dita e pronunciando qualcosa in russo.

"Può averlo lasciato chiunque." minimizzò Camus.
"Dici? Evitano come la peste quest'angolo di cimitero ma si scomodano per lasciare un rosario? Un po' contraddittorio, non trovi? L'ho vista appoggiare una valigia proprio qui accanto, fare tre volte il segno della croce e inginocchiarsi in questo punto nonostante il pancione. Parlava di Yura, Leningrado e di qualcos'altro che non saprei ripeterti."

"Hai anche le visioni, adesso?!"
"Non usare quel tono con me. Da qualche tempo ho delle percezioni, soprattutto quando sento qualcosa vicino che non posso vedere. Natassia dev'essere qui, perché mi ha trasmesso dei ricordi attraverso quel rosario."

"Com'era fatta la valigia?" domandò Hyoga di punto in bianco, sorprendendo entrambi.
Mei riportò alla memoria i dettagli di quanto aveva appena visto.
"Azzurra, con gli angoli rinforzati e due spesse cinghie marroni." rispose senza esitazione.
"Oh, ma dai." sbuffò Camus.
"Non ti azzardare! Posso sorvolare sul fatto che tu non creda a certe cose, ma non osare darmi della bugiarda." sbottò Mei, inalberandosi. "Credi che abbia sputato le prime cose che mi sono balenate in mente?" liberò con stizza dal cellophane la piantina che aveva portato con sé e si rialzò, brusca.
"Mia madre possedeva una valigia di quel colore. La ricordo bene, anche perché al momento del naufragio, in quella valigia, c'era il mio gioco preferito. Beh... era il solo che avesse potuto permettersi di comprarmi ed era il mio unico gioco, per forza di cose lo consideravo il mio preferito."
Ancora se lo ricordava, quel giorno: aveva desiderato così tanto quel robottino, che aveva chiesto a Natassia di tenerlo in valigia per paura che si sciupasse durante il viaggio.
Che idea grandiosa.
"E Yura è il vezzeggiativo di Jurij quindi sì, è qui che ha detto addio a Kobotec, prima della sua fantastica decisione di tornare, quando ero bambino."

"Tua madre ha preso la decisione che in quel momento riteneva più giusta, non sta a te decidere se sia stata una buona idea o no. E in secondo luogo, sono certa che, se avesse potuto, ti avrebbe acquistato tanti di quei giochi da riempire una casa. Ti ha dato la vita e te l'ha salvata, direi che sono doni ben più preziosi di un robottino." lo riprese Mei con severità, estraendo da un portaoggetti una serie di strumenti da giardinaggio per piantare, vicino alla tomba di Jurij, un sempreverde.
"È un abete?" Camus si schiarì la voce.
"Un cipresso. Le radici si sviluppano in verticale e non c'è rischio che queste vadano a intaccare la sepoltura." replicò, secca.
"Dai, Mei..."
"Dai un accidenti. Non sai quanto mi fa arrabbiare questo tuo atteggiamento. Prima o poi chiederò a mia madre di venire a tirarti i piedi mentre dormi."

"Perché non Degél?"
"Perché lui non lo farebbe mai."

"Lo sai che mi dispiace..."
"Lascia perdere." replicò lei, afferrando un bagna fiori che qualcuno aveva abbandonato tra le lapidi. "Vado a prendere un po' d'acqua."
"Aspetta, vado io." interloquì Hyoga. "La pompa dell'acqua è arrugginita e dura da manovrare."
"E io ho forza nelle braccia e l'antitetano." rispose Mei, prima di avviarsi.

"...un passo avanti e due indietro." commentò Hyoga. "Perché semplicemente non accetti questa sua capacità?"
"Intanto nessun passo indietro." puntualizzò Camus, stizzito. "Secondo, è un tasto che non mi piace toccare."
"Io penso che tu sia geloso. O spaventato. Oppure entrambe le cose." Hyoga abbassò la voce per non farsi sentire da Lixue, pochi metri avanti a loro, intenta a trafficare con la piantina.
"Sarei geloso...dello spirito del mio predecessore? Ti ascolti, quando parli?"
Negli ultimi tempi Mei spariva anche per ore da qualche parte al Santuario, in un luogo in cui lui non aveva accesso. Erano certi segreti a disturbarlo, le cose che Mei non gli diceva e che preferiva dire a Degél, quelle cose di sua moglie che l'altro si prendeva, a scapito suo. Quella sensazione di... tradimento emotivo che avvertiva da un po' e che, per quanto irrazionale fosse, non riusciva a cacciare via.

"Allora la tua è paura. Di cosa? È dei vivi che bisogna aver paura, non dei morti. E soprattutto non di mia madre, che Dio l'abbia in gloria." aggiunse Hyoga, facendosi il segno della croce.
"Tu non capisci."
"Prova a spiegare."

Mei tornò indietro con il bagna fiori colmo d'acqua, e senza profferire parola iniziò ad armeggiare intorno alla tomba con i suoi strumenti.
"Hai detto che questi fenomeni sono apparsi da poco tempo?" domandò Camus, dopo qualche minuto di silenzio insostenibile.
"Da quando i miei incubi hanno avuto termine."
"Cioè da quel pomeriggio al tredicesimo tempio?"
"Sì."

Camus rimuginò sulle sue parole, facendo attenzione a come risponderle per evitare altri battibecchi.
"Perciò... vuoi dirmi che nei pochi istanti in cui la tua mente e quella di DeathMask sono entrate in contatto, lui ti ha trasmesso un suo potere?"

"Non proprio, non esagerare." obiettò Mei. "La sola cosa che ho notato di diverso in me è che ora posso vedere parte della vita di una certa persona, quando tocco qualcosa che è appartenuto allo spirito. Ti ricordo che DeathMask può evocare gli spiriti e usarli a suo piacimento, io no."
"So perfettamente di cosa è capace, e Athena sola sa che cosa potrebbe succedere se quello squilibrato evocasse lo spirito sbagliato."

"Quindi, avresti preferito qualcos'altro? Che so, una doppia personalità? Non sei capace di gestirmi con una, figurati due." sogghignò Mei. "Pensaci, prima di dire sciocchezze."
Sistemò il terriccio intorno alla base del cipresso e si pulì le mani con il residuo d'acqua del bagna fiori, prima di rivolgere il saluto taoista alla lapide di Jurji.
"Spasibo, spasibo bol'shoye, Jurji." mormorò, ringraziandolo per l'aiuto ricevuto.


*
 
"Perché siamo venuti qui d'improvviso?"
Hyoga si schiarì la voce.
"Perché Camus è fuori casa. Se ci avesse visto andare via insieme, avrebbe iniziato a fare domande, e mi pare di capire che tu non voglia sollevare certe questioni prima di settembre."

obiettò Hyoga, seguendola dentro il negozio di Zoya e sua madre, dove li stavano aspettando per la prova dell'abito da sposa: abito che, tra le cose, era esposto su un manichino in attesa di essere indossato.
Zoya e sua madre erano su di giri: avevano lavorato a lungo su quell'abito e non vedevano l'ora di mostrarle ogni ricamo.

"Odnu minutu, pozhaluysta. Un minuto, per favore." sorrise loro, nascondendo, per quanto possibile, il disappunto.
Hyoga sgranò gli occhi, sorpreso, ma non fece in tempo a chiederle delucidazioni che squillò il suo cellulare.
"Scusami tanto, ho dimenticato di spegnere il telefono... è Camus. " precisò corrugando la fronte quando si accorse del nome comparso sul display del cellulare.
"Ignoralo." borbottò Mei, passando rapida al greco.

"Come, scusa?"
Avrebbe dovuto scambiare due parole con Freya, che mesi prima aveva insistito per offrirle in dono l'abito facendole scegliere la stoffa e mostrandole un modello di abito tradizionale che le era piaciuto, certo, ma che aveva immaginato in un altro colore. Se non rosso, un bel punto di blu che in Russia era considerato di buon auspicio per una sposa.

"Quando dico che ho seri problemi a indossare il bianco, non è per colpa di un'idiosincrasia, è per una seria questione culturale. Possibile che non ci sia una, dico una sola persona disposta a rispettare la mia religione, a parte Shiryu? Eppure non è così difficile."
Il telefono riprese a squillare, e Mei sbuffò, prima di tornare da Zoya.
Camus l'avvertì che sarebbe tornato di lì a poco, il tempo di uscire dalla tangenziale; Hyoga si trovò a sperare nel traffico congestionato di Atene affinché lo trattenesse il tempo necessario a riportare Mei a casa senza destare sospetti.
"Sta tornando a casa. Camus, voglio dire... sta tornando a casa."
"Beh, mi spiace per lui ma spero che resti imbottigliato nel traffico."
"...è in moto."
Mei sbuffò.
"Accidenti." borbottò, dietro il paravento dietro il quale, aiutata da Zoya, si stava infilando il vestito. "Mal che vada, diremo che siamo passati a lasciare qualche fiore a Natassia."

"Certo, così è la volta buona che mi fa lo scalpo."
"Perché?"
"Camus si arrabbierebbe moltissimo anche solo a pensarti sul luogo del relitto e inoltre mia madre è in un posto difficile da raggiungere, non vado da lei da anni perché non posso spingermi alla profondità in cui è stata spin-... in cui è scivolata."

Dopo qualche secondo di silenzio, Mei riprese.
"Come sarebbe? Vorresti dirmi che tempo fa ti tuffavi in quelle acque gelide per raggiungere tua madre? Voi guerrieri dei ghiacci siete matti da legare."

"A quanto pare..."
"E perché ora non puoi più?"
Perché è stato Camus a impedirmelo, avrebbe voluto risponderle. Non lo fece naturalmente, preferendo metterci una pietra sopra per quanto quella ferita, nonostante gli anni, non si fosse mai rimarginata del tutto.
"Le correnti, sai. Sono molto potenti e spesso, troppo spesso, combinano solo problemi." le rispose invece.

Mei uscì finalmente da dietro il paravento, avvolta dal suo vestito da sposa: ricordava molto un abito tradizionale che aveva visto in un'antica foto della famiglia imperiale russa, anche se le maniche e il tessuto utilizzato, meno elaborato rispetto agli abiti delle nobildonne Romanov, lo rendevano più semplice ed elegante.
"Faccio pena, eh?" gli domandò, in greco.
"Affatto." le rispose ammirato, mentre Zoya le sistemava il velo in testa.
"...ho quattro figli, Hyoga, il velo non sarà un tantino eccessivo?"
"Si chiama kokoshnik, e fa parte del sarafan."

"...è che non vorrei sembrare ridicola, insomma, una cinese in un vestito russo..."
"Ti assicuro che non lo sei."
Zoya corrugò la fronte, non comprendendo il discorso tra i due.
"C'è qualche problema?" domandò.

Mei si scusò, spiegandole che sperava di apparire al meglio e che sarebbero dovuti scappare quanto prima perché Camus altrimenti avrebbe potuto scoprire tutto prima del matrimonio. Prima di togliersi con cautela il vestito, intravide un secondo manichino, di foggia maschile, sul quale facevano bella mostra di sé un paio di morbidi pantaloni neri e una camicia tradizionale, cucita con la stessa stoffa del suo abito.
"Gli stivali arriveranno più avanti, li stiamo confezionando seguendo il modello di quelli che ci hai fornito un paio di settimane fa, ma come vedi, il resto c'è tutto." spiegò Zoya, infilando in un sacchetto la camicia e il paio di pantaloni che Mei le aveva portato per prendere le misure. "Spero sia tutto giusto."
"Cercherò di attirarlo qui con qualche scusa, non preoccuparti."
"Conoscendolo, farà troppe domande." lo interruppe Mei.
"Potremmo usare mio figlio. Come scusa, intendo dire." disse quindi Zoya. "Nascerà il prossimo mese e potrei dire che sono i vestiti che indosserà al battesimo."

Mei sperò che quella scusa reggesse, dal momento che Camus aveva già ampiamente notato la scomparsa di una delle sue camicie preferite; tornati al Santuario, ebbe il tempo di infilare la camicia nell'armadio come niente fosse, prima del suo ritorno.


"DeathMask, cercavo giusto te." esordì Camus, giunto davanti alla quarta casa.
"Cosa vuoi?"
Per niente colpito dal tono di DeathMask, si accese una sigaretta, apparentemente tranquillo.

"Lixue, raggiungi tua madre." disse alla figlia, porgendole i due caschi. "Fai attenzione a non farli cadere."
"Ciao Tore." salutò Lixue, prima di prendere di corsa le scale.
"Ciao, Memè." le rispose DeathMask, sempre chino sul cofano della propria auto.

"Tua moglie non è da me, tanto per la cronaca. L'ho vista salire al vecchio osservatorio. Cos'è, stai per vietarmi di parlare con tua figlia o con Mei? Che hai paura, che possa farci qualcosa?"
"No." Camus scosse la testa, con un ghigno. "Conosci le conseguenze. Piuttosto... tu puoi evocare qualunque spirito in qualunque momento, dico bene?"
L'altro estrasse l'asta dell'olio motore e ne controllò il livello, prendendosi tutto il tempo del mondo per rispondergli, sapendo quanto Camus detestasse quel comportamento.

"E allora?" rispose. "Chi dovrei evocare, mammina?"
Camus socchiuse gli occhi, malevolo.
"Prova a evocare tua sorella, se ti riesce." rispose, gelido. Toccato nel suo unico tasto dolente, DeathMask strinse la presa sul cofano, finché le nocche non diventarono bianche.
"Cosa cazzo vuoi?" berciò, richiudendo il cofano con rabbia. "Sì. Posso evocare chi voglio, quando voglio, e allora?"
"Puoi anche avere delle visioni quando tocchi un oggetto appartenuto a un defunto?"

"Si chiama psicoscopia. Per rispondere alla tua domanda, sì. E allora?" ripeté per la terza volta.
"E allora, Mei ha iniziato a manifestare una specie di capacità simile da quando l'hai aiutata con il suo alter ego."
"Non credo sia possibile."
Camus raccontò velocemente quanto accaduto a Kobotec, e DeathMask sogghignò.
"Beh, significa che Mei possedeva già quella capacità, io l'ho solo attivata, ma comunque resterà sempre limitata: non può evocare chi vuole, può vedere solo chi decide di mostrarsi. Sembra che tu non voglia accettare il fatto di avere a che fare con una donna che possiede poteri straordinari, per quanto questi, purtroppo, siano dormienti. Se avesse sviluppato il Cosmo, tua moglie sarebbe stata una formidabile Silver. Ma comprendo la tua paura, del resto, se ne ha sempre riguardo quel che non si conosce e non si riesce a capire."
"Risparmiami la tua psicologia spiccia, per cortesia." sbottò Camus.

"Chiamala come vuoi, sai quanto m'importa?" berciò DeathMask. "Ma sappi che non la aiuti, quando mortifichi queste sue caratteristiche. Sei cresciuto in un mondo popolato da gente che è tutto fuorché normale. Tu crei ghiaccio con le mani... non dovresti deriderla, ma sostenerla."
Camus corrugò la fronte.
"Curioso. Pare che anche Mei ti abbia trasmesso qualcosa: cos'è questa improvvisa manifestazione di umanità?"

"Perché non vai a farti fottere?"
"Certe cose le lascio fare ai professionisti, sai: non mi permetterei mai di prendere il tuo posto." replicò Camus, schiacciando il mozzicone sotto il tacco prima di lasciarlo lì, con un palmo di naso.
Nel vecchio osservatorio, Mei si guardò intorno, controllando che la balconata del matroneo fosse vuota. Non le piaceva avere intorno gente mentre pregava e parlava con i defunti, a maggior ragione se era Camus a osservarla.
Sistemò con cura un mazzo di fiori sul tavolinetto e dispiegò l'involto con gli incensi, accendendone poi un paio, prima di prostrarsi in un inchino rituale in segno di rispetto.
"I fiori sono per tutti, ma la mela è per uno soltanto, mi spiace." disse ad alta voce, rialzandosi.
Estrasse una mela dalla tasca dell'aikidoji e la posò sulla mensolina sotto il ritratto di Kardia, sorridendo.
"Non sapete quanto vi sono grata, per quanto avete fatto per me e soprattutto per il vostro sostegno. Mi piacerebbe potervi ringraziare di persona e non solo guardando il vostro ritratto. Che Athena vi abbia in gloria." giunta dinnanzi al ritratto di Degél, baciò la rosa bianca che aveva portato insieme al mazzo di fiori prima di posarla sotto il suo ritratto. "Sapete già che cosa penso di voi, monsieur. Ciò che provo va molto oltre la gratitudine, ma temo di dovervi scomodare di nuovo, grazie a quei due sciocchi irresponsabili..."


Più tardi, anziché tornare subito a casa, decise di fare una piccola deviazione.

"Disturbo?"
"Certo che no, entra." le sorrise, notando in quel momento la reflex che Mei aveva appesa al collo. "Sei fortunata, Shaina è in giro per commissioni e abbiamo un paio d'ore."
Mei corrugò la fronte.
"Mi bastano pochi minuti, non voglio disturbare troppo."

"Nessun disturbo, anzi. Mi spoglio e sono subito da te... preferisci sul divano o in piedi?"
Se fosse stata single e non felicemente sposata, avrebbe persino preso in considerazione quell'invito.

"Per fare cosa, scusami?"
"Le foto... che cosa avevi capito? Non è per questo motivo che sei qui?"

"Sì ma... spiacente, la foto non devo farla a te."
"Peccato. Però per un attimo ci hai pensato, ammettilo."
"Che scemo." rise Mei, rilassandosi. "Non è colpa mia se in questo Santuario siete tutti dei bei ragazzoni." aggiunse, tornando poi seria. "Avrei bisogno di vedere il ritratto di Kardia."

Non comprendeva il motivo di quella richiesta, tuttavia le sorrise e le indicò la porta che separava la zona notte dal resto dell'ottava casa: il ritratto di Kardia era appeso proprio di fronte alla stanza di Nikos.
"L'avete spostato." notò Mei. "Lo ricordavo nel corridoio."
"Sì, ehm... per Nikos, sai." le rispose, un pochino imbarazzato.
Gli strofinò un braccio, sorridendo.
"Non ti imbarazzare: credo sia un bel gesto. La sua personalità forte non può che giovare a Nikos, e poi si tratta di Kardia, non di uno spirito guardiano qualunque. Pensa che a casa ho appeso la copia del ritratto di Degél in diversi punti, affinché possa proteggerci ovunque."
Nella Stanza degli Avi, nella parte di corridoio accanto alle stanze da letto, nel suo piccolo studio, ricavato nel sottotetto accanto alla stanza per lei più importante di tutta la casa. Lo portava persino addosso, nel medaglione portafoto che Degél le aveva affidato tempo prima.
Quest'ultimo dettaglio, però, preferì tenerlo per sé.

Accese la fotocamera e iniziò ad armeggiare con le varie ghiere sull'obiettivo, cercando la messa a fuoco perfetta, quando sentì Camus appena fuori dagli appartamenti privati di Scorpio.
"Mei? Sei qui?"
"Ti prego, fa che non si siano svegliati tutti e tre contemporaneamente." sospirò l'interpellata, controllando il display della reflex. "Oui, me voilà. J'arrive tout de suite."
Quando Camus l'ebbe raggiunta, Milo fece capolino dalla camera.
"Cielo, tuo marito!"
"Ma smettila." lo riprese Mei, ridacchiando.
"Non ci crederei nemmeno se vi vedessi con questi occhi." rispose Camus.
"Un'altra al posto di Mei avrebbe già ceduto." lo riprese Milo, divertito. "Ma ti è andata benone, è fedele come poche ed è immune al mio smisurato fascino."
"Non scherzare ti prego, o andrà a finire che mi manda in bianco: già basta un nonnulla per fargli passare la voglia, non ti ci mettere pure tu."
"Ah, perciò tra voi due è lui quello che usa la scusa del mal di testa."
"Oh già. E secondo te perché ho il cassetto del comodino pieno di aspirine?"
Mascherando l'imbarazzo con un colpo di tosse, Camus mosse un passo avanti.
"Vogliamo andare?"

 
*
 
Mei ritornò a letto, stanca: Alexandre e i suoi problemi al pancino avevano svegliato anche gli altri due, con risultati catastrofici per il suo sonno.
"Si sono addormentati, finalmente." bisbigliò, adocchiando l'ora sul comodino di Camus: le tre meno un quarto. "Alla mancanza di sonno ci sono abituata, al mal di testa lancinante no."

Camus si voltò verso di lei, sorridendole.
"C'è qualcosa che posso fare per voi, mia signora?"

"Mah, dipende. State bene o avete il mal di testa anche voi, messere?"
Lui parve pensarci un po' su, prima di scostare le lenzuola e rotolare su di lei.
"Dalla regia mi dicono che la testa è completamente operativa."

"Molto bene. E in cosa consisterebbe il vostro rimedio?"
"Sapete, recenti studi affermano che le endorfine rilasciate in determinati momenti siano di grande aiuto."

"Oh. D'accordo allora, datevi da fare."
Nonostante le schermaglie, però, Camus era distante. Pur essendo con lei, sentiva che qualcosa non andava bene: cos'era successo? Non aveva niente a che vedere con il battibecco a Kobotec, che avevano ampiamente chiarito, ma qualcosa lo impensieriva già dal pomeriggio appena trascorso e non riusciva a capire cosa.
"Cosa c'è?" gli domandò, mentre lui gemeva contrariato, sollevandosi su un gomito. Lo vide aprir bocca sul punto di dirle qualcosa, ma anziché parlarle, si limitò a scivolare nel suo lato del letto, lo sguardo fisso al soffitto.
"Cosa c'è che non va?" ripeté, accendendo l'abat-jour e accorgendosi del problema. "Oh. Tesoro, può succedere, non è niente di grave."
Camus si alzò, infilandosi in fretta i pantaloni della tuta.
"Tutto bene."

Lo seguì poco dopo, giusto il tempo di mettersi qualcosa addosso, e lo trovò in cucina, a trafficare col samovar, le mani tremanti.
"Lascia, faccio io." mormorò, togliendogli dalle mani la tazza.
"Mi dispiace." le disse dopo qualche minuto.
"Non hai nulla per cui dispiacerti, rilassati: il mal di testa mi è del tutto passato." scherzò Mei strofinandogli la schiena, incoraggiante. "Ti va di dirmi cosa c'è che non va?"

Non sapeva come parlarle, ad essere sincero. Non sapeva come spiegarle che lo infastidiva il fatto che preferisse farlo con Degél anziché con lui. Non sapeva nemmeno se fosse il caso di catalogare quel comportamento sotto la voce tradimento emotivo: insomma, poteva davvero definirlo tradimento?
"Preferisci restare solo?" proseguì Mei, fraintendendo il suo silenzio. 
Camus si schiarì la voce.
"No." le rispose. 
"Allora cosa c'è?" proseguì lei, scostando l'orlo dei pantaloni e gettandovi un'occhiata.
"Per favore Mei, così non mi aiuti!" sbottò lui.

Lo strinse a sé: il suo cuore batteva regolare sotto il suo orecchio, ma il suo corpo tradiva una certa tensione.
"Sai che ti amo." esordì lui d'improvviso. "Sempre, anche quando sei cocciuta e insopportabile. Ti amerò anche nelle prossime vite, e so che per te farei qualunque cosa. Ma sento che in qualche modo ti sto perdendo. Tu sei mia moglie, la mia amante e la mia migliore amica e ti amo come non ho mai amato nessuno. Ma forse non ti ho amato abbastanza e ti ho trascurata, al punto che preferisci confidarti con altri e non con me. Voglio che tu sappia che io ci sarò sempre per te e che qualsiasi cosa tu voglia dirmi, io sarò qui ad ascoltarti."
Mei si scostò e lo guardò, interrogativa.
"Non mi hai mai trascurata." sussurrò. "E se è per quelle rare serate Game of Thrones alla quarta casa, o le mie visite all'ottava, le diminuirò, se ti recano fastidio. Per quanto riguarda Degél..."
"No, no. Ascoltami non voglio limitarti, non voglio che tu smetta di frequentare le tue amicizie, per quanto qualcuna sia piuttosto discutibile e dopotutto Milo è mio fratello, ho affidato la tua vita nelle sue mani e affiderei la mia... su Degél sono contento per te, per questa tua, chiamiamola così, amicizia. Ma il fatto che tu preferisca confidarti solo con lui, questo tuo tenermi fuori da ciò che ti riguarda, mi rende infelice. Ho notato che a volte sparisci per interi pomeriggi e so che sei qui, ti sento, ma sei in un luogo a me inaccessibile e non so più cosa pensare: lo vedi di continuo, a lui dici cose che non dici a me."
Fu tentata di rivelargli l'esistenza della stanza segreta al terzo livello della biblioteca, ma doveva chiedere il permesso al diretto interessato per farlo: quel luogo  era troppo intimo, e per Degél aveva lo stesso significato che aveva per lei la Stanza degli Avi.
"C'è un luogo, in effetti, qui al Santuario, ma... senza il suo permesso non posso dirti nulla." disse Mei. "Torno a dormire, non fare tardi."
Quando si decise a tornare in camera, Camus notò che erano le quasi le quattro, e che Mei dormiva. Logico, pensò, con le energie costantemente prosciugate dai bambini era normale addormentarsi appena si sfiorava il cuscino. Si strinse a lei, scivolando nel sonno poco dopo.
Sonno che, tuttavia, non si rivelò tranquillo come avrebbe desiderato; oltre a rigirarsi più volte, ricevette anche una certa visita che al risveglio lo lasciò scosso.

 
Qualche ora più tardi, settima casa.
"Maestro, posso disturbarvi per qualche minuto?"
Dohko sollevò lo sguardo dal pentolino sui fornelli e annuì.
"Certo Camus, dimmi." sorrise, prendendo una terza tazza dal pensile e sistemandola sul tavolo, insieme a dei baozi dolci. "Spero ti piaccia, è un tè tibetano con zenzero e..." scorse rapidamente l'etichetta variopinta sulla busta "...bacche di goji. Tipico di Shion, sai, perdersi tra le bancarelle di Lhasa e tornare a casa con soprammobili, tappeti e tè di dubbio gusto, che puntualmente cede al sottoscritto dicendomi ho visto questo e ho pensato possa piacerti. Una scusa bella e buona, diciamo che cede quel che non gli piace. Perché quando si tratta dei momo con le patate, non li cede neanche sotto tortura." aggiunse, abbassando la voce sulle ultime parole.
"Ti ho sentito." interloquì l'interessato, dalla stanza a fianco.

"Lo so, l'ho fatto apposta. Allora, Camus, cosa c'è che non va?"
"Posso passare più tardi, se ora avete altri impegni."
"Oh, non ti preoccupare. È giorno delle grandi pulizie al tredicesimo, e Fedra non ama avere intorno gente quando rassetta. Diciamo pure che tanto qualcuno sarebbe comunque sceso dal suo scranno d'oro per scroccare la colazione."   

Strinse le mani intorno alla tazza di tè, prima di decidersi a parlare.
"Mi domandavo se... è possibile per un fantasma entrare nei sogni di qualcuno."
"Uno spirito, intendi dire?" rispose Dohko. "Sono incorporei, possono oltrepassare i limiti delle dimensioni e del tempo, hanno poteri che noi possiamo solo immaginare. Le leggi del mondo paranormale sono a noi incomprensibili, quindi sì, direi che è possibile. Lasciami indovinare: Degél?"
"Sì." annuì Camus.
"È per questo che sei turbato."

Non era l'aggettivo più adatto, ma lo prese per buono.
"Non proprio, io..."
"La mia non era una domanda." obiettò Dohko. "Non dovresti, Degél era un pezzo di pane e sicuramente ha altro cui pensare che riempirti di incubi. Era fatto a modo suo, era introverso e tanto, tanto noioso a volte, ma era una bravissima persona."

"Non ho mai pensato il contrario..." rispose Camus.
"Suvvia, non ti offendere, sai che lo dico bonariamente."
"Prego?!"
"Non sta parlando con te." Shion, di ritorno dallo studio di Dohko, si accomodò al tavolo.
"...ci sono solo io, qui." obiettò Camus, inarcando un sopracciglio.

"Non esattamente."
"Oh ma dai. Quando iniziavi a parlare di astronomia e fisica non ti fermava più nessuno. Pensa, Camus, che quando dal Regno Unito gli giunse la notizia della morte di Halley, uno dei suoi astronomi preferiti, restò a lutto per due settimane buone e per giorni non parlò d'altro. Giuro. Se poi il discorso era riferito a Bluegrado era capace di parlare per ore, anche perché a dire il vero non era esattamente della città che volevi parlare, ma della sua bellissima signora. Smettila, sai che non puoi colpirmi, sei incorporeo. Incubi, dici? Conoscendoti, anche i tuoi incubi sarebbero noiosi."

Camus si schiarì la voce: era sceso alla settima casa per avere delucidazioni e non aveva risolto assolutamente niente.
"Grazie del tempo che mi avete dedicato, ora devo proprio andare." disse, sospingendo in avanti sul tavolo la tazza vuota.
"Ecco fatto, ora mi crede uno svitato, Deg, ti ringrazio."

"Hai sempre avuto le rotelle fuori posto, non incolpare Degél." osservò Shion.
"Grazie, Shion." Dohko levò gli occhi al cielo, poi fermò Camus sulla porta. "Degél mi sta dicendo che il luogo che stai cercando si trova nella vostra biblioteca, ed è protetto da due chiavistelli nascosti nella modanatura: te li mostrerebbe, ma sarebbe inutile dal momento che non lo vedi."
"...sì. D'accordo. Arrivederci, Maestro."
"Ha anche aggiunto di guardare dentro una cassapanca blu, nella quale ha riposto i suoi diari. Dice che puoi sentirti autorizzato a leggerli."
Proruppe in un sorrisino di circostanza e annuì.
"Certo."
Dohko lo seguì fuori dagli appartamenti privati, guardandolo con cipiglio severo.
"Un'ultima cosa, Camus. Questo tuo tono condiscendente, a lungo andare, finisce col dare sui nervi e ti posso assicurare che Degél non è facile da gestire quando è irritato. E neanche io."

"Tu sei sempre ingestibile, ma del resto sei della Bilancia..."
"Vecchio caprone brontolone." borbottò Dohko, ai danni dell'amico.

 
Approfittando del bel tempo, Mei portò i bambini in spiaggia, concedendosi un po' di tranquillità mentre Camus, con la scusa più gettonata in quel caso –le efelidi e la sua facile inclinazione a diventare color aragosta- ne approfittò per restare in casa.
Non era per niente convinto del suo scambio di parole con Dohko, che non aveva fatto altro che confonderlo, a dire la verità. Ma qualcosa, dentro, lo aveva convinto a fidarsi.
Si chiuse alle spalle la porta a doppio battente che separava gli appartamenti dalla biblioteca ed eccola lì, la preziosa eredità del suo predecessore: migliaia di volumi, accuratamente ordinati secondo un criterio che lui non aveva osato modificare e che aveva, anzi, adottato a sua volta.
Oltrepassò la ricca sezione di astronomia che Degél aveva arricchito con cura maniacale grazie anche alle infinite notti insonni trascorse in compagnia di telescopio e carte celesti e andò alla ricerca dei chiavistelli citati da Dohko.
"Ancora mi domando perché ti affanni tanto per lui."
Degél sospirò, senza distogliere lo sguardo dal suo successore, intento nella sua ricerca.
"Non lo sto facendo solo per lui." obiettò, rispondendo a Kardia. "Loro hanno possibilità che io e Seraphina non abbiamo avuto, e non posso restare inerte a guardarli allontanarsi l'uno dall'altra a causa mia."

Guardarono entrambi Camus corrugare la fronte, afferrare un libro e borbottare tra sé e sé qualcosa riguardo ai libri rimessi nei posti sbagliati.
"In questo ha ereditato molto da te." notò Kardia. "E secondo me, sarebbe meglio dargli qualche indicazione, o andrà a finire che vagherà ore qui dentro. Sai che non amo le biblioteche..."

In effetti aveva ragione, pensò Degél, prima di decidersi a dirigere il successore verso la scala a chiocciola e il terzo piano.
Dohko aveva parlato di due chiavistelli; Camus si diresse titubante verso una parte di parete spoglia.
Ma che sto facendo? si domandò, osservando con cura il pannello intarsiato di ciliegio, cercando qualcosa che non era neanche sicuro di trovare.
Ma eccoli lì, invece: uno in alto e uno in basso, che aprì con uno scatto del piede. Oltre il pannello girevole, qualcosa che non aveva mai immaginato potesse esistere.
Una stanza grande quanto la camera da letto, arredata con mobilio secolare: due bauli, un secretaire, una poltroncina e una chaise longue, un tavolinetto basso e un cassettone a sette cassetti. Il resto dello spazio era occupato da una libreria piena di volumi, un telescopio, diversi strumenti astronomici; il tutto era stato ripulito dalla coltre di polvere accumulata dai secoli.

"Per Athena..." mormorò. Avvicinatosi al secretaire, sfiorò appena la piuma accanto al suo elegante calamaio di vetro, l'attenzione rivolta a un diario di pelle fulva, sulla cui copertina spiccava una rosa dei venti. Non osò aprirlo, nonostante le parole di Dohko.
Mi sembrava di averti autorizzato a leggere i miei diari, se non vado errato. La voce gli arrivò nitida nella sua mente, come se lì con lui ci fosse davvero un interlocutore.
La calligrafia di Degél era molto elegante, tipica della sua epoca. Certo, non era tutta ghirigori e svolazzi, ma era ordinata e comprensibile, anche se gran parte del lessico utilizzato comprendeva termini aulici e quasi del tutto caduti in disuso; gran parte delle pagine di quel volumetto conteneva racconti di viaggi, impressioni, scarabocchi e disegni: doveva essere un grande osservatore e un ragazzo particolarmente attento ai dettagli.

Su una pagina, ad esempio, campeggiava un bel disegno del Colosseo, datato maggio 1738, su un'altra, la facciata del palazzo reale di Könisberg, disegnato quella stessa estate. Un ritratto di donna invece occupava due pagine: una ragazza poco più che maggiorenne, dai tratti delicati e grandi occhi espressivi. Dal vivo, pensò, doveva essere stata molto bella.
"Seraphina" sussurrò, leggendo il nome vergato in calce, accanto alla data febbraio 1739. Tra le pagine, su un foglio a sé, un messaggio privato per Degél, dalla ragazza del ritratto: un carme di Catullo, se non ricordava male. Adocchiato un libro sul cassettone, lo aprì all'altezza del segnalibro, trovando un secondo messaggio, questa volta vergato da Degél.
"Soles occidere et redire possunt: nobis, cum semel occidit brevis lux, nox est perpetua una dormienda." lesse.   
"I soli possono cadere e tornare; per noi, quando la breve luce cade, c'è il sonno di una notte senza fine." tradusse qualcuno, accanto a lui. 
Lo sguardo fisso sulle pagine ingiallite di quella raccolta decisamente antica di Catullo, affascinato come sempre da tutto ciò che riguardava i libri, impiegò qualche istante prima di voltarsi. Qualcosa nel profondo aveva riconosciuto quella voce, ma non ricordava né come, né dove l'avesse già sentita.
"Miei Dèi, dunque è tutto vero."
"Sei un uomo molto difficile da persuadere."
Degél si avvicinò, sbirciando il suo libro preferito nelle mani del suo successore, mentre Camus lo osservava sbigottito. Alto quasi quanto lui, vestito con un elegante ma sobrio habit à la française verde scuro e i capelli legati in una morbida coda bassa, modi di fare signorili, un vago sentore di una colonia alla lavanda.
"Certo che è tutto vero. Ricordo bene quel libro... l'ho riletto fin quasi a consumarlo. Sai, questo libro ha avuto padroni che tu non puoi immaginare: lo ricevetti in dono insieme all'Eneide da Luigi XV in persona, direttamente dalla sua biblioteca personale. Stratega mediocre, poco interessato alla politica ma... possessore di una cultura squisita. Ricordo che era piacevole conversare con lui. Buon cielo, Camus, siediti. Sembra che tu sia sul punto di perdere i sensi da un momento all'altro."

Incredulo, Camus seguì il suo consiglio e si sedette, continuando a fissare con occhi sgranati il suo predecessore accarezzare in punta di dita i dorsi delle varie copertine, fino a prendere un libro tra i tanti, aprirlo e affondare il naso tra le pagine.
"Non sai quanto mi sia mancato poter tenere un libro tra le mani e sentire l'odore della carta. Custodisci come un tesoro i tuoi, i nostri libri, Camus: una biblioteca ben custodita è l'eredità più preziosa che un uomo possa lasciare ai posteri." continuò Degél. Alzato il naso dal volume, guardò Camus diretto negli occhi. "Sapevo che sei un uomo di poche parole, ma non credevo così poche."

 
***
Lady Aquaria's corner
-Il titolo fa riferimento all'omonimo brano dei Within Temptation
-Il Chotki ortodosso, conosciuto anche come corda da preghiera, assomiglia in minima parte a un rosario cattolico, ma presenta differenze culturali non indifferenti. È formato da un cordone di lana annodata con una successione di nodi molto particolari (solitamente 100, ma alcuni arrivano anche a 300) che vengono tessuti attraverso la preghiera e la meditazione. Durante la tessitura, vengono recitate delle invocazioni e delle preghiere per una specifica intenzione  indicata dalla persona che utilizzerà e indosserà il chotki. Ogni 10 o 225 nodi si trova una perlina, per aiutare nel conteggio delle preghiere e indicare il punto in cui eseguire una prostrazione o un gesto di adorazione. il cordone termina con una croce, anch'essa fatta di nodi, e con una nappa, che rappresenta il regno dei cieli, a cui si può arrivare passando dalla croce, e che viene usata per asciugare le lacrime dell'orante.
-A questo punto della storia, Mei ha imparato a parlare un po' di russo. Lo specificherà prossimamente, quando dirà a Hyoga del corso di lingue che sta frequentando in vista della cerimonia.
-Memè, il diminutivo che DeathMask usa nei confronti di Lixue, deriva dal nome europeo di quest'ultima, Aimée.
-Baozi, sono panini al vapore solitamente dolci, e i Momo, tibetani, assomigliano ai ravioli della tradizione cinese, e presentano vagamente lo stesso tipo di ripieno.
-Per me Shion e Dohko condividono un'amicizia secolare forte, se non di più, come quella che lega Degél a Kardia e Camus a Milo.
-Edmond Halley, astronomo inglese vissuto a cavallo tra il sedicesimo e il diciassettesimo secolo, è morto nel 1742, un anno prima della morte di Degél.
-Könisberg (l'attuale Kaliningrad) era una fiorente capitale baltica della Prussia. Il suo palazzo reale, edificato nel tredicesimo secolo, subì radicali restauri nel corso dei secoli per finire demolito nel 1968 sotto il governo di Brèžnev. Era la residenza secondaria di Federico Guglielmo I di Prussia.
Nei miei personali headcanon riguardanti Degél, in virtù del suo ruolo di ambasciatore e diplomatico del Santuario (ruolo che in qualche modo ricopre anche Camus) ha potuto viaggiare parecchio per il mondo, conoscendo personalità importanti per l'epoca, da Luigi XV di Francia, passando per Federico di Prussia. Più volte ho insistito, anche in altre drabble/one shot, delle sue frequentazioni nelle corti europee.
-Infine, il verso citato da Degél è di Catullo, estrapolato da uno dei suoi carmi più celebri.
Per questo capitolo le note si chiudono qui. Grazie per aver letto fino qui, alla prossima!

 

Lady Aquaria
 
 
   
 
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