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Autore: Lamy_    25/02/2019    0 recensioni
Ivar, oltre a possedere la fama di essere ‘’senza ossa’’, è anche noto per essere ‘’senza cuore’’. La sua condizione fisica gli ha procurato sin dalla nascita atroci sofferenze, emarginazione, e solitudine. L’unico barlume d’amore era sua madre Aslaug, che lo ha salvato da morte certa e lo ha sempre protetto, volendogli più bene degli altri figli. La vita di Ivar cambia quando arriva Hildr, la nipote orfana di Floki. Tra i due nasce una profonda amicizia che li lega in modo indissolubile e che li porterà a schierarsi sempre dalla stessa parte. A spezzare l’equilibrio, però, è la nomina del Senza Ossa a Re di Kattegat e il suo matrimonio con Freydis.
Ma quale sentimento si cela davvero dietro l’amicizia di Ivar e Hildr?
La sofferenza, il sangue e l’amore si scaglieranno su di loro come il fulmine di Thor sulla terra infrangendo promesse e spezzando cuori.
Genere: Azione, Guerra, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ivar, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2. LA VITA E LA MORTE

Un anno prima.
Hildr come ogni giorno, dopo aver aiutato Floki, si recò presso la dimora reale per incontrare Ivar. Al suo arrivo, però, non trovò nessuno dei ragazzi. La regina Aslaug sedeva attonita sul suo trono, sembrava una statua. Piangeva sommessamente.
“Mia signora, state bene?” domandò Hildr con una nota di preoccupazione nella voce. La regina si asciugò frettolosamente le guance e prese un respiro.
“Vai al mercato.” Le disse solamente, poi riprese a singhiozzare. Hildr corse più veloce che poté verso il centro della città col cuore che batteva forte per paura che fosse successo qualcosa ai suoi amici. Temeva soprattutto che fosse successo qualcosa di brutto ad Ivar e accelerò la corsa.  I polmoni quasi le bruciavano, il sudore la infastidiva, ma lei procedeva senza fermarsi. Da lontano scorse la folla che attorniava una figura maschile. Si fece strada a spintoni tra le persone e si lasciò scappare un sospiro di sollievo quando vide Ivar sano e salvo. Con lui c’erano i suoi fratelli e tutti guardavano Ragnar. Hildr si arrestò per la sorpresa, non si aspettava di rivederlo. Tutti lo davano per disperso, eppure aveva fatto ritorno a Kattegat. Era invecchiato e la sua salute appariva malconcia, però il suo carisma non era stato scalfito né dal tempo né dalla sofferenza. Stava abbracciando Ubbe mentre gli altri figli lo osservavano per essere sicuri che fosse davvero lui. Ivar incrociò lo sguardo di Hildr e sorrise, la sua espressione era quella di un bambino contento che suo padre fosse ritornato. Hildr fece un sorriso falso, non era certa che il ritorno di Ragnar fosse un bene. Floki le aveva riferito che il Veggente gli aveva profetizzato che una bufera si sarebbe abbattuta su di loro qualora il re fosse ricomparso.
“Andiamo a casa.” Disse Ubbe, dopodiché Ragnar fu guidato verso la sua vecchia dimora. Il re si fermò solo per guardare Hildr e accarezzarle la guancia con la sua mano callosa.
“Hildr, sei cresciuta. E noto che sei ancora legata ai miei figli.”
“Re Ragnar, bentornato.” Lo salutò lei con un mezzo inchino.
“Vieni anche tu.” Le disse Ivar, e Hildr lo seguì ancora intontita da quell’incontro. Un brutto presentimento si fece spazio nel suo cuore.
 
“Allora, fratelli, che ne pensate della proposta di nostro padre?” chiese Ivar, seduto su un tronco mentre si rigirava tra le dita uno dei suoi coltelli. Si erano radunati nel bosco per riflettere su quanto era accaduto. Ragnar aveva proposto loro di seguirlo in una spedizione nel Wessex per vendicare la distruzione della colonia norrena per ordine di Re Ecbert.
“Io non posso seguirlo, ho promesso a Bjorn che sarei andato con lui a razziare.” Disse Hvitserk piantando la spada nel terreno.
“Tu vorresti seguirlo? E come pensi di farlo?” lo prese in giro Sigurd, un sorriso sornione dipinto sulla faccia. Hildr gli diede uno scappellotto che gli fece battere i denti.
“Taci, Sigurd.”
“Smettila di difendere Ivar come se fosse un cucciolo smarrito.” Replicò il ragazzo spintonandola. Ubbe puntò l’ascia contro la spalla di Sigurd per allontanarlo.
“Non perdiamoci in chiacchiere inutili. Nessuno può partire con Ragnar. Hvitserk salperà con Bjorn e Floki, mentre io e Sigurd abbiamo promesso a nostra madre di restare e proteggere Kattegat.”
“Io per l’appunto non rientro nei vostri piani, pertanto posso partire.” Disse Ivar sollevando le sopracciglia. Hildr si andò a sedere accanto a lui e gli tolse il coltello di mano per incavare il legno del tronco su cui stavano. Incise una runa portafortuna.
“Ivar, ragiona. Tuo padre sbuca all’improvviso e tu vuoi partire con lui? Mi sembra un po’ tardi per vendicare la colonia, sono passati anni ormai.”
“E tu che ne sai di un padre? Non ne hai mai avuto uno.” Ribatté il ragazzo con cattiveria, ferendo i sentimenti della sua amica.
“Ivar!” lo riprese Hvitserk.
“Che c’è? Dico solo la verità. Suo padre è morto quando aveva sei anni e a stento se lo ricorda.”
Hildr lo spinse facendolo ruzzolare a terra e si incamminò verso Kattegat, non voleva starlo più a sentire.
 
L’indomani Hildr evitò l’allenamento con Ubbe e gli altri, preferendo starsene seduta al porto ad ammirare il panorama. Udì uno strascichio e, girandosi, vide Ivar procedere sulle mani verso di lei.
“Mi auguro che tu sia venuto per scusarti. Ieri sei stato crudele più del solito.”
“Non mi scuserò per aver ammesso un’ovvietà. Mi dispiace che tu abbia reagito male alla mia costatazione.”
“Anche che tu sia un vero bastardo è un’ovvietà.”
Ivar ridacchiò, lo divertiva quando era arrabbiata.
“A dire il vero, sono qui per dirti che ho deciso di partire con Ragnar. Mia madre ha cercato di dissuadermi blaterando di una visione in cui muoio per colpa di una tempesta.”
Hildr scosse la testa, benché non fosse stupida di quella decisione. Ivar voleva dimostrare il suo valore e partire con Ragnar era la sua grande occasione.
“A maggior ragione non dovresti partire. Lo sai che le visioni di tua madre si rivelano sempre vere.”
“Io devo partire, Hildr. Capiscimi.”
La disperazione nella sua voce obbligò Hildr ad alzare gli occhi su di lui e a leggergli nel viso la sua volontà di farcela ad ogni costo.
“Ti capisco. Non posso impedirti di partire, perciò spero che tua madre si sbagli.”
“Ti mancherei se morissi?”
Hildr rise per mascherare la preoccupazione, non voleva che la paura avesse la meglio su di lei.
“No.”
“Allora posso partire.” Disse Ivar facendo spallucce.
Il ragazzo non aggiunse altro, le riservò un ultimo sguardo e poi strisciò verso casa, pronto a partire.  Hildr sentì il cuore schizzarle in gola e soffocarla, allora si voltò e si morse il labbro.
“Mi mancheresti!”
“Lo so!” gridò lui di rimando, sorridendo mentre tornava nella sua dimora per salutare la madre.
 
Hildr buttò fuori l’aria che aveva trattenuto durante la scalata per raggiungere la capanna del Veggente. In tanti anni non gli aveva mai fatto visita, ma aveva bisogno di avere delle risposte concrete sulla visione di Aslaug. Dall’altura si vedeva Kattegat, il mare, e svariate fattorie disperse qua e là. Adocchiò il terreno dove un tempo sorgeva la sua casa, ora sostituito solo da un recinto per animali. Hildr non pensava mai ai suoi genitori, cercava di allontanare quanto più possibile il loro ricordo per evitare di soffrire. Doveva diventare forte a qualunque costo, perciò piangere per la morte della sua famiglia non era contemplato.
“Accomodati.” La invitò la voce roca del Veggente, consumata dagli anni che gli pesavano sulle spalle. Hildr si sedette di fronte a lui con un certo timore, insicura della sua scelta di fargli visita.
“Non sei mai venuta nella mia umile casa, Hildr. Quale turbamento ti conduce da me?”
“Immagino che tu lo sappia.”
Il Veggente sorrise, quella ragazza aveva lo stesso temperamento della madre.
“Sei in pena per il giovane Ivar. La tua mente, però, è un luogo profondo e non mi è concesso scorgere nei suoi abissi.”
“Voglio sapere quale destino attende me e Ivar. Combatteremo insieme oppure morirà come ha predetto sua madre?” la voce della ragazza era tremula, intimorita dalla sua stessa domanda.
Il Veggente con il pollice le disegnò una runa immaginaria sulla fronte in modo da avere accesso alla sua mente.
“Ah, ciò che vedo è oscuro. Tu e Ivar combatterete ancora insieme, ma non sarete per sempre insieme. Vedo una serpe dorata sgusciare nel sangue, è portatrice di sventure. E vedo ancora una donna che saprà rimediare con cuore alla follia!”
Il fuoco divampò e Hildr sobbalzò, l’atmosfera era fin troppo suggestiva per i suoi gusti.
“Che vuol dire che io e Ivar non saremo per sempre insieme? E chi sono la serpe e la donna?”
“Non vedo altro. Non posso dirti altro. Che gli dèi ti proteggano durante il viaggio.” Le disse l’uomo, dopodiché si coprì il volto col cappuccio e si coricò. Hildr comprese a quale viaggio si riferisse, perciò si precipitò a casa per raccattare l’arco e qualche provvista. Floki ed Helga erano partiti poche ore prima con Bjorn e Hvitserk, quindi avvisò solo la regina Aslaug della sua partenza.
“Proteggi mio figlio, Hildr. Ti supplico.” La pregò la donna con le lacrime agli occhi. Hildr annuì e poi sfrecciò in direzione del porto, dove Ragnar e la sua ciurma si apprestavano a partire.
“Aspettate!” strillò quasi senza fiato, sfinita dalla corsa. Lo sguardo di Ivar si illuminò e tese una mano per aiutarla a salire a bordo.
“Che ci fai qui?”
“Parto con voi. Se devi morire in una tempesta, io voglio godermi il momento!” ironizzò Hildr dandogli una pacca sulla spalla.
“Benvenuta a bordo, ragazzina.” Le disse Ragnar, uno strano sorriso a increspargli le labbra coperte dalla fola barba grigia.
“Benvenuta a bordo.” Ribadì Ivar. Stava partendo per la sua prima avventura insieme a suo padre e alla sua più cara amica, tutto stava andando nel verso giusto per la prima volta da quando era nato.
 
Non appena calò la notte, Ragnar suggerì di accamparsi e riprendere il cammino alle prime luci dell’alba. La visione di Aslaug si era in parte avverata: erano stati colti da una tempesta che aveva dilaniato la nave e ucciso alcuni membri dell’equipaggio. Loro tre, dopo essersi ripresi, avevano abbandonato gli altri superstiti e si erano inoltrati nella foresta che permetteva di arrivare alla corte di Re Ecbert in due giorni. Mentre era intenta a raccogliere la legna per il fuoco, Ragnar si avvicinò a lei con fare furtivo.
“Ti serve qualcosa, Ragnar?”
L’uomo mosse le sopracciglia in uno strano modo, assumeva le stesse microespressioni di Ivar.
“Perché mio figlio sta così male?”
Ivar, di fatti, lamentava dolori atroci alle gambe. Aveva camminato fino a consumarsi le mani e la stanchezza gli aveva indolenzito tutti i muscoli. Se ne stava sdraiato a terra a piagnucolare per la sofferenza.
“Forse perché è affetto da una malformazione?!” disse retorica Hildr, stando attenta a non farsi sentire dall’amico. Ragnar si portò le mani ai fianchi ed emise un verso strozzato, tutto in lui era teatrale.
“Il palazzo di Ecbert dista ancora due giorni, non può stare male proprio adesso. Tu puoi fare qualcosa? Ricordo che tua madre era una delle migliori guaritrici di Kattegat.”
“Raccogli la legna, ci penso io ad Ivar. Sappi, però, che non sarà piacevole. Odia mostrarsi vulnerabile, specialmente davanti a te.” lo avvertì Hildr, consapevole delle paure del suo amico. Quando si inginocchiò accanto a lui, Ivar tremava di dolore e di freddo.
“Hildr, non qui e non ora.” Mormorò il ragazzo con difficoltà. Non voleva che suo padre lo vedesse come uno storpio debole e incapace di reggere un viaggio. Hildr gli strinse le mani con gentilezza e si sedette per terra per stargli più vicino.
“Non fare lo stupido, Ivar. Hai bisogno di me. Solo io posso alleviare il dolore, lo sai.”
“No.” Obiettò lui spostando gli occhi azzurri sulle fronde degli alberi che apparivano assai sinistre nel buio della notte. Hildr gli afferrò il mento perché la guardasse in faccia.
“Tu stai soffrendo e io posso aiutarti, perciò non comportarti come un bambino. Affidati a me.”
Ragnar, a qualche metro da loro, li osservava con una certa tenerezza nel cuore. Lui non era mai stato in grado di amare Ivar come meritava e immaginava che nessuno lo avesse mai amato, eccetto sua madre Aslaug e Hildr.
Ivar si limitò ad annuire, così Hildr tirò fuori dalla sua bisaccia uno straccio che avvolgeva cinque foglie di gramigna, una pianta curativa per lenire il dolore alle ossa. Stappò la borraccia, versò l’acqua in una scodella e triturò le foglie con una pietra in modo da creare una pasta verdognola dall’odore sgradevole.
“Sei pronto?” domandò Hildr al ragazzo che, riluttante come sempre, lentamente si tolse le scarpe per sollevare i calzoni sino al ginocchio. Chiuse gli occhi per non vedere lo scempio delle proprie gambe.
“Sono pronto.”
Fu allora che Hildr con estrema delicatezza iniziò a massaggiargli gli arti inferiori con la pasta di acqua e foglie, attenta a non premere troppo per non fargli male. Era l’unica persona, oltre ad Aslaug, che aveva visto e toccato le sue gambe da storpio. Ivar era rimasto impressionato dalla facilità con cui la ragazza si poneva dinanzi a quel difetto, non lo scherniva come gli altri, anzi lei aveva scoperto che la gramigna costituisse un buon rimedio.
“Dimmelo se ti faccio male.”
Ivar aprì gli occhi e scorse un sorriso gentile sul suo volto. Lei era sempre gentile, era un’eccezione.
“Tu non mi fai mai male, Hildr.”
A Ragnar si riempirono gli occhi di lacrime, forse era la vecchiaia che lo rendeva sensibile, oppure era colpa dell’amicizia pura tra i due ragazzi. Tornò da loro solo quando Ivar si fu rivestito, non volendo che si sentisse a disagio. Mangiarono in silenzio una preda catturata da Hildr e poi si sistemarono per terra a dormire. Mentre Ragnar si era appisolato contro un tronco, Hildr si addormentò con la testa sull’addome di Ivar, che prese sonno passando le dita tra le ciocche nere della ragazza.
 
Hildr si scolò l’intero bicchiere d’acqua in un batter d’occhio, ruttando in segno di apprezzamento. Mentre Ivar scoppiò a ridere, il principe Alfred rimase interdetto da quel gesto poco femminile.
“Perché mi guardi così?” domandò la ragazza al principe, confusa dal suo sguardo allibito.
“Ehm, no, nulla. E’ solo che qui le donne sono diverse.”
“Oh, ma lei non è una donna. Lei è solo Hildr.” Commentò Ivar spostando un pedone sulla scacchiera. Hildr roteò gli occhi, era stanca di non essere considerata una donna dai figli di Ragnar solo perché era cresciuta con loro.
“Hai un bel nome, Hildr.” Proseguì Alfred, i capelli piuttosto lunghi erano lucenti sotto la fioca luce del sole. Hildr pensò al suo aspetto e a quanto dovesse apparire sudicia in quel momento con i capelli e gli abiti incrostati di polvere.
“E’ il nome di una delle Valchirie.”
“Chi sono queste Valchirie?” domandò Alfred, che nel frattempo aveva battuto Ivar nel gioco, suscitando in lui uno sbuffo irritato.
La comunicazione era abbastanza fluente dal momento che Ragnar aveva insegnato loro la lingua del Wessex quando erano bambini.
“Voi dei Wessex non sapete proprio niente. Dove diamine vivete?! Comunque, le Valchirie sono guerriere al servizio di Odino che decide chi vive e chi muore in battaglia. Scelgono i caduti, trasportano una parte nel Valhalla e l’altra dalla dea Freya. Inoltre, le Valchirie si preparano a combattere Ragnarok.” Spiegò Hildr, seduta scomposta sulla panca.
“Ragnarok è la battaglia finale tra l’ordine e il caos in seguito alla quale il mondo sarà distrutto e poi ricreato.” Aggiunse Ivar.
Dopo due giorni a nascondersi nei boschi erano stati imprigionati da Re Ecbert e suo figlio ma Ragnar li aveva pregati affinché trattassero bene lei e Ivar, ragion per cui adesso facevano compagnia ad Alfred.
“Mio nonno me lo diceva che la vostra cultura è interessante.” Sorrise il principe.
“Voi, invece, non siete molto interessanti.” Disse Ivar beccandosi una gomitata nelle costole dalle Hildr.
“Ivar voleva dire che siamo molto diversi e che di voi non sappiamo molto, sennonché credete in un solo dio.”
“Quella è solo una parte della nostra fede.”
In quel momento due guardie irruppero nella stanza e Hildr, svelta e agile, puntò l’arco contro di loro. Una delle guardie in risposta brandì la spada.
“Guardia, abbassa la spada. Questi ragazzi sono nostri ospiti, non nostri nemici.” Intervenne Alfred mettendosi in piedi.
Hildr e la guardia deposero le armi all’unisono sotto lo sguardo sgomento del principe.
“Principe, siamo qui perché il prigioniero desidera scambiare una parola con i nostri ospiti.”
“Certamente. Direi che siamo arrivati ai saluti.” Proseguì Alfred, stranamente triste. Hildr gli strinse la mano con eccessiva forza e Ivar gli fece un semplice cenno col capo.
“Addio, principe.” Disse Hildr, fissandosi l’arco sulla schiena.
“Spero in un prossimo incontro.” Disse Alfred baciandole il dorso della mano. Hildr gli regalò un ultimo sorriso divertito, poi fu scortata insieme ad Ivar nelle segrete per parlare con Ragnar.
 
Hildr tratteneva a fatica le lacrime. La gola le doleva quando deglutiva mentre Ragnar diceva addio a suo figlio. Ecbert gli aveva concesso una manciata di minuti per vederli un’ultima volta. Ivar piangeva sommessamente, aveva appena ritrovato il padre e lo stava già perdendo. Ragnar era altrettanto commosso, ma anche vecchio e molto esausto. La vita lo aveva ridotto a brandelli più di quanto avesse fatto la guerra. Ad Hildr venne in mente suo padre che l’abbracciava prima che l’incendio uccidesse lui e sua madre, e si sentiva impotente ora come allora.
“Figlio mio, so di aver commesso molti errori. Ti ho abbandonato due volte, quando sei nato e quando sono andato via da Kattegat, ma ritrovarti è stato bello. Credevo che tu fossi un debole per via delle tue gambe, ma ho visto la tua curiosità, la tua furia e la tua voglia di apprendere e mi sono ricreduto. La forza che non hai nelle gambe ce l’hai nella testa perché sei la persona più intelligente che io abbia mai conosciuto. Sono sicuro che farai grande cose. Sii spietato e tutto il mondo parlerà di Ivar Senz’Ossa.
Hildr avvertì un paio di lacrime bagnarle le guance e le asciugò perché doveva tenere duro per Ivar, doveva essere la sua roccia in un mare tempestoso. Ivar piangeva in maniera incontrollata, anche le sue emozioni erano furiose come il suo animo.
“Padre, tu non mi hai mai abbandonato. Il tuo ricordo è sempre rimasto con me.”
Padre e figlio si abbracciarono singhiozzando e sussurrandosi parole all’orecchio. Hildr fece due passi indietro per dare loro il giusto spazio, ma improvvisamente Ragnar arpionò il suo polso per attirarla a sé. Accarezzava sia i capelli della ragazza che i capelli di Ivar con un sorriso malinconico.
“Hildr, tu devi promettermi che ti prenderai cura di Ivar in ogni attimo. Resta con lui a qualunque costo, proteggilo dalle minacce, cucigli le ferite, sgridalo quando sbaglia, riportarlo sulla retta via quando si smarrisce. Dovete restare insieme, intesi?”
I due ragazzi annuirono in lacrime, in fondo erano solo un diciottenne e una sedicenne in una terra straniera, impauriti e indifesi.
“Te lo prometto, Ragnar.”
Tutti e tre si strinsero in un abbraccio e Ragnar baciò le loro teste. Lasciare Ivar nelle mani di Hildr gli assicurava una morte serena.
“Adesso ascoltate attentamente e fate ciò che vi dico. Re Ecbert vi libererà e vi darà un passaggio per tornare a Kattegat. Una volta a casa, direte a tutti che Ecbert mi ha consegnato a Re Aelle e che sono morto. Vendicate la mia morte. Prendetevi tutto quello che è vostro, figli miei. Sono orgoglioso di voi.”
 
Ivar alla fine era sprofondato nel sonno dopo aver pianto per ore. Hildr lo aveva cullato e gli aveva assicurato che tutto sarebbe andato bene, che li attendeva un futuro radioso grazie al sacrificio di Ragnar. Tra i due era lei quella dal carattere forte, toccava a lei sostenere l’amico e soffrire per due. Kattegat distava una settimana di viaggio, pertanto i due si ritagliarono un angolino tutto loro della nave per starsene in pace e lontani dai sassoni.
Il sesto giorno Hildr offrì ad Ivar un tozzo di pane ma il ragazzo lo rifiutò come aveva fatto nei giorni precedenti.
“Ivar, devi mangiare.”
“Sembri Aslaug con quel tono imperativo.”
La ragazza sospirò, la riluttanza dell’amico era sfiancante, però lei non poteva arrendersi.
“Giuro che ti imbocco se non mangi!”
Ivar la ignorò e si voltò a guardare la superficie dell’acqua che si increspava al passaggio dell’imbarcazione. Hildr, che non ne poteva più, gli artigliò la spalla per farlo girare e gli spiaccicò la mollica di pane contro le labbra.
“Apri la bocca e mangia, Ivar! Giuro sugli dèi che ti colpirò con una freccia se non mangerai qualcosa!”
Ivar aprì la bocca e tossì perché il pane gli era andato di traverso. Hildr si mise a ridere e coinvolse anche lui, dopo tanta tristezza finalmente rideva. La ragazza tentò di alzarsi per recuperare altro cibo ma inciampò in una corda e cadde per terra. Per sbaglio il suo viso si ritrovò a pochi centimetri da quello del ragazzo. Ivar lo sapeva bene quanto fosse bella Hildr, i lunghi capelli neri, i grandi occhi scuri, la pelle nivea, le clavicole sporgenti e il collo elegante.
“Scusa.” Disse Hildr in un ghigno, però l’amico non rideva più. D’istinto poggiò le labbra sulle sue in un bacio impacciato, più che altro uno sfioramento. Indietreggiò non appena si rese conto di star baciando la sua migliore amica, Hildr, quel maschiaccio che considerava come una sorella.
“Ehm, ecco … io .. mi dispiace. Non so cosa mi sia preso.”
Le guance di Hildr erano rosse per l’imbarazzo, non era previsto che condividesse con lui il suo primo bacio.
“Non fa niente, tranquillo. E’ stata una svista. Dimentichiamo tutto.”
“Amici come prima?” biascicò Ivar, ancora stordito dall’accaduto.
“Amici come prima. Ora finisci di mangiare prima che ti pianti davvero una freccia nel cranio!” lo ammonì Hildr sorridendo e dandogli una lieve spinta.
 
A Kattegat si respirava un tremendo clima di terrore causato dalla morte di Aslaug per mano della nuova regina Lagertha. Ubbe e Sigurd erano stati tratti in inganno da Margrethe e avevano lasciato la madre senza alcuna protezione. Hildr aveva ospitato i figli di Ragnar a casa di Floki ed Helga, i quali erano ancora lontani con Bjorn. Ivar si era chiuso in se stesso, come faceva ogni volta che qualcosa smuoveva la sua furia, e il suo sguardo era infiammato di odio. Aveva sfidato Lagertha ma lei si era rifiutata, e i fratelli lo avevano allontanato prima che compiesse una stupidaggine. Aveva giurato alla nuova regina che l’avrebbe uccisa e molti erano scoppiati a ridere perché uno storpio come lui non poteva farlo, ma Hildr sapeva bene quanto fosse tenace l’amico e che portava a compimento ogni sua promessa.
Quella mattina Hildr si congedò da Ubbe e Sigurd per andare alla ricerca di Ivar, che si era appropriato di uno sgabello nella capanna del fabbro.
“Ivar.”
Ivar continuò ad affilare la lama dell’ascia senza guardarla, era troppo arrabbiato per intavolare un dialogo pacifico.
“Vattene, Hildr. Non ho tempo per te.”
“Oh, lo vedo. Sei intento ad affilare l’ascia con cui hai intenzione di uccidere Lagertha, che grande impegno!”
Hildr si scansò in tempo per evitare il coltello che Ivar le aveva lanciato.
“Vattene!”
“Andarsene sarebbe troppo facile e a me non piacciono le cose facili. Io resto con te.”
Ivar in cuore suo sorrise quando Hildr si sedette vicino a lui e iniziò a curiosare tra le frecce che il fabbro aveva realizzato.
“Resterai con me qualunque cosa accada?”
La ragazza gli spinse giocosamente la punta di una freccia nel fianco e gli regalò un sorriso raggiante.
“Resterò con te, per sempre.”
“Sarai la mia valchiria!” esclamò entusiasta Ivar per poi riprendere la sua attività. Hildr ghignò scuotendo la testa, forse il loro destino sarebbe stato luminoso.
 
 
Salve a tutti!
Come avrete notato, ho riscritto alcuni eventi della serie aggiungendo qualche modifica.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima.

 
  
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