Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
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Autore: sottoilsole    27/02/2019    0 recensioni
Ma Kim Namjoon era bravo, tanto bravo, di una bontà inspiegabile.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kim Namjoon/ RapMonster, Kim Taehyung/ V
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Raga', non potete capire. Namjoon era impazzito, era fuori come un mulo. Si era rincretinito come mai pensavo si potesse diventare. E come aveva fatto, poi? Bella domanda! Secondo me, era distrutto, questo brutto deficiente, da una pena d'amore ad un buco sull'avambraccio. Ma tu te lo ricordi? Te lo ricordi quel Namjoon un po' paterno, quasi paffuto ma tenero tenero? Era una di quelle persone così dolci e buone, genuine! La sua cortesia non era mica cortesia qualunque, lui ci credeva davvero nelle parole gentili, nel trasmettere amore e benessere a chi lo circondava. Che ragazzo, fuori dalla Terra, ora ha raggiunto la luna. Ma chi era Namjoon? Non era semplicemente Kim Namjoon, un nome non può dettare la personalità di qualcuno. Lui era uno di quelli che se ti trovavi perso per le strade di una città semi sconosciuta, lui le indicazioni te le dava e pure pazientemente; Namjoon non ti guardava mai dall'alto verso il basso, non ti giudicava prima di conoscerti. Namjoon entrava in una stanza e gridava: Buongiorno, figli di puttana! Ed eravamo davvero dei figli di puttana, proprio come diceva lui, ma se quelle parole venivano pronunciate da Namjoon, cazzo, erano un bel complimento. Lui era il nostro tutto, lui era la nostra famiglia. Namjoon ci guidava, ci istruiva. Se mi perdevo, arrivava da me con una cartina fra le mani e mi chiedeva: Hai capito dove sei? Sei qui, qui, cazzo, proprio qui! E rideva, rideva da matti, Namjoon, si sganasciava e doveva stringersi lo stomaco per non sputarlo via. Mi indicava con le sue dita affusolate dove andare, che viali fossero più comodi da seguire e quando capiva che proprio non me ne intendevo, che di quella roba ero un analfabeta, che il senso dell'orientamento lo conoscevo solo per sentito dire, allora Namjoon mi prendeva a braccetto e sembravamo due vecchiette pronte a prendere a borsate il primo malvivente, ma Namjoon mi accompagnava, oltre e verso una meta indistinta, che nemmeno ero certo di quale fosse la mia destinazione, andavamo avanti e basta: liberi, o così credevamo di essere.

Namjoon era forte, era una roccia. Per Dio, Namjoon era il nostro Mike Tyson, in realtà abbastanza di pasta frolla e di conseguenza deboluccio per fare a pugni ma, alla fine, voleva solo difenderci, Namjoon, e tornare a casa con le nocche livide era un vero piacere se significava uscirne più che vittoriosi. Sai, diventa sempre una questione personale, ogni fottuta cosa diventava una gara per dare il massimo di sé, per mostrarsi più imbecilli degli altri. Se prima era un gioco, un semplice e innocuo gioco, se prima era solo un "Hyung, prova a bere questo senza fare nemmeno una micro smorfia!" poi si è incominciato a rincorrersi con le fruste e l'odio negli occhi di sangue. Non è che non ci volessimo bene ma la vita è una merda, è una gran troia; la vita è feroce, cazzo, e forse Darwin aveva ragione, la legge è legge ed inevitabilmente Namjoon era uno debole. Il pesce grande mangia sempre quello piccolo, ricordatelo. Da una cazzata si era arrivato a pronunciare parole di un certo spessore, colme di violenta aggressione. Qualcuno di noi gli aveva detto: "Cristo, hyung, arriverà mai a compiere ventitré anni?". Chi cazzo sia stato non lo so, non lo sappiamo. Non si dice nulla, tutti zitti, tutti zitti stanno, hanno troppa paura di venire ammazzati di botte ma tanto li ammazza già quel loro senso di colpa umano che li marcisce dentro, che li sta imputridendo tutti. Gente che se ne fregava altamente, come quel finocchio di Jimin, troppo per bene per gente come noi, si è comportata come se avessero perso il proprio angelo custode. Bastardi, Namjoon lo era, un angelo, ma custodiva soltanto noi, i suoi unici amici e ciò che gli era rimasto di una famiglia disastrata; ogni sacrificio per la banda ma mai uno per se stesso, mai.

Sorrideva, sputava sangue. Ci giravamo dei joint uno dietro l'altro come ricompensa per le nostre avventure, prima nel parco poi nella sua mansarda, finché la vicina di sessant'anni, troppo furba per la sua età, non ci minacciava di chiamare la polizia. Cavolo, dovevamo correre come bufali impazziti per evitare di diventare le prede di quei leoni, di quei bastardi. Le lampeggianti erano un grido di battaglia, la guerra è tuttora aperta. Dio, era stato proprio di notte, una sera, avevamo bevuto abbastanza, se non di più, e qualcuno biascicando gli aveva detto quella frase, quella specie di scommessa che scommetteva, appunto, sulla perdita di una vita. Namjoon, ma dove cazzo sei adesso che io non riesco a crederci? Che non ti vedo nemmeno quando porto gli occhiali? Che sono andato dal medico di base per un controllo veloce della vista e questo stronzo mi ha spedito da un suo amico psichiatra?

Namjoon era un bravo ragazzo e non avrebbe mai toccato l'ero se non avesse conosciuto Min Yoongi. Quest'ultimo non aveva nulla da perdere perché aveva perso tutto e non aveva posseduto mai nulla di concreto e solido. Parlava e parlava e diceva cose come: "Io ho provato di tutto, amici, ma sono riuscito a non diventarne dipendente" e a sentire certe parole, soprattutto se dette da un ragazzo che davvero assomigliava ad un cadavere, smunto e dalle guance scavate, ma pur sempre in piedi, nonostante a sostenerlo ci fossero due stuzzicadenti al posto delle gambe, ad un relitto come lui dovevi per forza dar retta. Sembrava essere un veterano di guerra e le sue storie, quelle che ci raccontava, erano prive di logica ma ti consolavano. Tu, da principiante, più tonico e robusto, pensavi: Perché lui sì e io no? Perché la strage dovrebbe toccare proprio me? Be', cazzo, la gente si dimenticava che Yoongi era lo stesso ragazzo che girovagava per la stazione ferroviaria centrale di Seoul e accarezzava con le dita le gelide pareti dell'edificio, ammiccava a uomini e donne e poi spompinava ben volentieri un vecchiaccio pedofilo in cambio di quattrini, soldi che spendeva per rifornirsi di droga e bucarsi. Per Dio, io lo avevo detto: Oltre alla cannabis e all'alcol non ci spingiamo. Poi tutto è iniziato con Hoseok che, ad una festa, ha bevuto dell'emme-di comprata per mano di un undicenne del cazzo, roba buona però. Ed è finita con Namjoon, il nostro Namjoon, con cui il presente è un tempo che non si utilizza più.

Gli avevo indicato il mio cuore, il mattino del suo ventitreesimo compleanno. Era mattino ma non avevamo dormito un cazzo, non c'era stato alcun risveglio e nessuna colazione pronta, non avevamo neanche del cibo vero dentro quel frigorifero da quattro soldi. Eravamo rimasti svegli, insonni, ed io lo avevo guardato e pensato che, cavolo, avrei voluto fare all'amore con lui almeno una volta ma non ci ero riuscito. Mi piaceva più di un amico e tutti lo sapevano tranne lui, non l'ha mai saputo, Namjoon, e chissà che cosa sarebbe mai accaduto se fossi stato un briciolo più esplicito.

Namjoon si era bucato due oppure addirittura quattro volte nel giro di poco tempo e Namjoon non era più in sé, aveva smesso di essere il nostro Namjoon da un po' di tempo. Quel bastardo di Yoongi, quella feccia ce lo aveva rovinato. Ma io gli avevo chiesto, tutto convulso e intorpidito nel mio dolore: il mio viso era una smorfia unica e il mio corpo tremava; gli avevo chiesto: Ti sei perso, hyung? Ma lui che ne poteva capire, non capiva un cazzo! Non perché fosse scemo ma perché la botta gli era salita come non mai, era nel suo unico e intoccabile mondo, Namjoon. Gli occhi roteavano in cerca di qualcosa o qualcuno, notavo che provasse a seguire la mia voce ma inutilmente; chissà come gli stava arrivando alle orecchie! Se distorta oppure normale! Sudava freddo e io avevo preso a spogliarlo e sotto il maglione aveva una felpa e sotto la felpa un'altra maglia a maniche lunghe... Più lo liberavo più puzzava, più il marcio veniva fuori. Chi ti aveva strappato i fiori, Namjoon? Chi lo aveva fatto? Il giorno del tuo compleanno ti chiesi se tu, amico mio, ti fossi perso e a malapena riuscisti a riconoscermi.

"Sono Taehyung, il tuo amico Kim Taehyung" ti avevo detto e ti guardavo, nel mentre cercando una soluzione. Ti avevo portato in bagno e con una spugna ti avevo lavato come meglio potevo per renderti bello e profumato, almeno una volta su trecentosessantacinque l'anno. L'acqua fredda sembrava risvegliarti. Ti avevo indicato il mio cuore, di nuovo, insistentemente. "Sei qui, qui, cazzo, sei qui!" ma continuavi a non capire, Namjoon. Riprenditi, Namjoon! Dove sei finito, hyung?

Namjoon, io credo ci fosse stato molto di più dietro quel tuo lasciarti andare. Il giorno del tuo compleanno, Yoongi ti aveva portato dell'ero per festeggiare, nemmeno ti piaceva vedere nella siringa il tuo sangue risalire per poi rientrare nel tuo corpo più corrotto di prima, nemmeno ti piaceva ma tu volevi morire, Namjoon, perché non hai mai detto un cazzo dei tuoi problemi e hai lasciato che uno stronzo qualunque vincesse quella stupida scommessa? Perché ti sei lasciato rubare la vita? Consumare la persona? Namjoon, io ancora ti sogno e io ancora spero che Jungkook bussi a questa porta, quella della tua mansarda che ora è nostra, e mi dica che tutto questo sia stato una scherzo, che nella sezione di cronaca nera del giornale di Seoul non si parli di un giovane uomo di appena ventitré anni trovato privo di vita in un parchetto qualsiasi della periferia. Tu non eri uno da "un parchetto qualsiasi", tu dovevi morire di una morte da eroe, una morte che ti avrebbe scolpito per sempre nelle menti di tutti, una morte da libri scolastici, per aver provato a salvare il mondo o qualcosa del genere, Namjoon. Non eri un vero e proprio eroe, lo sappiamo, ma eri meglio di Ulisse e di Achille e di Mike Tyson, di chiunque altro tu voglia, Namjoon, eternamente ricordato.

   
 
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