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Autore: sottoilsole    27/02/2019    1 recensioni
Min Yoongi sprona il suo amico Kim Namjoon a spiccare il volo, finché quest'ultimo non lo fa veramente.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kim Namjoon/ RapMonster, Min Yoongi/ Suga
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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NO! Stupido infame, rotto in culo! Che cazzo fai? Che stai facendo? Cos'è quel grasso da vecchia scrofa in calore che ti copre l'addome? Maria, quei muscoli! Ma te li ricordi? Io sì, cazzo, e che boni! Sia da vedere che da gustare. Mannaggia a te, con il fisico che t'eri costruito andando a raccogliere frutta e verdura in campagna con tuo padre, ti eri fatto certi bicipiti e certi tricipiti e, insomma, tutti quei bei muscoli che facevi girare la testa a tutte le donzelle del paese, a tutte le milfone del paese, che con quelle loro tettone un poco cadenti a causa della vecchiaia ma grandi e gustose, mizzica, mi ci sarei tuffato a capofitto lì in mezzo pure io! E poi i vecchi contadini del paese, seduti sopra i loro sgabelli di legno consumati dal passare del tempo, di cui certi ancora ne sfoggiavano i decori infantili, loro giravano il collo verso di te come se di fronte ai loro occhi vitrei sfilasse la più bella delle modelle, di certo non quelle che girano oggi sotto i riflettori, nelle loro ammuffite menti si nascondono certe forme e certe prosperità che richiamavano subito il volto sensuale della bella e immortale Sophia Loren. Quei contadini, con tra i denti aguzzi e gialli, il succo dei chicchi del melograno di stagione, parlavano della tua statura da Ercole, commentavo le tue abilità di Achille e le tue qualità ereditate da Ulisse in persona! I preti del paese, poi, fin da quando eri piccolo, fischiavano al tuo passaggio: vedevano le tue gambe succulente e tonde, i tuoi glutei sodi... E qualcosa si rizzava in mezzo alle loro gambe, chissà perché, mascalzoni! Tu, di rimando, acceleravi il passo, tiravi dritto e, girato l'angolo, correvi a perdifiato al fine di arrivare al più presto in casa, dove gridavi: Per Dio, mamma! Quell'uomo tutto nero, con il colletto brutto brutto, stretto e soffocante, con la righetta bianca in mezzo... Ma ce l'hai presente? Mi ha fischiato dietro manco fossi una signorina di quelle! Cavolo, ricordo molto bene come nessuno ti credeva e ti davano tutti del bugiardo in famiglia perché "Siamo una famiglia cristiana da sempre! I nostri discendenti lo sono stati, noi lo siamo e tu, assieme alla tua famiglia, lo sarai!". "Ma mamma!", ti ribellavi come un pazzo si dimena nel tentativo di trovare un po' di comprensione negli occhi di chi lo guarda. E tu, come sempre, non la trovavi: "Ancora? Non voglio sentire "ma"!". "No, ascoltami", piccolo sbruffone, "Ma - sottolineavi - tu ci credi per davvero in questo famigerato Dio, che nemmeno passa a salutare a Natale, o fingi di crederci soltanto perché tutta la nostra famiglia lo ha sempre inseguito?".

Quando arrivava l'ora del catechismo era un incubo: piangevi e ti dimenavi, urlando ogni cosa pur di non andarci; i vicini erano sempre pronti a chiamare i carabinieri o, quando diventavi proprio esasperante, gli assistenti sociali. Se tu non avessi smesso di urlare stridulo con tutto quel tuo fiato di bambino ti avrebbero soppresso come si fa con gli animali! Così ti ci portavano a forza: tua madre ti sculacciava con gli occhi e tuo padre lo faceva per davvero, soltanto che non voleva sporcarsi le mani con le tue rogne e utilizzava come tramite la sua maledetta cintura di cuoio. Arrivavi in oratorio non solo muto perché avevi perso la voce ma anche rosso in viso, dolorante e convulso, quasi fossi l'ultimo martire di una guerra assai travagliata. Superavi l'entrata, con appesa sopra la porta d'ingresso la scritta "Comunità cristiana della Corea del Sud", con un non so che di trionfante nello sguardo, come per dire a tutti: "Guardatemi, sono ancora vivo!". Ti osservavo con la coda dell'occhio e, nonostante tu fossi lì lì per disperarti e affogare in un pianto liberatorio, che a dieci anni era pur necessario, ti mostravi tutto orgoglioso e fiero di te. Ne ero incredulo quanto estasiato. Continuavi a dire: "Sì, sì. Guardate pure, vedete bene: questo taglio me lo sono fatto l'altro giorno in mezzo al campo di grano, quello del signor Kim". E, allora, tutti gli altri bambini strabuzzavano gli occhi increduli: "Cosa? Come hai fatto? Se quello ti beccava, era per te la fine!" E tu annuivi, certo, ma non raccontavi molto di più. Mi mettevi una certa tenerezza che ti guardavo e pensavo: Vorrei dirgli che, con me, può non fingere! Ma poi non ti dicevo nulla, tacevo, sia perché ti conoscevo ancora a malapena e soltanto dopo un paio di settimane, da quell'episodio, incominciammo ad essere amici. Diventammo presto un tutt'uno, incredibilmente! Fin da subito eri diffidente e, seppur schietto, cercavi di nascondermi molto più di quanto concretamente riuscivi a fare; quando la nostra conoscenza sembrava raggiungere un altro livello, facevi sempre un passo indietro e stentavo davvero a credere ch'io non potessi trasmettere fiducia! Mi ero fatto coraggio e, a undici anni, avevo scelto di sfidare le regole gerarchiche della nostra cultura per poter finalmente urlare a quei deficienti di adulti che avevano sbagliato tutto, fin dall'inizio, e che cercando di salvarci dalla miseria delle nostre mediocri vite, non facevano altro che farci affogare. Tua madre restava allibita di fronte ai miei discorsi ma io volevo soltanto difendere un amico a cui venivano spezzate continuamente le ali perché, davvero, di questo passo, come ti tenevano incatenato con i loro stupidi ideali, temevo non trovassi mai l'opportunità di spiccare il volo, di fare la tua vita; se con o senza errori, se con o priva di felicità non importava, purché fosse frutto dei tuoi passi.

A diciassette anni iniziasti a stringermi la mano per strada e a svelarmi i tuoi segreti una volta giunti in un posto appartato. Mi confessavi di ammirarmi profondamente, che avresti voluto avere le palle per fare la differenza. Tua madre si disperava, si chiedeva dove avesse mai sbagliato, poveretta! Un mattino, addirittura ti portò con forza in chiesa per farti confessare (Mi fa ridere il pensiero) ma, chiuso in quel quadratino di spazio, con l'ennesimo prete a chiederti quale fosse il tuo peccato, tu dicesti: Essere nato Kim Namjoon, questo è il mio peccato. Fossi stato anche Namjoon ma con, ad esempio, un Lee o un Choi affianco, sarebbe stato tutto molto diverso.

Molte volte avevi evitato di entrare a casa mia perché mio padre era un medico e mia madre era un'avvocatessa e le tue scarpe da tennis di seconda mano ti imbarazzavano profondamente; ciò che ti faceva sorridere sotto i baffi, a farti sentire sotto sotto un poco più sicuro, però, era che le scarpe di seconda mano le compravo anche io, con te, quelle volte in cui prendevamo il treno direzione capitale e facevamo i giri dei piccoli negozietti di Seoul, restando intrappolati dalle mille possibilità di scelta, dalle opportunità che trasbordavano da ogni pubblicità progresso. Due imbecilli, fessi e ignoranti come noi, due ragazzi di provincia, stupidi e bigotti come noi, incantati dalle luci e affascinati dall'anonimato della città, dalla tradizione che perde quota, che va in rotta di collisione con la modernità della metropoli, dove tutto sparisce e dove tutto si crea. Le nostre piccole spedizioni erano uno sguardo altrove. Avevamo così incominciato a sognare, seppur in ritardo.

Avevi detto basta ai lavoretti di campagna, quelli che avevi fatto sotto costrizione di tuo padre e quelli per cui ti sentivi in colpa quando desideravi di saltare, facendoti accrescere nel petto la paura e l'angoscia di dover tornare poi la sera a casa. Spesso, come soluzione, ti invitavo a dormire da me e, seduti sopra il mio letto, chiusi a chiave nella mia stanza, ascoltavamo la musica che piaceva soltanto a noi, parlando di tutto ciò che un orecchio sconosciuto non poteva capire, guardando i film che nessuno aveva più curiosità di assistere. Strimpellavo melodie di dubbia natura con una chitarra giocattolo e tu provavi ad adattare ai miei ritmi scoordinati un fiume di parole che, nell'insieme, formavano un delirio a cui, ribadisco, soltanto noi riuscivamo a scovarci un senso. Che dire, mi ero affezionato a te, fra noi vi era una certa connessione mentale e non solo, di quelle che ti fanno subito pensare: Cavolo, e quando mai troverò un'altra persona con cui sentirmi così? Così vivo e insolito? Me stesso ed eccentrico? Avevamo oppresso i filtri, tolto i veli, reso impronunciabili per sempre i pregiudizi.

Un pomeriggio, dal nulla, prendesti una decisione e a quella decisione trovai l'atto concreto nel momento in cui premesti le tue labbra sulle mie. Cadde il silenzio. Pensavo di poter vomitare, non dal disgusto ma perché non sapevo che cosa potesse mai accadere fra noi ora che si era intromesso un bacio, seppur a fior di labbra. Avrei voluto bestemmiare così forte da far crepare tua madre all'istante con un attacco di cuore da cui non si può scampare, avrei voluto tirare giù dal cielo tutti i santi del mondo e far precipitare con essi ogni chiesa e ogni tempio e dire addio ad ogni religiosità. Mi veniva anche da ridere: Ecco perché ti sentivi così sbagliato! Non solo sei considerato la pecora nera della tua famiglia ma sei anche frocio, che è peggio. Ma il tuo viso era così dolce e io non potevo fare il bastardo, fare l'idiota, un po' come sempre. Ti volevo bene come un amico fedele e ti amavo, non come un amante, ma di più, in maniera eterea e platonica; ciò che c'era fra di noi andava oltre ogni cosa, era assurdo! Tutto eccitato, le parole fuoriuscivano dalla tua bocca con un leggero tremore. Privo di autocontrollo, mi avvisasti sull'avvenire: Yoongi, amico mio, me ne voglio andare. Ho preparato uno zaino con tutto il necessario, ho tenuto da parte un po' di soldi. Andrò a Seoul, dal tuo amico Hoseok, sei stupito? Ho mantenuto i rapporti con lui ed è d'accordo con me. Ho trovato le palle per farlo, ti rendi conto? Mi farò la mia vita. Studierò quel che più mi piace, cercherò di entrare nel ramo della musica. 'Fanculo tutti! Anche la mia famiglia! Lo capisci? Mi hanno donato la vita e non posso che essere estremamente grato con loro per questo, ma il mio posto non è qui, tu lo sai, vero? Tu lo sai, Yoongi. Vuoi venire con me?

Quella sera piansi a dirotto. No, non voglio venire con te, Namjoon. Non perché non apprezzi la tua compagnia, tutt'altro, ma perché non mi piacciono gli addii e io non ho le tue stesse motivazioni a darmi coraggio. Il mio sarebbe un capriccio, Namjoon, mentre il tuo è uno slancio di vita. Resterò qui ma verrò a trovarti e magari, un giorno, raggiungerò sia te che Hoseok ma il mio momento non è questo, IL MIO MOMENTO NON È ANCORA ARRIVATO! Non avere paura: non lascerò che le mie passioni si spengano, non smetterò di essere me stesso per accontentare gli altri. Lotterò, come al solito, lo farò sicuramente, stanne certo. Ma non posso venire, perdonami. Vieni qua. Dammi un altro bacio, questa volta rappresenterà il nostro addio. Ti presi il volto fra le mani, ti dissi ancora: Ti vorrò bene per sempre, Namjoon, e non dimenticherò alcun dettaglio della nostra amicizia, non dimenticherò i lineamenti del tuo viso e nemmeno l'inclinazione della tua voce quando stai cigolando per il dispiacere o quando nelle tue vene scorre una frenesia intensa. Ti voglio bene con il cuore, con l'anima mia tutta. Mi hai capito, Namjoon? Non posso venire, amico mio, ma sarò sempre vicino a te, anche se non fisicamente, quando ti sentirai solo, afflitto, privo di un punto di riferimento. E non ti dimenticare delle mie parole, non perderle di vista. Sono qui. Mi troverai sempre qui, anche senza avvisare del tuo arrivo. Tutto è precario, lo so bene, ma questo è anche tutto ciò di cui sono estremamente certo.

Avevi il treno per Seoul il giorno dopo, di mattina, verso le sette in punto. Non ti accompagnai alla stazione e non fui lì nemmeno per un ultimissimo saluto. I tuoi genitori impazzirono, ovviamente, e incolparono me per averti inculcato idee che prima non avevi dimostrato di possedere. Non li ascoltai e tutt'ora non li ascolto quando, per le vie del paese, incrocio il loro cammino e scorgo nei loro occhi le fiamme del loro odio scottarmi tutto quanto il corpo. Tu torni da me, io vado da te; nonostante gli anni passino, nonostante il corso degli eventi ci cambino (E ti facciano ingrassare come una cazzo di maiala ingravidata!), quando te ed io siamo assieme, lo sai, il mondo si arresta: tutto è illusorio ma estremamente reale.

   
 
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