Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Lost In Donbass    27/02/2019    1 recensioni
Denis è arrogante, spaccone e attaccabrighe, ma in realtà cerca solo qualcuno da amare. E che lo ami a sua volta.
Valentina è depressa e devastata, ma riesce sempre a dipingersi un sorriso sulle labbra. Per ora.
Ylja ha una famiglia distrutta, un fidanzato disturbato e gli occhi più belli di tutta la Russia. Però è tremendamente stanco.
Valerya ha tanti demoni, lo sanno tutti. Nessuno però ha mai tentato di esorcizzarla.
Aleksandra sembra essere la ragazza perfetta, anche se nasconde un segreto che non la farebbe più sembrare tale.
Kuzma tira le fila e li tiene tutti uniti, è quello che li salva. Eppure sa che non farà una bella fine.
Sono arrabbiati e distrutti. Sono orgogliosi e violenti. Amano, odiano, bevono e si sballano.
Sono i ragazzi del Blocco di Ekaterimburg e questa è la loro storia.
Genere: Angst, Commedia, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
CAPITOLO VENTI: STAREMO BENE

How stubborn are the scars when they won’t fade away?
Or just a gentle reminder that now are better days?
We’ll be home soon, so dry your eyes
You’ll be okay
[Asking Alexandria – A Prophecy]
 
Ylja se ne stava sdraiato a letto con Viktor, accarezzandogli distrattamente i lunghi capelli scuri, gli occhi semi chiusi nella penombra rilassante della grande stanza. Era un po’ di giorni che si era trasferito momentaneamente a casa del capo del Blocco, ormai completamente libero da legami di ogni tipo, e non poteva che trovarlo meraviglioso. Stava bene, finalmente, dopo tanto tempo si sentiva a posto con sé stesso e con i suoi amici. L’unico che lo preoccupava era Kuzma, che dopo la scenata di due giorni prima non si era più fatto vedere. Avevano provato a chiamarlo, a fargli la posta sotto casa, ma era stato tutto inutile. “Gli passerà”, aveva detto Denis, ma le lacrime pronte a sgorgare mentivano il suo tono solo in apparenza spaccone e strafottente. Eppure, nonostante quello, era felice. Felice di essersi riappacificato con la Banda, di essere protetto da Viktor, di aver trovato una pace interiore che non sperava più di poter trovare. Mugolò qualcosa di indistinto, stringendosi al petto dell’uomo e inspirò il profumo caldo della sua pelle olivastra. Gli piaceva giacere a letto dopo aver consumato un amplesso, le luci soffuse, il fumo della sigaretta che si perdeva nella camera, gli occhi che si perdevano a fissare i ghirigori del soffitto, la certezza di un amore che non si poteva incrinare. Si arrotolò attorno al dito pallido la collanina che non abbandonava mai il collo di Viktor e pensò che forse, finalmente, anche lui aveva il diritto di sorridere come qualunque ragazzo di diciotto anni dovrebbe fare. Ylja era debole, lo era sempre stato, e sapeva perfettamente di esserlo, ma non se n’era mai fatto una colpa. C’erano persone come Kuzma e Denis che erano forti, indistruttibili, feroci belve che non si facevano mettere i piedi in testa da nessuno, c’erano persone deboli come lui e Sasha, che faticavano sempre così tanto a decidere qualcosa per loro stessi, che agonizzavano nel mondo e infine c’erano persone folli, come Valya e Lera, che invece vivevano in una dimensione tutta loro e che sembravano non avere bisogno di legami con la realtà. Lui era cosciente di essere la catena debole della Banda del Blocco, sapeva di essere quello che mollava sempre, che piangeva per un nonnulla e che non era mai in grado di imporsi, ma in quegli ultimi tempi sembrava aver maturato una propria forza, un proprio coraggio, qualcosa che lo stava aiutando a tenere duro e a non farsi travolgere dalla marea. Era fiero di sé stesso, perché per la prima volta in vita sua stava prendendo le armi e si stava facendo in quattro per resistere alla devastazione interiore che lo avrebbe fatto schiavo se non avesse avuto i suoi amici e Viktor a sostenerlo. Doveva molto, a quelle persone, perché erano tutte state in grado di dimostrargli il loro amore, di dargli un motivo per stringere i denti e per combattere nel tentativo di stare a galla. Ce la poteva fare, e sapeva che ormai aveva messo in gioco tutto proprio nel nome di quel coraggio che gli era stato così estraneo fino a pochi mesi prima. L’Ylja debole e solo, vittima sacrificale, aveva lasciato il posto a un Ylja deciso a prendere in mano la propria vita per farne la sua nuova bandiera. Andava tutto bene, per il giovane con gli occhi liquidi, tutto perfettamente bene.
-Sei felice, Yljusha?- chiese Viktor, la voce appena roca, la sigaretta quasi spenta tra le dita.
-Tantissimo, Vik.- mormorò, sporgendosi a baciargli l’angolo delle labbra. – Sto finalmente imparando cosa vuol dire lottare, e adesso che ci sono dentro, posso dire che è dannatamente bellissimo.
Viktor soffiò una risata e si voltò, guardandolo nel profondo degli occhi d’acquamarina, accarezzandogli col pollice la guancia pallida.
-Sono così fiero di te, angelo. Non puoi nemmeno immaginare quanto sia contento di vederti finalmente sorridere anche con gli occhi, non solo con le labbra. Ti avevo promesso che ce l’avremmo fatta, e vederti finalmente vincitore su te stesso non può che rendermi felice.- lo baciò a lungo, accarezzandogli i capelli corvini e Ylja si trovò perso e travolto da quel bacio, ma era così felice da sentirsi quasi male.
Finalmente stava trovando la sua fatidica seconda stella a destra, che gli voleva dare un motivo per stringere i denti e non lasciare vincere il maledetto Blocco, che li voleva tutti morti ma che non avrebbe più distrutto la Banda. Rise da solo, rise di cuore, come aveva disimparato a fare da tempo e strinse forte il corpo magro ma atletico di Viktor.
-Sono contento, Vik. Avevo perso le speranze, del tutto, mi ero adagiato su una vita d’inferno che mi aveva completamente sfigurato ma in qualche modo sono riuscito a uscirne e mi chiedo come ho fatto. Devo tutto a te e ai ragazzi, senza di voi non sarei mai riuscito a trovare abbastanza forza per dire basta.
I due ragazzi si sorrisero e si misero a sedere sul letto, accendendosi altre sigarette e infilandosele in bocca a vicenda, sorrisi felici sui volti sfruttati, gli occhi ancora disturbati dai fantasmi del passato ed espressioni calde sui visi bruciati da una vita che non aspetta nessuno. Erano belli, Ylja e Viktor, belli di una bellezza rovinata ma coraggiosa, una bellezza che si era fatta largo tra le brutture della periferia di Ekaterimburg, una bellezza che aveva resistito a qualunque urto e che era stata in grado di fortificarsi abbastanza per arrivare sino a lì, a quel punto, tra orrore e devastazione. Avevano lottato duramente entrambi, per un amore che molti avrebbero condannato, ma eccoli lì, vincitori, insieme contro il mondo, pronti a sacrificarsi per stare insieme contro qualunque imprevisto.
-Yljusha, ho un’idea.- disse tutt’a un tratto Viktor, afferrando l’amante per le spalle gracili – Andiamo via.
-Come? Cosa vuoi dire?- Ylja alzò un sopracciglio, e si lasciò cadere di nuovo tra le coltri. Un brivido di eccitazione gli percorse la spina dorsale.
Certo, lui voleva andarsene, aveva sempre sognato di farlo ma non avrebbe mai pensato di potercela fare davvero. Lui, lo sfortunato ragazzino di periferia, finalmente in grado di lasciarsi Ekaterimburg alle spalle? No, non ci poteva davvero credere. Eppure … eppure forse con Viktor ce l’avrebbe fatta. Lasciarsi alle spalle le distese di acciaio e cemento, vedere nuovi lidi, sentire nuove lingue, baciare nuovi soli e piangere sotto a nuove lune: tutto questo non poteva che eccitarlo straordinariamente ma gli sembrava un sogno così proibito da non poter nemmeno essere concepito. A volte gli pareva che le sue stesse fantasie fossero cose vietate per uno come lui, non si riteneva abilitato a figurarsi certi scenari nella sua mente sognatrice. E la fuga all’estero era uno di quei sogni vietati: poteva davvero farlo, o doveva ancora finire il suo allenamento selvaggio nella violenta periferia siberiana? Poteva permettersi di avere un desiderio che gli scaldasse il cuore, o doveva solo pensare al sangue, al sesso, alla droga e alla vodka? Poteva ancora aggrapparsi a speranze deboli e migratrici come colombe?
-Ti voglio portare in Europa.- disse Viktor, accarezzandogli il viso col palmo della mano – So del tuo desiderio folle di uscire da questo inferno, e penso che non ci sia momento più adatto di questo. Partiamo, andiamo a Parigi. A Roma. A Berlino, dove preferisci. Prendiamoci due settimane di tempo per pensare a noi stessi, per sperimentare qualcosa che non sia la nostra vecchia e marcia Russia. Hai tutto il diritto di prendere in mano la tua vita, Ylja, e devi farlo prima che sia troppo tardi.
Ylja boccheggiò, quasi incredulo. Non poteva credere a quelle parole e a quello che nascondevano: una fuga in Europa, lontano dai suoi incubi. Avrebbe finalmente potuto lasciarsi alle spalle la Siberia e tutto quello che comportava. Insieme a Viktor, una fuga d’amore in quelle capitali così romantiche di cui tanto aveva letto nei libri romantici che leggeva fino alla nausea. Sfarfallò le lunghe ciglia scure, cercando di processare le parole del suo fidanzato e si rese conto che qualche lacrima gli stava bagnando delicatamente le guance.
-Mi porteresti davvero in Italia? A Roma? O a Parigi, a Montmartre, ai Moulin che dipingeva Degas?
-Ti porterei dovunque, angelo mio. Basta solo che tu me lo chieda; hai vissuto fin troppi incubi qui.
-Ma Vik, sei stato tu a dirmi che è ancora troppo presto per lasciare Ekaterimburg.
Viktor sospirò e lo baciò teneramente, intrecciando le dita coi capelli dell’altro.
-Per andarsene, sì, è troppo presto. Ma non per prendersi una pausa. Ti porterò in Europa, così ti renderai conto di cosa esiste fuori da qui, e avrai ancora dei motivi per tirare avanti, per resistere in questo posto infernale. Vedremo le capitali più romantiche del mondo, e poi torneremo qui, finché non sarà arrivato il momento per andarcene del tutto. E che il nostro futuro sia a Mosca, a Kazan’ o a New York, potremmo dire di aver vissuto veramente. Vuoi venire con me, Yljusha?
-Con te andrei fino in capo al mondo, Vik.- mormorò il ragazzo, asciugandosi le lacrime col dorso della mano.
Lo abbracciò, affondandogli il viso nella spalla nuda, e finalmente mormorò, a voce così bassa che quasi non si sentì da solo
-Grazie per avermi salvato.
Viktor sorrise, baciandogli i capelli e sussurrò, anche lui come fosse un segreto che nessuno avrebbe dovuto sapere
-No, Ylja. Sei tu che ti sei salvato da solo. Sei tu l’eroe di te stesso.
 
Sedute su una panchina del Parco Mayakovskij, Valya e Sasha si tenevano per mano, guardando il sole che tramontava e incendiava il Blocco di violenti rossi e viola. Aleksandra aveva iniziato il percorso psicoterapeutico per guarire dalla sua malattia e questo la rendeva così fiera di sé stessa. Era sempre stata una ragazza con poco carattere, abituata che fossero gli altri a decidere per lei, senza mai davvero voglia di imporsi, per pigrizia, per noia, per insicurezza. Ma adesso qualcosa le aveva detto che non poteva sempre lasciare che fossero gli altri ad organizzarle l’esistenza, ma che avrebbe dovuto prendere seriamente in mano la sua vita e fare qualcosa di sensato. Come, per esempio, cominciare a guarire. Sapeva di non essere sola in quella battaglia, ed era così grata ai suoi amici per non averla abbandonata, ma si sentiva rinnovata. Finalmente, Sasha Bazarova era in grado di lottare per sé stessa, per mantenere vivo quel sorriso che faceva girare la testa a tutti, per continuare ad essere la ragazza più bella di Ekaterimburg, per non lasciare da sola la sua adorata Valya. Poteva essere forte anche lei, aveva deciso, poteva far vedere al mondo che anche lei era pronta a farsi valere.
-Sono contenta, Sashen’ka.- disse Valentina, mettendole una ciocca bionda dietro l’orecchio – Sembra che finalmente le cose stiano andando per il verso giusto.
-Mi fa strano andare da una psicologa, ma penso che in qualche modo mi aiuterà a uscirne.- commentò la bionda, e passò un braccio attorno alle spalle dell’amica – La cosa importante è che siamo insieme, non potrei figurarmi una vita senza di te.
-Aw, come sei romantica!
Le due ragazze risero, e si scambiarono un bacio a stampo, rimanendo un attimo fronte contro fronte, occhi blu e occhi verdi persi gli uni dentro gli altri. Sì, erano insieme, le due ragazze del Blocco, insieme come amiche, come amanti, come confidenti, come commilitoni. Non ci sarebbe stato nulla che avrebbe mai spezzato il loro rapporto così stretto e cementificato da anni di convivenza sincera e leale. Sasha e Valya erano fatte per stare insieme, per sostenersi qualunque cosa accadesse, per spalleggiarsi fino alla fine, per tenersi per mano nell’oscurità che oramai troppo spesso calava sulla città tanto amata e tanto odiata. Non c’era stato momento nel quale erano vacillate, erano sempre state pronte a sacrificarsi per uno stesso bene, covando forse un amore che ci avevano messo tanto a realizzare.
-A volte penso a quando stavo ancora con Denis.- disse Aleksandra, accavallando le lunghe gambe da gazzella – A quanto stessimo male insieme.
-Non eravate necessariamente male assortiti.- ponderò Valentina, accendendosi una sigaretta – Siete entrambi belli, bellissimi, così belli da fare male. Siete sfacciati, siete vincenti, siete … siete, e basta. Non eravate una brutta coppia, ma eravate costruiti dalla situazione nella quale eravamo finiti. Forse è meglio che sia finita così, Den non era in grado di darti quello di cui hai veramente bisogno, è stupido, e troppo preso da sé stesso. Forse è un bene che abbia trovato quell’uomo, Yurij. È grande, saprà dargli quello che vuole e saprà anche come tenerlo a freno. Va tutto bene, Sasha. Va tutto bene, finalmente.
Sasha annuì, poggiando il capo sulla spalla ossuta dell’altra ragazza e chiuse per un attimo gli occhi. Sì, forse sarebbe andato tutto bene, avrebbero trovato un nuovo equilibrio sul quale reggersi, sarebbero andati avanti senza naufragare più. Prese di nuovo la mano di Valya, guardò le dita piccole e magre, le unghie mangiucchiate con lo smalto nero scrostato e sorrise. Amava anche quelle manine gracili, soprattutto quando erano avvolte attorno alla sua, di mano, lunga e nobile. Amava baciarle, amava sentirle sulla pelle, amava quando le si attorcigliavano attorno ai capelli. Amava tutto di Valya, qualunque lacrima, risata, sbaglio, o imperfezione. Amava quella che poi era la sua migliore amica e non l’avrebbe mai cambiata con nessun’altra donna o uomo che fosse.
-Valyoch’ka, fammi vedere i polsi.- disse, dolcemente ma con fermezza.
La ragazza mora gonfiò le guance, ma poi scosse la testa, tirando giù nervosamente le maniche della felpa oversize di qualche band emo.
-Perché? Non c’è niente da vedere.
Sasha alzò la testa e la fronteggiò, assottigliando gli occhi verde smeraldo.
-Invece sì. Non avere paura di me, non mi arrabbierò, qualunque cosa ci sia lì sotto. Voglio solo che tu stia bene, amore. Solo quello. Dai, tirati su le maniche.
Valentina si morse il labbro quasi a sangue, ma poi obbedì, e tirò timidamente su la felpa. Qualche taglio ormai pallido ornava la pelle candida, ma le vecchie cicatrici ancora luccicavano, bianche e crudeli. Ma erano vecchie, perché era tanto che la ragazza aveva messo da parte il coltello, le lamette, le forbici. Non sapeva come era riuscita in quella battaglia che sembrava ormai persa, ma si era resa conto che avrebbe dovuto essere forte per Sasha e che non c’era bisogno che continuasse a fare quelle brutte cose a sé stessa. Voleva resistere per chi la forza non ce l’aveva più, voleva lottare a fianco dei suoi amici e voleva farlo seriamente. Si era rassegnata a resistere alle sue tendenze autolesionistiche, si era sentita forte, in grado di combattere quello che l’aveva rovinata da anni a quella parte. Davanti allo specchio, semi nuda, si era guardata e aveva detto “ce la puoi fare, Valentina”. Aveva chiuso le lamette in un cassetto, aveva pianto, guardando le sue braccine ferite, ma erano settimane che non si tagliava e quello era uno dei più grandi traguardi che avesse mai raggiunto. Era riuscita a vincere una parte di quella depressione naturale che l’affliggeva, aveva salvato sé stessa ed era dannatamente fiera di quello che era diventata. Una ragazza emo forte e coraggiosa, in grado di mettersi dei freni, in grado di lottare per la donna che amava, per gli amici di una vita, per il Blocco che l’aveva cresciuta.
-Valya, ce la stai facendo!- strillò Sasha, afferrandole i polsi – Stai vincendo anche tu la tua battaglia!
-E’ solo grazie a te e ai ragazzi.- si schernì, arrossendo sotto il ciuffo rosa – Non potevo lasciare che quella brutta storia avesse la meglio su di me, di nuovo.
Sasha sorrise, un sorriso delicato e saputo. Baciò lentamente i polsi dell’amica, come aveva fatto tempo prima, quando ancora i tagli ornavano dolorosamente la pelle pallida, mentre adesso era pulita, e c’erano solo cocciute cicatrici che non se ne voleva andare, forse gentili moniti che adesso finalmente erano arrivati tempi migliori.
-Sono così contenta, Valya. Così contenta che non puoi nemmeno immaginarlo.- mormorò, e una lacrima le brillò tra le lunghe ciglia chiare.
Valentina si tirò giù le maniche e si alzò, prendendola per mano
-Abbiamo diritto anche noi alla nostra felicità. Adesso andiamo a casa, Sashen’ka. Andiamo a casa, e ti prometto che staremo bene. Staremo bene.
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Lost In Donbass