Anime & Manga > Il mistero della pietra azzurra
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Autore: Vitani    06/03/2019    0 recensioni
Dopo la sconfitta di Gargoyle, i superstiti del Nuovo Nautilus cercano lentamente di far tornare alla normalità le proprie esistenze. Non è semplice, quando si è vissuta un'avventura come la loro.
Electra ha visto morire l'uomo che amava e si trova da sola con un bambino da crescere. Nadia non riesce a smettere di guardare al passato nonostante abbia ormai la vita che desidera.
Presto, troppo presto, l'incubo di Atlantide torna ad addensarsi sul futuro.
E, stavolta, sembra esigere la vita dei suoi Figli.
Basteranno a salvarli l'abnegazione di una madre, il legame di una sorella e di un fratello?
Basterà il comandamento di un padre, "vivi"?
Basterà l'amore?
"Nadia, noi non siamo obbligati a dare o ricevere amore. Noi siamo amore."
Genere: Science-fiction, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Medina Ra Lugensius, Nadia Ra Arwol, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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PARTE SECONDA

INFANZIA

 
 
 
Le Havre, dicembre 1892
 

Erano trascorsi quasi due anni dalla nascita di Etienne.
Per Nadia si era trattato di un periodo intenso, in cui l’ombra di Gargoyle era tornata a farsi prepotentemente strada nella sua vita.
Si era trasferita a Londra, tanto per cominciare, ed era ancora lì che viveva.
Proprio a Londra aveva dovuto fare i conti coi Neo-Atlantidi, che ancora non avevano rinunciato ai loro propositi di conquista del mondo. Erano semplici esseri umani, naturalmente, che avevano collaborato con Gargoyle ed erano venuti a conoscenza della tecnologia di Atlantide.
Il loro scopo era condurre il mondo sull’orlo di una guerra mondiale, sostituendo i leader mondiali con cloni artificiali. C’erano quasi riusciti, ma la tecnologia necessaria per riprodurre la vita era fortunatamente ancora imperfetta. Lei e Jean erano riusciti, non senza fatica, a porre un freno alla minaccia.

 
 
“Il desiderio di evoluzione dell’uomo è alla base.”
 

L’intento era il medesimo che aveva avuto Gargoyle, soggiogare l’umanità.
Per ridurla in schiavitù oppure per condurla allo stadio successivo.


 
“L’umanità fu creata dagli abitanti di Atlantide tramite esperimenti genetici condotti sulle scimmie, che già abitavano il pianeta. Li crearono a loro immagine. Diedero loro la mente.
Prometeo che dona il fuoco, chi era?
Uno dei creatori.
L’evoluzione li spinge a diventare sempre più simili a chi li ha messi al mondo.
È il destino, Nadia.
Ma tu che sei perfetta forse non capirai mai.”
“Io sono tutto meno che perfetta.”
 
 
Dagli esperimenti sulle cellule era nata Fuzzy, la cui triste e breve vicenda terrena s’era intrecciata alla vita sua e di Jean in modo indelebile. Era stato grazie a lei se Nadia aveva deciso di scrivere il suo primo libro, che raccontava la storia delle pietre azzurre, di suo padre e di tutto quello che era accaduto, Fuzzy compresa.
Desiderava che le vicende a cui aveva assistito non andassero perdute, come un monito che invitava l’umanità a non ripetere gli stessi errori. Ci stava ancora lavorando. Forse non li avrebbe neppure letti nessuno, eppure doveva scriverli.
A parte quella disavventura, s’era trattato di un periodo di grandi rivoluzioni per lei.
Sul piano personale, almeno.
Era andata a Londra, appunto. A dire il vero, era rimasta a casa di Jean meno di un anno. Non si trattava di ingratitudine nei suoi confronti. Semplicemente, non riusciva più a rimanere in quella casa. Non era neanche colpa della zia, che più o meno ormai la tollerava. A muoverla era il desiderio di fare i conti con se stessa.
Era grata a Jean, che le aveva letteralmente offerto la possibilità di una nuova vita, lontano dal circo e dall’arte di strada. L’aveva aiutata a conoscere le sue origini e le era stato accanto sempre, fino alla fine. Non l’avrebbe mai ringraziato abbastanza. Proprio per questo motivo non desiderava dipendere da lui o dalla sua famiglia. Viveva in casa d’altri, mangiava il loro cibo, contribuiva solo in minima parte alla pulizia della casa. Voleva bene a Jean, tuttavia gli aveva parlato dei suoi dubbi, di quanto fosse insicura sotto sotto e di come si sentisse in qualche modo “costretta”. Non sarebbe mai cresciuta, con Jean che si ostinava a volerla proteggere.
Proprio il desiderio di diventare una persona migliore, di rendersi indipendente e di vivere una vita davvero sua l’aveva spinta a fare il passo, a trasferirsi. Le sue vicende personali le avevano dato una storia da raccontare. Così aveva deciso di diventare giornalista.
Londra era una città vitale, abbastanza caotica da permetterle di confondersi tra la folla. Dopo tutto quello che aveva passato, inseguita da mostri che non conosceva, aveva bisogno di un po’ di tranquillità. Voleva vivere senza essere cacciata, senza dare nell’occhio per la sua pelle o per le sue origini. L’avevano trovata comunque, i Neo Atlantidi, ma sperava che si fosse trattato di un ultimo rigurgito e che ciò che Gargoyle aveva seminato fosse definitivamente morto.
La vita, per il resto, scorreva tranquilla. Lavorava e si arrabbiava un sacco perché era circondata da colleghi che non la prendevano sul serio perché donna e perché giovane. Però aveva trovato una storia da scrivere e, comunque, sentiva che se la sarebbe cavata.
Aveva una piccola stanza in affitto e un salario modesto ma che, più o meno, le bastava.
Stava diventando più forte.
In quei giorni era a Le Havre, di nuovo ospite di un felicissimo Jean, ma si trattava di una permanenza breve. Jean aveva, infatti, ricevuto una lettera di Electra che li avvertiva del fatto che sarebbe venuta in Francia per festeggiare il secondo compleanno di Etienne.
Nadia, che non vedeva il bambino da quasi due anni, aveva accettato subito di ritornare per un po’.
Si sarebbero incontrati a Parigi, in capo a un paio di giorni.
Sarebbe stata una buona occasione anche per rivedere Marie.
Erano sempre state in contatto, ma iniziava a sentirne la mancanza.

 
 
L’atmosfera natalizia riempiva già la grande città. I mercati natalizi affollavano gli Champs Elysées e i bambini facevano la fila davanti alle vetrine dei negozi, sperando di convincere i loro genitori a comprar loro qualche giocattolo.
Etienne arrivò camminando sulle sue gambe, con la madre che lo teneva per mano. Electra aveva proposto a Nadia di incontrarsi proprio sotto l’arco di trionfo degli Champs Elysées. Era un inverno piuttosto clemente ed era bello anche passeggiare, quel giorno poi splendeva un sole quasi tiepido che non faceva rimpiangere la primavera. Nadia e Jean avevano preso il treno da Le Havre al mattino presto, arrivando a Parigi per l’ora di pranzo. King, ormai diventato un leone adulto, era rimasto a scorrazzare per i campi di Le Havre. Portarlo in città avrebbe scatenato il panico.
Nadia, in gonna e cappotto rosso, accolse Etienne ed Electra con un sorriso.
Il bambino la osservò per un istante, poi ricambiò il sorriso.
«Ciao!» disse, in francese.
Era vestito all’occidentale, con pantaloni e un maglioncino alla marinara parzialmente coperto da un cappotto. Aveva le labbra e gli occhi di Electra, ma i capelli scuri e un piccolo volto fiero.
«Vivendo a Tangeri sta imparando sia il francese che l’arabo», disse Electra «Al momento dice qualche parola in tutte e due le lingue.»
Nadia si abbassò per guardarlo bene in viso.
«Ciao, Etienne. Come stai?»
Lui la osservò in silenzio, forse perché non sapeva come rispondere. Forse non ricordava neppure chi fosse lei. Come se le avesse detto nel pensiero, lui rispose: «Nadia!» e sorrise ancora.
Electra lo prese in braccio.
«Gli parlo spesso di sua sorella», disse «Sapeva che prendevamo la nave per andare a trovarla.»
S’incamminarono lungo il viale, Etienne distratto dal viavai delle carrozze. A tratti indicava delle cose, le chiamava con curiose storpiature.
«Allo!»
«Sì, è un cavallo.»
«Ca…»
«… vallo.»
«Hisan.»
Electra sorrise. La parola araba per “cavallo” gli risultava più facile.
Contento per il risultato raggiunto, Etienne batté le mani.
«Bello hisan
Era tempo di andare a prendere Marie, che li aspettava al Bois de Boulogne. Nadia prese Etienne per mano e si avviarono lungo l’Avenue Foch. Durante il tragitto, Nadia ebbe modo di scoprire che il fratello, per la sua età, parlava un sacco. Amava i cavalli, che vedeva sempre anche a Tangeri e che ogni tanto confondeva coi dromedari, e lo incuriosivano le piume sui cappellini delle signore di Parigi. Infine, aveva detto Electra, era curioso e adorava smontare le cose. Nadia concluse che sarebbe andato senz’altro d’accordo con Jean.
Proprio Jean stava parlando con Electra, come se si fossero visti il giorno prima e non fossero passati ben due anni. Jean era così, per lui il tempo aveva un valore relativo se rapportato agli affetti. Era stato così anche con lei, quando s’erano rincontrati a Londra per la faccenda di Fuzzy.
«E poi ho provato a inserire un motore a vapore, ma non ho ottenuto il risultato che speravo!»
«Perché il motore a vapore non dà abbastanza giri per far alzare un velivolo di quella stazza. Se non trovi di meglio punta tutto sull’alleggerimento del telaio.»
«Come ha fatto a non venirmi in mente?»
Jean sbuffava come una delle locomotive della stazione Saint-Lazare.
«Spesso le soluzioni più semplici sono le migliori, fidati.»
Nadia si prese qualche istante per osservare Electra.
I capelli le si erano allungati di nuovo, li portava legati come la prima volta che l’avevano incontrata. Indossava una gonna lunga, un soprabito, il cappello. Non aveva niente di diverso dalle donne che superavano lungo il viale, eccettuata la carnagione un po’ più scura, anzi era più bella di molte di loro. L’unica vera differenza era che si intendeva di scienza e che aveva visto cose che gli altri esseri umani non sarebbero forse vissuti abbastanza per vedere. Nadia, per qualche motivo, faticava a vederla in versione casalinga. Lei, però, sembrava tranquilla, per dirla con le parole di Raoul. Era ovvio che crescere Etienne le desse il suo da fare. Era chiaramente un bambino sveglio. Gli si rivolse.
«Tra poco conoscerai Marie. Anche lei è una bambina come te.»
Aveva gli stessi, identici occhi blu di Electra e uno sguardo insolito, consapevole.
«Dopo merenda?» chiese.
Nadia ridacchiò.
«Sì. Merenda tutti insieme.»
Alla fine era davvero soltanto un bambino.
 
«Ciao, Nadia! Ciao, Jean!»
Marie corse loro incontro e abbracciò forte Nadia, che non vedeva da un po’. Nadia si commosse.
«Ciao, piccolina. Come stai?»
«Bene! Sto andando a scuola!»
Julie l’aveva accompagnata e li salutò con gentilezza. Fece una carezza a Etienne, che non si ritrasse, e lasciò Marie con loro. L’avrebbero riaccompagnata a casa nel tardo pomeriggio.
Passeggiarono per un po’ lungo il parco, con Marie che correva dietro agli scoiattoli ed Etienne che la seguiva. Sembrava particolarmente affascinato dagli scoiattoli, perché in Marocco non ce n’erano ed era la prima volta che ne vedeva uno. Quasi riuscì ad agguantarne uno per la coda, ma Electra lo rimproverò.
«Etí, smettila. Lascia stare lo scoiattolo.»
«Perché?»
«Gli fai la bua.»
Etienne ci pensò per un attimo, poi le diede retta. Si inginocchiò, osservò il roditore.
«Come si chiama?» domandò a Marie.
«Scoiattolo.»
«Sco…?»
«Sco-iat-to-lo.»
«Sco… tolo?»
«Lasciamo perdere, mi sa che per te è troppo difficile.»
Marie era cresciuta, si era fatta più alta e aveva i capelli più lunghi legati in trecce. L’espressione era la stessa di sempre, furbetta ma dolce, e sembrava stare bene.
«Se proseguiamo lungo questo sentiero arriviamo al lago. Facciamo un giro in barca?» chiese.
«Certo che sì!» rispose Jean.
«Guarda che devi remare tu», lo punzecchiò Nadia.
Jean le fece una linguaccia.
Le barche erano grandi abbastanza per ospitare due persone. Normalmente, d’inverno, non sarebbe stato possibile noleggiarle. Le ultime settimane, però, erano state così miti da convincere la società che si occupava dei battelli a un’apertura straordinaria in vista del Natale, con la raccomandazione di stare attenti e non cadere in acqua. Le barche potevano ospitare solo due persone, così Nadia salì con Electra ed Etienne, e Jean con Marie. Nadia ne approfittò per raccontare nei dettagli a Electra di quanto era accaduto a Londra, con Fuzzy e il professor Whola, e di come esistessero ancora dei Neo-Atlantidi pronti a reclamare il potere. Aveva già raccontato a Electra qualcosa via lettera, ma lei stessa le aveva raccomandato di non scendere in particolari e di parlargliene solo a voce. Non credeva ci fosse un reale pericolo, ma preferiva essere prudente: le lettere potevano finire in mani strane. La vicenda di Fuzzy aveva dimostrato che qualche megalomane isolato, lacché di Gargoyle e suo rigurgito, poteva essere ancora in giro. Non era il caso di abbassare la guardia, almeno per un po’. Spesso e volentieri le catastrofi erano causate da sciocchezze.
Etienne, in braccio a Nadia, guardava i pesci sotto l’acqua.
«Smak?»
Electra sorrise.
«Sì, Etienne, sono pesci.»
Nadia sorrise a sua volta e tirò fuori una fotografia dal taschino del suo cappotto.
«A proposito, ho qui una foto di King. Guarda com’è diventato grosso!»
Etienne buttò l’occhio sulla foto e fece per prenderla in mano.
Nadia glielo permise, tenendolo in modo che non cadesse, e il bambino guardò la foto a lungo con l’aria curiosa di chi sta pensando al nome di qualcosa. Poi si illuminò in viso, come se avesse fatto una grande scoperta, e indicò la sagoma del leone bianco.
«Billee!»
Sembrava felice, e Nadia rise.
«Haan, Etienne, yah ek billee hai.»
Non si rese conto di ciò che era accaduto finché non ripensò coscientemente a quel che aveva detto. La allarmò lo sguardo di Electra, che percepì con la coda dell’occhio. Capì di aver risposto a Etienne, che aveva detto “gatto”, confermandogli che King era un gatto. Era stato così naturale che neppure si era resa conto di aver parlato qualcosa di diverso dal francese.
Poi capì.
Electra abbassò lo sguardo.
«È la lingua di Tartesso. Che poi è anche la lingua di Atlantide. Tu, Nadia, la parli e la leggi correntemente senza aver avuto bisogno di apprenderla e anche se hai lasciato il paese che eri ancora in fasce. È, come dire, scritta nel tuo codice genetico. Io, al contrario, ho dovuto impararla. Etienne ogni tanto ne dice qualche parola. Non gliel’ho insegnata io, suppongo la conosca perché è figlio di Elusys.»
Nadia non sapeva cosa fosse un codice genetico, ma non fece domande.
Era qualcosa che si portava dentro, le bastò capire questo.
«A proposito…»
Electra aprì la borsa che aveva portato con sé ed estrasse un piccolo marchingegno che Nadia non riconobbe.
«È una macchina fotografica portatile, molto più maneggevole di quelle ora in commercio. Viene da Tartesso. In origine non era fatta per impressionare la pellicola, ma Elusys l’aveva fatta riadattare. Gli piaceva fare foto, di tanto in tanto. Che ne dici di scattartene una con Etí? Per ricordo.»
Nadia acconsentì.
«Va bene. Vieni qui, Etienne.»
Si sistemò meglio il bimbo sulle ginocchia. Etienne guardò in su, vide gli orecchini di Nadia e, come la prima volta, allungò una mano per afferrarli.
Electra scattò in quel momento.
A Nadia sarebbe rimasta, per sempre, la foto di lei con un bambino di due anni che alzava le braccia e rideva.
 
 
Raoul vive ancora a Tangeri.
La casa è quieta senza Etienne che zampetta in giro.
Lui ed Electra resteranno a Parigi fino al nuovo anno, probabilmente, dopodiché torneranno in Marocco.
A vivere nel palazzo sono rimasti loro tre, Icolina è andata a Marsiglia per fare praticantato come infermiera in un vero ospedale. Ha scelto Marsiglia perché Echo, di nuovo imbarcato, fa spesso tappa in città.
Sono volati in un soffio, i primi due anni di Etienne.  
È cresciuto bene, per quel che ne può dire Raoul.
Sveglio, curioso, attivo. Anche troppo.
Giusto il tempo di imparare a coordinare braccia e gambe e già gattonava per casa col serio rischio di rompersi la testa cadendo dalle scale.
Gli piaceva così tanto gironzolare che aveva imparato pure a uscire dalla culla, ed era ancora piccolissimo, in piena notte.
È un bambino che sembra non temere niente.
Proprio questo spaventa un po’ Raoul.
Non può che augurargli una vita normale, felice.
Solo che non sa se sia davvero destinato a una vita normale, un bambino così.
Ha preso molto dell’aspetto di Electra, gli occhi, le labbra. Ha lo sguardo dolce, il sorriso allegro.
Però somiglia a Nemo.
Somiglia a Nemo più di quanto gli somigliasse Vinusis.
Non sa dire bene il perché, Raoul.
Ma è così.
 
 
 
 
- continua –



 
N.d.A. Eccomi di ritorno con un nuovo capitolo. Come già vi anticipavo, in questa seconda parte ci saranno un po’ di salti temporali perché parlerò dell’infanzia di Etienne e getterò le basi di ciò che succederà in seguito.
Nel prossimo capitolo comunque niente salti temporali, Etienne avrà ancora due anni.
Al momento è ancora troppo piccolo per avere una caratterizzazione ben precisa, di base è un bambino piuttosto normale.
Un’unica piccola precisazione riguardo le lingue usate nel capitolo: Etienne, essendo nato (e cresciuto) in Marocco, parlerà correntemente francese e arabo. Forse anche il berbero, la terza lingua ufficiale parlata in Marocco (è un ragazzo curioso, quindi sì, potrebbe volerla imparare). Pare che parli anche la lingua di Tartesso.
A questo proposito, nel capitolo snocciola qualche parolina di arabo.
Nel dialogo con Nadia, per capirci quello in cui si riferiscono a King chiamandolo gatto, parla la lingua di Tartesso. Ho usato come riferimento la lingua hindi. Ero indecisa se mantenere l’arabo, ma avendolo già usato ho preferito cambiare.
Ci vediamo nel prossimo capitolo, che sarà piuttosto rilassato (ci sarà un matrimonio, no, non quello di Nadia e Jean).
A presto!
 
Vitani
   
 
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