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Autore: futacookies    09/03/2019    0 recensioni
!spoiler da "Regina dell'Aria e delle Tenebre"
[Jaime/Dru]
«Credo di aver aspettato quasi dieci anni che tu venissi parlarmi sul tetto di questo Istituto.»
All’indomani dello scontro con la Coorte e le fate Unseelie, Jaime Rosales deve fare i conti con i suoi sentimenti.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Drusilla Blackthorn, Jaime Rosales
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Lattesa dell’ignoto
 
Drusilla stava prendendo in considerazione l’idea di andare all’Accademia, gliel’aveva detto nella lunga lettera mandata come risposta al biglietto di auguri per il suo quattordicesimo compleanno – un biglietto mondano con tanti piccoli teschietti che aveva trovato per caso durante un giro di controllo per Città del Messico, che aveva comprato d’impulso perché gliela ricordava e che non sapeva con che scusa utilizzare. Perciò aveva chiesto a Cristina quando fosse il suo compleanno e lei gliel’aveva detto, nonostante l’occhiata inquisitoria che gli aveva lanciato.
Era la prima volta che la contattava dal matrimonio di Alec Lightwood e Magnus Bane ed era quasi passato un anno. Non si aspettava nemmeno che rispondesse, figurarsi con un dettagliato resoconto di quanto le era successo in quel periodo – cose che lui voleva disperatamente sapere ma che non si sarebbe mai azzardato a chiedere, perché Drusilla era praticamente una bambina, nonostante fosse molto più matura. Non gli aveva chiesto direttamente consiglio, ma gli aveva scritto di quanto fosse combattuta, di come non volesse lasciare Helen e Tavvy e avesse paura di cosa i suoi coetanei Shadowhunter avrebbero pensato di lei. Avrebbe voluto rassicurarla, ma sapeva troppo poco della sua famiglia per garantirle che sarebbero stati bene anche senza di lei e di certo non le avrebbe mentito su quanto potessero essere cattivi i ragazzini di quell’età.
Nonostante una parte di lui sperasse che si convincesse ad andare, pregò con tutto il cuore che non lo facesse, perché era molto più facile ignorarla e fare finta che non esistesse se erano a chilometri di distanza, piuttosto che ad un paio di piani. Drusilla aveva bisogno dei suoi spazi e dei suoi tempi per crescere, letteralmente, e se quattro anni di differenza non sembravano tanti una volta raggiunta l’età adulta, adesso gli sembravano un abisso sconfinato – le parole minacciose di Julian non erano necessarie: era perfettamente in grado di comprendere che l’ultima cosa di cui Drusilla aveva bisogno era lui.
Quindi decidere di estraniarsi il più possibile dalla sua vita gli era sembrata una scelta tanto brillante quanto crudele: avrebbe aspettato, si era detto, che ci fosse un tempo adatto ai suoi sentimenti per lei, un tempo in cui se fossero davvero stati insieme non avrebbe dovuto fare i conti con un’orda di fratelli apprensivi – in cui non avrebbe dovuto fare i conti con il fatto che Drusilla era appena una ragazzina, benché lei credesse di essere già adulta.
Avrebbe aspettato, anche se non sapeva cosa.
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Quando arrivò alla nuova Accademia, poco lontano da New York, si scoprì sollevato nel vedere che lei non c’era: era il suo ultimo anno, si sarebbe diplomato e sarebbe tornato a Città del Messico per dare una mano mentre Cristina e Diego erano sempre più distanti da lui, immersi nei loro impegni, nel tentativo di stabilizzare il nuovo assetto del mondo degli Shadowhunters.
La solitudine non gli faceva paura come l’attesa dell’ignoto, ma interessarsi continuamente agli studi gli dava una scusa per non pensare, per lasciar accumulare le lettere che gli arrivavano da Los Angeles in attesa di risposte che non sarebbero mai state recapitate.
Era più facile di quello che si aspettava, far finta che Drusilla non esistesse – far finta di non essersi mai nascosto per una settimana nella sua stanza a Londra, mentre Diego lo dava per disperso chi sa dove. Far finta di non aver mai visto film di cui non poteva fregargliene di meno, solo per accontentarla. Per gratitudine verso un’amica che aveva sperato potesse essere qualcosa di più – l’aveva stretta tra le braccia e aveva sorriso perché vederla era stato un balsamo per i suoi occhi e per l’Angelo, in quel momento l’avrebbe voluta baciare e meno di un’ora dopo aveva scoperto che aveva solo tredici anni. Forse avrebbe dovuto permettere a Mark di prenderlo a pugni.
Forse, si disse, sarebbe stato più semplice continuare a risponderle e trattarla da amica come una sorellina – piuttosto che ingoiare sul nascere i suoi sentimenti ed ignorarla in maniera plateale; ma le avrebbe dovuto mentire e si era ripromesso di non farle del male – l’aveva promesso, ad alta voce, quando tutti credevano che non avesse serie intenzioni nei suoi confronti.
Non che qualcuno pensasse che avesse intenzioni dei confronti di Drusilla – era solo una ragazzina – ed era inutile sollevare la questione, nessuno l’avrebbe mai ritenuta una buona idea. Per il suo quindicesimo compleanno le inviò un volume su veleni e antidoti che aveva trovato più interessante di altri e aveva scribacchiato distrattamente un augurio sulla prima pagina – in fondo, non era niente di che. Se fosse riuscito davvero a convincersene sarebbe stato eccellente.
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Blanca Spinoza era una bellissima ragazza – questo era il massimo che poteva concedere a sua madre, che continuava a pressarlo ricordandogli che ormai aveva vent’anni ed era anche il caso di pensare al matrimonio. Era una bellissima ragazza, ma non era Drusilla – che aveva solo sedici anni e gli sembrava ancora una bambina.
L’Istituto di Città del Messico non gli era mai sembrato più vuoto, benché gli unici che mancassero fossero Diego e Cristina – l’unica consolazione che gli restava era l’attesa, la convinzione che prima o poi il tempo sarebbe trascorso e Drusilla non sarebbe più stata così piccola e forse avrebbe potuto frequentarla come si doveva. Forse poteva invitarla a trascorrere il suo anno di studi in Messico.
Le sue lettere, sempre così dettagliate ed entusiastiche, si erano drasticamente ridotte: adesso frequentava l’Accademia, aveva dei veri amici – non sconosciuti che si nascondevano in camera sua e si innamoravano – e non aveva più bisogno di lui. Oppure si era impegnato così tanto ad allontanarla che alla fine ci era riuscito davvero – e i suoi sentimenti erano diventati quasi accettabili e la sua attesa si era trasformata in una continua ricerca di messaggi che lei non gli avrebbe inviato, di scuse per poterle scrivere.
In momenti come quello, ad esempio, avrebbe voluto poterle confidare che stava sabotando l’ennesimo incontro organizzato da sua madre solo per lei – perché aveva deciso di aspettare e avrebbe aspettato e alla fine sapeva che ne sarebbe valsa la pena. Sua madre gli chiedeva perché non ci volesse almeno provare – certo, gli aveva detto, non poteva essere affascinante e influente come il fratello Inquisitore, ma non doveva per questo buttarsi giù di morale. Aveva riso (perché cos’altro avrebbe dovuto fare, confessare che si era innamorato di una ragazzina e si era rinchiuso prima all’Accademia e poi all’Istituto per sfuggire a lei e ai suoi sentimenti in attesa che fosse abbastanza adulta?) e aveva detto a sua madre che avrebbe dovuto aspettare – anche lei.
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Le visite di Diego si erano diradate al punto che avvistarlo lontano dall’Istituto di New York era praticamente un miracolo – quindi osservarlo mentre preparava chilaquiles a colazione fu una specie di shock. Gli era mancato il suo sguardo protettivo che lo seguiva per evitare che si facesse male, la certezza che qualcuno gli coprisse le spalle quando combatteva contro i demoni per le strade della capitale – gli era mancato qualcuno che gli potesse frugare dentro facilmente e che lo costringesse a fare i conti con se stesso nonostante lui volesse solo aspettare.
«Ho parlato con Cristina», gli disse, l’espressione del volto cicatrizzato si ammorbidì al menzionare la ragazza.
«Mi fa piacere», rispose, ed era sincero: a modo proprio, l’avevano entrambi fatta soffrire – quando Cristina gli aveva raccontato del fasullo fidanzamento con Zara Dearborn si era sentito in colpa e aveva odiato se stesso e il fratello in una maniera che non riteneva possibile. Anche se lei adesso era felice, sapeva che ricostruire il rapporto con Diego avrebbe impiegato del tempo – erano tutti in attesa di qualcosa.
«Mi ha raccontato alcune cose riguardo il periodo dello scontro con le fate Unseelie e la Coorte.», aggiunse, diventando più serio. Jaime capì dove sarebbe andato a parare il discorso e desiderò annegare nella sua ciotola di latte. «Tipo», aggiunse, «che ti sei nascosto un paio di giorni della stanza di Drusilla Blackth-»
«È successo più di quattro anni fa!», sbottò, improvvisamente sulla difensiva. Aveva già avuto la sua buona dose di sgridate. E insulti. E lei aveva tredici anni ma lui non ne aveva assolutamente idea, altrimenti non le avrebbe nemmeno rivolto la parola – oppure l’avrebbe fatto lo stesso, solo per poi desiderare che non fosse mai accaduto.
Diego lo guardò negli occhi, ignorando la pentola sul fuoco. «È questo il motivo per cui nostra madre continua a ripetere: “Non capisco cosa ci veda di sbagliato in Blanca”
Jaime sospirò pesantemente: era troppo presto per quella conversazione ed entro pochi minuti non sarebbero più stati soli e di certo non voleva essere messo pubblicamente alla gogna da suo fratello. «Non ci vedo nulla di sbagliato, in Blanca», ci tenne comunque a precisare. «Ho solo deciso di aspettare.», commentò.
«È fidanzata, sai? Drusilla, intendo. Me l’ha detto Cristina.», non capì se il tono di Diego fosse più preoccupato o sollevato e preferì non indagare.
Certo che lo sapeva, che Drusilla era fidanzata. La lettera in cui gliel’aveva scritto era ancora sulla sua scrivania, dove l’aveva letta, aperta come una ferita che sanguinava da oltre una settimana. Laurent Beauport, un ragazzo francese che aveva conosciuto all’Accademia. L’anno di studio all’estero l’avrebbe trascorso all’Istituto di Marsiglia. Quando l’aveva capito si era sentito soffocare.
Ma lui si era votato all’attesa e confidava che con il passare del tempo le sue ferite si sarebbero rimarginate e sarebbe riuscito a respirare con la stessa facilità di un tempo – senza quel peso sul petto che gli sussurrava che ormai aveva aspettato troppo e che Drusilla gli era scivolata tra le dita. Lei non l’aveva aspettato e ovviamente lui non le avrebbe mai chiesto di farlo, altrimenti tenersi in disparte per darle i suoi tempi e i suoi spazi non avrebbe comunque avuto senso.
Drusilla adesso aveva diciassette anni e sembrava comunque più matura della maggior parte delle persone della sua età, seria e compita mentre gli raccontava delle sue ultime vicende all’Accademia, in quella che era stata la prima lettera dopo mesi di silenzio – mentre il primo burrone che li aveva separati si era leggermente ristretto, pur restando profondo, ne era apparso un secondo, quello della lontananza che aveva forzato su entrambi e in quel momento gli sembrava che nemmeno un’intera vita di attesa sarebbe riuscito a colmarlo.
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Il diciottesimo compleanno di Drusilla fu il primo in cui non riuscì a farle gli auguri: era uscito la sera prima per quello che sembrava un innocuo pattugliamento e dopo poche ore si era ritrovato febbricitante nell’infermeria dell’Istituto, mentre scivolava nell’incoscienza a causa di una ferita inferta da un demone non meglio identificato. L’ultima cosa che ricordava, oltre la voce concitata di sua madre che chiedeva altre bende, era il senso di colpa per averla – con ogni probabilità – allontanata di nuovo.
Quando si riprese la prima cosa che notò fu la sagoma di suo fratello, stanco e tirato come se non dormisse da giorni, seduto accanto al suo letto. Avrebbe voluto parlare ma sentiva la gola secca e una stanchezza schiacciante. Diego scattò improvvisamente in piedi notando i suoi occhi aperti e gli versò un bicchiere d’acqua, biascicando qualcosa sull’avvisare gli altri.
Aveva atteso qualche istante prima che sua madre si precipitasse a quello che doveva essere stato, per i precedenti giorni, il suo capezzale. A un certo punto sbucò anche la testa di Cristina, che lo raggiunse e gli rivolse una carezza affettuosa; qualunque cosa gli fosse successa, doveva essere stata una questione di vita o di morte per smuoverli entrambi da New York – era stato incosciente per quattro giorni ed erano ricorsi al Sommo Stregone di Città del Messico, che a quanto pare era riuscito a salvarlo.
Poi lentamente se n’erano andati tutti e gli avevano intimato di riposare – e non riusciva a non pensare che avrebbe voluto Drusilla lì con lui, a raccontargli la trama dell’ultimo libro che aveva letto, del suo anno in Francia, delle sue aspettative per la sua vita da Shadowhunter. Voleva che gli dicesse che quell’attesa a cui si era rassegnato era servita, che stava aspettando qualcosa che un giorno sarebbe arrivato. Contemplò il soffitto per quelle che sembrarono ore interminabili, rimpiangendo di non poter accelerare lo scorrere del tempo, quando Cristina ritornò in infermeria, questa volta tenendo una busta in mano.
«È arrivata questa mattina da Los Angeles, da parte di Dru. Avevo avvisato Emma che tornavo a Città del Messico e lei deve averglielo detto.», gli annunciò con un sorriso, porgendogliela. Cristina aspettò che lui le spiegasse, spostando il peso del proprio corpo da un piede all’altro come se fosse a disagio. «C’è qualcosa che vorresti dirmi?», chiese, temendo di pronunciare le parole sbagliate.
Avrebbe voluto dirle – urlarle – che si era tenuto tutto dentro per cinque anni, che si era sforzato di non far traboccare nemmeno mezzo dei suoi sentimenti – nonostante fossero apparentemente in bella vista per tutti – e adesso non riusciva a capire qual era il senso di quell’attesa agonizzante, che sembrava prosciugarlo ogni volta un po’ di più, ma era stanco e debilitato dalla malattia, quindi scosse la testa e la guardò allontanarsi prima di aprire la lettera – che conteneva un augurio di pronta guarigione da parte di tutti i Blackthorn e la dolcissima promessa che appena si sarebbero rivisti Drusilla gli avrebbe raccontato tutto ciò che aveva desiderato chiederle.
(Forse la sua attesa aveva finalmente avuto un senso).
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Quando rivide Drusilla era sulla soglia dei vent’anni e quasi non somigliava alla stessa ragazzina da cui si era brutalmente separato sei anni prima – vederla e capire che era lei e al tempo stesso non era lei fu come ricevere un pugno alla bocca dello stomaco. Non sapeva nemmeno che l’avrebbe vista, dato che lui era a New York in visita ufficiale: sua madre gli aveva urlato che se voleva davvero prendere le redini dell’Istituto di Città del Messico doveva iniziare a preoccuparsene attivamente, e con l’appoggio della temibile signora Mendoza Rosales l’aveva mandato a rappresentarli per quella che si prefiggeva una noiosa riunione del Conclave. I Blackthorn, gli aveva poi illustrato Cristina, avevano seguito Aline Penhallow ed Helen per trascorrere del tempo con Mark.
Drusilla era diversa: il suo sguardo era – se possibile – ancora più deciso e determinato di come lo ricordava, era diventata più alta ma aveva ancora i fianchi morbidi che la rendevano insicura a tredici anni. E aveva un fidanzato, che le stringeva la mano e le sussurrava cose all’orecchio che la facevano ridere e non sembrava intenzionato a lasciare la presa nemmeno per un secondo, così che quando lei gli si avvicinò sorridente, con l’intenzione di abbracciarlo, faticò a trattenere un verso sorpreso.
Era quasi surreale trovarsi in mezzo a tutte quelle persone e poterla abbracciare liberamente – nessuno si preoccupava di loro, perché Drusilla aveva un fidanzato e le sue intenzioni non costituivano, per lei, una minaccia. Sentirla tra le sue braccia lo fece rabbrividire, dopo aver trascorso anni ad aspettare di poterlo fare senza sentirsi oppresso dai sensi di colpa, perché adesso era una donna, anche se non era sua e forse non lo sarebbe mai stata – almeno, seppure in ritardo, poteva vivere quei sentimenti che aveva ripetutamente ignorato e spento fino a quel momento. Anche se era sicuro di non trovarsi di fronte alla stessa Drusilla che aveva amato e aveva aspettato, era certo che anche la donna che in quel momento si trovava davanti a lui – con quegli occhi così azzurri da fargli girare la testa e quella voce che avrebbe potuto riempirgli le orecchie per giorni senza stancarlo – sarebbe riuscita a dare un senso alla sua attesa.
Stringere la mano del suo fidanzato, un damerino francese praticamente identico a come lei gliel’aveva descritto, fu un’esperienza più difficile, che richiese autocontrollo e lo spinse ad allontanarsi da loro, almeno per quella serata.
(Il giorno dopo Drusilla l’avrebbe raggiunto in biblioteca e gli avrebbe parlato delle spiagge di Marsiglia, così diverse da quelle di Los Angeles, della lingua che faceva ancora fatica a comprendere perfettamente e lo riempì di centinaia di informazioni inutili che aveva assorbito comunque, perché riguardavano lei e non potevano non suscitare il suo interesse, ma che non saziavano la sua sete di conoscenza per quella Drusilla nuova che lui aveva atteso e che faticava a comprendere totalmente.)
Quando rimise piede nell’Istituto di Città del Messico, non poté fare a meno di provare quella sensazione di attesa vuota e immotivata a cui si era recentemente adattato.
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Drusilla era arrabbiata con lui, realizzò improvvisamente, quando non ebbe risposta all’affettuoso biglietto che le aveva mandato per i suoi vent’anni – lo stesso che le aveva spedito per i quattordici, con i piccoli teschi neri in fila sullo sfondo bianco. Aveva vagato senza una vera e propria destinazione per la capitale per settimane, nella speranza di trovare la stessa cartoleria, o almeno lo stesso biglietto. Forse l’aveva fatto più per sé che per lei, per ricordarsi cosa stava stoicamente aspettando, il motivo per cui sua madre si era ormai convinta che stesse segretamente pianificando di unirsi ai Fratelli Silenti.
Non aveva mai mancato di rispondergli, per quanto breve potesse essere il messaggio inviato e non riusciva a non avvertire la delusione pungergli sempre più il cuore con il passare dei giorni – forse l’aveva persa per sempre, aveva perso la Drusilla di cui si era innamorato e quella di cui era amico, preferendo proteggersi rispetto a quella che poteva inizialmente sembrare un’insolita amicizia e sarebbe potuta diventare la storia d’amore in cui aveva sperato. Ma non le avrebbe permesso di continuare ad allontanarsi: sarebbe stato suo compito sanare la distanza che aveva creato, ricucire il rapporto che aveva quasi immediatamente strappato perché non era altro che un codardo.
Per la prima volta da quando avevano iniziato il loro scambio epistolare, Jaime le mandò una lettera in cui non parlava d’altro che di sé: non le chiedeva come stesse la sua famiglia, come le sembrasse l’Accademia, cosa ne pensasse della Francia – si riversò su quelle pagine come aveva sempre desiderato, parlando dei vani progetti nuziali di sua madre, dei primi, insicuri tentativi di dirigere l’Istituto, della ferita al fianco che a volte continuava a tenerlo sveglio la notte. Non menzionò la sua attesa, il suo amore, perché sentiva che quello era ancora un fardello che gli toccava portare da solo. Tuttavia non si sorprese quando una risposta non tardò ad arrivare.
Quindi si costrinse a scrivere, ancora e ancora, imparando con ogni missiva qualcosa di nuovo su Drusilla – che sembrava sempre meno estranea e più sua –: guardava ancora i film horror, anche al suo fidanzato non piacevano; vestiva sempre e solo di nero, anche quando non aveva la divisa da Shadowhunter; i suoi fratelli erano sempre al centro delle sue preoccupazioni, e poco importava che fossero ormai tutti adulti. Riusciva a scorgere tra le sue parole, tuttavia, un’amara nota di delusione, e il terrore lo assaliva al pensiero di esserne la causa – così come la loro conversazione alla biblioteca dell’Istituto di New York, quelle lettere lo lasciano in ogni caso insoddisfatto. Sentiva il bisogno di parlare con lei, di mettersi a nudo completamente, di lasciare che i suoi occhi gli trapassassero l’anima: forse allora avrebbe capito il senso della sua attesa, i suoi sforzi sarebbero stati gratificati se avesse anche solo potuto pensare di esserle riuscito a confessare i suoi penitenti anni da innamorato.
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Accompagnare Cristina all’Istituto di Los Angeles gli era sembrata una pessima idea: improvvisamente tutte le lettere dell’anno precedente avevano perso significato e non si sentiva pronto ad affrontare Drusilla, che si era aperta a lui pur freddamente, che appariva ancora più indomabile che a tredici anni, affiancata da una solitudine diversa da quella con cui l’aveva conosciuta – la sua Drusilla si sentiva messa da parte da una famiglia che la riteneva (a ragione) troppo giovane per prendere parte allo scempio del mondo dei Nephilim, mentre quella aveva davanti sembrava volersi distaccare dalla realtà per non farvi più ritorno.
Si era sentito in imbarazzo e aveva ringraziato l’Angelo che nessuno lo stesse guardando animato dal dubbio (tranne Cristina, perché Cristina sapeva tutto, anche se lui non gliel’aveva mai detto). Drusilla gli aveva sorriso, l’aveva accompagnato in una stanza per gli ospiti e poi se n’era andata – aveva combattuto l’istinto di pregarla di restare, di parlargli, perché in fondo doveva essere una sua scelta, doveva essere lei a venire da lui, altrimenti avrebbe privato di qualunque senso gli ultimi nove anni della sua vita. Anni che adesso più che mai gli pesavano sulle spalle e si chiedeva dove fosse finita tutta la determinazione che l’aveva animato, quando era molto più semplice rannicchiarsi su stesso e pregare di non provare più sentimenti.
Dopo i primi, estenuanti, giorni in cui Drusilla sembrava letteralmente scappare da lui, si era rassegnato a non cercare nemmeno più di avvicinarla: sapeva riconoscere un rifiuto quando lo riceveva e non sarebbe potuto essere più chiaro – forse Drusilla aveva amato (se mai l’aveva fatto) un Jaime più misterioso e affascinante, lo spettro di quel che era da adolescente, e di certo non si sarebbe interessata all’uomo che si era svuotato perché lei potesse infine riempirlo. Curiosando in giro per l’Istituto si era arrampicato fino a raggiungere il tetto, dove poteva godere di un isolamento che non gli era mai stato più gradito e del più bel panorama che si fosse mai soffermato ad osservare.
Rapito com’era dai suoi pensieri – sempre su Drusilla, perché se lei non lo voleva, nemmeno un po’, qual era stato il senso di quella vita vissuta per lei? – non si accorse della presenza accanto a lui finché non gli rivolse la parola.
«Te ne sei andato.», affermò Drusilla, secca. C’era del rimprovero, nella sua voce, e lui non aveva mai desiderato sparire così intensamente.
Scrollò le spalle, prima di giustificarsi: «Sono finito qui per caso, avevo bisogno di un po’ di tranquillità». La sentì irrigidirsi affianco a lui e seppe di aver detto la cosa sbagliata – non che immaginasse cosa fosse giusto o sbagliato, per quella Drusilla.
«No!», esclamò con foga, «Non capisci.», aggiunse, come se fosse il più grande peccato che avesse mai commesso – e l’Angelo sapeva se non era vero. «Te ne sei andato», ripeté con rabbia, come se quasi non riuscisse a contenersi. «Te ne sei andato quando ero convinta che in un mondo di persone che mi abbandonavano tu saresti tornato. Eri già tornato una volta, quando altri avevano bisogno di te, perché non saresti dovuto tornare quando ne avevo bisogno io?», chiese retoricamente, le parole affilate come pugnali.
«Avevo bisogno di te, avevo bisogno di un amico, di qualcuno che mi ascoltasse, mentre ho avuto solo sporadici biglietti e un paio di regali per i miei compleanni!», lo accusò, come se stesse cercando di chiedergli una spiegazione che sospettava non avrebbe mai ricevuto. «Eri l’unico amico che avessi mai avuto e da un giorno all’altro sei scomparso dalla mia vita e io non capivo perché. Ho aspettato per anni che ti facessi vivo, che avessi una spiegazione, impegni improrogabili che ti impedivano di scrivermi. Invece tu sei andato avanti con la tua vita e mi hai lasciato indietro. Non mi hai aspettato.», terminò, gli occhi puntati nei suoi e lo sguardo di sfida che lo invitava a smentirla.
Era questo che pensava? Il motivo per cui era arrabbiata, per cui le sue lettere con il passare degli anni si erano diradate? Era intimamente convinta che avesse vissuto per anni pensando raramente a lei, ricordandola brevemente nei pochi messaggi che aveva ricevuto. Era stato uno stupido a pensare che avrebbe funzionato, che potesse scomparire dalla sua vita così a lungo per poi riapparire e fare finta che non fosse mai successo nulla, che si fossero lasciati in toni amichevoli sulla stessa spiaggia che aveva fissato fino a pochi minuti prima e che lui non avesse rovinato tutto con i suoi timori e il suo desiderio di proteggerla e proteggere se stesso. Gli sarebbe quasi venuto da ridere per l’assurdità della situazione, ma distolse appena lo sguardo e lo spostò verso un punto lontano all’orizzonte.
«Credo di aver aspettato quasi dieci anni che tu venissi parlarmi sul tetto di questo Istituto.», confessò, come se, in ultima analisi, avesse finalmente capito – era questo che aveva aspettato, la possibilità di parlare da solo con lei senza sentirsi a disagio, senza quel peso sullo stomaco gli ricordava che Drusilla era una bambina. La possibilità di amarla ed essere amato senza indugi, di far straripare i suoi sentimenti mentre lei lo stringeva tra le braccia come se avesse intenzione di ucciderlo, con una familiarità che non aveva nulla dell’ignoto che l’aveva spaventato.






Note dell'autrice: e vissero tutti felici e contenti.
Ho da poco finito di leggere l'ultimo romanzo di TDA e onestamente avevo il bisogno di scrivere su di loro.
Ci sono un po' di OC buttati a destra e sinistra, spero che il prompt dell'attesa non sia stato ridondante e che sia riuscita a non stravolgere troppo i personaggi!
Fede


 
  
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