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Autore: Roberto Turati    09/03/2019    1 recensioni
Laura, Sam, Chloe e Jack sono quattro neo-laureati di Sidney che, dopo aver trovato un libro segreto firmato Charles Darwin che parla di ARK, un'isola preistorica abitata da creature ritenute estinte da milioni di anni, da un intrigante popolo, protetta da una barriera che altera lo spazio-tempo e che nasconde un "Tesoro" eccezionalmente importante, decidono di scoprire di più... andando su ARK. Ma le minacce sono tante, siccome l'arcipelago arkiano non è certo il più accogliente dei posti... però, per loro fortuna, non saranno soli nell'impresa. Fra creature preistoriche, mostri surreali, nemici che tenteranno di fermarli o di ucciderli per diversi motivi, rovine antiche, incontri da ogni luogo, da ogni epoca e da altri universi e gli indizi sul misterioso passato dimenticato di ARK, riusciranno a venire a capo di un luogo tanto surreale?
 
ATTENZIONE: oggi, il 30/06/2021, è iniziato un rifacimento radicale della storia usando l'esperienza che ho fatto con gli anni e la nuova mappa di ARK usata per l'isola del mio AU. Il contenuto della storia sta per cambiare in modo notevole.
Genere: Avventura, Mistero, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un'Isola Unica al Mondo'
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Dopo il passaggio che si era fatto dare sul diplodoco, Mike era stato portato al villaggio dei Teschi Ridenti, tribù stanziata nella macchia mediterranea sulla costa occidentale di ARK, non molto distante dal monte Opmilo e, come aveva già fatto presso le Frecce Dorate, si era fatto dare una stanza nella taverna. Il giorno dopo il suo arrivo, come da programma, era andato alla stalla comune e aveva chiesto agli stallieri quanti ciottoli volevano affinché gli insegnassero a cavalcare un volatile. Ma quelli avevano aspramente risposto che quel che stava chiedendo loro non era affatto un incarico da poco e che, se voleva convincerli ad accettare la richiesta, doveva offrire qualcosa di molto più “stuzzicante”. Per questo, in quel momento, Mike stava discutendo con Doris per la possibile soluzione.

«Dobbiamo riflettere attentamente, Doris: questa volta un giocattolino dal resto del mondo non basterà, vedendo il senso in cui intendevano “stuzzicante”!»

«Non ti è possibile applicare la cosiddetta “truffa zaino in spalla” in un senso più esteso?»

«Ma come? Non ho niente di così fuori dagli schemi che possa lasciarli di… – ma, a quel punto, gli venne un’illuminazione – Ma certo! Certo che ce l’ho! È proprio qui con me!»

«Di che si tratta?»

«Intelligente come sei, non lo capisci, DOR-15? Sei tu!»

«Io?»

«Sì! Sì, proprio tu! L’attrezzo più utile, versatile e convenzionale di sempre!»

«Sei totalmente sicuro che offrirmi a loro sarà sufficiente a convincerli ad istruirti come da te richiesto?»

«Sarà molto più che sufficiente! Tu sei già avanzata per il mondo in cui viviamo, immagina quanto saranno sorpresi questi sempliciotti esotici!»

«E per quanto riguarda il fatto che dovrai consegnarmi a loro?»

«Ah, non ci servirà! Basterà raccontare la giusta bugia e farla suonare più credibile che si può… muhuhuhuhuhahaha!»

E si accinse ad uscire dalla camera, con l’ardore di un leone. Ma…

«Un momento… ma cosa posso dirgli per presentarti?»

«Sei sconsigliato di sottovalutare le tue capacità di improvvisazione: nelle città in cui siamo stati finora hai sempre dimostrato di avere una colorita fantasia»

«Lo so, ma qui… perché non ti presenti da sola? Sei molto più brava di me…»

«Per ovvie ragioni»

«Oh, giusto: un cappello senza testa potrebbe traumatizzarli, se non li si prepara…»

«Ti suggerisco molto caldamente di farti coraggio e prepararti a procedere» lo incoraggiò Doris, prima di posarsi sulla sua testa ed entrare in modalità furtiva.

«Spero che tu abbia ragione, mia adorata DOR-15!»

Mike Yagoobian, facendo appello a tutta la sua esperienza da sceneggiatore di strada, andò alla stalla comune e socchiuse timidamente la porta. Lo scricchiolìo fu fortissimo in ogni caso, quindi tutti gli stallieri interruppero bruscamente le loro faccende e lo fissarono, perplessi. Le bestie erano tutte tranquille e ignorarono l’arrivo di Mike.

«Ancora tu, eh? Sei venuto per offrirci qualcosa di decente?» chiese un vecchietto calvo e con una lunga barba bianca, la schiena curva e senza la gamba sinistra.

«Sì, sono ancora io… ehm… posso?» chiese Mike, in preda all’ansia.

«Sì, non mordiamo mica!» gli rispose una donna spaventosamente muscolosa, ridendo.

Mike entrò e si richiuse la porta alle spalle, provocando uno scricchiolìo ancora più intenso ed imbarazzante.

«Dunque… ehm… preparatevi per… uhm… la più…»

«Ehi, ci sei o ci fai?» gli chiese sarcasticamente un giovane Arkiano sulla ventina, facendo scoppiare tutti i presenti a ridere.

Mike sentì una fitta di rabbia. E fu proprio tale rabbia che fece scattare la scintilla creativa nella sua mente, facendogli decidere una volta per tutte come fare il suo discorso. Fece un sorriso a trentadue denti da imbonitore, scrocchiò le nocche, si raschiò la gola e iniziò:

«Resterete a bocca aperta! Dubito che abbiate mai visto o sentito di un’invenzione geniale e stupefacente come quella che sto per mostrarvi! Voglio farvi una domanda: per cosa vi mettete in gioco ogni giorno della vostra vita, magari anche rischiando di perderla, solo per provare a semplificarvela?»

«Be’… cerchiamo di imparare sempre più cose dagli stranieri, tranne che dagli idevlac, e ci facciamo aiutare dagli animali che domiamo» rispose la donna muscolosa.

«Chi sono gli ide… cosi?» chiese Mike, colto alla sprovvista.

«Sono degli strani uomini che arrivano dal cielo ogni due anni da un cerchio nero. Usano strumenti così strani da non sembrare nemmeno reali!» rispose il vecchietto invalido.

«Oh… ehm… ma voi usate solo le bestiole e le cose del mondo, giusto?» domandò Mike.

«Sì» fu la risposta collettiva.

Il sorriso da imbonitore tornò sulle labbra di Mike:

«Bene! Benissimo! Allora sappiate che in un futuro affatto lontano come potreste pensare non vi serviranno più i dinosauri per vivere bene e nella comodità più assoluta, perché è arrivata… questa!»

Si sfilò Doris dalla testa e, tenendola appoggiata sulle mani a coppa, la fece vedere a tutti camminando avanti e indietro per la stalla.

«Un cappello strano e pure brutto? Comincio davvero a sentirmi preso in giro» commentò il ventenne, con diffidenza.

«A-ha! Avrei giurato che uno di voi l’avrebbe detto! – reagì prontamente Mike – Ebbene, l’apparenza inganna! Perché questo cappello, questa semplice e minuscola bombetta, vi cambierà la vita! Sì, sì, sì! Dovete provarla, deve piacervi, dovete progredire fino a divenire capaci di costruirla da voi e fabbricarla in serie, perché questo prodotto è stupendo, unico, sensazionale, straordinariamente innovativo ed è pure comodissimo quando indossato!»

Corse dal vecchietto invalido e gli mise Doris in testa.

«Allora, com’è?» chiese.

«Ehm… sì, è davvero comodo, ma non vedo niente di speciale» rispose il vecchio.

«E adesso… inizia la magia! È il tuo momento, Doris! Rivelati!»

«Come desideri» rispose la bombetta.

Dunque, uscì dalla modalità furtiva e si alzò in volo, lasciando tutti con un palmo di naso.

«Buongiorno, io sono DOR-15, il primo modello della versione commerciale e definitiva di cappello-domestico. Come posso esservi utile?»

Gli stallieri erano sconvolti.

«Coraggio, non siate timorosi! Datele un ordine qualsiasi» li esortò Mike.

«Ehm… cappello parlante e volante, potresti spazzolare questo megaterio fino a levargli tutti i peli morti?» provò la donna muscolosa, indicandole un megaterio seduto in uno dei piccoli recinti della stalla comune.

«Certamente, signorina» rispose Doris.

La bombetta, dunque, andò a prendere una spazzola con una delle braccia meccaniche e, andata dall’enorme bradipo, iniziò a strofinarne la pelliccia con movimenti rapidissimi, ma precisi ed efficaci. In cique minuti, finì l’azione per cui in media una persona impiegava più di tre quarti d’ora.

«E il bello è che non finisce qui! I cappelli-domestici hanno decine e decine di accessori di ultima generazione, pratici e utili! Immaginatevi se ognuno su quest’isola ne avesse uno!» esclamò Mike.

«E… quando li avremo?» chiese il ventenne.

«Oh, presto! Purtroppo, Doris è ormai intestata a me e mi appartiene, ma in un vicinissimo futuro, dopo che io avrò fatto quanto necessario per superare l’ostacolo del muro invisibile che circonda la vostra graziosa isola, potrò acquistarne centinaia d’altri e regalarveli! Sì, avete capito: per voi saranno gratuiti! Ora, se voi foste così gentili da insegnarmi a volare con una di queste bestioline con le ali… potrei spostarmi da una parte all’altra dell’isola e fare prima quello che mi tocca fare, cioè aprire il muro invisibile, magari assaggiare i vostri prodotti gastronomici oppure… vedere se trovo una certa cosuccia che potrebbe rendermi l’uomo più ricco del mondo. Allora, ci state? È un giuramento solenne! Tornerò qui e allora avrete i cappelli-domestici!»

I tre stallieri si guardarono, poi annuirono. Mike esultò mentalmente, orgoglioso delle sue capacità di truffatore di strada.

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Per raggiungere la giungla, avevano deciso di farsi dare un passaggio in barca via fiume. Dunque si erano diretti a Sud, fino a raggiungere l’Etnorehca, il fiume più grande di ARK; per la precisione, erano andati fino al punto in cui l’acqua, dopo aver scorso verso Ovest per kilometri, svoltava improvvisamente a Sud. Con gli anni, l’erosione aveva fatto in modo che si formasse un lago, o comunque una gigantesca conca in cui l’acqua si fermava, pur se ricevendo un continuo ricambio. Quell’ansa era chiamata “Efam ved Vèfaz”, che in arkiano significa “Rupe dei Tuffi”. Questo perché c’era un’alta parete di roccia a picco sulla riva più esterna; tale parete aveva una lunghissima sporgenza che si prolungava fino al centro esatto della conca. I più temerari o, comunque, quelli a cui piaceva fare cose adrenaliniche erano soliti arrampicarcisi per poi tuffarsi dal limite della sporgenza. L’unico rischio, dopo il tuffo, era l’eventuale passaggio di qualche megapiraña affamato.

«Qualcuno di voi vuole provare il tuffo? Io l’ho fatto a quattordici anni: è stato fantastico!» aveva chiesto innocentemente Acceber, quando erano arrivati.

Tutti quanti scossero subito la testa, facendo un’espressione che significava “io non sono scemo!”. L’unico che guardava quella rupe con aria tentatissima era Sam, che una volta alle elementari aveva assunto il titolo di “più coraggioso della scuola” per essersi tuffato giù dalla scogliera di un faro, a Sidney.

«Io ho voluto farlo, due anni fa – raccontò Helena – E me ne sono pentita prima ancora di toccare l’acqua!»

Acceber fece spallucce.

«Comunque, stavo pensando… prima o poi voi ragazzi dovrete prendervi delle cavalcature personali! – continuò la ragazza – Mi sento ancora in colpa a vedervi costretti a seguirci a piedi, specialmente adesso che ci sono io con Rexar e i vostri amici coi loro velociraptor!»

«Effettivamente, io comincio a non sopportare più le marce forzate, anche se queste tute piene di foglie sono comodissime!» rispose Chloe.

«Sì, anch’io vi suggerisco di prendere degli animali al più presto: sono pratici per le fughe» affermò Rockwell.

«Allora vi consiglio di cominciare a raccogliere ciottoli, prima che saliamo in barca: questa riva è molto ghiaiosa, come vedete» concluse Acceber.

«Non saprei… io ci vedo un lato triste – affermò Laura – Se riusciamo a prendere delle bestie e a tenerle in vita con noi per il resto del viaggio… come faremmo quando sarà ora di andare via da ARK? Non so come si ragiona qui o come vi siete sentiti voi due anni fa, ma io credo che mi ci affezionerei troppo per separarmene, specialmente perché il fatto che siano degli animali preistorici me li farebbe stare ancora più a cuore!»

Acceber rimase interdetta, e anche gli autori dei diari. In particolare Mei-Yin: lei si era fatta un vero e proprio esercito, prima che iniziasse la serie di eventi finita con la loro partenza. In particolare, si era affezionata a Wuzhui, il suo primo animale, un velociraptor che aveva addomesticato nella giungla. Alla fine, sia perché si era concentrata su altro, sia perché aveva perso tutti gli animali, non ci aveva più pensato; ma se li avesse avuti ancora quando avrebbe dovuto lasciare l’isola, avrebbe provato le stesse emozioni descritte da Laura, il che la fece riflettere molto sull’empatia che cercava sempre di mettere in secondo piano per potersi concentrare meglio su quello che c’era da fare. La stessa cosa sarebbe valsa per Helena e Rockwell, che ai tempi avevano degli argentavis. Sam ebbe l’impulso di fare una battuta di cattivo gusto sul sentimentalismo, ma poi reputò che avrebbe solo peggiorato le cose e si trattenne.

«Be’… nel frattempo pensiamo ad imbarcarci! Va bene?» si riscosse la figlia di Drof.

I ragazzi annuirono, con dei mezzi sorrisi imbarazzati.

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L’imbarcazione da trasporto che navigava lungo l’Etnorehca era una grandissima zattera in legno, capace di ospitare fino ad un massimo di venticinque passeggeri, fra persone ed animali di piccola o media taglia. Era comunque una barca piccola, in confronto al fiume, il quale era largo una sessantina di metri ed era profondo poco più di una trentina. Per non rischiare incidenti con dei predatori d’acqua dolce (come, per esempio, i sarcosuchi), la chiatta era scortata dallo spinosauro del barcaiolo, che sorvegliava le acque precedendoli di qualche decina di metri, girando loro intorno e immergendosi ogni tanto per controllare che non ci fosse niente di pericoloso. La navigazione era tranquilla. Il barcaiolo parlava poco o affatto; però, siccome masticava foglie di tabacco essiccate, sputava ogni due minuti e Jack doveva trattenere un conato di vomito ogni volta, perché solo pensare a quegli sputi schiumosi che finivano nel fiume lo nauseava. Laura aveva chiesto come gli Arkiani avessero scoperto la nicotina e Rockwell aveva spiegato che, dal momento che parecchi naufraghi che finivano su ARK avevano il vizio del fumo, i nativi erano risaliti alla radice di quella sostanza così rilassante da rendere dipendenti da essa: la pianta di tabacco. Al tramonto la quiete fu interrotta da uno stridìo proveniente dal cielo. Tutti guardarono su e videro la sagoma di un piccolo volatile che sfrecciava in picchiata nella loro direzione.

«Un dimorfodonte viaggiatore!» esclamò Acceber, quando notò il pezzo di carta arrotolato e legato attorno a una zampa del piccolo pterosauro.

«Cosa? Avete pure la posta?» chiese Sam.

«Sì» gli rispose Acceber.

Il dimorfodonte atterrò velocemente sull’imbarcazione, quasi schiantandosi. Si avvicinò ad Acceber, sempre stridendo, essendo lei la destinataria. Acceber tese il suo braccio destro perché le salisse in spalla. Il dimorfodonte balzò su, aspettò che lei gli staccasse la lettera dalla zampa e ripartì.

«Che figata!» esclamò Chloe.

«Su quest’isola ne vedrai molte altre, credici!» le disse Helena, strizzando l’occhio.

Sul lato esterno del foglio c’era il nome del mittente.

«È di mio padre! – constatò Acceber, sorpresa – Perché mai mi ha scritto? Conoscendolo, avrebbe dovuto essere già venuto da noi…»

Tutti puntarono gli occhi su di lei, incuriositi. Acceber leggeva con aria assorta e perplessa. Ma, ad un certo punto, diventò pallida e sbarrò gli occhi… che subito dopo si rovesciarono all’indietro… e svenne.

«Oh! Ehi! Ma che...» fece Sam.

Tutti si precipitarono da lei, anche il barcaiolo.

«Secondo te le è preso qualcosa o è solo svenuta?» chiese Helena a Rockwell.

Il medico controllò il polso di Acceber e le aprì un occhio per vedere se la pupilla reagiva normalmente alla luce.

«Non sembra un malore dovuto ad un’infezione o ad uno squilibrio dei parametri: ha solo perso i sensi» concluse.

«Ma… che c’è scritto in quella lettera? Se è svenuta per quello, dev’essere grave. Almeno per lei» ragionò Nerva.

Chloe cercò il foglio, ma vide presto che era finito in acqua dopo la caduta di Acceber. Poi, all’improvviso, la ragazza si riprese e si mise seduta. E cominciò a piangere e ad ansimare in preda al panico.

«No... no! Non può essere vero… no, era un sogno! No... non lui! Lui è morto! Non lui!» adesso le lacrime scendevano una dietro l’altra, come la pioggia.

«Acceber, che ti prende?» le chiese Laura.

«Io… io… devo bere»

«Vado a prendere una borraccia» si offrì Mei.

Ma Acceber, sconvolta, si era già trascinata fino al bordo della zattera e aveva preso a bere direttamente dal fiume.

«Perbacco! Un urto emotivo in piena regola! Di norma, occorre il ritorno di un forte trauma infantile per provocarne uno… o meglio, così ho letto nei saggi di tale Sigmund Freud tre mesi fa» commentò Rockwell, non accorgendosi che non era esattamente il caso di dire certe cose in quel momento.

«Acceber, per piacere, spiegati! Sfogati! Dicci tutto!» la incoraggiò Jack.

«V-v-va b-b-bene… – balbettò Acceber, ancora pallida – Mio padre… è stato ferito… dal Ladro di Innesti… e…»

«Chi?» chiesero tutti, all’unisono.

«L’assassino più violento, sadico e psicopatico che ARK abbia mai conosciuto – spiegò il barcaiolo – Da anni si trovano persone morte smembrate e senza più il loro Impianto della Maturità – Dunque, non conoscendo il suo nome, l’abbiamo chiamato “Ladro di Impianti”. Ultimamente giungono dei pettegolezzi dal villaggio degli Alberi Eterni: dicono che hanno scoperto chi sia. Se almeno si degnassero di dire questo dannato nome!»

«Perché noi non ne abbiamo mai sentito parlare? Siamo stati qui due anni fa» domandò Edmund.

«Allora tutti erano concentrati sulla maledetta Nuova Legione» fu la spiegazione.

«Lui… – Rantolò Acceber, imbambolata – È… Gnul-Iat…»

«E chi sarebbe?» chiesero tutti. 

«Mio… fratello…»

Automaticamente, sentendo quelle parole, Chloe ripensò a quello che avevo visto a casa Ydorb: il ritratto di famiglia. Nel disegno c’erano quattro persone: due genitori e due figli, ad uno dei quali uno era stato cancellato il volto. Chloe aveva già scoperto allora che Acceber non era figlia unica, ma poi non ci aveva più pensato. A giudicare da come la loro guida aveva reagito a leggere il nome del fratello, avevano dovuto avere una ragione decisamente più che valida per disconoscerlo.

«Uao… e così hai un fratello, eh? Si può sapere perché sei morta dentro?» chiese Sam, senza più preoccuparsi di avere tatto.

«Io torno al timone» annunciò il barcaiolo.

«Io… sì... va bene, va bene… è giusto che capiate…» balbettò Acceber, sforzandosi di calmarsi.

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Tutti si sedettero in cerchio davanti ad Acceber, che finalmente si era tranquillizzata.

«Mio fratello non è sempre stato quello di cui avete appena sentito parlare – raccontò – Io e lui siamo nati lo stesso giorno ed eravamo inseparabili. Be’, forse lui aveva un po’ meno pazienza di me quando succedevano cose snervanti, ma era normale. Eravamo felici. Ma è tutto cambiato il giorno in cui abbiamo compiuto dieci anni. Mio padre mi aveva portato fuori, quel giorno. Voleva farmi vedere l’isola fuori dal villaggio per la prima volta. Com’era bello… Gnul-Iat, invece, andò con nostra madre. E loro ebbero una sfortuna immensa. Come sapete, le strade battute sono sicure, però ci sono delle eccezioni a tutto. Anche alla sicurezza. Quando io e mio padre tornammo al villaggio, ci stupimmo di non trovarli da nessuna parte. Il giorno dopo, il capo degli Alberi Eterni in persona venne a riportarci Gnul-Iat da solo. Per gli spiriti, ricordo ancora la sua faccia… il suo sguardo… mi faceva paura… e quando ci fu spiegato che nostra madre era stata uccisa da un tilacoleo e che il suo corpo era stato trovato in una fossa nella foresta di sequoie, mi sentii… non ho idea di come mi sentii. Ma era terribile. E, chiaramente, mio fratello aveva assistito alla sua morte. Non era più lui, era un guscio vuoto che non pensava né provava niente»

«Aspetta… per caso è per questo che hai scelto un tilacoleo per la tua Prova? Per onorare tua madre?» chiese Helena.

«Sì. Comunque sia, da quel giorno Gnul non fu più lo stesso. Era apatico, irritabile, non diceva quasi più niente… inoltre usciva continuamente di casa, spesso non lo si vedeva per tutto il giorno. Poi alcuni compagni di villaggio raccontarono a mio padre di averlo visto mentre uccideva e squartava piccoli animali catturati in giro. Mio padre indagò e scoprì che Gnul-Iat aveva un nascondiglio segreto dove accumulava le carcasse degli animali che macellava tutti i giorni. Erano tantissimi… ma, per qualche motivo, lui non disse niente. Io stessa sono venuta a saperlo qualche anno dopo. Dopo alcuni mesi, mio fratello è cambiato ancora: ora prendeva in giro tutto e tutti, faceva del sarcasmo, tirava fuori dei commenti acidi per qualsiasi cosa… anche quello non era normale. Poi… ci fu la rovina di tutto. Un giorno, io ero andata al fiume per prendere dell’acqua, siccome toccava a me lavare i vestiti. Mentre riempivo il secchio, lui è comparso dietro di me e mi ha colpito in testa. Mi ha buttato sulla ghiaia. Mi ha tenuto ferma la testa… aveva un coltello… lui mi… guardate voi stessi»

Si voltò e, per la prima volta da quando i ragazzi l’avevano conosciuta, si raccolse i capelli. Rimasero a bocca aperta quando videro che sulla schiena di Acceber, sotto il collo, era inciso il nome del fratello:

«Seriamente?! Una firma con un coltello?! Questo tizio non è pazzo, è veramente fuori!» esclamò Sam.

«Dopo questo, appofittai di un momento in cui allentò la presa per liberarmi. Quella riva era piena di sassi. Ne afferrai uno e lo colpii in testa con quello. Tre volte. Gnul-Iat svenne e cadde nel fiume, con la faccia sommersa. La corrente lo portò via. Non l’ho pù rivisto. Ed ecco perché lo davamo per morto. Mio padre era dispiaciuto, ma anche soddisfatto della cosa, dentro di sé. Io non ho mai saputo cosa pensare a riguardo. La storia si sparse per tutta ARK e per sei mesi non si sentì parlare d’altro. Quanto a me, siccome mi vergognavo di questa cicatrice, lasciai che i miei capelli la nascondessero. Infine, da allora, mi sforzo di essere più allegra che posso per allontanare i brutti ricordi. Ormai, l’unico argomento che mi dava ancora felicità era la speranza di imparare tutto sul mondo esterno grazie ai visitatori stranieri. Quella è sempre stata la cosa che mi ha affascinato di più. Ero anche riuscita a cancellarlo dalla mia mente, ma ora scopro che mio fratello è vivo, è l’assassino seriale più temibile di ARK e mi sta cercando per finire quello che ha cominciato otto anni fa. Sono terrorizzata…»

«Faremo in modo che non ci riesca, puoi fidarti» le promise Mei, mettendole una mano sulla spalla.

Sentire quella triste storia le aveva fatto venire compassione per Acceber. Della vera compassione. Più unico che raro per Mei-Yin-Li.

«Grazie, Regina delle Bestie» ringraziò Acceber.

«Per favore, chiamami solo Mei: non è necessario esaltare la mia figura»

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Una massa di cumulonembi nel cielo coprì il Sole. Pochi minuti dopo, iniziò a piovere. Poi la pioggia divenne un temporale. Si dovettero rifugiare sotto la piccola tenda ad un angolo del barcone per non inzupparsi. Intanto, anche se solo Laura l’aveva notato, lo spinosauro del barcaiolo non emergeva più da diversi minuti. Ma non se ne preoccupò, dato che suppose che si trovasse sott’acqua, il che era molto plausibile, essendo gli spinosauri animali preferibilmente acquatici. Eppure sentiva, dentro di sé, che qualcosa non andava. Si sentiva leggermente a disagio. Non capiva perché e la cosa la preoccupava. Poi, all’improvviso…

 

TOC!!!

Qualcosa si schiantò contro le assi di legno della barca dal basso, facendola ondeggiare molto più di quanto non facesse già.

«Ah! Cos’è stato?» chiese Jack, spaventato.

«Accidenti, quanto è stato sgradevole…» si lamentò Rockwell.

«Di certo, solo un animale avrebbe potuto farlo…» rifletté Helena.

«Confermo» risposero Acceber e Laura.

Rexar, nervoso, aveva piantato gli artigli nel legno, teso i muscoli e scoperto i denti.

Il barcaiolo cominciò a fischiare più forte che poté. Poco dopo, disse qualcosa:

«Qsap ded edòtèvim ip itic imovif!...»

«Cos’ha detto?» chiese Sam ad Acceber.

«Che il suo spinosauro non risponde ai suoi fischi. Dev’essergli successo qualcosa di grave…» fu la traduzione.

A Laura venne la pelle d’oca. La sua sensazione era giusta!

Acceber suggerì di prendere le armi e ognuno eseguì. Il barcaiolo prese una balestra e, tenendosi sempre pronto al lancio, iniziò ad osservare la superficie del fiume. La pioggia la agitava, sarebbe stato difficile individuare le increspature causate dalla creatura che aveva colpito la barca, qualunque essa fosse. Per diversi secondi ci fu calma; l’unico rumore era quello della pioggia. Poi, all’improvviso, a poppa ci fu un enorme schizzo e l’acqua si agitò ancora di più. Intravidero due vele, una arancio e una verde, in mezzo alla schiuma. Un secono dopo, scomparvero.

«Il dinosauro del barcaiolo sta combattendo contro un suo simile!» esclamò Chloe.

I due spinosauri comparvero ancora, ma si vedeva e capiva pochissimo. Gli schizzi che sollevavano nascondevano buona parte del loro combattimento subacqueo.

«È spaventoso ma… è anche una figata!» commentò Sam, senza fiato.

Rexar, per qualche motivo, ruggì e balzò sul bordo della barca per sferrare una fulminea zampata alla superficie del fiume. Il barcaiolo osservò l’acqua, perplesso… e qualcosa afferrò la sua caviglia sinistra e lo trascinò fuori bordo. L’Arkiano, però, si aggrappò giusto in tempo al timone. Nerva corse ad aiutarlo e, afferratogli un braccio, cercò di tirarlo su. Ma la creatura che aveva afferrato il barcaiolo emerse e addentò il collo della sua preda, uccidendola all’istante. Aveva un muso che sembrava l’unione fra quella di un coccodrillo e quella di una lucertola, con piccoli denti conici.

«Barionice!» esclamò Laura, riconoscendolo.

Il barionce, con uno strattone finale, portò via la carcassa della vittima e Nerva rimase col moncherino sanguinante dell’avambraccio in mano.

Contemporaneamente, senza che gli altri se ne accorgessero, la lotta fra gli spinosauri si era spostata… adesso erano pericolosamente vicini a loro. Infatti uno, spinto dall’altro, ci finì contro, distruggendola.

L’ultima cosa che Jack Thunder vide, prima di perdere i sensi, fu il cielo che svaniva sotto la superficie mossa del fiume. E sentì l’acqua che gli entrava nel naso.

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Mike Yagoobian non si sarebbe mai aspettato che imparare a cavalcare lo pteranodonte fosse così facile. Credeva che gli ci sarebbero voluti mesi; invece, nel giro di tre giorni, già aveva imparato a non farsi disarcionare (anche se era successo infinite volte), aveva capito come tenere le gambe sulla speciale sella per volatili e con quanta forza tirare le redini per rallentare, svoltare e decollare o atterrare. La sua truffa “zaino in spalla” con Doris era stata un gran successo, reso ancora più facile da raggiungere dalla stupidità degli stallieri. Non a caso i capivillaggio sceglievano quelli con le capacità di sopravvivenza più scarse per il lavoro nelle stalle comuni. Il loro nuovo mezzo di trasporto era stato battezzato Girodue, in memoria del vecchio e tanto rimpianto girocottero. Così, quel giorno, fece un’ultima volta la promessa fasulla sulla promozione dei cappelli-domestici e, congedatosi coi suoi ex-allenatori, volò via dal villaggio dei Teschi Ridenti. Era pure meno fastidioso del girocottero, visto che non c’erano eliche a fare un gran rumore. Erano inzuppati da capo a piedi per la pioggia. Inoltre, le correnti d’aria si percepivano di più in volo: faceva venire freddo. Ma Mike era abituato a stare sotto la pioggia: era una delle situazioni più ricorrenti nella vita del senzatetto. E, del resto, la sua giacca di pelle era buona come impermeabile. Insomma, niente di insopportabile. L’unico rischio possibile era farsi colpire da un fulmine, ma quella era più una questione di sfortuna.

«Allora, cara Doris, puoi fare un’altra scansione? Dobbiamo rintracciare quei bambocci» chiese.

«Certamente»

«Ora che ci penso… non è strambo che, previdente e macchinosa come sei, non ti sia mai ricordata di farne una negli ultimi giorni?» domandò Mike.

«Nell’ultimo periodo, la nostra necessità primaria è stata procurarci qualcosa che potesse sostituire l’autogiro: non serviva intraprendere una scansione geografica ai fini della nostra operazione»

«Se lo dici tu…»

Doris, dunque, si alzò in volo e, raggiunto un punto più alto nel cielo, scandagliò ARK alla ricerca dei loro obiettivi. Tornò poco dopo:

«Ci sono degli aggiornamenti preoccupanti»

«Dannazione! Cos’è? Ho già capito che è una delle notizie che fanno dire “dannazione” o peggio…»

«I soggetti Walker, Rockwell, Li e Nerva hanno raggiunto a loro volta l’isola e si sono uniti ai soggetti Hamilton, Webster, Thunder e Fox. Inoltre, con loro c’è una giovane locale della presumibile età di diciotto anni»

«Dannazione!»

«Sono presenti un esemplare di Thylacoleo furtimorsus e quattro di Velociraptor prime»

«Dannazione! Perché non ce ne va mai una giusta?!»

«Ma c’è anche una cosiddetta “buona notizia”» aggiunse Doris.

Subito dopo, Girodue scosse la sua lunga ed ingombrante testa per togliersi qualcosa che gli era entrato nell’occhio e la sella dondolò per alcuni secondi, facendo venire i sudori freddi a Mike.

«Quale sarebbe?»

«In questo momento sono separati. Probabilmente hanno avuto un incidente o hanno fatto un incontro ravvicinato con una creatura aggressiva»

«Oh… ottimo! Questo potrebbe semplificarci parecchio le cose! Dobbiamo solo giocare le carte giuste… e la vittoria sarà nostra! Muhuhuhaha! Avanti, dimmi dove sono!»

«A pochi kilometri da qui c’è un fiume. Segui la sponda verso Est e li troverai»

«Hai detto che sono separati, giusto? Chi sarebbe più facile da pedinare e catturare per il nostro interrogatorio sui manufatti?»

«Approssimativamente parlando, sei consigliato di fare un tentativo coi soggetti Hamilton e Walker. In questo momento, sono sole con la giovane nativa. Ammesso che quest’ultima non si riveli un ostacolo più considerevole del previsto, questi dovrebbero essere i nostri bersagli più facili»

«Sei mitica! Andiamo a prendere la biondina e la biologa! Forza, Girodue, svolta!»

Strattonò le redini verso destra, anche se un po’ troppo energicamente. Girodue gracchiò con tono irritato, ma svoltò come richiesto dal padrone e accelerò.

“Magari ne approfitterò per vendicarmi con Walker per l’umiliazione subìta nel magazzino, a Sidney. Chissà, potrebbe essere un’occasione. La rivincita di Mike Yagoobian incombe!” pensò l’uomo con la bombetta.

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Jack non aveva visto che nero, dopo aver perso i sensi nel fiume. Il nero era abbinato alla terribile sensazione di non riuscire a respirare. Ci provava, ma niente: l’aria non voleva per niente entrare nelle sue narici. Voleva provare a respirare con la bocca, ma non riusciva ad aprirla: ogni parte del suo corpo non si muoveva. Per quanto si sforzasse, non poteva muovere niente. Non poteva nemmeno aprire gli occhi. In realtà, non sapeva bene se in quel momento erano aperti o chiusi: il nero rendeva la cosa impossibile da stabilire. Il che rendeva quel nero ancora peggiore della cecità temporanea che gli era venuta quando il dilofosauro gli aveva sputato, il primo giorno su ARK. Poi… qualcosa lo colpì sullo sterno. Il dolore fu intenso, ma durò solo un secondo. Poi fu colpito ancora, ancora e ancora. Si rese conto che più veniva colpito, più il nero sembrava dissiparsi. Poi gli sembrò di poter piegare le dita. Poi riuscì a muovere i piedi. Dopo toccò alle palpebre (e questo gli fece capire che aveva gli occhi chiusi). Poi, finalmente, riuscì a tirare un profondissimo sospiro. La sensazione dell’aria fresca che entrava di nuovo nei suoi polmoni vuoti era meravigliosa. E poi... luce! Improvvisamente, vide il cielo coperto di nuvole grigio-bianche sopra di sé. Si rese conto di avere la bocca piena d’acqua, quindi la buttò fuori come una fontana. La pioggia gli stava bagnando tutto il corpo, ma non faceva nessuna differenza, dal momento che poco prima era caduto in un fiume in piena. Sotto la propria schiena sentiva tanti piccoli rilievi che premevano sulla sua pelle, pizzicando i suoi nervi. Dedusse di essere disteso su della ghiaia e, dunque, di essere sulla sponda del fiume. Poi sentì una voce, la voce di Edmund Rockwell.

«Perdinci, giovanotto! Mi hai quasi spaventato! Temevo che fossi morto: non reagivi!»

Jack si mise seduto e trovò il medico londinese inginocchiato alla sua destra.

«Dottor Rockwell… cos’è successo?»

«I due spinosauri hanno distrutto la barca, il nostro traghettatore è morto e siamo stati tutti separati. Dopo aver raggiunto con estrema fatica la riva del fiume facendo appello a quello che resta della mia prestanza fisica minata dall’età, ho cominciato a cercare gli altri. Ho trovato te, che galleggiavi sulla sponda con la faccia immersa. Eri sul punto di annegare, sai? Ti ho fatto un massaggio cardiaco, ma non ero sicuro della sua efficacia»

E, con questo racconto, Jack si spiegò le fitte allo sterno.

«Ha idea di dove possano essere gli altri?»

«Sfortunatamente, no. In ogni caso, giovanotto, non pensi che dovresti dirmi qualcosa, in quanto ti ho salvato la vita?»

«Eh? Ah, giusto! La ringrazio»

«Non c’è di che. Ora aspettami qui…»

Rockwell si alzò e si diresse al limitare della foresta di sequoie: infatti, loro due erano finiti sulla sponda meridionale dell’Etnorehca. Intanto, Jack si risedette e osservò l’acqua che scorreva davanti a lui. Non gli sembrò affatto vero di essere sopravvissuto ad una cosa simile, quando per lui un semplice giro in bici era stato una tortura mortale.

“Chissà, magari quest’isola mi farà diventare più forte! – pensò – Magari non coraggioso e forzuto quanto Sam, però…”

Notò qualcosa: a pochi metri dalla riva, la superficie dell’acqua aveva come ribollito per un paio di secondi. Era appena visibile, ma era comunque un movimento parecchio diverso da quello della corrente. Si fermò subito. Ma, per sicurezza, Jack si alzò e fece un po’ di passi indietro. Si voltò in cerca di Rockwell e lo vide indaffarato a staccare dei pezzi di legno dagli arbusti che circondavano le immense sequoie. Jack ammirò con soggezione quegli enormi sempreverdi: i più alti raggiungevano almeno i novanta metri e le fronde ad ombrello erano vastissime. I tronchi rossicci e pieni di scanalature trasmettevano tutta la sensazione che quelle piante fossero lì da decine di secoli. Però l’idea di esplorarla non gli andava tanto a genio. Certo, la trovava molto meno inquietante della foresta in cui erano stati assaltati dai troodonti, però… ritornò alla realtà quando, finalmente, Rockwell tornò da lui. Aveva legato delle pietre appuntite ai rami che aveva raccolto per fare due lance improvvisate. Gliene passò una.

«Avrei preferito fabbricarne altre, per sicurezza, ma temo che il tempo non giochi a nostro favore in questo caso. Però, a meno che non incrociamo delle creature eccessivamente pericolose, queste dovrebbero fornirci una protezione sufficiente. Tu fanne buon uso!»

«Mi scusi se lo dico, ma… mi sembrano sempre troppo poco. Inoltre, non ho ancora tutta questa dimestichezza con le lance. Quando ci sono stati i troodonti, l’ho usata più o meno alla cieca»

«Giovanotto, hai idea di chi fossi una volta? A venticinque anni ho abbattuto una tigre del Bengala col solo ausilio di una fiaschetta piena e una pipa accesa. Non riportai nemmeno un graffio!»

«Mi sembra impossibile»

«Sono Sir Edmund Rockwell. Quando si ha un ingegno come il mio, niente è impossibile! Dovresti essere più sicuro di te, sai?»

«Me lo dicono in tanti e lo penso anch’io»

«Comunque sia, non temere: mi accerterò che arriviamo dagli altri sani e salvi!»

«Lo…»

GRRRRRRRRRR...

Jack fu bruscamente interrotto da un ringhio profondo e gorgogliante. Si voltarono. Dalla foresta era appena emerso un metaorso. Jack non aveva mai visto un orso in tutta la sua vita, neanche allo zoo, in quanto non gli interessava andarci. E, come prima volta, quella fu davvero spaventosa. Era a venti metri da loro, ma si capiva anche così quanto fosse imponente. Jack, rabbrividendo, tese la lancia:

«Sapevo che sarebbe andata male! Questo stecco farà ben poco, me lo sento…» mugolò.

Ma Rockwell lo tranquillizzò:

«Rilassati, giovanotto! Se avesse avuto intenzione di ucciderci, l’avrebbe già fatto! Ci sta semplicemente avvertendo di lasciarlo stare. Molto probabilmente è qui per bere. Basterà che lo assecondiamo e si dimenticherà subito di noi»

«Oh… bene!» rispose Jack, con un sorriso imbarazzato e sentendosi stupido.

Quindi si spostarono e, come supposto da Edmund, il metaorso andò ad abbeverarsi. Lo osservarono dalla distanza. Jack, però, credette di rivedere ancora l’acqua ribollire.

“Vuoi vedere che…” si insospettì.

Ma, all’improvviso, ci fu uno schizzo enorme e l’orso, con un muggito di sorpresa, fu subito afferrato per il collo da un gigantesco coccodrillo, che iniziò immediatamente a sbattere la preda a terra con la testa e a rotolare sui fianchi per farla a pezzi.

«Un sarcosuco… eh, già. Purtroppo, dissetarsi può essere molto pericoloso in luoghi come ARK. Quel metaorso non è stato abbastanza cauto. Forse era ancora giovane…»

«Io avevo visto delle bolle. Dunque era il coccodrillo gigante che respirava…»

«Sei un buon osservatore! Qualità utile per sopravvivere qui. Ma non attardiamoci: c’è un villaggio da raggiungere e una giungla che presto dovremo attraversare!»

Dunque, cominciarono a marciare verso Est.

   
 
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