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Autore: padme83    09/03/2019    17 recensioni
{Young!AlbusxGellert; Soulmate!AU}
"Eravamo giovani, e sui nostri polsi danzavano divinità ancestrali, draghi dalle squame color zaffiro e fenici dal vermiglio piumaggio, eredità di una stirpe che più di ogni altra si era elevata al di sopra degli Uomini.
Simili a Dèi, credevamo di brillare. Portavamo le tenebre."
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Silente, Gellert Grindelwald
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'We were closer than brothers'
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mio fratello. Post fata resurgo.
 
[Soulmates!AU piuttosto particolare, è più una specie di Karma!AU in effetti… siete avvisati]
 
 
 
 
Dove sei tu, luce, è il mattino.
Tu eri la vita e le cose.
In te desti respiravamo
sotto il cielo che ancora è in noi.
Non pena non febbre allora,
non quest’ombra greve del giorno
affollato e diverso. O luce,
chiarezza lontana, respiro
affannoso, rivolgi gli occhi
immobili e chiari su di noi.
È buio il mattino che passa
senza la luce dei tuoi occhi.

Cesare Pavese, Verrà la morte e avrà i tuoi occhi,
(30 marzo 1950)

 
 
 
~  Supernova ~
 
 
 
 
 

 
 
 
 
Non capisci che hanno legato se stessi 
fino alla fine del Tempo? 
Attraverso tutte le loro vite, tutte, 
non questa soltanto, ma di vita in vita! 
Mai saranno liberi, mai, fino alla completa espiazione; 
la vita di ciascuno sarà legata ai cuori di entrambi... 
Piccola cosa sono, paragonate a questo, 
le maledizioni degli uomini!
{ dalla testimonianza di Maleina, Sacerdotessa e Adepta dell’Antico Culto[1]
 
 
 
 
 
 
Quando mi svegliai, quella mattina, il letto era gelido.
Allungai una mano, per cercare Albus accanto a me, ma le dita vagarono a vuoto sopra le pieghe sgualcite delle lenzuola.
Mi voltai su un fianco, inquieto; avevamo abitudini diverse – lui era solito destarsi all’alba, io non prendevo nemmeno in considerazione l’ipotesi di alzarmi prima di mezzogiorno –, tuttavia, da quando avevamo cominciato a condividere anche l’intimità della notte, non se n’era mai andato in quel modo, di soppiatto, in silenzio, senza un abbraccio, o un ultimo bacio – al quale, comunque, ne sarebbe immancabilmente seguito un altro, e poi un altro, e un altro ancora, fino a che, di nuovo, non ci saremmo smarriti l’uno dentro il desiderio disperato dell’altro.
Poi, d’improvviso, ricordai.
Rabbrividii, e gettai un’occhiata fugace verso la finestra: al di là dei vetri opachi nulla era visibile, poiché una coltre inviolabile, scura e densa come pece, sembrava aver inghiottito ogni cosa tra le sue fauci fumose. Quella appena trascorsa era la notte del Solstizio d’Inverno – Yule, la notte più lunga, buia e fredda dell’anno (sogghignai, pensando a come avessimo combattuto, letteralmente, questa particolare difficoltà) – e Albus, prima di addormentarsi, aveva manifestato l’intenzione di recarsi a osservare il sorgere del sole sulle alture intorno a Godric’s Hollow.
Io, colto da un sottile, inspiegabile turbamento, avevo cercato di dissuaderlo «Sei matto? Nevica da giorni, e là fuori sembra di essere all’Inferno, dal freddo che fa!», con scarsi risultati, ovviamente, dal momento che, come avevo presto imparato a mie spese, era un’impresa impossibile convincere Albus a cambiare idea, una volta fattosi persuaso della legittimità di una decisione. Del resto, sebbene fosse, senza ombra di dubbio, un impareggiabile ascoltatore, sempre pronto a concedere spazio e a trattare con il dovuto rispetto ogni opinione, anche quella più audace, avversa o distante dalla sua, era in egual misura innegabile che l’ultima parola su come agire, o su cosa fosse giusto, opportuno, conveniente – o meno – pensare, spettasse ad un solo e unico giudice: lui stesso. Nessuno, nessuno – nemmeno io, malgrado potessi, a ragione, vantarmi di avere con lui una quasi (quasi) totale identità di vedute – infilava a forza in quelle sue sinapsi iperattive considerazioni, concetti, ragionamenti che non fossero in esse già ben presenti. La sua percezione della realtà era sorprendentemente acuta, penetrante, affilata: il suo ingegno la sezionava con la maestria e la precisione di un chirurgo chino sul suo tavolo operatorio. I suoi occhi, taglienti come schegge di cobalto, avrebbero saputo strappar segreti ai dannati, anche se, in verità, lo scintillio ironico e comprensivo da cui erano spesso animati spingeva i suoi interlocutori a fidarsi istintivamente di lui. Ma quando il disappunto, o la rabbia, tingevano d’inchiostro quelle gocce d’oceano, allora era meglio – necessario – piegare la testa e pregare di non essere i destinatari della sua furia. Solo io, in quei momenti, ero in grado di affrontarlo, sostenendo il suo sguardo, annegandoci dentro, e se, nel profondo di me stesso, tremavo, non era per sgomento, né per paura. Il fuoco ardeva in lui, inestinguibile, rendendolo una porta, un canale aperto verso il potere – potere che lui vestiva d’umana sembianza[2] –, e io, inevitabilmente, ne ero ammaliato, rapito, soggiogato.
Fu l’ennesimo brivido, infine, a scuotermi; avevo freddo, un freddo indicibile, paralizzante, un freddo che solamente le sue braccia potevano sfidare e sconfiggere.
Scostai le coperte con un movimento brusco e mi alzai rapido, protendendo la mente; lo trovai subito, non era andato molto lontano. Mi vestii in fretta e, senza neppure agitare la bacchetta, mi smaterializzai all’istante per raggiungerlo.
Mi aveva lasciato addosso soltanto un lieve, fuggevole, inconfondibile profumo di tè e rose bianche.
 
 
 
 
 
 
“I'm waiting for your last goodbye
'cause I'm not over it, not over it.
I'm waiting for your last goodbye
the kiss of time.
Like thunder screaming out for a flash of lightning
stars are falling down for God's applause.
I’m waiting for the light of your supernova,
your last goodbye.

I’m waiting for you.”
 
 
 
 
 
 
 
Percepii la sua presenza, ancor prima di scorgere la sua sagoma, immobile e salda sulla cima di uno sperone innevato, nitida sullo sfondo del cielo sempre più chiaro che preannunciava l’imminente avvento del nuovo giorno. Ad est, oltre il profilo ondulato delle colline, un bagliore vibrante e purissimo irrorava d’oro fuso il limitare dell’orizzonte.
Alto, fiero, luminoso, simile ad una stella solitaria avvolta dal crepitio abbacinante del firmamento, Albus ammirava la luce del mattino intensificarsi e mutarsi in gloriosi stendardi rossi e violacei.
La neve, che ricopriva di un soffice manto candido l’intero altopiano – alberi, costoni e macchie d’arbusti –, sembrò fremere di vita propria e, come un’amante appassionata, s’innalzò estatica verso il disco del sole nascente, riflettendone e ampliandone all’estremo il fulgore. Lì, tra le fiamme sanguigne dell’aurora, avvertii il potere di Albus espandersi, incendiarsi, unirsi alla terra, legarsi all'aria e all'acqua e al fuoco, lo sentii penetrare in profondità nella roccia e poi rifluire verso l’alto, saettando ad ali spiegate attraverso nembi squassati dalle frustate di una corrente feroce e innaturale.
Serrai le palpebre, teso fino al parossismo, e rilasciai la mia magia, permettendole di lanciarsi verso di lui con smania selvaggia. Toccai la sua mente: una folgore accecante mi trapassò da capo a piedi, e il suo riverbero fulmineo bruciò la carne, lacerò i tendini, frantumò le ossa 
– spaccò il cuore.
Il cranio esplose, frammentando i miei pensieri in un prisma di immagini tremolanti; con uno sforzo colossale riaprii gli occhi, incurante dei rischi, in preda all’esaltazione più sfrenata, e quando finalmente – finalmente – riuscii, urlando, a sollevare il volto, io…
Io vidi.
Una cometa che squarciava l’oscurità.
Un pozzo di luce. 
Ra, Hyperion, Helios, Febo, Mitra, Gwydyon, Mikael… Tanti i suoi nomi, tante le forme in cui si era manifestato…  
Albus si voltò piano verso di me, e le sue iridi sfolgorarono nelle mie, auree, trionfanti, radiose; pervasi dall’ipercezione, insieme vorticammo attraverso mille vite, mille ere e mille mondi, e il Tempo si avviluppò su se stesso, riprendendo la sua corsa dal principio, nell’eterno ritorno dell’uguale che, con le sue leggi aritmetiche, da sempre guida – domina – ogni singolo granello di polvere disperso nel Cosmo.
Approdammo infine sul ciglio di un’immensa scogliera a picco sul mare, una falesia imponente pennellata di giada, avorio e ossidiana e sferzata da folate di vento ruggente. Sotto di noi, i flutti ribollivano, percorsi da spasmi furibondi, profanati e sospinti da un’energia primordiale, sacrilega, evocata da Parole di Potere blasfeme che avevano scisso la materia nei suoi elementi base… l’Antica Terra, le sue città affollate e i suoi Templi di marmo immacolato, stavano sprofondando, divorati dalle onde, e noi, ritti sull’orlo dell’abisso, ci ritrovammo a contemplare, fra l’estasi e il terrore, lo sfacelo immane cui la nostra arroganza e la nostra incoscienza avevano attivamente contribuito. Eravamo giovani, e sui nostri polsi danzavano divinità ancestrali, draghi dalle squame color zaffiro e fenici dal vermiglio piumaggio, eredità di una stirpe che più di ogni altra si era elevata al di sopra degli Uomini.
Simili a Dèi, credevamo di brillare. Portavamo le tenebre[3].
Con un gesto forzato, quasi contro la mia volontà, portai la mano destra all’altezza del cuore e la sollevai lentamente sulla fronte; poi, con impulso subitaneo, soggiunsi, nella lingua di un mondo sommerso migliaia di anni prima che i Faraoni d’Egitto iniziassero a porre una pietra sull’altra, «Figlio del Sole
Albus rispose con slancio immediato, e le sue dita fendettero l’aria nel medesimo gesto arcaico. Schiuse le labbra per parlare a sua volta, ma io lo udii appena, come se la sua voce mi stesse giungendo attraverso una spessa lastra di ghiaccio.
Battei le ciglia, e fui investito da un turbinio pungente di cristalli perlacei. Il sole, sorto da un pezzo, era ormai scivolato dietro un cumulo di nuvole minacciose, foriere di neve e nuove tempeste. Mi affagottai intirizzito tra le falde del mio pesante mantello, ma questo non bastò a placare il tremore che mi percuoteva in tutto il corpo. Albus, a pochi passi da me, sembrava indifferente al gelo che condensava il nostro fiato in sbuffi di vapore evanescente. Mi attirò a sé, cullandomi con dolcezza, racchiudendomi nel cerchio sicuro e caldissimo delle sue braccia. Il fuoco divampava in lui, come sempre; le sue membra irradiavano un calore pulsante, splendente, e io non avevo alcuna ragione di temerlo… almeno per il momento.
Lo strinsi a me, forte, sempre più forte, cercando la sua bocca, reclamandola con vigore, trascinandola in un bacio che già sublimava ogni più recondita voglia, ogni più ombroso anelito. Svanimmo insieme nel chiarore dell’alba, per ricomparire in un lampo sopra il mio letto e cadere avvinghiati tra i cuscini, lottando per liberarci dai vestiti, e mentre le carezze si facevano più audaci e il respiro sempre più corto, mi parve di veder guizzare ancora sulla nostra pelle nuda le linee sinuose e scintillanti del potere che ci aveva attraversati e uniti. Lo baciai, famelico, torturato, lo baciai ovunque, lo baciai fino a sfinirmi, ed ebbi la consapevolezza, limpida e trasparente come l’azzurro dei suoi occhi, che sì, , l’amavo, l’avevo sempre amato, l’avrei amato per tutta la vita – l’avrei amato oltre la morte.
 
 
 
 
 
 
“As long as I dream, it ain't over, over,
I'll bring the chains of gravity.
Oh, I long for your fire, yeah, I long for your fire,
my heart is lost between the stars.”
 
 
 
 
 
 
 
Più tardi, mentre giacevo, esausto, fra le sue braccia, la schiena rilassata contro il suo petto,  le sue labbra a sfiorarmi il collo, mi domandai se ciò che avevamo vissuto – o che credevamo di aver vissuto – non fosse stato altro che un sogno – vivido, certo, e incredibilmente famigliare, ma anche folle, assurdo, inconcepibile. Prima di abbandonarmi al sonno, tuttavia, le parole che Albus aveva pronunciato al cospetto di quella spaventosa Apocalisse echeggiarono nella mia mente, risuonando, magnifiche e terribili ad un tempo, fin negli angoli più remoti e nascosti della mia coscienza.
«Sangue del Drago», così mi aveva chiamato.
Ora tutto ricominciava.
 
 
 
 
 




È opinione corrente che il Bene tenda all'accrescimento 
e all'autoconservazione, mentre il Male tenda ad autodistruggersi. 
Ma forse c'è una pecca nelle nostre ipotesi perché, 
se il Bene crescesse fino ad eliminare il Male,
ciò non costituirebbe di per sé un male?
{da Il Codice dell’Adepto Riveda
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
{Words Count: 1520}
 
 
 


 

 
[1] questo racconto è stato profondamente ispirato al Ciclo di Avalon, di M.Z.Bradley. Pur essendomi mantenuta, nei limiti del possibile, sul vago, i riferimenti (oltre alle citazioni che aprono e chiudono la shot, prese da “Le luci di Atlantide”) ci sono e vanno sottolineati: a) la Visione che Albus e Gellert condividono richiama il sogno di Igraine e Uther ne “Le nebbie di Avalon”: i due amanti, uniti nel sogno, rivivono un episodio della loro vita precedente e rievocano la caduta di Atlantide; b) in “Le luci di Atlantide”, Figlio del Sole è il titolo rivolto ai massimi Iniziati nel Sacerdozio della Luce (che, in estrema sintesi, è un culto solare). Sangue del Drago (sì, ok, fa molto GoT, ma non è poi proprio così facile trovare espressioni originali, eh. EDIT: ora che ci penso, comunque, non mi dispiace per niente vedere Gellert accostato ai Targaryen: tra l'aspetto fisico e la tendenza alle manie di grandezza, lui e Daenerys potrebbero essere parenti. Ed ecco spiegato perché Gellert non faccia la fine di Icaro avvicinandosi ad Albus... eh eh eh, adoro pasticciare tra i fandom XD), è invece un’idea che mi è venuta riflettendo sulla forma assunta dall’ardemonio di Gellert al Père-Lachaise, che è quella di un drago (il sangue invece è un esplicito richiamo alle sue vittime). In questo modo, inoltre, si arricchisce ancora di più la simbologia che ho scelto di utilizzare, perché la gran parte delle divinità solari che ho citato hanno combattuto e sconfitto proprio un drago, o altro mostro ad esso assimilabile (tanto per fare due semplici esempi, Febo Apollo sconfigge Pitone, S.Michele sconfigge il drago-Satana – Apocalisse 12,7-8: 7 E vi fu guerra in cielo: Michele e i suoi angeli combatterono contro il dragone; anche il dragone e i suoi angeli combatterono, 8 ma non vinsero e per loro non fu più trovato posto nel cielo). Non è finita qui: Drago e Fenice rappresentano un caposaldo della cultura cinese, essi incarnano il potere Imperiale, e per questo sono considerati inseparabili. Per saperne di più: https://ilrifugiodeglielfi.blogspot.com/2014/04/il-drago-e-la-fenice.html c) i tatuaggi ai polsi sono il simbolo della regalità della stirpe di Atlantide, e ritornano in tutti i libri del Ciclo: essi raffigurano solitamente draghi o serpenti, ma per Albus ho dovuto cambiare, sostituendoli con una fenice (ovviamente) che, ribadisco, a costo di risultare pesante e noiosa, è un animale mitologico da sempre ricollegato al culto del sole: essa simboleggia il suo sorgere e il suo tramontare – moto perpetuo che a sua volta rappresenta il ciclo continuo di morte e rinascita – ed infatti il suo motto è: Post fata resurgo (“dopo la morte torno ad alzarmi”). Per cui, è con una certa cognizione di causa che io spesso associo Albus stesso al sole. Non è un caso che la Fenice sia il suo simbolo e il suo Patronus.
[2] Via della Croce, Fabrizio De André.
[3] Anime Nere , Gioacchino Criaco.





 
 
 
 



Nota:

 
Buonasera ^^ 
 
Beh, era inevitabile che si arrivasse a questo punto. Voglio dire, è almeno un mese che ci giro attorno, ma sono sempre stata piuttosto dubbiosa sull’effettiva praticabilità di questa interpretazione. Tuttavia, grazie a Shilyss, che ha letto il racconto in anteprima e, in pratica, mi ha dato il nulla osta (per eventuali reclami, quindi, prendetevela con lei :P), mi sono alla fine decisa a pubblicare.
 
Come ho anticipato, si tratta di una soulmate!AU piuttosto particolare, perché più che di anime gemelle parla di anime reincarnate, anime unite attraverso il tempo. A legarle c’è l’amore e la colpa (una colpa bella grossa, il peccato più grande, quello per cui Lucifero perse il Paradiso e fu condannato all’Inferno: credersi simile o superiore a Dio, fino ad arrivare a sfidarlo): il vincolo potrà essere spezzato solo in seguito ad una completa espiazione, traguardo però ancora decisamente lontano, dato che una delle due anime (indovinate quale) continua a perseverare nell’errore. Le catene dunque permarranno in questa vita, e le due anime resteranno divise e, come sempre è avvenuto dal momento in cui l’altra invece ha preso piena coscienza della scelleratezza delle sue azioni passate, si combatteranno a vicenda. In questo senso, il Patto di Sangue altro non è che il rinnovarsi di un Voto a cui Albus e Gellert già si sono consacrati all’inizio di tutto e, nella sostanza, non cambia la trama del destino di una virgola, perché, alla fine, i due comunque si affronteranno. A noi non resta che sperare che, nella prossima vita, i nostri amati possano finalmente riunirsi ed essere liberi (liberi di raggiungere insieme l'Illuminazione, sciolti dal vincolo di morte e rinascita). Riuscirà mai Gellert ad avere la meglio sulla sua hybris?

L'ipercezione è la capacità di vedere distintamente, nello stesso momento, i diversi piani temporali della realtà, passato, presente e futuro. È il talento di Paul Atreides in Dune, ed è ciò che fa di lui lo Kwisatz Haderach.

L'eterno ritorno dell'uguale è una teoria filosofica di Friedrich Nietzsche.


Grazie a chi vorrà leggere – anche silenziosamente –, recensire, o inserire la storia in una delle liste messe a disposizione di EFP.

SoundtrackSupernovaWithin Temptation (da ascoltare a volume massimo, fidatevi).
 
A presto (su Lost Fantasy, se vi va)!

 
Un bacio :*



padme
   
 
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