Fanfic su artisti musicali > Queen
Segui la storia  |       
Autore: Carmaux_95    11/03/2019    6 recensioni
[Maylor + accenni Freddie/Jim]
-Ti ricordi l'anno scorso quando abbiamo suonato per quella festa hawaiana? Abbiamo indossato degli assurdi gonnellini di paglia e dei finti orecchini!- e mentre parlava Freddie mimò una sorta di balletto ondeggiando i fianchi e le braccia. -Basterebbero due belle parrucche e un paio di quei seni finti che si gonfiano!-
Roger lo osservò senza dire una parola, le braccia incrociate sul petto e lo sguardo indecifrabile, fino a quando fu John Reid, che non aveva ascoltato una parola ma aveva visto il pianista esibirsi in quella sottospecie di danza, a rompere il silenzio:
-Cos'ha il suo amico? Si sente male?-
-Lo spero.- rispose il biondo senza staccare gli occhi dal coinquilino.
-Ma Rog, sono tre settimane in Florida!-
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian May, Freddie Mercury, Jim Hutton, John Deacon, Roger Taylor
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 

Image and video hosting by TinyPic


 

CAPITOLO QUATTRO


 

-Pensavo fossi tornato in Inghilterra!-

John strinse le mani attorno alla tazza di tè che aveva ordinato poco prima. Nonostante non facesse affatto freddo trovava sempre piacevole quella sensazione di calore che, dalle dita, si irradiava poi in tutte le mani e verso i polsi e gli avambracci.

-Non c'è fretta.-

Brian, sedutogli di fronte, scrollò le spalle aggiungendo un cucchiaino di zucchero nella propria tazza e procedendo a mescolare la bevanda calda.

-L'ultima volta che ti ho sentito eri diretto a Dover, per poi raggiungere Londra in treno.-

-Sì, ma dopo la tua telefonata ho deciso di cambiare rotta... sembravi aver bisogno di un amico vicino.- spiegò Brian semplicemente.

-Ah, ma...- John abbassò la testa. -Non dovevi...-

-Sempre problemi al lavoro?-

Il bassista nascose un sospiro portandosi la tazza davanti alle labbra e alzò leggermente le spalle: -Niente di nuovo.-

-Non sei costretto a continuare, lo sai: potrei...-

-No, Brian, davvero.- l'amministratore gli sorrise amichevolmente. -Ti ringrazio, ma posso cavarmela da solo. Devo solo abituarmi.-

Non era la prima volta che Brian si offriva di risolvergli i problemi finanziari che lo affliggevano da, ormai, anni, ma ogni volta John aveva rifiutato. Se la sarebbe cavata da solo: non era uno stupido e sapeva di potercela fare. Inoltre non si sarebbe mai sentito a suo agio ad accettare dei soldi dal suo migliore amico, soprattutto con la consapevolezza di non sapere quando sarebbe riuscito a restituirglieli. Per quanto non gli piacesse dover cambiare lavoro con questa frequenza, avrebbe odiato di più sentirsi in debito con Brian.
Ancora si sentiva in colpa per quella volta in cui Brian aveva anticipato di tasca propria la sua tassa di laurea... Ricordava con dispiacere quel periodo, non solo per la morte del padre avvenuta qualche mese prima, ma anche per tutto quello che ne era conseguito: il lutto lo aveva trascinato a terra con tale violenza da non permettergli nemmeno di portare avanti gli studi. E così aveva dovuto rimandare di un anno la laurea, costringendo la madre a pagare una nuova retta che, dato che non c'era più suo padre ad aiutarli con uno stipendio mensile, costituì una brutta botta per le finanze della famiglia. Quando, risollevatosi, aveva concluso gli esami e la sua tesi, arrivando allo step finale della discussione, era rimasto scioccato dal costo della tassa di laurea e si era reso spaventosamente conto che non poteva permettersela. Per sua fortuna Brian era stato irremovibile nella decisione di pagarla al posto suo, permettendogli di laurearsi con il massimo dei voti e la lode. Appena trovato un lavoro gli aveva restituito tutto l'importo, ovviamente, ma ancora adesso, a distanza di anni, si sentiva in imbarazzo per la vicenda.

-E poi adesso non va così male, no?-

Brian si appoggiò allo schienale della sedia e si guardò intorno: -Affatto! È un'ottima sistemazione. Dovresti approfittarne.-

-In che senso?-

-Per pensare un po' a te stesso, goderti la vita.-

-Una vacanza?-

-Qualcosa del genere: te la meriti. Al posto di lavorare ventiquattro ore al giorno, potresti staccare a metà pomeriggio e andare in spiaggia. O passeggiare sul lungomare: ci sono tanti negozi, ristoranti e localini carini che potrebbe valer la pena visitare.-

-Non potrei: l'orchestra di esibisce per cena e anche...-

-Tu non cambi mai.- dichiarò bevendo un sorso di tè.

-Forse una volta concluso questo lavoro...-

L'amico si accorse del rimuginare di John e si affrettò a prendere di nuovo la parola: -E quest'orchestra? Com'è?-

-Sono brave.- dondolò rapidamente la testa da destra a sinistra, riflettendo: -Non sempre seguono le regole, ma sono brave.-

-Hai davvero dato delle regole a queste povere ragazze?- lo canzonò Brian, bevendo un altro sorso.

-Ho già abbastanza problemi di mio senza che si aggiungano anche musiciste ubriache durante l'orario di lavoro.- dichiarò, ripensando per un attimo, al piccolo festino che aveva avuto luogo sul treno due notti addietro. Aveva fatto finta di niente – era troppo indulgente, se ne rendeva conto – ma dopotutto non era orario di lavoro e non gli sembrava il caso di rimproverarle semplicemente per il coprifuoco mancato: dopotutto era l'amministratore, non il loro custode.

-Io ricordo distintamente uno studente di ingegneria che, ubriaco fradicio, ha sfondato la vetrina dei trofei dell'Università... e a momenti non ricordava nemmeno il suo nome.-

John serrò le labbra, tentando di nascondere un sorriso. Sollevò un braccio e puntò un indice contro l'amico: -Sono sei anni che usi questa storia per prendermi in giro! Prima o poi scoprirò qualcosa di imbarazzante su di te e sappi che mi vendicherò.-


 


 

Erano circa le dieci e mezza del mattino quando Roger, accusando una certa fame, aveva proposto a Freddie di scendere e mangiare qualcosa. Quella mattina non avevano fatto in tempo a fare colazione – travestirsi e sistemare trucco e parrucco aveva richiesto più tempo del previsto per via dello spazio ristretto del bagno del treno – e la sera prima non avevano cenato, lo stomaco chiuso per via della sparatoria alla quale erano scampati.

Si sedettero ad uno dei tavoli dell'immensa sala da pranzo e presero in mano il menu:

-Non riesco nemmeno a leggere la metà dei nomi su questa carta!- disse Fred: -Che roba è una cro... croquembouche?-

Roger prese dalle mani di Freddie la carta dei dolci: -Non ne ho idea, ma sembra il nome di una spogliarellista: “e dopo Melina si esibirà per voi Miss Croquembouche”.-

-Qualsiasi cosa sembra sconcia se detta con quel tono!- ribatté Freddie ridendo. -Melina non è un nome da ballerina da due soldi!-

Roger indicò una riga sulla carta dei dolci: -A proposito, guarda qui: apple pie... torta degli angeli... Boston cream pie...- continuò a leggere, un'espressione estatica stampata sul viso. -I brownies!-

-L'ultima volta che abbiamo preparato dei brownies abbiamo quasi fatto arrestare i nostri vicini.- ricordò il pianista.

-Beh, se lo meritavano!- dichiarò Roger con una scrollata di spalle. -Erano insopportabili! E continuavano a rubarci la posta! La New York cheescake!- esclamò sollevando le sopracciglia.

-Non dobbiamo esagerare, mi raccomando!- gli ricordò Freddie prendendo a sfogliare il menu principale. -Siamo a dieta.-

-A dieta?! Vuoi affamarti l'unica volta che puoi mangiare tutto quello che vuoi senza sborsare un centesimo? Scusi!- mentre ancora stava rispondendo all'amico Roger arpionò un cameriere baffuto che passava di fianco al loro tavolo e gli domandò cosa fossero i due piattini che teneva in mano: sembrava un disordinato tortino con pesche, granella di biscotti e gelato. Quando lasciò la presa, il batterista seguì con lo sguardo i piattini e, quando giunsero a destinazione, si accorse che a quel tavolo era seduto John Deacon, insieme ad un uomo dai folti capelli ricci.

Tornò a concentrarsi sul menu, indeciso sul da farsi: seguendo l'esempio di Freddie ordinò una tazza di caffè ma se il più grande optò poi per una semplice macedonia, Roger decise di provare quell'intruglio di pesce e gelato, dolce che lo conquistò dopo la prima cucchiaiata.

-No, Freddie!, tu lo devi provare.- gli avvicinò il piatto e Fred non si fece ripetere due volte l'invito.

Schivando le manovre difensive di Roger, il pianista riuscì a rubare un'altra cucchiaiata di gelato e sovrastò le lamentele dell'amico cambiando discorso:

-Cominciamo a lavorare già oggi?-

Roger annuì: -A pranzo, a cena e dopo cena.-


 


 

-Non devi per forza trattenerti qui per tre settimane intere...- sussurrò John, inzuppando un biscotto nell'ultimo dito di tè che gli era rimasto. -Ti ringrazio davvero, ma non vorrei sconvolgere i tuoi programmi.-

-Nessun problema, come ti dicevo non c'è fretta: mi basta essere in Inghilterra entro maggio.-

-Cosa succede a maggio?-

-Se i miei calcoli sono giusti ci sarà un'eclissi totale di sole!- dichiarò entusiasta. -E ho bisogno del mio telescopio, che è rimasto a Londra, per osservarla. Devo controllare i calcoli però... non so ancora con precisione il giorno e l'ora. Approfitterò di questi giorni per ultimarli!-

-Spero non ti annoierai...-

-Scherzi? E poi, verrò a sentirvi suonare ogni sera! A proposito: la scaletta?-

John frugò nella propria giacca, tirandone fuori un paio di fogli ripiegati più volte su sé stessi. Li porse a Brian, che li aprì velocemente, incuriosito.

-Da quanto tempo non componi?- gli domandò, gli occhi che leggevano rapidamente i titoli dei brani che avrebbero suonato le prime sere.

-Non sono mai stato bravo a comporre.-

-Dai, John: non essere così demoralizzato! Non è vero: i riff che scrivevi al college erano ottimi! Hai portato qui in Florida il tuo basso? Uno di questi giorni ci troviamo per suonare insieme. Quando non devi lavorare.- si affrettò a precisare quando vide l'amico aprire bocca.

-Una volta sognavamo di mettere su un gruppo.- disse, nostalgico, quest'ultimo.

-Non è mica troppo tardi.-


 


 

La sala era immensa e la sera sembrava animarsi di un tocco quasi magico. Freddie non avrebbe saputo dire se fosse per le larghe vetrate che riflettevano la luce degli immensi lampadari, se fosse per il luccicare delle posate e dei bicchieri ad ogni tavolo, o per il suono delle onde che si infrangevano sul bagnasciuga a pochi metri di distanza. Il palco, poi, era grande, spazioso e ben tenuto: non avevano mai suonato in un posto così di classe.

Il primo concerto, all'ora di pranzo, era andato bene e, anzi, aveva riservato una gradita sorpresa per Roger. Quando si era presentato con il suo misero set ridotto, il proprietario aveva deciso immediatamente di rimediare mandando un galoppino a noleggiare una batteria intera per non rovinare l'immagine d'insieme dell'orchestra, fattore al quale sembrava tenere più di ogni altra cosa poiché non pretese nemmeno che lo strumento gli fosse rimborsato.

Tuttavia, dopo un primo momento di euforia, quando Roger si sedette sullo sgabello, riscontrò immediatamente un problema tecnico che non aveva considerato: come avrebbe fatto a suonare la grancassa e il charleston dovendo tenere in mezzo alle gambe il rullante? Avendo sempre indossato dei pantaloni non si era mai posto la domanda, ma adesso che una sottile gonna gli avvolgeva le gambe fino al ginocchio non aveva idea di come risolvere il problema.
Aveva spostato indietro lo sgabello, avvicinato fra di loro la grancassa e il charleston, ma anche così facendo aveva dovuto sollevare di un po' l'orlo della gonna per non strapparla allargando le gambe per far spazio al rullante.

-Hai delle belle gambe, Rog: alza ancora un po' la gonna e metti in mostra la mercanzia.- lo prese in giro Freddie, meritandosi subito una bacchettata sulle dita.

Ma sorvolando il piccolo incidente, la prima esibizione dell'orchestra andò a gonfie vele. Lo stesso fu per la seconda, all'ora di cena, e la terza, che terminò a mezzanotte. Provati dalla giornata ma, in fin dei conti, di buon umore, Fred e Roger si erano appena ritirati nella loro camera quando sentirono bussare alla porta.

Roger si affrettò a ficcarsi in testa la parrucca che si era appena sfilato e Fred aprì la porta ad un giovane fattorino con in mano un enorme mazzo di fiori:

-Chi di voi è Clare?- Roger, con una buona dose di sgomento, accettò il bouquet ma aspettò che il ragazzo se ne fosse andato per prendere il bigliettino allegato e leggere il mittente.

-Non ci credo.- sbuffò scuotendo la testa e passandolo all'amico senza leggerlo.

-È il tuo amico dell'ascensore?-

-A quanto pare la gomitata non è bastata.-

-Però sembra essere servita a qualcosa, almeno: ti chiede scusa e ti prega di dargli una seconda possibilità. Chi l'avrebbe detto: Rogerina ha colpito nel segno! In tutti i sensi.-

In cuor suo Roger pensava che, se non avesse risposto al biglietto e avesse fatto finta di niente, la situazione si sarebbe risolta da sola. Rimase quindi sorpreso quando, il giorno successivo, poco dopo la prima esibizione, l'uomo dai corti capelli castani si avvicinò al tavolo dove lui e Fred avevano preso posto per pranzare.

-Signorina, mi scusi...- togliendosi educatamente il cappello, non sembrava nemmeno lo stesso uomo spigliato del giorno prima, e non solo per il livido violaceo alla radice del naso. -Si... si ricorda di me?-

-Distintamente.- Roger fece in modo che dal tono trasparisse chiaramente che non era un'affermazione dalla quale sentirsi lusingati.

-Non so se ha ricevuto...-

-Ho ricevuto.- tagliò corto senza alzare lo sguardo dal proprio piatto.

-Speravo... in una sua risposta...-

-La risposta non è ancora sufficientemente chiara?-

-La prego...- disse bonario, recuperando un po' della sua disinvoltura. -Posso sedermi?- indicò una delle due sedie libere.

Quando avevano chiesto un tavolo per pranzare il cameriere che li aveva accolti si era scusato dicendo che non avevano più tavoli per due, ma Freddie lo aveva tranquillizzato assicurandolo che non sarebbe stato un problema.

Almeno fino a quel momento.

-Mi spiace: è occupato.-

L'uomo controllò, in cerca di un qualsiasi segno che lasciasse intendere che fosse davvero occupato: -Da chi?-

Roger si morse l'interno della guancia per un secondo, riflettendo: -Dal nostro amministratore.- dichiarò infine.

-Ma ci sono due posti liberi...-

-C'è anche un suo amico.- Freddie, non appena adocchiò John entrare nella sala da pranzo in compagnia dello stesso uomo con cui lo avevano visto fare colazione il giorno prima, colse la palla al balzo venendo in soccorso dell'amico. Alzò un braccio e fece cenno ai due uomini che, dopo essersi scambiati una rapida occhiata, si avvicinarono e presero posto titubanti.

Freddie vide John lanciargli un'occhiata incerta facendo un piccolo cenno del capo in direzione di Clare ancora tormentata da quell'uomo, che proprio non voleva saperne di lasciarla in pace, ma il pianista gli strizzò l'occhio lasciandogli intendere che non aveva di che preoccuparsi.

-Passo le giornate a pescare: l'unica mia gioia è venire qui e ascoltare la musica di creature meravigliose come lei.- proseguì Dave, incurante dei due uomini che avevano occupato i posti liberi.

-Riavvolga la lenza: questo pesce non fa per lei.-

-Se...-

-Signor Mallet.- lo interruppe Roger, ricordandosi il nome che aveva letto sul biglietto. -Io non la conosco, né ci tengo: lei è testardo, irrispettoso e inopportuno. E' davvero l'ultimo uomo al mondo che vorrei conoscere o far conoscere alla mia famiglia.-

-Sono sicuro che se mi concedesse del tempo, le farei cambiare idea... e conquisterei anche la sua famiglia.-

-Lei vuole davvero conoscere la mia famiglia? La avverto che ho un fratello estremamente protettivo: se io le ho lasciato quel livido le lascio immaginare quanti potrebbe lasciargliene mio fratello. Arrivederci.- decretò Roger in definitiva, non sapendo più cosa inventarsi per scrollarselo di dosso.

Parve funzionare e Dave si raddrizzò, indossando nuovamente il proprio cappello, ma prima di andarsene gli riservò un ultimo sorriso: -Su una cosa ha ragione, Clare: sono un uomo testardo...-

Quell'ultima frase preoccupò non poco il batterista, che cercò di rimanere impassibile mentre il suo spasimante finalmente si allontanava. Dopo essersi concesso uno sbuffo alzò finalmente gli occhi sui due nuovi arrivati.


 


 

Clare si concesse un sonoro sbuffo, serrando gli occhi. Per qualche secondo scese un silenzio imbarazzato, accompagnato da qualche occhiata incerta da parte di John e Brian. Fu proprio Clare a parlare di nuovo, rivolgendosi all'amministratore:

-Ha da accendere? Non è orario di lavoro...- John accennò un sorriso e tirò fuori dalla tasca della giacca un accendino. -Ha anche una sigaretta?- richiese ancora la bionda, con il ghigno di chi non si vergogna affatto della richiesta. -Prometto di restituirgliela.-

-Non si preoccupi...- rispose educatamente John porgendole quanto richiesto.

-Lei dev'essere Clare.- disse improvvisamente Brian, catturando lo sguardo della ragazza, che gli rivolse una muta domanda. -John mi ha parlato di lei... e di... Wendy, giusto?-

Brian porse cordialmente la mano e sorrise ad entrambe mentre, finalmente disperso l'imbarazzo, si presentavano.

-Lei dev'essere un musicista.- dichiarò Clare, ma sul momento Brian non seppe se lo stesse canzonando, dato che aveva formulato la frase usando le sue stesse parole, o meno.

-Da cosa lo deduce?- indagò.

La sigaretta adagiata elegantemente fra medio e anulare, la ragazza strofinò delicatamente il pollice sull'indice: -Dai calli sulle dita: sono tipici di chi suona da tempo. Uno strumento a corde: chitarra?-

Brian annuì, colpito: era la prima volta che una ragazza riconosceva il motivo di quello che le altre donne avevano sempre ritenuto un difetto. Soprattutto, era la prima ragazza che vedeva quel dettaglio di buon occhio e, anzi, con una certa dose di interesse.

-Da vent'anni.-

-Fin da bambino.- commentò Wendy.

-Come il nostro John.- esclamò appoggiando una mano sulla spalla dell'amico. Dalle espressioni incuriosite delle due ragazze, Brian si rese conto che non ne avessero idea.

Mentre John spiegava con poche parole che, sì, aveva imparato a suonare il basso da ragazzo ma che ormai suonava solo a tempo perso, Brian si trovò a pensare a quanto l'amico si identificasse perfettamente con il suo strumento: John era il tipo di uomo che non voleva spiccare, che non voleva trovarsi sotto la luce dei riflettori; era un uomo posato, tranquillo ma determinato; e, soprattutto, era un uomo indispensabile, quel genere di persona che – secondo Brian – chiunque avrebbe voluto o dovuto avere al proprio fianco. Il chitarrista si sentiva fortunato ad averlo incontrato, barcollante per via dell'alcool, in un corridoio dell'università.

Brian chiuse il libro, recuperò il blocco degli appunti e la penna, e li infilò nella borsa a tracolla, pronto per tornare finalmente a casa. Uscì dall'aula e chiuse a chiave la porta. Preferiva studiare in università piuttosto che a casa – riusciva a concentrarsi meglio – e i professori lo avevano notato: fidandosi di lui, studente modello e probabilmente uno dei migliori degli ultimi anni, gli avevano concesso di fermarsi in aula oltre l'orario di chiusura, affidandogli le chiavi.

Sbadigliò senza coprirsi la bocca ma scompigliandosi i capelli. Erano le undici e un quarto quando passò davanti al portone mezzo aperto dei dormitori. Stava per sorpassarlo quando un violento rumore di vetri infranti poco distante da lui lo fece sussultare. Si fermò e allungò il collo per vedere oltre il portone. Sentì ancora qualche rumore e un lamento in lontananza. Incuriosito, entrò e girato l'angolo capì cosa avesse provocato quella confusione.

Un ragazzo, avrà avuto forse un paio d'anni meno di lui, era per terra: la vetrina in fondo al corridoio, contenente i trofei e le medaglie intitolati all'Università, era completamente sfondata. Il ragazzo tentò di rimettersi in piedi, puntellando le mani in terra, ma le ritrasse immediatamente, con un lamento di dolore per via delle schegge che gli si erano piantate nei palmi.

Brian gli si avvicinò subito, chinandosi sulle ginocchia, facendo attenzione ai vetri rotti, per aiutarlo:

-Tutto bene?-

Il ragazzo mugugnò qualcosa mescolandolo ad una risatina. Non sembrava sentire dolore: alzò gli occhi e guardò Brian con aria divertita.

-Ti... ti sei fatto male?-

Di nuovo Brian non riuscì a capire la risposta. Gli appoggiò una mano dietro la schiena e lo aiutò a rimettersi in piedi. Quando il ragazzo barcollò, rischiando di cadere all'indietro, gli strinse la mano sul braccio e ricevette, in risposta un gridolino di dolore. Allentando la presa, ma sempre sostenendolo prima che cadesse per davvero, Brian si accorse che le sue dita si erano sporcate appena di sangue e che, nel punto in cui lo aveva stretto, la camicia che indossava si era tinta di rosso: doveva essersi tagliato quando aveva sfondato la vetrinetta.

Gli appoggiò le mani sulle spalle perché lo guardasse: -Come ti chiami?-

Il ragazzo rimase in silenzio per qualche secondo, osservandolo con sguardo assente, ma alla fine gli angoli della bocca si sollevarono, dipingendo un sorriso sul suo viso e illuminando i suoi occhi color nocciola, annegati in un mare alcolico da festino clandestino in dormitorio.

-Riccio.- disse infine, mal trattenendo una risata.

-Come?-

-Riccio!- allungò un braccio e, sotto lo sguardo incerto di Brian, gli appoggiò una mano sulla testa, toccando i suoi capelli folti e soffici. Li tastò, con la sensibilità ridotta dalla sbornia, facendovi rimbalzare sopra la mano e continuando a sorridere. Brian lo lasciò fare.

-Sembrano zucchero filato...-

Il futuro astrofisico sorrise della genuinità di quel commento: -Io sono Brian. Tu come ti chiami?-

-Brian.-

-Sì... e tu?-

-Brian!- ripeté continuando a tastare i suoi capelli con l'entusiasmo di chi non aveva mai visto niente del genere prima.

-Ascoltami: ti sei fatto male, vedi? Probabilmente ti sei tagliato. Hai una camera qui nei dormitori? Ti ci accompagno e ti aiuto a medicarti.-

Ma il ragazzo scosse la testa:

-No.-

-No cosa?-

-Cosa?-

Brian scosse la testa sorridendo: -Sei uno studente, giusto? Lo sai che tecnicamente l'alcool è vietato in università?-

-Non è orario di lavoro.-

-Lo sai che potrebbero espellerti?-

-Ma era una festa...-

-Hai una camera qui?- provò di nuovo.

-No.-

-Sai dirmi dove abiti?-

-No.-

Brian provò a infilare le mani nelle tasche dei pantaloni del ragazzo, senza però trovare il portafoglio e i documenti e si morse leggermente le labbra, consapevole di non potersene semplicemente andare. Con un sospiro prese il braccio sano del ragazzino e lo appoggiò attorno alle proprie spalle:

-Va bene: Riccio ti porta a casa sua.-


 


 

 


 


 

Angolino autrice:

Buona sera e buon lunedì!
Scusatemi per il ritardo: avrei dovuto aggiornare ieri, ma ho dovuto posticipare perché sono andata al Cartoomics! :)

E' tornato l'inopportuno Dave, che rivela anche il suo cognome XD David Mallet è un regista britannico che si è occupato principalmente di video musicali e che, per quanto riguarda i Queen, ha collaborato con loro per i video di Radio Ga Ga ma, soprattutto, di I Want To Break Free. Sul set di quest'ultima pare si sia svolto un divertente siparietto durante il quale David Mallet, scherzando con Roger, avrebbe fatto finta di provarci con lui/lei.

Ma soprattutto, finalmente hanno avuto un po' più di spazio Brian e John! ^^
E i nostri quattro protagonisti si sono finalmente incontrati... anche se in modo non esattamente convenzionale... XD

Non temere, Jim! Arriverai anche tu, presto! XD
Anche se... non dico nulla :-P

Come sempre vi ringrazio tutti! :-*
Vi adoro! <3

Un bacione!
E buona serata! ^^

Carmaux

  
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Queen / Vai alla pagina dell'autore: Carmaux_95