Viale
delle Fragole n°18
Capitolo
1: “Sono le tre, è Estate, ho fame e non ho voglia di fare un ca**o”
Sonno.
Ebe
si era alzata solo mezz’ora prima, alle due e trenta del
pomeriggio, dopo aver dormito per qualcosa come tredici ore senza mai
svegliarsi, e aveva ancora sonno.
Sarebbe
stata capace di restare in quella specie di letargo
per altri due giorni.
Dannate
vacanze estive.
Ogni
anno si ripeteva la stessa noiosa storia: non vedeva
l’ora di lasciare quella scuola del cavolo, abbandonare il suo
dannatissimo
banco pieno di scritte fatte da qualche sgallettata della sua classe e
mandare
tutti, studenti e professori, a quel paese.
Ma
dopo due settimane già si stufava, si sentiva soffocare
dal caldo torrido della periferia e iniziava a sbuffare e dormire,
dormire e
sbuffare, limitando al massimo le uscite e ogni contatto con la società.
A
dire il vero, a lei faceva un po’ schifo, la società.
Tutta
quella gente che gridava, farneticava al cellulare
mentre camminava in strada, spegneva le cicche addosso alle macchine
del vicino
antipatico e preferiva comprarsi un paio di scarpe da 200 euro
piuttosto che
spenderli in pizze surgelate e lattine di birra- cosa che lei non
avrebbe
esitato a fare.
In
effetti, Ebe era una tipa piuttosto stramba.
Non
che fosse una sfigata o robe simili-anche se, a volte,
un po’ sfigata ci si sentiva davvero.
Semplicemente,
non era colpa sua se era ipercritica,
logorroica, perfidamente sincera, disfattista e poco femminile.
Sin
da piccola si era accorta che in lei c’era qualcosa di
strano, di diverso.
Qualcosa
di anormale.
Non
giocava con le Barbie, né tantomeno con i puzzle o le
stoviglie di plastica che la nonna le aveva regalato per il quarto
compleanno,
spacciandole per un dono di marca ed esclusivo quando fino ad una
settimana
prima-che casualità- quelle stesse fottute pentoline giocattolo erano
esposte
al banco al mercato di Patrick Il Guercio a novantanove centesimi.
Preferiva
fare cose che, a detta di sua madre, le bambine (e
neanche i maschietti) della sua età di solito non facevano.
Mettere
il dentifricio nel culo del gatto del vicino, per
esempio, solo perché le aveva miagolato contro una volta. Radunare la
polvere
che marciva fetida sotto il suo letto per ficcarla nel panino di suo
fratello,
costringendolo in un letto d’ospedale per quasi due settimane. Girare
per la
piazza del quartiere con del ketchup sparso lungo tutto il collo e la
tempia,
simulando un tentato omicidio e facendo gridare di terrore gli altri
bambini,
mentre le madri di ritorno dalla spesa le lanciavano occhiate
contrariate visibili
a stento, dato che costrette sotto un pesante strato di mascara
multicolore.
Ebe
era una tipa che adorava mettere in difficoltà gli
altri, e non ne provava la benchè minima vergogna.
Meglio
ammettere di essere bastarde, piuttosto che fingere
di essere le Sante che non si è.
Questo
suo pessimo carattere era, d’altro canto,
perfettamente nascosto dal suo aspetto esteriore.
Quegli
occhi azzurri in cui solo lei vedeva una sfumatura di
grigio cenere, con le ciglia lunghe e folte come quelle delle bambole
in
porcellana che tanto odiava.
E
i capelli, lunghi, soffici, splendenti capelli tra il
castano e il biondo, che sua madre continuava a giudicare il suo
orgoglio,
pedinandola per convincerla a lasciarli
sciolti e vaporosi che ricadevano sulle spalle –quando lei li teneva
rigorosamente legati in una sorta di cipolla mal riuscita, spettinata e
poco
curata, ma che a detta di Mario, il fruttivendolo all’angolo, la
rendeva
spaventosamente ‘chic’.
Si
vestiva come le capitava; era un qualcosa di cui non le
importava davvero.
Prediligeva
i maglioncini larghi tre volte, i pantaloni
lunghi e a tubo, le magliette che
pubblicizzavano la salvaguardia delle balene e tutti gli indumenti sui toni del blu, del rosso e del nero.
Dio,
Ebe adorava
il nero.
Avrebbe
dato qualsiasi cosa per una chioma scura come la
notte, riccia e ribelle, di quelle che sono così indomabili da sembrare
più
selvagge di un branco di lupi delle montagne.
E
le sarebbero piaciuti anche un bel paio di occhi gialli,
uguali a quelli dei gatti, ed una pelle così bianca, ma così bianca da
farla
sembrare invisibile.
Ma
si accontentava di essere piccola e bionda, una perfetta
reincarnazione di Barbie Ballerina, come adorava definirla Valerio.
Era
anche vero che quel bastardo sarebbe stato capace di
inventarsi dei nuovi aggettivi pur di prenderla in giro.
Ancora
sdraiata sul letto, immobile nel silenzio della
camera in penombra, osservò un’altra volta la piastrella del soffitto,
quella
che faceva angolo con la parte più alta della libreria.
Sul
marmo chiaro, piccolo, quasi illeggibile, c’era una
dedica.
Una
roba a matita che quell’idiota le aveva scritto a nove
anni, quando lei era rientrata dal salone e si era trovata il suo
migliore
amico spericolatamente traballante sulla scala e tre libroni di favole.
Ebe,
agitando i codini
biondi e lisci, gli aveva chiesto cosa stesse facendo.
Ma
lui non le aveva risposto: si era limitato a farle la
linguaccia, sorridere e balzare giù da quell’assurda montagnola di
oggetti.
Lei,
naturalmente, non aveva mai saputo cosa ci fosse
scritto là sopra.
Era
una frase segnata in piccolo e con un tratto chiaro, e
l’unico modo per svelare quel patetico mistero sarebbe stato
arrampicarsi e
leggere, sollevando il collo fino al limite.
Sospirò,
spostando poi lo sguardo verso le pale del ventilatore
che, lente, stavano compiendo la stessa identica rotazione di pochi
secondi fa.
Stava
giusto per prendere in considerazione l’idea di farsi
un’altra dormita, ma il suono di una campanella la costrinse a
svegliarsi tutto
d’un botto.
Finse
di non essersene accorta per qualche istante, ma
sarebbe stato impossibile addormentarsi con quel chiasso.
“Stavolta
ti distruggo!”
Fece
in tempo ad urlarlo e a balzare dal letto, correndo poi
verso la porta finestra che dava sul balcone e alzando la tapparella.
Davanti
si ritrovò lui.
La
sua Rovina.
Il
suo Incubo.
La
sua Scorta Personale.
Tutti
aggettivi che, per la natura contorta di Ebe,
equivalevano alla figura di ‘migliore amico’.
“Buongiorno,
mia piccola aspirante Emo!” esclamò quello,
abbandonando finalmente la presa dalla campanella appesa sulla sua
testa e penzolante.
Fece
cenno di entrare, ma Ebe, ancora in mutande, si
afflosciò contro la porta, bloccandogli il passaggio e lanciandogli uno
sguardo
truce.
“Vale,
quando la smetterai con questa storia dell’entusiasmo
giovanile? Sono le tre, è Estate, io ho fame e non ho voglia di fare un emerito cazzo.” Disse flemmatica,
guardandolo dritto negli occhi verdi e chiari.
Valerio
sembrò rimanerci male per un istante, ma subito dopo
sfoderò un altro sorriso, estraendo dalla tasca dei jeans un oggetto di
forma
quadrata.
“Lo
sapevo che cominciavi a brontolare…perciò ti ho comprato
una sorpresina, così ti svegli per bene!”
Ad
Ebe si illuminarono gli occhi quando davanti ai suoi
occhi comparve uno scintillante pacchetto da venti di Chesterfield Blue.
Valerio
si mise a ridere quando lei tentò di riprendere il
controllo, ma negli occhi azzurri lampeggiava una fiamma di ardente
impazienza.
“…sei
un ruffiano del cavolo!” brontolò Ebe, per poi
afferrare le sigarette – le sue sigarette preferite- e infilare la mano
nella
tasca di Valerio, che sorrideva come un emerito ebete.
Al
tatto sentì l’accendino dell’amico, e lo estrasse con un
gesto deciso; poi afferrò il pacchetto, lo aprì e tirò fuori una cicca
con il
solo ausilio delle labbra.
La
accese sotto lo sguardo divertito dell’amico, che si riprese
l’accendino e lo usò per un’altra sigaretta.
La
sigaretta dopo il pisolino era un suo classico
appuntamento con Ebe, quella bionda pazza con il corpo di un angelo e
la mente
del peggiore dei diavoli.
La
conosceva da una vita, sul serio.
Avrebbe
potuto tracciare la mappa di tutti i suoi nei,
compresi i più piccoli.
Gli
era sempre piaciuto stare con lei; a volte gli sembrava
che fosse davvero l’unica che riusciva a
capirlo, o comunque a sopportarlo.
La
osservò tirare fuori il fumo dalla bocca, la maglietta di
suo padre con cui dormiva e le mutande nere a stelle bianche, unico
indumento
che la copriva nella parte inferiore.
Le
gambe, al contrario, erano nude in tutto il loro pallore,
così come i piedi, poggiati delicatamente sulle mattonelle del balcone.
Ebe
era splendida, appena sveglia.
“Beh,
vuoi una foto?! Cristo, Vale, da quanto non ti fai una
scopata? Hai gli occhi che sembrano due anguille e le braccia ti si
stanno
trasformando in tentacoli.” Osservò Ebe fugace, lanciandogli uno
sguardo
divertito e piegando le labbra chiare in un sorriso sornione.
Valerio
sospirò, spostando gli occhi verso il vialetto sotto
di loro, al momento deserto ad eccezione, come al solito, della signora
Camelia.
Era
una grassa vecchia sulla novantina, che stava seduta
tutto il giorno sotto il portico della palazzina: stava là, senza
muoversi,
appollaiata su quella vecchia sedia scricchiolante in vinile, con le
sue parole
crociate in grembo e gli occhi fissi su chiunque osasse attraversare il
suo
territorio.
“…con
Franci non va molto bene. Ieri sera mi ha detto che
‘vuole provare nuove esperienze’”. Esclamò, senza alcun cenno di
tristezza.
Ebe
lo fissò per un brevissimo istante.
Questa
era una di quelle caratteristiche di lui che adorava;
il suo essere costantemente allegro, esuberante e ottimista.
Avrebbe
potuto venire messo sotto da un camion, e
scommetteva che lui si sarebbe rialzato senza essersi fatto un graffio.
Niente
sembrava scalfirlo, indebolirlo o renderlo triste.
Un
potere che a lei non era stato concesso, dato che si
comportava esattamente all’opposto, e questo le ricordò ancora una
volta quanto
la loro amicizia fosse straordinaria, viste e considerate le differenze
abissali tra loro.
“Sarebbe
a dire? E’ diventata lesbica?” chiese senza cenno
di imbarazzo.
Valerio
sorrise e tolse la cenere nel recipiente di ceramica
davanti a loro, posato sulla ringhiera del balcone; poi fece un altro
tiro,
stavolta più lungo e denso.
“No,
si è fatta il suo prof di scienze.”
Ebe
inarcò un sopracciglio, scettica come non mai.
“De
Angelis?! Quello è una vecchia ciabatta, non se lo
farebbe nemmeno un trans cieco”
“Ma
una puttana come Francesca sì.” Sostenne Valerio,
offrendo ad Ebe il beneficio del dubbio.
Lei
si limitò ad alzare le spalle e a dargli una pacca
‘affettuosa’ sulla schiena, e questo, Valerio lo sapeva, era il massimo
della
comprensione che poteva aspettarsi.
Ebe
fissò di nuovo la strada che troneggiava sotto di loro,
attorno alla quale si ergevano gli alberi di ciliegio più brutti
dell’intero
universo.
“…un
giorno me ne andrò di qui.”
Fece
un attimo di pausa, e Valerio la guardò intensamente
mentre poggiava il mento sulle mani. Lei continuava a osservare la
strada,
svogliata.
“…io
e te. Ce ne andremo da Via delle Fragole. Sono diciotto
anni che sono inchiodata qui. E gli sguardi dei nostri vicini mi fanno
sentire
ancora più estranea.”
Valerio
taceva, limitandosi ad annuire.
Era
vero; ogni volta che passava per le via, Ebe veniva
guardata da tutti con curiosità mista ad invidia e ribrezzo.
C’era
un gruppetto di otto idiote tra i tredici e i quindici
anni che non perdeva occasione di additarla e lanciarle insulti pesanti
e
sguardi di fuoco, a cui Ebe rispondeva con fin troppa prontezza.
La
più intelligente di quella banda di gatte in calore era
una quattordicenne con lo zaino di Hig School Musical e una maglietta
su cui
era stampata la faccia del suo ragazzo, rigorosamente di cotone rosa e
con
scollo a V, e tra l’altro abitava sullo stesso pianerottolo di Ebe.
Una
volta lei e Valerio erano usciti dal palazzo per andare
ad un concerto, e Cristina –questo il nome di quell’essere denomiaco- e
la sua
gang di iene clonate si erano zittite, seguendoli con gli
occhi: una volta allontanati, lui drizzò
l’orecchio e sentì la seguente conversazione.
“Madonna,
quello è troppo un figo!”
“Ma
chi, Cri?”
“Come
CHI?! Valerio Taschi, ovvio!”
“Allora
non ero solo io a trovarlo così fantasfizioso!”
(termine di cui nessuno dei due era sicuro di voler conoscere il
significato,
seguito oltre tutto da una serie di gridolini sovreccitati)
“No,
macchè, è stupendo! Non capisco che ci trovi in quella
sclerata!”
“Intendi
dire la bionda che sta sempre con lui, la
Modigliani?”
“Esatto,
proprio lei! Se la tira solo perché è carina…”
A
quel punto i due amici se n’erano dovuti andare, dato che
Ebe già stava scalciano per uscire dall’angolino dove erano nascosti e
spaccare
il muso a quella specie di babbuino travestito.
Valerio
e Ebe rimasero in silenzio ancora pochi istanti; poi
lui sorrise, sfiorandole una spalla.
“Dài,
mettiti qualcosa addosso. Ti porto a pranzo fuori.”
Ebe
non finse neanche di opporre resistenza, entrò dentro e
si infilò il primo paio di jeans che le cadde tra le mani.
Finì
di prepararsi sotto
lo sguardo di Valerio, come al solito.
Fino
a tredici anni si erano fatti perfino il bagno insieme,
non si vergognavano affatto l’uno dell’altra.
Una
di quelle tipiche amicizie da telefilm americano, come
la definiva spesso lei.
Ma
Ebe sapeva perfettamente che non sarebbe durata per
sempre.
Che
prima o poi sarebbe accaduto qualcosa.
Qualcosa
di assurdo e inaspettato, che avrebbe provocato
danni e litigi.
E
che li avrebbe separati per non farli ricongiungere mai
più.
Valerio,
ogni volta che le prendevano questi attacchi di
insicurezza, la abbracciava, le accarezzava i capelli e le susssurrava
nell’orecchio
una filastrocca che aveva inventato per lei a sei anni.
Ebe
riusciva solo così a calmarsi, a regolare il respiro e,
infine, ad abbracciarlo a sua volta, convincendosi che quel momento era
ancora
troppo lontano.
Nella Tana
dell’Autrice:
Le
storie originali saranno la mia rovina, lo sento XD
Detto
questo: salve a tuttiiiii!
Questo
era il primo capitolo della mia nuova storia, una
commeddia scanzonata e un po’ pessimista, ma tanto, tanto carina e
zuccherosa
> 3 (Ma non è vero =___= hai in mente
delle cose orribili da farmi vivere nd Ebe) (Oh, ma che ti frega, fai
redere ai
lettori che la storia sarà romantica sennò non mi leggono più ahah nd
Memy)
(O_O nd Ebe)
COMUNQUE!!!!
Spero che il primo capitolo vi garbi.
Ebe
non è così pazza come sembra…è peggio. Moooolto peggio.
Andando avanti con la storia lo potrete constatare da voi XD
Mi
viene spontaneo fare un piccolo avvertimento: se non vi
piacciono le protagoniste stronze, crudeli, spietate e –di conseguenza- assolutamente realistiche…e se
volete leggere una storia tutta rosa, piena di bacetti, di guance che
diventano
rosse per l’imbarazzo e di personaggi maschili timidi e
innamorati….beh, girate
subito al largo da questa roba XD Ve lo dico da amica.
Bene,
credo sia tutto per il momento. Nel prossimo capitolo
scopriremo qualcosa di più su questi due idioti!
Grazie
per aver letto! See ya!
*MagikaMemy*
p.s.
Se volete, fatemi sapere cosa ne pensate ^____^ Ciò,
ovviamente, vale sia per i commenti positivi che negativi (mi
raccomando però,
se dovete criticare fatelo con educazione XD). Grazie per la pazienza!
Ma come
sono rompiscatole XDXD