Perché
tu possa ascoltarmi
QUANDO
AVEVA SCOPERTO LA
VERITÀ
Demian
odiava alzarsi presto la mattina
fondamentalmente perché soffriva d’insonnia quando
dormiva da sua zia, e
addormentarsi alle cinque tutte le notti per svegliarsi alle sette lo
distruggeva.
Jules
se ne era accorto, che più le
settimane erano trascorse più Dami si era sciupato,
rinchiuso in un malessere
che aumentava quando metteva piede in quella casa, per questo lo
lasciavano a
casa sua, anche se da solo, fino all’ora di cena, ed ogni
sera il cugino andava
a prenderlo in moto.
Julian
aveva anche notato gli infiniti
lividi che Dem mascherava come poteva, e li aveva notati anche Claire,
ma era
impossibile farlo parlare e la tensione e i litigi aumentavano e Sarah
piangeva. Per questo ormai Claire, quando lo vedeva rientrare con il
volto
segnato, serrava la mascella e chinava la testa.
Era
una routine strana che fortunatamente
non era destinata a durare a lungo.
«È
davvero così terribile, per te, vivere
con noi? Siamo la tua famiglia» gli aveva chiesto Jules, e
sembrava amareggiato.
Ma Dami non aveva esitato, aveva annuito.
«Vedervi
mi ricorda tutto quello che non ho
mai avuto e quello che perderò» e poi
«Siete del sale su una ferita aperta»
Jules
non aveva più avuto il coraggio di
chiedere nulla, doveva esserne rimasto troppo ferito, preferiva
argomenti
leggeri, prenderlo alla larga e distrarlo, ricordargli che
c’era altro, per
questo Dami aveva un bisogno disperato anche di lui.
Quella
mattina Demian aveva voluto salutare
Elena prima che andasse via, aveva chiesto a Julian di accompagnarlo in
ospedale e di lasciarlo lì.
Non
voleva che il cugino sapesse, era il
loro segreto.
Era
entrato nell’atrio, c’era baccano ed
una ragazza che non aveva mai notato, ma che doveva avere la sua
età, stava
ridendo rincorsa da suo fratello. L’aveva seguita con lo
sguardo, perché era
magra da fare impressione e non aveva i capelli, solo un accenno di
ricrescita
appena visibile sotto la bandana a fiori vivace, e un viso dal sorriso
furbo e
gli incisivi grandi.
«Presa!»
aveva riso il fratello più grande
sollevandola da terra «Puffetta vedi di stare un
po’ ferma ora!»
La
sua risata scrosciante era quasi
sguaiata, ma strappava un po’ di buon umore e Dami si
sentì rinfrancato, perché
anche una ragazzina con la leucemia poteva ridere così e non
era la fine del
mondo, Elena non sarebbe sparita.
Si
era raccolto su una seggiola, in un
angolo, dietro ad un libro.
Non
glielo aveva ancora detto, che era come
la poesia di Neruda, ma forse lo avrebbe fatto quel giorno, forse aveva
paura
che Ellie sparisse.
Era
entrato un ragazzo, capelli castano
chiaro, curati alla “bravo ragazzo”, molto alto,
sorriso caldo. Aspettava
qualcuno, in piedi accanto alla porta, dove c’erano le
macchinette.
Elena
era spuntata dal corridoio, Dami non
aveva fatto in tempo ad alzarsi. Il ragazzo aveva aperto le braccia,
lei gli
era saltata al collo.
L’aveva
baciata.
Si
erano sorrisi sulle labbra dell’altro.
Elena
aveva un ragazzo.
Che
idiota, era bella, era ovvio che avesse
un ragazzo.
Le
ragazze come Elena avevano sempre un
ragazzo, come in ogni cliché che si rispetti e che lui non
aveva saputo vedere.
Gli era caduto il libro di mano, il tonfo le aveva fatto alzare lo
sguardo su
di lui. Era impietrita e Dami lo trovò strano, quello colmo
di orrore era lui,
questa volta il diritto di esserlo lo voleva.
Lo
sconosciuto seguì gli occhi di Ellie «È
il famoso Damian?»
«Demian»
aveva mormorato lui, allibito.
Quel
perfetto sconosciuto lo conosceva, lui
invece non aveva mai sentito nominare nemmeno il suo nome «Io
sono Simone» gli
aveva sorriso.
Elena
era l’incarnazione della
mortificazione, come se solo in quel momento si fosse resa conto che
con lui
non era stato onesto, che aveva tutelato quel Simone, ma non aveva
minimamente
pensato a lui. «Stai bene? Sembri pallido»
«Predisposizione
naturale» aveva osservato
con una punta di cinismo. Aveva raccolto il libro, non aveva salutato.
«Dami»
Elena
gli aveva preso un polso, l’aveva
guardata con apatia, l’aveva attraversata con gli occhi senza
vederla davvero e
la mano di lei aveva tremato.
«Io
non ti stavo nascondendo niente» era
strano sentire come le tremasse anche la voce. Era proprio come la
poesia di
Neruda, gli aveva rubato ogni parola, ogni cosa, gli restava solo uno
strano
senso di vuoto, una conferma, l’ennesima, che
c’erano cose che lui non poteva
avere.
Non
aveva diritto a persone che restassero
per lui.
Si
liberò con un movimento brusco del
braccio «Nessuno ti ha chiesto nulla, ti conosco appena.
Maman mi aspetta, se
te ne puoi andare, avrei cose più importanti di cui
occuparmi»
Elena aveva gli occhi lucidi, forse non si era nemmeno resa conto del
suo
errore fino a quel momento, non per davvero. Demian stesso lo
comprendeva solo
in quell’istante di totale vuotezza, era stato tutto
così precipitoso.
Le
diede la schiena e ignorò il richiamo di
lei, sussurrato e, così avrebbe pensato se fosse stato
ancora l’illuso del
giorno prima, anche triste.