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Autore: Sky_Anubis    15/03/2019    0 recensioni
Gli dèi, gli antichi dèi della regione di Athena sono furiosi con gli uomini. Un'antica società segreta cerca di evitare la tragedia insieme ad un ragazzo e i suoi amici, che scopriranno di essere molto più importanti di quanto credessero.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Camilla, Ruby
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Manga
Capitoli:
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«Molto bene, signora Chateau, credo che possiamo iniziare.» esordì l’avvocato, tirando fuori delle carte dalla sua ventiquattrore. «Dunque, la richiesta del signor Hyperion di adottare questi due ragazzi mi sembra legittima.»
Dopo un attimo di sconcerto per la mossa a sorpresa di Deucalion, la Chateau si riebbe e assunse uno sguardo duro, pronta alla sfida. «Non mi sembra proprio, signorina Tithanis.»
«E perché mai?» chiese la donna, fingendo sorpresa. «Mi sembra che i presupposti legali ci siano tutti. Il signor Hyperion ha un’occupazione stabile, un buon reddito, non ha precedenti penali e dispone di un’abitazione spaziosa e confortevole, atta al domicilio di altre due persone.» aggiunse poi, decisa. Dietro di lei, Minerva stava avendo un altro dei suoi momenti di trance. Per un momento, soltanto per un momento, non aveva visto parlare con la direttrice un’avvocatessa, ma una donna alta, vestita con un’armatura scintillante, che emanava una luce divina. In quel momento, Minerva non sapeva precisamente cosa avesse visto, e non riusciva neanche a distinguere se quella fosse una semplice allucinazione o una delle sue strane visioni.
«Tuttavia, signorina Tithanis, la legge di Athena parla chiaro. L’adozione di soggetti pericolosi non è consentita in nessun caso, neanche da parte di qualcuno in possesso di tutti questi requisiti.» ribatté la Chateau. Kai strinse gli occhi, a sentire quelle parole. Gli si leggeva in volto l’odio verso quel posto, maturato in tanti anni, e verso quella donna. “Figlia di puttana” pensò, attento a non farsi scappare di bocca parole che, in quel momento, non avrebbero aiutato la loro situazione.
Deucalion assunse un’espressione gelida, che faceva sembrare i suoi occhi rossi pervasi dalle fiamme degli Inferi. Riuscì tuttavia a mantenere una fredda compostezza e non proferì parola, fiducioso nell’operato dell’avvocato.
«Penso che non le sia ancora arrivata la notifica della polizia di Aeteria, signora Chateau, ma la qualifica di soggetti pericolosi attribuita a questi due ragazzi è stata revocata.» rispose Glauka.
«Mi scusi?»
«Ha capito bene, signora Chateau.» si intromise Deucalion, accennando un mezzo sorrisetto compiaciuto.
Kai e Minerva erano sorpresi quanto la direttrice, ma non nascosero un sospiro di sollievo.
Glauka prese un foglio dalla sua valigetta. «Ecco, può controllare» fece, porgendolo alla donna. «Questo è l’atto di notifica inviatomi dalla polizia, in quanto legale del futuro tutore dei soggetti in questione. Il Tribunali dei minorenni di Athena ne ha già ricevuto una copia.»
Sul volto di Deucalion comparve un sorriso di trionfo, mentre Kai iniziava a sperare in una vita migliore per sé, per Minerva e per Riolu.
La Chateau prese in mano il foglio, che recava molti timbri e firme, e iniziò a leggerlo. «È semplicemente impossibile.» fece, dopo qualche secondo, con gli occhi incolleriti. «Anzi, è scandaloso.»
«Prego?» intervenne Deucalion, stringendo gli occhi.
«Questa notifica deve essere stata falsificata, non c’è altra spiegazione!» rispose la donna, alzandosi in piedi e poggiando le mani sulla sua scrivania. «Questo è un insulto a me e all’istituzione che dirigo, e non sono disposta a tollerare un simile oltraggio!»
«Ora si calmi, signora Chateau» le disse Deucalion, alzandosi in piedi, statuario. «O sarò costretto a farla ragionare.» concluse, con uno sguardo gelido dei suoi occhi rossi. Riolu lesse l’aura del professore: ora era di un colore rosso, ed era diventata più irrequieta, più potente, come se fosse quella di un semidio. Al contempo, però, era diventata anche più oscura, più tetra, e questo spaventò il piccolo Pokémon. Deucalion si stava veramente arrabbiando. Kai e Minerva lo percepirono, e ne furono intimoriti.
«Lei osa minacciarmi? Esca immediatamente fuori di qui! Ora!» urlò la Chateau. Sembrava in preda ad una possessione demoniaca, tanto forte aveva urlato. Le grida sconclusionate di quella donna avevano risvegliato in Deucalion un sentimento che non provava da moltissimo tempo: la collera. Una rabbia talmente furiosa e cieca che finì per sopraffarlo completamente, facendo brillare i suoi occhi di un intenso rosso, color delle fiamme ardenti. Riolu, spaventatissimo, si nascose dietro una gamba di Kai, aggrappandosi ai suoi pantaloni, mentre Minerva e lo stesso semidio avevano fatto un passo indietro. Riuscivano a vedere un’aura infuocata che lo circondava.
Deucalion non pareva intenzionato a fermarsi, e avrebbe dato fuoco all’edificio e ucciso la Chateau, se Glauka non fosse intervenuta, resasi conto che la situazione stava degenerando. Il tempo iniziò a scorrere più lentamente, mentre soltanto lei e Deucalion si accorgevano l’uno dell’altra. Il professore respirava furiosamente, in preda alla collera più cieca, mentre la dea della Sapienza, nelle sue vere sembianze, gli si avvicinava, poggiandogli la mano d’avorio sul cuore. «Mio amato» gli disse. «Ora è il momento di calmarti.»
Deucalion la guardò con i suoi occhi ancora brillanti di collera e fiamme di sangue.
«Controlla la tua natura di emititano. Non lasciare che tuo padre ti controlli, non permetterglielo.» gli fece la dea. «Ora, chiudi gli occhi. Respira.»
Deucalion chiuse i suoi occhi infuocati, cercando di respirare più piano, sempre più piano, finché non recuperò la sua fredda calma, placando il fuoco dentro di sé. Tirò un sospiro di sollievo, e riaprì gli occhi, rivelando le sue solite iridi rosso-ambrate.
«Grazie, mia dea.» fece, fissando la scrivania davanti a sé, mentre la dea della Sapienza ritornava ad essere Glauka Tithanis, l’avvocato dell’ordinario professore di archeologia. Deucalion riprese la sua solita compostezza, e il tempo ricominciò a scorrere normalmente.
La Chateau si ritrovò in piedi, con le mani poggiate sulla scrivania, senza che ricordasse il perché fosse in quel modo. Kai, Minerva e Riolu si ritrovarono in una posizione di terrore, come se qualcosa li avesse spaventati a morte, ma non riuscivano a ricordare cosa fosse successo. Soltanto Deucalion e Glauka erano rimasti nelle loro originarie posizioni, come se nulla fosse mai accaduto.
«Signora Chateau, si sente bene?» le domandò Deucalion, ora completamente calmo.
«Cosa?» riuscì soltanto a rispondere quella, senza capire cosa fosse successo.
«Stavamo discutendo della notifica della polizia di Aeteria in merito alla revoca dello status di soggetti pericolosi ai due ragazzi che il signor Hyperion intende adottare, signora Chateau.» la incalzò subito l’avvocato. Non appena sentì queste parole, la direttrice si riebbe subito, e iniziò nuovamente ad attaccare Deucalion e i due ragazzi. Sembrava che la situazione sarebbe andata per le lunghe.
 
Stazione ferroviaria di Medicea Ieratika, oggi
 
Camilla era ferma a Medicea, per una delle soste programmate del treno, affinché i passeggeri di quella città potessero salire per affrontare i propri viaggi nella regione di Athena. Il treno era pieno di studenti che si dirigevano ad Aeteria per affrontare qualche esame o per ritornare alle loro vite da fuorisede, ma c’era anche qualcuno che aveva deciso di staccare un po’ dalla quotidianità e di prendersi una vacanza in una delle città più belle della regione.
Camilla si stava annoiando a morte. Detestava restare ferma per così tanto tempo. Una voce metallica iniziò a gracchiare dagli altoparlanti posti in ogni carrozza: «Gentili passeggeri, vi annunciamo che siamo fermi sui binari per motivi di traffico ferroviario indipendenti dalla nostra volontà. Lasceremo la stazione di Medicea Ieratika non appena sarà possibile. Vi ringraziamo per la vostra pazienza.»
«Fantastico, altro tempo perso.» fece la donna, sbuffando. Prese il cellulare dalla borsa per controllare l’orario: le 17:05. Le mancava soltanto un’ora per arrivare ad Aeteria, ovviamente se il treno fosse ripartito subito. Cercò di chiamare un’altra volta Deucalion, ma all’ennesima chiamata fallita, decise di alzarsi e di fare una breve passeggiata fino ai distributori automatici per sgranchirsi un po’. Camilla sentiva i suoi Pokémon fremere nelle loro Poké Ball, all’interno della sua cintura. Anche loro non vedevano l’ora di sgranchirsi un po’, ma sul treno non era permesso l’accesso a Pokémon grandi come quelli che possedeva lei. Garchomp in particolare sembrava annoiarsi a morte, rinchiuso dentro la sua sfera, mentre il suo Lucario era un po’ irrequieto. La donna prese in mano la sua Poké Ball.
«Che hai, Lucario?» gli chiese. Il Pokémon la guardò, dall’interno, trasmettendole i suoi pensieri tramite le loro aure. Aveva un brutto presentimento, e sentiva una certa tensione nell’aria, nonostante gli altri passeggeri del treno fossero tranquillissimi.
«Hai ragione, anch’io sento che qualcosa di brutto si sta avvicinando.» disse, ripensando di nuovo a quello che le era successo a Taurinia.
I suoi pensieri furono interrotti dalla voce metallica di prima: «Attenzione, il treno sta per ripartire. Invitiamo eventuali accompagnatori a scendere e consigliamo ai signori passeggeri di controllare sui monitor in ogni carrozza l’orario di arrivo nelle rispettive stazioni di destinazione. Vi ringraziamo per averci scelto.»
La donna assunse un’espressione sollevata. «Bene, è inutile pensarci ora.» si disse, e poi prese a controllare il monitor che aveva di fianco, mentre il treno iniziava finalmente a muoversi. Partito in orario dalla stazione di Taurinia Porta Nea, aveva accumulato dieci minuti di ritardo una volta giunto a Medicea. La prossima fermata, Aeteria Aureliana, era a circa un’ora e dieci di viaggio. Camilla decise di prendere un caffè ai distributori automatici e di tornare al proprio posto, mettendosi comoda ad ascoltare un po’ di musica dal suo cellulare, cercando di rilassarsi per quel poco di tempo che le restava da trascorrere sul treno.
 
Aeteria, oggi
 
Dopo aver pranzato, Percy stava aiutando Rodia con i suoi appunti per la tesi, mentre Persefone si divertiva a pulire i fornelli. Per la verità, più che studiare, i due si erano messi a ridere e scherzare tra di loro, mentre la bionda faceva l’involontaria terza incomoda.
«Hai sentito della festa che vogliono dare i ragazzi del secondo anno la prossima settimana?» gli chiese la rossa.
«Sì, e hanno anche avuto un’ottima idea per il luogo, nessuno aveva mai pensato di dare una festa nel boschetto di fianco l’Università.» rispose Percy.
«Hai ragione, sembra forte.»
«Tu hai intenzione di andare?» le chiese il biondo.
«Sinceramente non saprei, il prossimo fine settimana io e Persefone vorremmo andare a Medicea, per rilassarci un po’.» rispose quella.
«Ma se invece andassimo a quella festa?» si intromise la bionda.
«Dici? Non eri tu che volevi mollare tutto per andare nei musei di Medicea?» le rispose Rodia, girandosi. Persefone si era messa a far roteare su un dito lo straccio che stava usando per pulire i fornelli, e sembrava che stesse preparando l’impasto per la pizza. «Sì, ma non sapevo di questa festa. E se c’è una festa vuol dire che c’è alcol.» rispose, assumendo un sorrisetto compiaciuto all’idea dei fiumi di alcol che sicuramente avrebbero preso a scorrere il prossimo venerdì.
«In effetti conosco uno dei ragazzi che la sta organizzando, e mi ha detto che con i soldi raccolti riusciranno a comprare un bel po’ di alcolici.» fece Percy.
Persefone aveva sentito esattamente ciò che le serviva per decidere. «Perfetto, venerdì prossimo andremo a quella festa, Rodia.» decise all’istante la bionda. «E poi, è da un po’ che né io né te beviamo.»
Rodia ci rifletté un istante. Nonostante l’idea di una festa alcolica la allettasse non poco, non le andava di farsi trascinare da Persefone a bere l’intero buffet, solo loro due come al solito. «Percy, tu che fai venerdì prossimo?» chiese al ragazzo, fissandolo negli occhi.
«Non credo di avere impegni.» rispose lui.
«Ti va di andare insieme a quella festa?» fece Rodia, leggermente agitata. Una specie di primo appuntamento. Insieme ad un altro migliaio di persone, con tanto alcol, musica e casino. Non proprio l’ideale di romanticismo, in effetti.
Percy poggiò la sua mano sopra quella di Rodia, guardandola nei suoi occhi color nocciola. «Certo, mi piacerebbe.» disse, sorridendole. Si era creato un attimo particolare, in cui i due si guardavano l’un l’altro e sembrava che nient’altro esistesse. Si sentivano sospesi nel vuoto, insieme, come se fossero le divinità creatrici di un nuovo universo, e tutto dipendesse dalle loro volontà. Percy e Rodia si piacevano e lo spirito dell’Amore era ormai entrato in loro. Persefone interruppe il loro idillio. «Ehi, ci sono anch’io.» si intromise.
Rodia si risvegliò all’improvviso da quell’attimo perfetto. «Hai ragione, scusa.» le fece, un po’ dispiaciuta per non averla considerata, nonostante fosse nella stessa stanza. «Che ne dici di dirlo anche ad Aurora e Max? Loro adorano questo tipo di occasioni.»
«Hai ragione, gli mando subito un messaggio.» rispose lei.
Percy controllò l’orario sul cellulare, e nel farlo vide il messaggio inviatogli da Deucalion. Dal testo sembrava qualcosa di abbastanza importante.
«Rodia, devo scappare, è tardissimo e ho un impegno urgente.» le disse.
«È successo qualcosa di grave?» gli chiese la rossa.
«No, nulla di particolare, non mi sono accorto che una persona mi ha cercato e ora sono in ritardo.» rispose, alzandosi dalla sedia e infilandosi la giacca.
«Aspetta, ti accompagno giù.» fece quella, avviandosi verso la porta insieme a lui.
In tutto ciò, Persefone era rimasta a guardare tutta la scena da terzo incomodo, e una volta che entrambi la lasciarono sola in casa potè finalmente rilassarsi un po’. 
«Uff… che imbarazzo…»
 
La situazione era diventata ancora più tesa. La Chateau tentava di attaccarsi ad ogni minimo codicillo che potesse impedire a Deucalion di adottare i due ragazzi, ma prontamente Glauka le faceva notare che quel particolare cavillo legale non era applicabile in quel caso. Kai, Minerva e Riolu iniziavano a spazientirsi, in piedi come erano da ormai più di due ore. Il ragazzo, in particolare, si era messo a braccia conserte e fissava la scena davanti a lui con occhi glaciali, emettendo in silenzio tutto l’odio di cui era capace.
Riolu si era messo seduto per terra, e iniziava a provare un certo sopore, annoiato com’era.
Minerva, al contrario, restava lì immobile, in piedi. Continuava a pensare alla visione che aveva avuto su Glauka quando questa era entrata nella stanza. Somigliava tantissimo alla donna che li aveva aiutato quando Zakalos tentò di separarli. In effetti, nel momento in cui si concentrava su di lei, Minerva provava la stessa sensazione di tranquillità e di pace che lei le dava. Non aveva avuto modo di guardarla meglio, ma lei sapeva che quelle due donne dovevano essere la stessa persona. Tuttavia, c’era una cosa che non riusciva a spiegarsi: la sua età. Non era invecchiata di un solo giorno da quando, sei anni fa, li aveva aiutati. Aveva lo stesso incarnato luminoso, la stessa pelle liscia e perfetta. Non che fosse passato troppo tempo da allora, ma Glauka non aveva neanche una ruga in volto, né la minima traccia di occhiaie, come invece dovrebbe succedere ad ogni normale essere umano. A Minerva passò, per un secondo, un’idea per la mente, un’idea alquanto folle. La sua visione non era stata molto chiara, ma le bastò per richiamare un’immagine nel flusso dei suoi pensieri: una donna che emanava luce divina, vestita con una scintillante armatura in argento. La malinconica regalità del suo sguardo era una costante in ogni opera d’arte che la raffigurasse, così come la sua indole battagliera, rappresentata dallo scudo e dalla lancia considerati suoi attributi identificativi. I miti parlavano di lei come la dea che aveva guidato il popolo di Athena verso la civiltà e la conoscenza, tramite i semidei che ella stessa aveva generato insieme ad alcuni mortali.
Pian piano, l’immagine nella mente di Minerva iniziò a diventare più chiara, come un puzzle che incomincia a comporsi da solo. La ragazza, a mente fredda, unì tutti i tasselli del mosaico, mettendo a fuoco una figura particolare: la dea della Sapienza la fissava con i suoi occhi cerulei, che racchiudevano tutta la saggezza e la conoscenza del mondo. Minerva non si sentiva intimorita da quella situazione, che stava avvenendo in un luogo che più nulla aveva a che fare con l’orfanotrofio, e che non si trovava neppure nello stesso tempo.
Non si sentiva il minimo rumore, a parte quello di un grande braciere profumato che ardeva ai piedi della grande statua della Sapienza Onniveggente, che con i suoi quattro metri svettava all’interno del naòs del tempio più maestoso dell’antica acropoli di Aeteria. Un forte odore di incenso permeava l’aria, mentre fuori la neve cadeva candida e perfetta. Minerva, tuttavia, non sentiva freddo, ma soltanto un’immensa sensazione di pace.
La dea della Sapienza le si avvicinò, piano. Una volta giunta davanti a lei, la fissò con il suo sguardo regale per alcuni secondi.
«Sono molto fiera di te, Minerva.» le disse poi, e le diede un bacio sulla fronte.
Un secondo dopo, la scena si dissolse e Minerva si ritrovò di nuovo all’Ilitia. Si sentiva come se si fosse appena risvegliata da un lungo sonno. Si guardò le mani, come per controllare di non avere undici dita e assicurarsi di non stare ancora sognando.
«Ehi, Minerva, ti senti bene?» le fece Kai, accortosi che qualcosa non andava. Bisbigliava, per non disturbare il dibattito legale ancora in corso. Anche Riolu aveva percepito uno sconvolgimento abbastanza profondo nell’aura della ragazza, e prontamente i suoi pensieri avevano allertato anche Kai, in virtù del loro legame.
«Sì, io… io credo di sì.» rispose lei, un po’ titubante.  
L’aria era talmente tesa che l’ostilità in quella stanza era palpabile. Sembrava di essere immersi in una gelatina oscura, in una nebbia di tenebra che permeava ogni cosa. Riolu era il più teso di tutti, dal momento che era l’unico che riusciva a leggere le aure dei presenti.
Sembrava si fosse giunti ad un punto morto. La Chateau non aveva la minima intenzione di cedere, e non perdeva minimamente terreno. Deucalion rimaneva in silenzio, cercando di dominare la rabbia che quella donna aveva risvegliato in lui. Glauka, al contrario, stava per esaurire la sua pazienza.
«Voi mortali sapete essere davvero testardi» disse, rivolta alla direttrice. «Non è saggio rimanere così fissi su un’idea.»
«Mi scusi?» le fece la Chateau, leggermente spiazzata.
«Silenzio, mortale. Hai fin troppo abusato della mia pazienza.» rispose Glauka. Un’aura dorata prese a circondarla, e iniziò a fissare intensamente la direttrice con i suoi occhi cerulei. Le sue iridi avevano iniziato a brillare ardentemente.
Deucalion sapeva che sarebbe finita così. Quella maledetta donna era stata capace di far perdere la pazienza anche ad una dea, sfidandola in una gara che non poteva assolutamente vincere, e ora ne avrebbe pagato le conseguenze. La dea della Sapienza era conosciuta per essere la custode di tutta la saggezza e la conoscenza del mondo, ma, come tutti gli altri dei, non amava che le si mettessero i bastoni tra le ruote. E non erano soltanto gli occhi cerulei ad essere il suo unico attributo, ma chiunque le si fosse messo contro, nel corso del tempo, dio o mortale che fosse, aveva conosciuto l’aspetto più vendicativo della sua divina natura.
Tutti, nella stanza, sentivano la paura insinuarsi tra i propri pensieri, ma chi più di tutti era terrorizzato, e aveva anche ottime ragioni per esserlo, era la Chateau. La donna stava osservando una dea che si rivelava davanti ai propri occhi. La divinità apparve nella sua forma umana, sfolgorante di luce nella sua armatura d’argento. Nella mano destra teneva una lancia, nella sinistra uno scudo, con raccapriccianti incisioni in rilievo. Kai guardò solo di sfuggita lo scudo, e dovette distogliere subito lo sguardo, perché aveva iniziato ad avere delle terribili allucinazioni che sembravano, però, tremendamente reali.
L’unico che non sembrava fare una piega era Deucalion, che continuava a rimanere seduto. Kai, Minerva e Riolu lo guardavano stupiti, chiedendosi come mai non reagisse.
La Chateau era completamente paralizzata dal terrore. Ebbe la forza soltanto di pronunciare alcune parole, rivolte alla dea: «Chi… sei tu?» le chiese, sgomenta.
«Io, sciocca mortale, sono la Sapienza, l’incarnazione della saggezza e della conoscenza, figlia del Cielo e della Prudenza, fondatrice della civiltà athenìata. E tu, oggi, hai osato opporti a me.» rispose maestosa, inondando di luce la stanza. In quell’esplosione luminosa, Minerva riuscì ad intravedere qualcosa: un piccolo essere fluttuante, con due code e una testolina gialla, stava davanti alla Chateau, e la direttrice lo guardava con gli occhi vitrei e spalancati, completamente rapita dal terrore più profondo. Il piccolo essere si girò verso Minerva, iniziando a fissarla con le sue bianche iridi, mentre irradiava potere in ogni direzione. Il tutto durò soltanto un secondo, e l’esserino fluttuante ritornò ad essere prima la dea e poi di nuovo Glauka Tithanis, l’avvocato di Deucalion.
La Chateau crollò sulla sua sedia, tenendo ancora gli occhi aperti, mentre Glauka tirò fuori da chissà dove un foglio firmato dalla direttrice, con su scritto “Approvazione richiesta di adozione”, e lo consegnò a Deucalion.
«La ringrazio per il suo tempo, signora Chateau.» fece il professore, ironico.
«Bene, signor Hyperion, non c’è più nulla che ci trattenga qui, possiamo andare.» disse Glauka, iniziando a dirigersi verso la porta.
«Deucalion… che cosa…» riuscì soltanto a dire Kai, mentre Riolu si era nascosto dietro la sua gamba e ancora tremava di paura.
«Vi spiego dopo, ora torniamo a casa. Cercate di assumere un’espressione normale, nessuno dovrà mai sapere cosa è successo oggi.» rispose quello.
Kai e Minerva si guardarono, sconvolti, per un secondo, e cercarono di assumere l’espressione più normale che potevano. Il semidio prese in braccio Riolu, che stava ancora con gli occhi chiusi per lo spavento, e insieme a sua sorella uscì dalla stanza.
I due ragazzi arrivarono davanti l’automobile senza praticamente far caso a quello che succedeva attorno a loro. Nel cortile, tutti iniziarono a confabulare quando loro due, Deucalion e Glauka uscirono dall’edificio, ma Kai e Minerva non li consideravano minimamente.
Erano le sei del pomeriggio, e il sole iniziava a calare, allungando le ombre degli edifici e degli alberi di Aeteria, donando alla città, in quella giornata d’autunno, un aspetto leggermente malinconico. Nell’aria c’era una sensazione di tranquillità e di calma, nonostante gli abitanti di Aeteria continuassero a girare per le strade, impegnati nelle loro frenetiche vite. Si vedevano persone che si dirigevano a casa, carichi delle loro buste della spesa, altri che camminavano parlando al cellulare, studenti che avevano appena finito di seguire le lezioni di quel giorno e avevano deciso di regalarsi un momento di relax facendo una passeggiata e ascoltando i loro gruppi preferiti con gli auricolari, e perfino una coppietta, che camminava mano nella mano. In lontananza, dallo stridore dei binari si sentiva un tram arrivare, mentre poco più in là la gente lo aspettava.
Kai, Minerva e Riolu sentivano un’immensa sensazione di pace e di liberazione dentro di loro.
Deucalion e Glauka, davanti l’auto, conversavano tra di loro. L’avvocato consegnò al professore il foglio di approvazione della richiesta di adozione, poco prima di salutare lui e i due ragazzi. Mentre si avvicinava a lei, Minerva notò qualcosa brillarle al collo. Sembrava una collana, scintillante sotto il suo elegante tailleur blu. La ragazza cercò di guardare meglio, mettendo a fuoco: era un ciondolo a forma di testa di Noctowl, d’argento e avorio. Un rapido viaggio nei suoi ricordi confermò definitivamente alla ragazza ciò che, inconsciamente, già sapeva.
“È lei” pensò. “Dev’essere per forza lei.”
Glauka doveva essere quella donna, quell’avvocato pronta a tutto che aveva aiutato Percy anni fa, ai tempi di Zakalos. Ora ne aveva l’assoluta certezza, e dopo aver assistito alla rivelazione del suo potere, sapeva anche come le era stato possibile aiutarli. Del resto, ci sono davvero poche cose che una dea, e specialmente la dea della Sapienza, non possa fare. E servirsi per i propri fini del codice legislativo che, si dice, lei stessa abbia trasmesso agli antichi abitanti della regione di Athena, non rientrava tra queste.  
Glauka salutò i due ragazzi e il loro nuovo tutore, con particolare enfasi verso Minerva, e se ne andò, sparendo dietro il primo angolo. Deucalion la guardò per tutto il tempo. «Grazie, mia dea.» mormorò, stando bene attento a non farsi sentire da nessuno.
«Deucalion…»
«Sì, Minerva?» rispose lui, guardando ancora verso il punto in cui Glauka era sparita.
«Quella donna… la dea della Sapienza…» fece lei, titubante. Deucalion la zittì prontamente, preoccupato che qualcuno potesse sentirla, o peggio, prenderla sul serio: «Parleremo di questo dopo, Minerva, non preoccupartene, per ora» le fece.
«Va… va bene…» rispose la ragazza. Minerva non aveva mai visto una cosa del genere. Una dea si era rivelata nella sua forma divina davanti ai suoi occhi. Aveva visto queste cose soltanto nei quadri, ma non credeva che sarebbe mai potuto succedere. Anche Kai era sconvolto, mentre Riolu iniziava soltanto in quel momento a tranquillizzarsi, ora che l’aura di Glauka era scomparsa dal suo raggio di percezione. Erano comunque tutti e tre tesi come delle corde di violino.
«Devo comunque darvi un’ottima notizia» fece il professore, cambiando discorso. «Grazie all’aiuto di Glauka, il nostro viaggio qui all’Ilitia non è stato inutile.»
«Che vuoi dire?» gli chiese Kai, risvegliatosi in quel momento, con una punta di speranza nella voce. Deucalion gli fece vedere il foglio che teneva in mano: la firma della Chateau campeggiava prepotente su un documento che aveva l’aria di essere importante. L’approvazione della richiesta di adozione dei due ragazzi da parte di Deucalion era ormai diventato un documento ufficiale, garantito dalla legislazione della regione di Athena.
«Da oggi, ragazzi, voi due avete una famiglia. E non dovrete più tornare in questo posto.»
Kai e Minerva non ci credevano. Avevano provato talmente tante volte a scappare da quell’incubo che ormai non gli sembrava vero che potesse accadere sul serio, e per giunta, in via del tutto ufficiale. Finalmente, avevano spezzato le pesanti catene che li tenevano ancorati al loro passato, al dolore e alle proprie paure. Finalmente non avrebbero più dovuto convivere con la cattiveria di Henrietta, con la malvagità della Chateau o con gli atti di bullismo di Ahrai e dei suoi compari. Finalmente Kai e Minerva, i due fratelli uniti dal dolore e dalle difficoltà, erano davvero liberi di vivere una vita degna di questo nome, e di risplendere nella loro esistenza.
   
 
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