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Autore: Hilarie Winfort    17/03/2019    0 recensioni
Jayne Backett era sempre stata una bambina piena di sogni e aspirazioni, fermamente convinta che la vita le avrebbe donato soddisfazioni e serenità e aveva continuato a crederlo fino all'adolescenza. O almeno fino a quando suo padre l'aveva spedita a Galway, in Irlanda dove aveva trascorso gran parte della sua infanzia. Jayne aveva accettato la cosa ma un piccolo particolare le era sfuggito di mente. Si era dimenticata di Ace Davies, ma lui non si era affatto scordato di lei. Al contrario aveva sempre adorato giocare con la ragazza e non avrebbe perso occasione per farlo.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Dopotutto Ace non la odiava così tanto come avrebbe voluto far credere, se aveva conservato quella fotografia ci doveva essere una ragione.
A quanto pare l’infanzia trascorsa con Jayne aveva dovuto significare qualcosa per lui anche se non voleva ammetterlo.
Inoltre si era ricordata di un particolare che le era sfuggito, aveva riflettuto a lungo sulla frase che Ace le aveva detto al molo quella sera ed era giunta alla conclusione che significasse qualcosa.
Quindi le era tornata alla mente una giornata che aveva rimosso dai ricordi.

Aveva quasi tredici anni ed era l’ennesima vacanza passata a Galway o l’ennesimo tentativo da parte dei Davies di fare riappacificare i suoi genitori.
Inutile dire che non era servito a nulla, non si erano nemmeno degnati di fare una tregua per il suo compleanno presi com’erano a discutere.
Jayne si era precipitata il più lontano possibile dalla villa, furiosa con sua madre e suo padre per averla ignorata proprio il giorno del suo compleanno.
Si era rifugiata nel suo posto preferito e aveva immerso i piedi nell’acqua, avrebbe voluto farsi trasportare dalle onde del mare e sparire chissà dove senza più tornare indietro.
“Che ci fai qui?”, una voce la costrinse a sollevare gli occhi dal mare. “Dovresti essere alla tua festa”
Ace prese posto accanto a lei sul pontile, rivolgendole un sorriso rassicurante ma che Jayne ignorò.
Niente avrebbe potuto farla sentire meglio in quel momento.
“Non gli importa niente del mio compleanno e neanche di me”, piagnucolò Jayne con gli occhi pieni di lacrime.
Ace scosse la testa.
“Non dire sciocchezze, ti vogliono bene”
Jayne sentiva la rabbia che si stava per impossessare di lei e si alzò di scatto, cercò di respirare profondamente per calmarsi.
“Ah si?”, Jayne lo fronteggiò.
Ace era già un ragazzo, aveva quasi sedici anni e quando si alzò anch’esso da terra la ragazza si accorse che la sovrastava completamente.
“Mi hanno lasciata sola tutto il giorno”, aggiunse incredula che Ace potesse prendere le difese dei suoi genitori.
“Hanno dei problemi che riguardano i grandi, quando crescerai capirai molte cose ma adesso devi tornare alla festa”
Jayne strabuzzò gli occhi, non sarebbe mai tornata indietro a vedere i suoi genitori azzuffarsi.
“Non parlarmi come se fossi una bambina e poi non ci torno alla festa”
Ace si fece più vicino, non riusciva a sopportare quando Jayne faceva i capricci.
“Ti stanno cercando tutti, dacci un taglio e torniamo indietro”
Lei non voleva cedere né tantomeno lui, avrebbero potuto continuare a fronteggiarsi in eterno.
“Facciamo così, quando arriviamo a casa ti farò scartare il mio regalo in anticipo”
Ace aveva un sorriso incoraggiante stampato in volto, credeva che a quel punto Jayne avrebbe ceduto e sarebbe tornata di corsa alla villa.
Ma lei non lo fece, anzi, incrociò le braccia al petto e lo studiò con aria di sfida.
“Puoi dire ai tuoi genitori di continuare pure la festa senza di me”
Ace strabuzzò gli occhi, non l’aveva mai vista lottare così audacemente per qualcosa. Di solito si arrendeva in qualsiasi confronto diretto con lui.
“Allora dovrò restare tutto il giorno con te, non posso mica tornare indietro da solo”
Jayne sbuffò, lui stava facendo di tutto per costringerla a tornare a casa ma lei non aveva alcuna voglia di affrontare i suoi genitori.
“E se io non ti volessi?”
Ace rimase sorpreso, finse di non notare quello strano dispiacere che si stava impossessando di lui.
Jayne approfittò del momento di distrazione da parte del ragazzo e sgattaiolò lontano dal molo, se avesse corso velocemente magari sarebbe riuscita a seminarlo.
Ma Ace era decisamente più alto di lei e correva sicuramente più veloce, quindi in un attimo se lo ritrovo di fronte a braccia conserte.
“Smettila di seguirmi!”, sbottò lei.
Non si era mai sentita così nervosa prima, perché Ace doveva continuare a insistere se lei non voleva tornare indietro?
“Dove pensi di andare da sola? Non conosci nemmeno bene la città”, la schernì lui con l’ombra di un sorriso.
“Non sono affari tuoi”, sentenziò lei con voce dura. “Vattene via, capito?”
Ace socchiuse gli occhi, il comportamento di Jayne lo stava ferendo più di quanto avrebbe voluto.
“Non ti lascio andare da sola”, rispose lui con un sospiro.
Jayne sapeva quale fosse l’unico modo per farlo allontanare da lei, non voleva avere nessuno intorno in quel momento.
“E invece io voglio stare sola”, disse Jayne fronteggiandolo. “E’ così difficile da capire?”
Ace non rispose, così lei continuò a parlare a raffica. “Non ho bisogno di nessuno, posso cavarmela da sola. Non ho bisogno di una stupida festa di compleanno né tantomeno di te”
“Non ti voglio, Ace”, aggiunse lei in tono tagliente.
Il ragazzo rimase senza fiato, nessuno gli aveva mai parlato in tono tanto carico di disprezzo e non avrebbe mai creduto che l’avrebbe fatto Jayne.
Prima che potesse dire qualcosa, lei cominciò a correre a perdifiato lasciandolo lì.
Ace considerò l’idea di correrle dietro, ma era già troppo lontana e inoltre le era andato dietro già una volta.
A cosa sarebbe servito dal momento che non lo voleva con lei?
Le ore successive trascorsero tra ansie e timori, tutta la famiglia pattugliò la città alla ricerca di Jayne e incolparono Ace per averla persa di vista.
Alla fine scoprirono che si era rifugiata in taverna, nella villa e nessuno se n’era accorto.
La sera stessa i genitori di Jayne decisero che avrebbero divorziato e trascinato la figlia lontano da Galway.
I Davies avevano salutato Jayne con un caloroso abbraccio ma Ace non aveva voluto vederla.
Brigit le aveva consegnato il regalo del figlio prima che lei salisse in macchina con i suoi genitori.
Jayne rimase a fissare fuori dal finestrino, sentendo le lacrime scendere copiose sulle sue guance. Galway era la sua casa.
Quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe trascorso l’estate alla Villa.
Successivamente aveva aperto la scatola che conteneva il regalo di Ace ed era rimasta di stucco: c’erano un paio di nastrini blu, ma non di un blu qualsiasi,
erano blu cobalto.
Ace si era ricordato quale fosse la sua tonalità preferita di blu e le aveva regalato un paio di nastrini.
Infilato nell’angolo della scatola c’era anche un biglietto con una frase scritta con la calligrafia ordinata di Ace.


- Scusa se ho fatto sparire gli altri.
Comunque questi sono più belli.
Buon compleanno, Jenny. -



Ecco perché Ace aveva detto che non l’avrebbe seguita una seconda volta, l’aveva già fatto in passato quand’erano ragazzini.
Jayne aveva dimenticato cosa fosse successo l’ultima volta che era stata a Galway ma, quando aveva visto la fotografia che Ace teneva nascosta, le era tornato tutto alla mente.
“Sembravi quasi sollevato quando mi hai vista scendere le scale”, disse Jayne sollevando un sopracciglio in direzione del ragazzo.
Lui puntò gli occhi su di lei con fare noncurante.
“Fa lo stesso”, rispose alzandosi dalla poltrona e superando Jayne.
“Io vado a dormire”
La ragazza avrebbe voluto dirgli tante cose, chiedergli della fotografia che teneva in camera ma non aveva il coraggio.
Avrebbe voluto dirgli di smetterla di fare finta che non gli importasse nulla di nessuno, ma non aveva il coraggio nemmeno di dire questo.
Quindi si limitò a seguirlo al piano superiore.
Camminarono lungo il corridoio, spalla contro spalla e a Jayne venne in mente la foto in cui erano seduti uno accanto all’altra.
Alla fine del corridoio si separarono, ognuno diretto nella propria stanza.
  
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