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Autore: elfin emrys    17/03/2019    4 recensioni
{post5x13, sorta di postApocalisse, Merthur, 121/121 + epilogo}
Dal capitolo 85:
Gli sarebbe piaciuto come l’aveva pensato secoli prima, quando era morto fra le braccia del suo amico, non ancora consapevole che sarebbe tornato, con Merlin, sempre, sempre con lui.
In fondo, non aveva mai desiderato null’altro.
Genere: Avventura, Fantasy, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Merlino, Nuovo personaggio, Principe Artù | Coppie: Gwen/Artù, Merlino/Artù
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Nel futuro
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I Grant – Capitolo 12
(Gli Arthur – Capitolo 1)
 
Gli occhi di Grant si ingrandirono e si toccò, come incuriosito, il punto dove l’arma gli penetrava nella carne. Arthur impallidì e trattenne il respiro, lasciando lentamente la presa sull’arpione. L’uomo lo guardò e sul suo volto apparve qualcosa di simile alla sorpresa, poi rabbia e sollievo; si lasciò cadere a terra e il biondo non fece in tempo ad afferrarlo: l’arma si conficcò ancora di più nella carne e, muovendosi, la ferì ulteriormente.
Arthur guardò come incantato il sangue che usciva dalla lacerazione. Aveva ucciso diversi uomini in passato, eppure, in quel momento, si sentiva un po’ come se fosse stata la prima volta. Si avvicinò per controllare fosse morto: lo era. La sua pelle stava appena cominciando a essere pallida. I suoi occhi erano chiusi e Arthur pensò a come quel dettaglio lo stupisse: Grant era morto come si poteva cadere nel sonno. Per qualche lungo attimo il mondo gli giunse ovattato e solo quando si girò a guardare i volti dei presenti il sangue sembrò ricominciare a scorrergli nelle vene.
La gente dietro di lui si era moltiplicata e Frederick continuava a reggere Merlin, che proseguiva a guarirsi, piano piano.
Edward avanzò, togliendosi con il pollice del sangue dal mento.
-Il cognome.
-Cosa?
Arthur lo fissò, non capendo.
-Ora che lui è morto, non possiamo più portare il suo nome.
L’uomo alzò lo sguardo e osservò attentamente il viso di Arthur, prima di chinarsi.
-Ora non possiamo più essere chiamati i Grant, perché non c’è più nessun Grant fra la nostra gente. Tu sei salito al potere al posto suo.
Si rivolse al resto del popolo e Arthur notò che guardava in delle direzioni distinte, come se in realtà stesse parlando con qualcuno in particolare.
-E credo che nessuno voglia farsi avanti a rivendicare lo stesso posto.
Attese e gli rispose il silenzio.
-Qual è il tuo cognome?
Il re inghiottì a vuoto e guardò Merlin: sapeva bene che non poteva dire Pendragon, perché era meglio che la sua identità rimanesse, almeno per allora, segreta. Lui e il mago ne avevano già parlato, eppure non avevano deciso un cognome plausibile da dire che piacesse a entrambi e nominare non più solo un uomo, ma un’intera tribù era un compito arduo.
-Arthur.
Il biondo guardò Edward, che aveva alzato gli occhi al sentirlo parlare.
-Solo Arthur.
L’uomo annuì e gli diede una pacca sulla spalla, poi gli prese una mano e la alzò in aria.
La folla lo acclamò.
 
Merlin era steso su della stoffa morbida. Sentire il proprio corpo guarire lentamente e inesorabilmente era ormai diventato normale per lui. Chiuse gli occhi e ascoltò i rumori delle persone che si sistemavano, ognuno secondo il compito che Arthur aveva loro affidato per quella sera prima di andare a dormire. Appena sarebbe sorta l’alba, ci sarebbe stato il funerale di Grant; tutti gli altri corpi erano stati già seppelliti, secondo le usanze della tribù per quando si trattava di morti violente.
Il re entrò nella loro nuova tenda, molto più spaziosa di quella che avevano in precedenza, e portò con sé del cibo e dell’acqua. Si chinò vicino al moro.
-Ti confermo che le donne incinte stanno bene.
-…Cioè?
-Non hanno ferite, sono solo un po’ scosse. Fortunatamente sono state allontanate prima che scoppiasse la battaglia. Non sembrano aver subito danni.
Merlin sospirò di sollievo e una nuova ondata di magia gli arrivò alla pancia, ricucendo la ferita. Arthur gli sorrise e gli indicò il cibo.
-Vuoi mangiare? Bere?
-Voglio bere.
Il re lo aiutò nel farlo. Il mago si mise a osservare gli angoli della tenda e passò la lingua sulle labbra, ora meno secche. Guardò il biondo, indeciso sul da farsi, poi, finalmente, glielo disse.
-Non mi sembrate contento.
Arthur sospirò.
-Non lo sono.
-Perché?
Merlin, in realtà, aveva delle idee ben precise sulla ragione dell’umore del suo amico, tuttavia voleva sentirglielo dire, voleva che l’altro ci pensasse, mettesse le proprie riflessioni e i propri sentimenti in ordine.
E poi, voleva anche un po’ sentirsi indispensabile per lui, abbastanza, almeno, da rivelargli stralci delle sue emozioni. In fondo, erano momenti come quelli che, quando erano ancora a Camelot, lo facevano sentire davvero importante.
-Sono un usurpatore.
Merlin si tese.
-Chi ve l’ha detto?
Arthur incrociò le gambe.
-Me l’ha detto Grant, ma non importa l’avrei pensato comunque.
-Arthur tu… non sei un usurpatore.
Alzò un sopracciglio.
-Ah, no? Allora come lo chiami uno straniero che entra in una comunità, ne uccide il capo e prende il potere?
Merlin strinse le labbra, non sapendo bene cosa avrebbe dovuto dire.
-Non penserete di essere come Morgana, vero?
Il biondo rispose dopo un lungo silenzio.
-No, credo che… Mio padre mi diceva spesso che lui il regno non l’aveva ereditato. Prima che fosse incoronato, c’era stata una lunga guerra di successione. Mi raccontava del fatto che lui il trono se l’era dovuto conquistare.
Provò a sorridere.
-Ho appena scoperto che non sento alcun orgoglio a conquistare il potere, non importa quanto Grant fosse un uomo crudele, inadatto a essere una guida per il suo popolo.
Si guardò intorno, evidentemente a disagio.
-Credevo che sarebbe sopravvissuto a lungo, che un solo colpo non l’avrebbe mai steso. Da un lato sono felice che se ne sia andato velocemente, perché non ho mai provato piacere a infliggere morti lente, dall’altro… Non so come dirlo… Dall’altro mi sembra che non abbia lottato nemmeno un po’.
Merlin osservò le ciocche di capelli biondi e sudati che scendevano sulla fronte dell’altro. Pigramente, pensò che li avrebbe dovuti presto tagliare.
-Credo che a Grant… andasse bene morire contro di voi.
-Grant mi odiava.
-No… No, non credo vi odiasse.
-Come fai a dirlo?
Inclinò il capo: non sapeva come esprimersi, sebbene comprendesse a pieno il sentimento che credeva avesse guidato Grant nelle sue ultime scelte.
-Se vi avesse odiato avrebbe fatto come sempre: vi avrebbe eliminato e basta. Invece vi ha tenuto in vita, vi ha fatto entrare nel popolo. Persino i momenti in cui vi derideva avevano qualcosa che mi faceva pensare che, in fondo, vi stimasse. Quindi no... non penso vi odiasse.
-Mi è sempre sembrato uno attento al potere.
Merlin sorrise amaramente.
-Sì, lo era. E proprio per questo non avrebbe accettato di morire altrimenti se non per mano vostra.
Alzò lo sguardo e incontrò quello confuso di Arthur.
Una nuova ondata di magia gli bruciò la ferita e Merlin gemette, mettendosi una mano sul ventre. Il biondo chiamò il suo nome e si chinò su di lui, spaventato da quella reazione. Aprì velocemente le bende e, con una pezza, pulì il sangue: sotto la pelle era sostanzialmente intatta.
-Sei già quasi guarito.
-Così pare, ma non credo userò ancora la magia, ci è voluta molta energia per metterci solo poche ore. Lascerò fare il resto al mio corpo e basta.
Il mago si alzò seduto e si mise una mano sulla fronte. La testa gli girava e si sentiva incredibilmente stanco, ma, nonostante tutto, voleva far vedere al suo re che stava bene e che sarebbe stato in grado di assistere, al mattino, alla cerimonia per la morte di Grant.
Arthur lo aiutò ad alzarsi e gli andò a prendere una maglietta pulita. Gli diede una mano a infilarsela, le mani accoglienti si fermarono sulle sue spalle. Gli sorrise, ma il suo volto si intristì quando notò che Merlin non aveva ricambiato e, anzi, sembrava volersi scostare dal suo tocco.
-Neanche tu mi sembri contento.
Il mago si tese.
-Ogni volta penso che ti stai riavvicinando e poi, invece, ti riallontani. Non so cosa devo fare, io… io non posso sapere quello che pensi se non me lo dici.
-Non so di cosa state parlando.
Arthur parve offeso.
-Non mi prendere in giro, Merlin.
-Cosa volete che vi dica?
-Cosa c’è che non va, tanto per dirne una. È da giorni che sei distante, che mi parli lo stretto necessario. Non scherzi neanche più.
-Non c’è nulla che non vada.
-Merlin.
-No, davvero, sto benissimo.
-Merlin!
Il moro distolse lo sguardo e sospirò. Storse le labbra e incrociò le braccia. Diede un’ultima occhiata ad Arthur e una sorta di rabbia mista a dolore gli salì in petto al vedere la sua espressione ferita.
-Era proprio necessario farmi assistere a una scena come quella?
-Quale?
-Quella della fustigazione, Arthur. Era necessario?
Merlin era addolorato, furente, stanco; aveva in corpo un misto di emozioni tanto vario da non sapere cosa fare, neanche come scaricare anche solo un po’ dei propri sentimenti al di fuori.
Arthur scosse il capo, perplesso.
-Non capisco cosa…
-E impedirmi di aiutarti con la caccia, anche quello era assolutamente necessario?
Aprì le labbra senza dire nulla.
-E lasciarmi quando è scoppiata la battaglia lì fuori, allontanarti in modo che non potessi vederti?
La sua voce si indurì.
-Lo sai che non c’era da temere per me: sapevo quello che facevo.
-Ti avrei potuto aiutare.
-Non c’è bisogno tu stia costantemente dietro di me a proteggermi.
Involontariamente, il biondo si avvicinò a Merlin, che lo spinse. Arthur non ricambiò.
-E se qualcuno ti avesse colpito? E se Grant avesse fatto con te come ha fatto con me, se ti avesse trafitto alle spalle?
-Non sarebbe successo.
-E che ne sai?
Il moro si mise una mano sulla fronte. Le tempie gli pulsavano e il panico si faceva strada sotto la sua pelle. Era consapevole che tutto quello che era successo doveva accadere, che Arthur non si era davvero comportato male nei suoi confronti, che era lui a essere ferito da un atteggiamento che, con un altro stato d’animo, gli sarebbe parso quello che era, cioè normale. Merlin, però, aveva scoperto molti anni prima che un conto era sapere le cose con la testa e un altro era con il cuore.
Sussurrò.
-Tu non mi faresti neppure stare vicino a te all’alba, vero?
Arthur si prese il suo tempo per rispondere, non convinto di capire fino in fondo le reazioni dell’altro, ma il mago lo interruppe.
-Vedi, tu… tu…
Non riuscì a dire “Non mi vuoi davvero accanto a te”, nonostante fosse quello che pensava. Faceva troppo male anche solo il pensiero per esprimerlo a parole. Risentì sulle spalle tutto il peso degli anni passati da solo e fece un passo indietro.
Arthur, in quel momento, lo afferrò, arrossendo e circondandolo con le sue braccia. Merlin si divincolò senza crederci sul serio, stupito da quella reazione, e quando gli disse di lasciarlo provò a metterci tutto il rancore che sentiva e che aveva covato e che, tuttavia, non riusciva a far valere.
La voce del biondo gli suonò roca nell’orecchio, calda e addolorata.
-Forse mi odi, ma…
-Odiarti?
Merlin sentì il viso ammorbidirsi involontariamente. I suoi occhi si fecero lucidi e anche quella parvenza di rabbia sembrò svuotarsi fuori dal suo corpo.
-Non potrei mai odiarti.
Io ti amo.
Ti amo come tu non potrai mai fare.
Il gelo di quel pensiero vibrò sulla pelle di Merlin, il quale, scosso e affaticato, si lasciò andare.
Stavano ormai poggiati insieme l’uno contro l’altro. Il dolore sembrò affievolirsi lentamente negli occhi di Merlin e il moro si passò la lingua sulla bocca.
Arthur lo osservava attentamente, la testa e il cuore in subbuglio dopo quella conversazione così breve e sconnessa.
Lo sguardo gli volò sulle labbra appena schiuse di Merlin, poi di nuovo nei suoi occhi. Gli era sempre successo spesso e, in quel momento, Arthur si stava rendendo finalmente conto del motivo. Avrebbe voluto baciarle, quelle labbra, forse anche morderle, ma leggermente, solo per provarne la morbidezza.
Involontariamente, la mano che gli aveva poggiato sulla spalla si rilassò, avvolse la sua pelle così calda, divenne un gesto intimo.
Sentì freddo e qualcosa di sconosciuto nella gola spingeva per uscire.
Gli ricordava un po’ cosa aveva provato prima di baciare Guinevere per la prima volta, eppure il nucleo di quei sentimenti era totalmente diverso.
Un lampo di consapevolezza passò negli occhi di Merlin e Arthur si sentì male a conoscere, finalmente, la verità: anche se non se l’erano mai detto, l’avevano sempre saputo.
Quello che l’aveva unito a Merlin non era stato un colpo di fulmine, o una simpatia istantanea… era stato un indistinto e forte senso di rivelazione. Era stato il momento in cui gli aveva risposto per la prima volta e un piccolo pezzo dentro di sé aveva pensato “Eccoti”. C’era stato qualcosa che gli aveva fatto pensare che quella persona sarebbe stata Merlin, anche se non lo era ancora. Sempre.
Arthur, per la prima volta, si chiese perché invece adesso che era davvero “quella persona” le cose sarebbero dovute essere diverse.
Le sue mani salirono vicino al collo pallido del moro, il quale non si scostò. Sembrava teso, ma non in modo spiacevole, bensì come quando si attende qualcosa che si desidera. Arthur deglutì, sentendo un piccolo pezzo di cuore dentro di sé dire, per la prima volta ad alta voce, per la prima volta in maniera cosciente, che anche lui voleva la stessa cosa.
In quel momento, una sorta di disperazione lo colpì: il momento stava scemando, se si fosse rifiutato ancora per qualche secondo, se non avesse fatto qualcosa all’istante, avrebbe ricominciato a mettersi a tacere e avrebbe dovuto attendere ancora e ancora e non poteva accettarlo, non quando aveva tutto lì, a pochi centimetri.
Arthur si chinò. Il respiro di Merlin tremò e il moro posò le mani sul petto dell’altro, chiudendo piano le dita sulla sua maglietta, invitandolo ad avvicinarsi.
Quando le loro labbra si sfiorarono, i due uomini si sentirono come se avessero appena scoperto come si respira.
I tocchi erano leggeri, morbidi e caldi, e divennero poco a poco più audaci e umidi, come ragazzini, pensava Merlin e sorrise contro la bocca dell’altro, come se non avessero mai baciato nessuno in vita loro. Le sue dita salirono sul viso di Arthur, sulle sue guance, e lo avvicinò ancora a sé, guidando i suoi movimenti. Il biondo borbottò una risata divertita e qualcosa che poteva assomigliare a un “Prepotente”, ma non si lamentò e lasciò che Merlin conducesse il bacio come e dove voleva.
Quando si separarono, gli zigomi del moro erano arrossiti, come la punta delle sue orecchie, e qualunque moto di imbarazzo o confusione che Arthur avrebbe potuto sentire fu così seppellito. Non capiva cosa ci fosse negli occhi dell’altro, perché gli pareva qualcosa fra la felicità e il dolore, piacere e dubbio, tutto quello che anche lui stesso avrebbe dovuto provare (perché era passato forse un mese da quando si era risvegliato; perché non aveva mai desiderato fare cose del genere con un uomo, o forse sì e non l’aveva mai realizzato; perché c’era qualcosa in lui che era ancora in lutto per Guinevere…), ma che invece non sentiva. Tutto gli sembrava seppellito dalla nostalgia di quel contatto terminato da poco e anche se era a conoscenza del fatto che era stato tutto singolare, imbarazzante… lui non era mai stato un gran pensatore, no?
Si richinò per baciarlo ancora, ma Merlin gli mise la mano sulle labbra. Lo guardò sorpreso. Il mago chiuse gli occhi tristemente e prese un respiro profondo: gli era costato tanto quel gesto, non c’era nulla che desiderava in quel momento come risentire le labbra di Arthur sulle proprie… Sinceramente, non c’era nulla che aveva mai desiderato di più, probabilmente, nella sua intera esistenza… Ma l’angoscia che l’altro l’avesse fatto per pietà o per gioco, che si sarebbe ritirato appena ripreso, avanzava nel suo cuore e Merlin sapeva che non avrebbe fatto altro che soffrire se non avesse saputo cosa stava pensando l’altro.
Arthur, forse, lo comprese, perché gli prese delicatamente la mano che gli aveva messo di fronte le labbra e la scostò piano. Merlin lo vide arrossire e abbassare lo sguardo, pieno di vergogna, e il suo cuore crollò per un istante, prima di sentire la voce del biondo.
-Io non potrei mai non volerti accanto a me…
Il re alzò lo sguardo, pensando a come rendere quello che sentiva.
-Non so come dirlo, per anni ho pensato a te come una mia… estensione, come se fossi stato un braccio, ma non ti vedevo come un braccio, ecco, ma come qualcosa di molto più… interno, non so se sono chiaro.
Sospirò e si schiarì nervosamente la gola.
-Poi un giorno tu sei arrivato, mi hai detto, insomma, che eri uno stregone e mi sono sentito come paralizzato, no? Come se mi fossi guardato allo specchio e avessi visto qualcosa di totalmente diverso da come sapevo essere, quel genere di sensazione. E forse… forse sì, c’era un po’ di paura per qualcosa che non conosci. Ma disgusto? Mai. Dovevo solo abituarmi a vederla in quella maniera, ma la cosa in sé non era cambiata rispetto a prima: tu eri sempre stato così e lo sapevo e quello che provavo non era cambiato. Io non avrei mai voluto averti distante da me, però sapevo anche che tu avevi fatto e visto cose che io non avrei saputo mai e che, quindi, non eri una mia estensione, ma qualcosa di diverso, qualcosa a sé. E…
Scosse la testa.
-Non so neppure dove volessi arrivare con questo, però quello che intendo dire è che c’è un motivo se non mi sono sentito deluso quando ho trovato solo te al mio ritorno e nessun altro.
Si grattò l’angolo della guancia, arrossendo ancora di più. Non era mai stato bravo a dire le cose che provava, a dare una logica precisa ai suoi sentimenti, tanto da poterli esprimere a parole, eppure si stava ritrovando a farlo. C’erano tante cose, da quando aveva ricominciato a vivere, che stava cercando di cambiare. Più di duemila anni di sonno erano un tempo abbastanza lungo per riflettere e decidere che qualcosa doveva diventare diverso.
Lo sguardo di Merlin era addolcito e il suo labbro stava tremando leggermente. In realtà, il suo intero corpo sembrava scosso. Un ampio sorriso, che attraversò il suo viso da parte a parte, apparve ascoltando le ultime parole di Arthur.
-Tu sei fondamentale per me.
Il biondo si schiarì la gola. Quella era una cosa che aveva sempre detestato di Merlin: come riusciva a farlo sentire debole, a spogliarlo di ogni corazza e arma. In quel momento, pensò che forse non era il mago a tremare, ma lui stesso. Non era mai stato così con nessuno, mai; si sentiva così nudo solo con Merlin e spesso era stato qualcosa che gli aveva fatto prendere le distanze, che lo aveva fatto addirittura essere innecessariamente cattivo con lui.
Quando riprovò a chinarsi sulle labbra di Merlin e quello non lo fermò, Arthur si sentì fiero di essere rimasto lì e di non essere –nuovamente- andato via.
Un piacevole calore gli nacque nel ventre e respirò.
Quando riaprì gli occhi, il mondo gli parve diverso.
 
Note di Elfin
Zan zan zaaaaaaaaan 2! Finalmente arriva il Merthur! Vi confesserò che nella mia testa doveva accadere fra ancora una decina di capitoli, ma non ce l’ho fatta ed eccoci qui :) Spero che l’attesa ne sia valsa la pena ;) Però vi devo avvertire: non adagiatevi sugli allori. L’abbiamo visto anche nella serie, quando Arthur ha baciato Gwen e solo episodi dopo comincia a farsi le pippe mentali sul fatto che forse non avrebbe dovuto: il nostro biondino preferito non pensa prima di agire. Ergo, ci sarà qualche momento in cui i nostri due eroi si metteranno i bastoni fra le ruote da soli? Lo scoprirete solo vivendo ù_ù
Questo capitolo è leggermente più lungo del solito, ma è il minimo dello spazio per la Merthur, quindi spero non si sia sentito troppo.
Per la cosa che Arthur dice riguardo a suo padre, è un dettaglio che ci viene rivelato nella prima stagione, mi pare, nella puntata con Tristan.
Ringrazio gli attuali amori della mia vita: dreamlikeviewlilyy MarTer_13 (che ha iniziato da poco a leggere questa ff e ringrazio davvero tanto per aver lasciato un commento! L’ho molto apprezzato :3). Sono tutte persone che hanno commentato lo scorso capitolo e che ogni volta mi fanno provare l’ebrezza della recensione <3
Kiss
   
 
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