Anime & Manga > I cinque samurai
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Autore: shirupandasarunekotenshi    17/03/2019    0 recensioni
Fanfic ambientata in seguito agli eventi raccontati nell'oav "Message". Ryo e i nakama si sono ritrovati e capiscono che non possono più separarsi e che il senso della loro esistenza lo troveranno solo nello stare insieme. Ma Realizzare tale sogno potrebbe non rivelarsi così semplice.
Dinamiche polyamorose. Non si trova tra la opzioni così lo diciamo nell'introduzione: possiamo definirla una fivesome più che threesome :P
Questa fanfic andrebbe letta dopo la nostra "Owari no mae ni owari".
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Kento Rei Faun, Rowen Hashiba, Ryo Sanada, Sage Date
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Threesome
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CAPITOLO 10
 
Chan-Run osservava da un po’ la moglie, particolarmente silenziosa mentre preparava la cena da servire ai proprietari del ristorante.
“Come mai così pensierosa?” si decise a chiederle, mentre controllava alcune prenotazioni.
La donna, sguardo fisso sulla wok dove sfrigolavano le verdure, scosse la testa.
“I nostri figli...”.
L’uomo si fece più attento.
“È successo qualcosa? Hanno qualche problema? Lo sai, con me non parlano molto, tra una cosa e l’altra sono molto assente e… beh… lo sai”.
Scrollò le spalle robuste; era un uomo grande e grosso, ma dall’aspetto e dall’atteggiamento bonari, anche se ad una prima occhiata poteva mettere un po’ di soggezione. In realtà, una volta che lo si conosceva, si entrava a contatto con la sua morbidezza interiore.
Era stata la moglie ad occuparsi dell’educazione dei figli, anche quando si rendeva necessario mostrare un po’ di polso, ma era anche molto più presente di lui nelle loro vite, cosa che favoriva una maggior confidenza.
La donna scosse ancora la testa, stavolta sospirò a fondo.
“Shu va a Tokyo” disse e mescolò le verdure. “Ci va per restarci. Ha deciso...”.
La penna con cui l’uomo stava scrivendo scivolò via dalle sue mani e rotolò a terra; non era certo di aver capito bene.
“Come sarebbe a dire… che ha deciso? Non mi ha mai detto nulla a riguardo, ho sempre dato per scontato che sarebbe stato il mio erede!”.
La donna scosse il mestolo sulla pentola, lo poggiò su un piattino alla sua destra e si girò a guardare il marito.
Era seria, un po’ triste, un po’ rassegnata. Ma sapeva che sarebbe passato. I figli crescevano e non potevano seguire sempre la strada che i genitori si sarebbero aspettati da loro.
“Bisogna che la smettiamo di dare per scontato le cose. Sono i nostri ragazzi. È il nostro ragazzo. È Shu...”.
“Ma davvero la fai così semplice?” sbottò l’uomo, gesticolando con fare nervoso. “La nostra famiglia ha delle tradizioni antichissime, solo perché ormai viviamo in mezzo ad una cultura differente, non vuol dire che dobbiamo adeguarci in tutto e mandare all’aria tutto quello che ci rende quello che siamo!”.
La donna guardò suo marito senza aprire bocca: incrociò però le dita delle mani e alzò un sopracciglio.  Quando faceva così, bisognava stare attenti. E Chun-Fa lo sapeva.
“Io la faccio semplice? Con uno dei nostri figli?”.
Sapeva tenere un tono di voce basso, tranquillo.
Ma terribilmente inquietante.
Chan-Run scosse il capo; rispettava e amava sua moglie, ma la notizia che gli aveva dato l’aveva colto completamente alla sprovvista, non poteva pretendere che la prendesse con la sua stessa, apparente tranquillità, date le implicazioni che avrebbe comportato.
“Non intendo dire che la fai semplice con uno dei nostri figli, ma che la fai semplice con… la questione, con la decisione di Shu! Lui ha sempre saputo qual era il suo ruolo, l’ha sempre accettato senza problemi e ora se ne esce con questa cosa?”.
Lei sospirò, girandosi lentamente verso la pentola.
“Prima che andasse a Tokyo... prima... non avrei avuto dubbi. Lo conosco, ho sempre saputo cosa avrebbe fatto… prima...”. Spense il fornello, per non far bruciare le verdure. “Ma il prima e il dopo... Shu non è più stato lo stesso ragazzo. È diventato un uomo”.
Sospirò.
Le mamme sospiravano sempre molto per i propri figli. Ma non tenevano mai conto del numero di quei sospiri. La madre di Shu faceva lo stesso, con ognuno dei suoi figli. Per quello sapeva quando lasciar andare.
“Un bravo, dolce, indipendente... uomo. Che ha bisogno di seguire la propria strada”.
Il marito si fece più dimesso.
“Ma la strada della nostra famiglia è sempre stata questa, nessuno ha mai neanche preso in considerazione l’idea di poter interrompere il corso delle cose. Shu è diventato sempre più strano da quando… da quando…”.
… da quando aveva trovato quella yoroi, voleva dire, ma non terminò la frase.
“Ma la strada non si interrompe... quella non si interromperà mai!”. La donna si girò, mestolo in mano, sguardo stavolta agguerrito. “Come puoi parlare di interrompere la strada?!”.
Nello stesso momento, sulla soglia della porta comparve una testolina scura, capelli lunghi annodati in una treccia.
“Otoosan… posso parlarti?”.
La donna guardò il marito e gli fece un cenno, verso la figlia.
“Io torno alla cena. Voi due parlate”.
Lui sospirò, annuì ed uscì dalla stanza, circondando le spalle della ragazza con un braccio.
A quell'ora una folla sterminata si riversava per le strade di Yokohama e, di conseguenza, nel locale, in attesa di pregustare una cena deliziosa che rinvigorisse e riscaldasse dopo la lunga e dura giornata.
Era quindi difficile trovare un punto isolato dove poter parlare.
“Ti va di venire... su in casa? Altrimenti non riesco a parlare bene”.
La ragazza sembrava malinconica ed era strano vederla con quegli occhi tristi.
L'uomo non poté far altro che guardare la figlia, così grande, così piccola, e dirle di sì.
E così la seguì al piano di sopra, nella sala. Si sedette sul divano, la figlia al suo fianco, e sospirò.
“Dimmi...”.
La ragazzina tenne lo sguardo basso e si stropicciò le mani in grembo; poi, senza mutare atteggiamento, trovò la forza di iniziare il proprio discorso.
“Perché deve essere… il primogenito maschio? Se fossi io la primogenita… la precedenza andrebbe sempre al primo maschio, non… lo capisco bene”.
Gli occhi morbidi e nerissimi dell'uomo si spalancarono su di lei, per un momento le parole vennero meno.
Ma poi tornarono sotto forma di balbettii.
“N-non... R-Rinfi... e-ecco...”.
Non aveva torto, era sempre stato così. Per lui, suo padre e... così via.
Lo sguardo della ragazzina, finalmente, si sollevò, un po’ timido e cercò quello del padre.
“Ho parlato con Shu-Niisan… non arrabbiarti con lui, sa quel che vuole e non è un capriccio. Neanche io lo capisco del tutto, ma sono certa che, se lo obbligherai a restare qui, lo vedrai consumarsi nella disperazione”.
“Non è che sono arrabbiato... tu e tua madre pensiate che lo sia?”.
Non era arrabbiato. Ma era tutto così... troppo tutto assieme.
La ragazzina rintanò la testa tra le spalle.
“È che per me... sarebbe normale esserlo. Io lo sono un po', ma non solo per Shu”.
“Certo, i tuoi fratelli piccoli... lo so. So che sei una brava Neesan”.
Non sapeva cosa dire. Era confuso.
Gli occhi scuri di Rinfi si aprirono, stupiti, su di lui.
“Loro non hanno fatto nulla, non è colpa loro se sono arrabbiata, ma sicuramente è... anche per loro!”.
Chan-Run scrollò la testa e strinse le proprie mani l'una all'altra; poi le rilasciò, esalando un sospiro.
“Lo so che voi non siete cresciuti capricciosi. So chi siete, so come siete. Vi conosco bene, vi ho avuti fra le braccia dal primo giorno della vostra vita. Io vi conosco”. Solo che era difficile. Voleva... proteggerli. E averli vicino era... “La scelta di tuo fratello non è stata... semplice, né per lui... né per te... vero?”.
“Shu-Niisan è spaventato dalla sua scelta, perché conosce benissimo le implicazioni che comporta, lo sa; capisce come ci sentiamo e vorrebbe risparmiarcelo, ma non è possibile, perché sentirebbe dentro di sé che restare non è la scelta giusta, per altre persone che ne soffrirebbero, per lui, ma anche per noi, perché se restasse per farci piacere... non avremmo più lo Shu-Niisan di un tempo”.
Abbassò lo sguardo.
“E sa che la famiglia andrà avanti anche senza di lui, mentre qualcun altro, senza di lui, non potrebbe andare avanti... e lui, senza questo qualcuno... morirebbe dentro”.
Non c'erano altre parole da dire. Rinfi aveva detto tutto, l'aveva detto al meglio.
Lei aveva capito prima di tutti suo fratello. Aveva compreso i suoi sentimenti. Era riuscita a mettersi nei suoi panni e aveva compreso.
“E tu... tu ti prenderesti... tu... lo faresti?”.
“Okaasan e Shu-Niisan sembrano dare per scontato che dovrò essere io... ma secondo le regole, non toccherebbe a Yun-chan?”.
Una parte di lei lo desiderava quasi, l'idea di ereditare la guida del clan la terrorizzava, avrebbe volentieri accettato di restare tutta la vita sotto l'ala protettiva di Shu-Niisan, ma... per quanto riguardava i suoi fratellini era diverso... era lei a volerli proteggere e guidare.
 
A quel punto era impossibile restare fermi, seduti, tranquilli.
A quel punto Chan-Run si alzò in piedi e si avvicinò alla finestra che dava sul lato est della casa: da lontano si intravvedevano le mura rosse dei vecchi magazzini del porto, spicchi di mare color petrolio e alcuni battelli che passavano pigri.
“Io credo... a questo punto... forse sono i tempi moderni, forse le regole si possono mescolare, non lo so...” si infilò le mani nelle tasche dei pantaloni, con il fare quasi di un ragazzino. “E io non sono ancora così anziano... abbiamo tempo”.
Rinfi sollevò gli occhi e li puntò sulla sua schiena: sentì formarsi davanti ad essi un velo di lacrime.
“Otoosan...”.
“Rinfi... davvero... c'è ancora tanto tempo”.
Poi il padre si girò verso la figlia e sorrise di un sorriso strano, forse un po’ rassegnato, ma non del tutto triste.
Era la vita, la vita non dava niente per scontato, sicuro.
“Volevo solo dirti... che io non me ne andrò mai dalla famiglia. Potrai contare su di me. Se vorrai, io sarò disposta a prendere il posto di Shu-Niisan, mi sposerò solo a patto che mio marito entri nella nostra famiglia, perché io non entrerò in nessun'altra famiglia!”.
I figli... i figli...
“Santi numi, Rinfi! Io spero di vederti sposata e con figli tra un bel po’ di tempo!”.
E un po’ era serio, un po’ divertito, un po’ orgoglioso.
I figli, i suoi figli... erano piccole persone speciali.
Lei arrossì e, per l'ennesima volta, distolse gli occhi, questa volta con più fretta, guardando ovunque tranne che davanti a sé.
Poi le venne in mente un'altra cosa, importantissima, essenziale. Si alzò di scatto.
“Otoosan, c'è un problema!”.
“Cosa?!”.
“Shu-Niisan è... terrorizzato, all'idea di parlare con il Ojiisan. Okaasan si è messa in testa di farlo al suo posto, ma forse... forse tu...”.
Già, Ojiisan.
Chan-Run si passò una mano tra i capelli.
“Parlerò con tuo fratello e poi con Ojiisan, voi avete fatto abbastanza”.
Un sorriso di sollievo si disegnò sul volto di Rinfi, anche se non cancellò del tutto la malinconia dai suoi occhi.
“Grazie. Toglierai un gran peso dalle spalle di Shu-Niisan... e sarà felice di sapere che lo appoggi”.
“Lo so...”. L'uomo si avvicinò alla figlia e le passò una mano tra i capelli. “Grazie per avermi detto tutto questo”.

 
  
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