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Autore: SHUN DI ANDROMEDA    20/03/2019    1 recensioni
[Go The Distance Spin-off][RoyEd]
Eccolo, l’orgoglio che permeava ogni singola azione di Edward, quell’orgoglio così incredibile e al tempo stesso così irritante che gli faceva perdere la pazienza una volta sì e l’altra pure, lo stesso orgoglio che alimentava l’amore che provava per quella testa calda e che gli faceva capire, ogni giorno di più, quanto fosse importante per lui.
Non poteva cambiarlo - né voleva farlo, in realtà -, poteva unicamente accettarlo e affrontare qualunque conseguenza al suo fianco, dando tutto come anche Edward faceva ogni giorno.
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Edward Elric, Roy Mustang | Coppie: Roy/Ed
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Go the Distance - Di nuovo a casa'
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Fandom: Fullmetal Alchemist
Rating:
Verde
Personaggi/Pairing:
Roy Mustang, Edward Elric, Mustang Team, RoyxEd
Tipologia: One-shot
Genere:
Sentimentale, Hurt/Comfort
Avvertimenti: Shonen-ai, What-If
Note: One-shot spin-off della mia “Go the Distance”, è possibile leggerla anche senza la lettura della fic principale.
Disclaimer:
Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono.

 

SENZA GUARDARSI INDIETRO

 

“Credo che abbia alcune costole rotte, ma non so quante.”

“Ha preso una scarica di proiettili nel petto, è già tanto che respiri ancora.”

“Mi sembra di avere qualcosa che mi perfora la carne…”

“Stai sdraiato, Edward. Andrà tutto bene.”

“Sono arrivati i soccorsi!”

“Siamo qui!”

Sotto quel tiepido tramonto di primavera, nel piazzale del Quartier Generale ancora fumante per le esplosioni, le camionette dell’Esercito di Amestris arrivarono con gran stridore di freni sul lastricato: in una cacofonia di suoni, militari e soccorritori circondarono il gruppetto di soldati ancora tra le rovine, i quali facevano baluardo attorno al loro compagno ferito, armi in pugno e pronti a sparare per proteggerlo e proteggere sé stessi al bisogno.

Mentre gruppi di soldati si affrettavano a mettere in sicurezza quello che restava del porticato che cingeva la piazza come un abbraccio, lo scrigno formato dai corpi della squadra del Fuhrer si aprì, permettendo il passaggio della squadra medica in mezzo a loro, dove vi era disteso il Fullmetal Alchemist, il cui viso era trasfigurato in un’espressione sofferente; non c’era sangue attorno a loro, ma la divisa del più giovane era crivellata di colpi.

Con le mani alzate, Alex Louis Armstrong si fece avanti, incrociando lo sguardo del Colonnello Hawkeye, segnata sulle guance da tracce di polvere da sparo e i capelli sporchi e pieni di detriti: i suoi compagni non sembravano messi molto meglio, le loro uniformi erano ugualmente sporche e strappate ma nulla faceva pensare che fossero feriti.

Una piccola benedizione.

“Riza-san, com’è la situazione?”

“Abbiamo messo in sicurezza il perimetro, la squadra di Mitter ha portato via gli attentatori ma Edward non poteva essere mosso prima del vostro arrivo, Generale Armstrong.”

“È vero che ha preso una scarica di proiettili addosso?”

“Confermo, si è lanciato davanti al Fuhrer per proteggerlo.”

“Immaginavo… Il Fuhrer non è molto felice della cosa, Riza-san.”

 “Lo sospettavamo, signore. Come sta?”

“Quando l’ho incontrato al Parlamento era appena stato medicato al braccio, un graffio, a suo dire. Mi ha incaricato di venire a darvi supporto e ha aggiunto che cercherà di raggiungerci all’Ospedale Centrale ma prima deve sistemare alcune cose.”

“Sarebbe potuto finire in un massacro… Ora l’unico che rischia una lavata di capo è soltanto Edward, almeno stavolta non finiremo arrosto.”

“Ehi, smettetela di parlare come se non fossi qui. Jean, ricordami di n-non coprirti più quando vai a fumare senza permesso.”

“Tenente Colonnello Elric, mio giovane Edward. Non vorrei essere al tuo posto.”

Con uno sbuffo dolorante, Edward si lasciò cadere all’indietro, limitando al massimo i movimenti e cercando di respirare il più piano possibile per non esacerbare il dolore causato dalle costole malridotte dall’impatto dei proiettili contro la protezione che indossava sotto la divisa. Certo, non era morto e ne era ben felice, ma le staffilate che provava in quel momento erano insopportabili.

Le voci attorno a lui aumentarono di numero e, tra quella di Riza che dava ordini e quelle degli altri soldati che gridavano da una parte all’altra della piazza, Edward riconobbe quella del medico di campo, giovane sergente da poco in ruolo, che gli parlava piano e con tono rassicurante: “Signore, ora aprirò la casacca della divisa per esaminare le costole, mi dispiace per le mani fredde.”.

“Vada, non si preoccupi.”

Ben presto, l’aria fresca della giornata che stava per finire gli accarezzò la pelle nuda, facendolo rabbrividire, mentre mani leggere gli sfioravano il busto, anche un brevissimo contatto gli causava dolore: “Ha almeno due costole rotte, dobbiamo portarlo all’Ospedale Militare, in queste condizioni non riesco a capire se ci sia un’emorragia interna.” disse questi, rivolgendosi al Generale con espressione severa da dietro gli spessi occhiali verdi, “Portate qui una barella!” gridò poi, voltandosi verso i compagni a poca distanza da loro.

Cinque membri della sua squadra si affrettarono a raggiungerli con la barella richiesta: Breda e Falman fecero spazio ai colleghi per permetter loro di caricare Edward in sicurezza mentre Riza, accanto a Jean, teneva la pistola pronta in pugno, nel caso qualche altro pericolo piombasse su di loro, approfittando del loro essere concentrati sulle procedure di soccorso.

Con un lamento strozzato, Edward si sentì sollevare da terra e depositare sulla scomoda barella: con lo sguardo annebbiato, osservò il cielo che rapidamente si colorava di viola e si impose di concentrarsi su un punto sopra di sé, andava tutto bene, era poca roba in confronto all’alternativa.

Il viso di Falman apparve nel suo campo visivo, con le sopracciglia aggrottate e l’espressione severa: “Edward, non addormentarti, mi hai capito?”

Lui annuì debolmente, allungando la mano a stringere un lembo della divisa: “D-Dov’è Al? Non avvertite Winry, non ancora, a-almeno.”

Nonostante Vato sapesse che, molto probabilmente, ci aveva già pensato il Fuhrer, annuì: “Alphonse deve essere anche lui all’Ospedale, ti starà sicuramente aspettando.” dichiarò con convinzione, affiancando la barella fino all’ambulanza; con un movimento fluido, salì a propria volta, accomodandosi accanto alla testa del tenente colonnello, i cui occhi socchiusi e le guance pallide non erano granché rassicuranti.

Riza, con ancora la pistola in pugno, si affacciò dal portellone ancora aperto e fissò il compagno: “Prenditi cura di lui, noi arriviamo appena possibile.” affermò.

“Non c’è bisogno di dirlo, lo affiderò soltanto al Comandante e a nessun altro.”

Hawkeye annuì, per poi spostarsi per permettere ai soccorritori di chiudere il portellone; mosse un passo indietro, venendo circondata dal resto della squadra, e assieme osservarono la camionetta-ambulanza allontanarsi a sirene spiegate diretta all’Ospedale.

Tra le macerie ancora fumanti, rimasero in piedi, stretti gli uni agli altri, mentre nella loro mente si ripeteva la scena a cui avevano assistito solo poco tempo prima, in un loop angosciante che mozzava il fiato nei polmoni.

§§§

“A morte l’usurpatore!”

Un grido nel piazzale immerso nel silenzio delle celebrazioni dell’Anniversario della Liberazione di Amestris e un uomo che si slanciava al di là del cordone di sicurezza installato dai militari.

Un uomo che, rapido, correva verso il basso palchetto posizionato nel mezzo mentre i suoi compagni, dietro le colonne, avevano acceso le micce delle bombe.

“Alzate gli scudi!”

L’attimo prima che le esplosioni sconquassassero l’aria, una barriera traslucida si era alzata sui soldati e sui civili presenti, proteggendoli dai detriti, mentre Alphonse Elric – capitano della Squadra di Difesa Alchemica – coordinava i propri uomini per limitare al minimo feriti e, Dio non volesse, morti.

Pur non aspettandosi un attentato di tali dimensioni, il Comando aveva ricevuto informazioni circa un attacco di un qualche tipo e per fortuna si erano preparati di conseguenza.

Nella confusione di voci ed esplosioni, per un attimo, il Fuhrer restò immobile, con l’occhio sgranato, mentre la sua squadra gli si stringeva intorno per proteggerlo.

L’attentatore principale ancora non era stato fermato – sembrava che nessuno riuscisse a trattenerlo per più di una manciata di secondi – e questi continuava la sua corsa indemoniata, mosso unicamente dal rancore che provava e dalla sete di sangue.

In un tempo che sembrava dilatato, l’uomo – che Roy Mustang notò avesse gli occhi verdi come i prati di Resembool – balzò infine sul palco, la pistola in una mano e una corta mitraglietta nell’altra.

In un attimo di puro terrore, mentre i soldati cercavano di farsi strada tra le rovine per raggiungere il loro Comandante, la squadra del Fuhrer si trovò smarrita, in balia di emozioni e paure, davanti allo sguardo allucinato e crudele di quello che avevano riconosciuto essere uno di loro, un ex militare caduto in disgrazia dopo la dipartita di Bradley, uno dei suoi fedelissimi.

Davanti al suo ghigno mostruoso, Mustang sollevò la mano guantata, pronto a colpire, e il suo gesto donò nuovo coraggio ai compagni attorno a lui, tuttavia troppo tardi; nell’istante in cui si erano riorganizzati, lui aveva già sollevato l’arma e l’aveva caricata, puntandola contro il volto del Fuhrer.

Una gragnola di colpi venne sì sparata, ma non si abbatté mai su di loro; nel pomeriggio assolato, un’ombra si era stagliata sul tavolato chiaro del palco mentre la treccia bionda del Fullmetal Alchemist accarezzava l’aria, muovendosi forsennatamente. Sotto lo sguardo stupefatto dei presenti, Edward Elric cadde a terra, rantolando, e se lo stupore aveva colto anche l’attentatore, il quale non aveva calcolato un’eventualità simile, ciò fu anche la sua condanna.

Approfittando del suo momentaneo sconvolgimento, infatti, Jean fu veloce a gettarsi su di lui, disarmandolo con due calci ben piazzati alle mani, per immobilizzarlo al suolo, la mano stretta attorno al collo dell’uomo: “Dammi una buona ragione per non strangolarti seduta stante.” ringhiò il secondo Colonnello, “Dammi soltanto una ragione per non farlo…”.

Dietro di lui, il Comandante era inginocchiato accanto a Edward mentre finalmente i rinforzi cominciavano a raggiungerli: da ogni lato, salivano militari con le armi in pugno che convergevano sull’Alchimista di Fuoco; alcuni di loro cercarono di allontanarlo.

“Comandante, signore, dovete venire con noi.”

“La squadra di Mitter ha preso tutti in custodia ma dobbiamo portarvi al sicuro, non sappiamo se ci possa essere ancora qualcuno in giro.”

“Devo restare qui.”

“Signore, stanno arrivando i soccorsi anche per il Tenente Colonnello Elric, ma voi al momento siete la nostra priorità.”

Mustang, ancora inginocchiato, stringeva con forza il polso del più giovane, incapace di lasciarlo andare.

“Stupido Comandante… S-Sto bene, vai con loro.”

“Sei un idiota.”

“Non farmi ridere, cretino. M-Mi fa male ovunque.”

“Ancora una parola e ti deferisco alla corte marziale.”

§§§

“Comandante, hanno portato il Tenente Colonnello Elric all’Ospedale Centrale, la dottoressa Grunwald è già al lavoro e il luogotenente Falman è con lui.”

Mustang venne strappato ai suoi pensieri dalla voce di un maggiore che gli si era parato davanti; alzato lo sguardo, lo vide sull’attenti, con la mano alzata nel saluto militare e i tacchi uniti, ingessato nella propria perfetta uniforme blu ma apparentemente incurante della sua, rovinata e sporca; il Comandante annuì e si alzò dalla sedia in legno e metallo posta nel corridoio fuori l’ufficio operativo della guarnigione di stanza al Parlamento: “Grazie. Altre notizie?” disse con tono piatto mentre percorreva a passo svelto il corridoio deserto.

“Gli attentatori sono stati tutti identificati, sono in cella in attesa di sue istruzioni. Il resto della sua guardia personale era rimasta sul posto ma sono appena partiti per l’Ospedale, hanno detto che la raggiungeranno direttamente lì.”

Mustang annuì e non disse più niente mentre seguiva il sottoposto verso l’atrio principale del Parlamento, che trovò occupato da centinaia di soldati armati fino ai denti: al suo arrivo, tutti si azzittirono, facendo largo per permettergli di passare.

Immobili e sull’attenti, i presenti lo salutarono rispettosamente, scrutandone il viso rigido e pallido: il Comandante sapeva a cosa stessero pensando, sapeva che bramavano vendetta per i loro compagni feriti e avrebbero smosso mari e monti per vendicarli – per fortuna non c’erano state vittime, altrimenti avrebbe faticato a tenerne a bada la rabbia – e punire i responsabili di quell’evento.

Un Tenente Colonnello uscì dai ranghi e si portò davanti a lui, ripetendo il proprio saluto: “Signore, il mio nome è Wegener e chiedo il permesso di seguirvi.”

Perplesso, Mustang si fermò; sistemandosi il mantello logoro sulle spalle, ne osservò i lineamenti duri: “Per quale motivo?”

Il giovane ufficiale, dai capelli corti e neri come l’inchiostro, abbassò lo sguardo per una frazione di secondo, salvo poi riprendere il controllo di sé: “Per chiedere il perdono del Tenente Colonnello Elric e degli altri feriti, signore. Mio fratello… Mio fratello maggiore è tra gli attentatori e spetta a me sistemare le cose.”

Un brusio nervoso attraversò la folla.

Mustang restò impassibile.

“Chiedo il permesso di seguirvi.” ripeté con decisione il giovane.

Il brusio si fece più intenso, alcuni in fondo alle file sembravano agitarsi.

A sorpresa, però, il Comandante alzò una mano, riportando il silenzio nell’atrio strapieno; guardando l’ufficiale davanti a sé, infine sospirò: “Non è necessario, non è tua la responsabilità di quanto accaduto, ragazzo. Tuo fratello ha fatto la sua scelta e ne pagherà le conseguenze. Tu non hai colpa e non devi scusarti con nessuno. Sei consapevole, però, che ammettere questo tuo legame di sangue con uno dei responsabili di quanto accaduto oggi potrebbe portarti guai?”

Con lo sguardo basso, il Tenente Colonnello annuì: “Ne sono consapevole. E sono pronto a pagarne lo scotto. Ma era qualcosa che sentivo di dover fare. Quando ho saputo che… mi sono sentito responsabile.”

Per tutta risposta, il Fuhrer scosse la testa prima di voltarsi verso i soldati schierati: “Che nessuno di voi tocchi o importuni questo nostro compagno, ha dimostrato coraggio e onore in una situazione così tragica, per sé, per la sua famiglia, e per il nostro Paese. Il Tenente Colonnello Wegener non è in alcun modo responsabile delle azioni del fratello e mi aspetto che venga trattato come è sempre stato trattato finora.”

Mormorii di approvazione percorsero la folla e, mentre il Comandante si allontanava verso l’uscita, qualcuno azzardò anche un applauso.

Una volta all’esterno, la prima cosa che vide fu l’immenso dispiegamento di forze a protezione dell’edificio ma la sua attenzione era completamente focalizzata su una camionetta con le portiere spalancate e sorvegliata da alcuni soldati, in sua attesa.

Accogliendolo con un saluto, gli ufficiali lo fecero salire a bordo prima di imitarlo, due dietro con lui e due davanti; in pochi secondi, furono tutti a bordo e, un minuto dopo, già sfrecciavano per le strade deserte, diretti verso l’Ospedale Centrale.

Il viaggio, svoltosi nel più totale silenzio, permise a Mustang di recuperare la propria attenzione e concentrazione, rendendogli più semplice il focalizzarsi sulla questione che più gli premeva: le condizioni di Edward non gli erano sembrate disperate ma una sensazione di paura gelida come le nevi delle montagne a ridosso del confine con Drachma gli stringeva lo stomaco con violenza.

Ma dal suo viso non lasciò trapelare nulla, era pur sempre il Fuhrer, il Comandante Supremo, mostrarsi debole non era un’opzione: aveva un dovere come Capo del Paese e, malgrado il suo cuore appartenesse a Edward, non valeva lo stesso per la sua persona.

Si concesse soltanto un sospiro, mentre la sua mente vagava distratta, assieme allo sguardo, al di là del finestrino.

§§§

“Signore, finalmente siete qui.”

Quando la camionetta si fermò davanti all’ingresso dell’Ospedale Centrale, Mustang fu sorpreso di trovarsi davanti a Fury, che gli sorrideva sollevato, con Hayate II accanto.

“Come sta?” chiese soltanto, mentre scendeva dal mezzo.

Kain annuì, facendogli cenno di seguirlo; gli altri ufficiali rimasero accanto al mezzo, ritti e con le armi estratte, pronte all’uso: poteva andare, sarebbero rimasti loro di guardia.

Roy fu svelto a salire le scale, quasi a voler precedere il suo compagno, mentre questi si affannava per tenere il passo: “Allora?” insistette il Comandante, sul suo volto passò un’ombra di preoccupazione, poteva permettersela, con i suoi uomini non doveva reprimere le sue emozioni, non più almeno.

Non da quando si erano fatti custodi del legame che lo univa a Edward.

“La dottoressa Grunwald l’ha fatto portare in una stanza, ha alcune costole rotte e per un po’ dovrà stare a riposo ma Edward-san ha la pelle dura e la lingua lunga, non ha mai smesso di lamentarsi.” sorrise, prendendo in braccio il cucciolo per velocizzare la marcia: “Non ha chiesto espressamente di lei, ma sappiamo che vederla lo farebbe stare senza dubbio più tranquillo, è molto irrequieto.” lo avvertì, con tono più serio.

Mustang non disse nulla, si limitò a camminare, superando l’atrio, alcuni corridoi, seguendo il proprio istinto di modo che lo conducesse a Ed; Kain lo seguiva, eventualmente indicandogli scorciatoie, e fu proprio dietro l’ennesimo angolo che trovarono il resto della squadra, in piedi davanti a una porta bianca, di guardia.

All’arrivo del Comandante, Havoc si alzò in piedi da una delle sedie poste contro il muro, Riza rinfoderò la pistola e Breda bussò alla porta, che si aprì, mostrando l’espressione esausta di Falman: “Signore, per fortuna sta bene.” disse questi con tono sollevato, “Ho visto un proiettile passarle accanto a un braccio.”

Con un sospiro, Roy alzò l’avambraccio fasciato: “Soltanto un graffio. Fullmetal?”

“Signore, sta bene, non si preoccupi. La doppia protezione che portava sotto la divisa ha bloccato i proiettili e ora riposa. Ha qualche costola rotta ma si riprenderà in fretta.”

“Confermo, signore. Ho parlato con la dottoressa Grunwald e, nonostante le sue proteste per la scarsa autoconservazione di Edward, anche lei ha confermato che non è in pericolo di vita.”

Riza guardò il suo superiore con espressione rassicurante e qualcosa, nello stomaco di Roy, si sciolse, la tensione sembrava abbandonarlo e il respiro che non ricordava neppure di aver trattenuto venne esalato.

“Può entrare, se vuole. Noi non ci muoviamo da qui.” disse Breda, giocherellando con un bottone staccatosi dalla divisa: “Alphonse è con uno dei suoi rimasto ferito ma ha detto che passerà più tardi. Winry-san verrà con lui.”.

Falman aprì la porta e uscì, facendo spazio al Comandante: “Vada.”.

§§§

“Ehi, cos’è quella faccia? Sembra che tu abbia visto un fantasma.”

La voce impastata di sonno di Ed fu la prima cosa che accolse Roy al suo ingresso nella stanza semibuia; l’uomo strizzò l’occhio nel tentativo di accelerare l’abituarsi della sua vista alla scarsa luce e distinse – pur se con difficoltà – il letto in un angolo, letto su cui era distesa una figura umana.

Avvicinatosi, notò che la figura umana gli sorrideva.

Pur se dolorante e con il petto immobilizzato da spesse garze, Edward Elric sorrideva e Mustang non sapeva se mollargli un pugno o se baciarlo con disperazione e urgenza, lasciando che tutte le emozioni negative della giornata lo travolgessero.

Optò per la seconda opzione, ritrovandosi con le labbra su quelle di Fullmetal e le braccia sotto il busto del più giovane, stretto delicatamente a sé; lo baciò a lungo, alternando ai baci piccoli sospiri e carezze sulla schiena.

“Sei un cretino.” gli sussurrò all’orecchio il Comandante, nascondendo il viso nell’incavo del suo collo; con difficoltà, Edward alzò le braccia e lo strinse debolmente, poggiò la testa contro quella del compagno e chiuse gli occhi, respirando a fondo: “Dovrei davvero spedirti di fronte alla Corte Marziale.”

“Ti riderebbero in faccia, tecnicamente sono un eroe dal momento che ho difeso il Fuhrer da un attentato.”

La risata roca del più giovane strappò un sorriso anche a lui mentre ciò che restava della tensione della giornata lo abbandonava definitivamente, lasciando esausto; dopo aver depositato Edward sul materasso, si sedette accanto a lui, osservandone critico il petto fasciato: “Ti fa male?” domandò con un filo di voce.

Con un sospiro, il più giovane abbassò lo sguardo: “Sono stato peggio.” disse, massaggiandosi la spalla, “Certo, sono anche stato meglio.”

Roy allungò la mano e afferrò la coperta buttata in fondo al letto per drappeggiargliela addosso: “Ti rendi conto che saresti potuto morire?” le parole gli uscirono strozzate.

Fullmetal scosse la testa: “Non ho avuto molto tempo per pensare, il mio corpo si è mosso da solo.” ammise, “Un momento prima guardavo la schiena di Jean che mi copriva la visuale e quello dopo ero davanti a quel tizio.”.

“Edward…”

“È la verità.”

“Ti ho visto a terra, Edward. E malgrado non ci fosse sangue…”

“D’accordo, fermiamoci qui.” lo interruppe Fullmetal, cercando di mettersi seduto; un mugolio di dolore gli sfuggì dalle labbra e Mustang si affrettò ad aiutarlo; con delicatezza, lo sollevò di qualche centimetro per farlo poggiare contro la testiera del letto. Con un respiro profondo, finalmente Edward alzò lo sguardò per incrociare quello del compagno davanti a sé: “Roy, non l’ho fatto per disubbidire a un ordine superiore o qualsiasi altra stronzata ti possa venire in mente. È stato tutto istinto, ho visto la mitraglietta e la pistola e ho reagito esattamente come al solito. Sapevo che ci sarebbero state delle conseguenze ma avevo fiducia nell’armatura che abbiamo progettato io e Al. Non volevo spaventare nessuno ma non rimpiango di averlo fatto.”.

Eccolo, l’orgoglio che permeava ogni singola azione di Edward, quell’orgoglio così incredibile e al tempo stesso così irritante che gli faceva perdere la pazienza una volta sì e l’altra pure, lo stesso orgoglio che alimentava l’amore che provava per quella testa calda e che gli faceva capire, ogni giorno di più, quanto fosse importante per lui.

Non poteva cambiarlo - né voleva farlo, in realtà -, poteva unicamente accettarlo e affrontare qualunque conseguenza al suo fianco, dando tutto come anche Edward faceva ogni giorno.

Esasperato, Mustang scosse la testa, concedendosi un sorriso: “Non ci si può fare niente,” ammise con un sospiro, “L’unica consolazione è che per un po’ resterai tranquillo.”

“Non ci conterei troppo, Comandante.” ghignò il più giovane, prima che il suo volto si trasfigurasse per un istante in una smorfia di dolore.

Dopo avergli scompigliato i capelli con fare affettuoso, Roy si appropriò della sedia accanto al letto, accomodandosi con l’aria di chi non sembrava avesse intenzione di andarsene tanto presto: “Riposati, parleremo dopo di un’eventuale medaglia al valore. Riza e gli altri sono qui fuori e Alphonse è con un suo compagno rimasto ferito, miracolosamente non ci sono state vittime ed è già qualcosa per cui gioire. I pochi feriti sono stati tempestivamente soccorsi e tutti usciranno presto dall’ospedale.”

“D’accordo. Immagino che tu abbia da fare, non voglio trattenerti oltre.”

“Edward?”

“Roy, sei il Fuhrer, hai un dovere verso questa nazione, io sto bene, non c’è bisogno che resti qui. Se ho bisogno, scommetto di poter contare sugli altri.”

Per tutta risposta, l’uomo si passò una mano sul viso, trattenendo a stento una risata: “Cosa c’è? Guarda che sono serio.” replicò Fullmetal piccato, si sarebbe anche alzato se solo Mustang non lo avesse bloccato con uno sguardo, “Edward, non c’è altro posto in cui io debba essere se non questo. Il Generale Armstrong ha fatto diffondere un messaggio pre-registrato attraverso la radio e i giornali hanno già ricevuto la mia ferma condanna a questo attentato, i prigionieri sono sorvegliati a vista e nessun militare se li farà scappare, sono arrabbiati al punto che si controllano con difficoltà, figuriamoci se qualcuno possa aiutarli. Ovviamente ho fatto in modo di avvertire i familiari dei feriti e anche Glacier e Winry hanno ricevuto aggiornamenti per rassicurarle.”

A Edward scappò un brivido: “Winry mi ammazzerà.”

“È molto probabile, consiglio lo sviluppo di un’armatura total body. Oppure ti consiglio un processo per insubordinazione, le prigioni sono molto protette e non le permetterebbero di passare.”

“La sottovaluti, Comandante dei miei stivali. Sarebbe capace di attraversare le linee nemiche armata soltanto di una chiave inglese se ciò volesse dire punirmi per qualche stronzata che lei reputa io abbia fatto.”

“Perché, non lo è stata?”

“Mi sto quasi pentendo di averti protetto.”

Un secondo dopo, entrambi ridevano di cuore, e le risate di entrambi permearono la piccola stanza semi-buia, mentre la mano di Mustang, allungatasi, stringeva con amore quella di Edward.

Non dissero altro: il mondo esterno era rumoroso e spaventato, nelle orecchie avevano ancora il suono degli spari ma – per il momento – andava tutto bene.

Erano assieme.

   
 
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