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Autore: Alley    24/03/2019    6 recensioni
[a Vero, per il suo compleanno]
Dean comincia a sondare la lista di pietanze. Tra una voce e l’altra, stacca discretamente lo sguardo dalle pagine per dirottarlo in direzione di Castiel. La sensazione di irrealtà lo investe ogni volta che adocchia il suo viso oltre l’orlo della carta; quello seduto dall’altra parte del tavolo è davvero Castiel Novak e la serata non è il frutto di uno di quei concorsi con in palio una cena in compagnia della tua star preferita.
La sua vita non sarà Cinderella Story, ma comincia ad assomigliargli terribilmente.

[actors!AU]
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Charlie Bradbury, Crowley, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Tutto ebbe inizio da un post di Tumblr e dalla AU che io e la festeggiata ne ricavammo. Oltre la metà delle scene ricalca quanto abbiamo elaborato insieme, quindi, alla dedica ci aggiungo dei doverosi credits: quello che leggerete è frutto della mente di entrambe.













A quanto pare, Supernatural non è destinato a durare per sempre.
In compenso, le nostre plottate lo faranno sicuramente.
Con amore,
Gabriella.

 



















“E alla fine di ogni giorno – di ogni singolo giorno – Alastair veniva da me e mi faceva un’offerta: sarei sceso dalla ruota a patto di mettere un’altra anima al mio posto e di cominciare a torturarla. E ogni giorno, io gli ho detto di andare a farsi fottere. Gliel’ho detto per trent’anni. Ma poi non ce l’ho più fatta. Non ho potuto. Sono sceso dalla ruota. Che Dio mi perdoni, sono sceso da quella maledetta ruota e ho cominciato a torturare. Ho perso il conti di quante anime ho dilaniato. Le cose che gli ho fatto---”
 
La suoneria del cellulare si sovrappone alle parole del monologo, spezzandogli irrimediabilmente la concentrazione. L’espressione travagliata che si era cucito in viso scompare; attraverso il riflesso offerto dallo specchio, Dean la vede scardinarsi e lasciare il posto a una smorfia seccata.
 
Rassegnato, abbandona il bagno e raggiunge la propria stanza.
 
Detesta quando Sam lo interrompe con le sue stupide telefonate da mammina apprensiva. Dopo il trasferimento ha preso l’abitudine di chiamare almeno cinque volte al giorno con i pretesti più improbabili per assicurarsi che non abbia dimenticato di cenare, che dorma abbastanza e, in generale, che stia bene.
 
Dean sta magnificamente, eccetto quando viene disturbato mentre è impegnato con il suo lavoro.
 
“Spero per te che Eileen sia incinta, altrimenti---”
 
“Se lo è, non posso attribuirmi il merito.”
 
“Charlie” esala Dean stupito “Non credevo fossi tu.”
 
“Lo avevo intuito.”
 
“Novità per Kissing in the rain?”
 
L’idea di prestarsi a un teen drama scadente non lo entusiasma, ma l’arte, a volte, deve subordinarsi alle necessità pratiche: è passato un po’ dal suo ultimo ingaggio e non è nelle condizioni di fare lo schizzinoso.
 
“Novità per The greatest love story ever told.”
 
The greatest love story ever told è il prossimo film di Crowley McLoad, uno dei produttori più importanti di Hollywood. Dean ha accettato di fare il provino soltanto perché Charlie ha sudato sette camicie per permettergli di avere quell’opportunità.
 
Onestamente, pensa sia uno sforzo che avrebbe potuto risparmiarsi; prendono solo nomi di cartello per quel tipo di produzioni, nomi come quello di Castiel Novak che, non a caso, è stato scritturato per il ruolo di protagonista.
 
È anche per assecondare il desiderio di lavorare al suo fianco che Dean ha accettato di tentare, ma non vuole ammettere di essere il tipo di persona che alle soglie dei trent’anni coltiva ancora il sogno di recitare con la sua star del cuore.
 
In ogni caso, non succederà: non è di Cinderella Story che si parla, ma della sua vita di merda.
 
“Bastava un messaggio per dirmi che---”
 
“Sei stato preso.”
 
“—non sono stato preso.” Succede qualcosa, nella sua testa, qualcosa di simile a un nastro che si inceppa di colpo. “In che senso?”
 
“Nel senso che andrai sul set, ti daranno il copione e---”
 
Charlie aggiunge un’altra serie di ovvietà alla lista, ma la rete sinaptica di Dean non ha ripreso a funzionare; è ancora ferma a quelle tre parole e al tentativo di decriptarle, nemmeno fossero state pronunciate in una lingua sconosciuta.
 
“Come hai fatto a farmi avere la parte?”
 
“Ho stipulato un patto con Crowley: tra dieci anni, passerà a riscuotere la mia anima.” Charlie fa una lunga pausa teatrale, poi riprende. “Dean” dice, il tono improvvisamente serio. “Per quanto ci tenga alla tua carriera, non sono disposta a fare nulla di immorale o illegale in suo nome. Ti hanno preso perché sei bravo. È così strano?”
 
“Sì, Charlie: lo è.”
 
Il silenzio di Charlie ha le sembianze di un sospiro muto. “Sono troppo occupata a procurarti di che vivere per badare ai tuoi complessi di inferiorità” dice pragmatica “Preparati: cominci la settimana prossima.”
 
*
 
Crowley Fergus 
King of Hollywood


La scritta è incisa a lettera cubitali sulla targa dorata che contrassegna l’ingresso dell’ufficio; a quanto pare, quelle sulle manie di grandezza di Crowley non sono dicerie maligne messe in giro della concorrenza.
 
Quando si accorge che la porta è socchiusa, Dean la spinge cautamente. Allargandosi, lo spiraglio rivela l’immagine di un uomo in giacca e cravatta seduto dietro una elegante scrivania intarsiata, la testa piegata per tenere il cellulare bloccato nell’incavo tra collo e spalla.
 
“Nessun’uomo nella storia delle torture sarà torturato con torture più atroci di quelle che subirai tu se questo film sarà un fiasco.” Sputata la minaccia, Crowley adocchia la figura di Dean sporta tra gli stipiti. “Devo andare” dice, e riattacca, facendogli cenno di avanzare. “Motivavo il regista.”
 
Dean si fa strada all’interno della stanza, la soggezione che accompagna i suoi passi come un’ombra. Raggiunta la scrivania, vede disposti in fila indiana tre smartphone che diventano quattro quando Crowley ripone quello che ha appena utilizzato.
 
“Siediti” gli fa Crowley in tono pratico, e Dean obbedisce. “È la prima volta che metti piede a Hollywood. Se pensi che sia un sogno, sappi che ti sbagli di grosso; è un Inferno e non arriverà nessun angelo a salvare la tua anima dalla dannazione. Capisci che intendo?”
 
“Io---”
 
“Perfetto. Ho investito molto su di te, Winchester: mi aspetto grandi cose.”
 
“Ce la metterò tutta.”
 
“Sarà meglio per te. Non ci metterei nulla a segare la tua carriera prim’ancora che sia davvero iniziata.” Uno dei telefoni prende a squillare, spandendo nell’aria le note di Highway to hell. “Apprezzo i buoni propositi, ma preferisco i risultati.”
 
Dean resta immobile, sentendosi stranamente frastornato. “Puoi andare” lo liquida Crowley, l’attenzione tutta rivolta alla chiamata che si appresta ad accettare.
 
Dean non se lo fa ripetere due volte.
 
*
 
Quando adocchia la voce Bitch nella lunga lista di messaggi notificati, Dean non esita un momento a selezionarla.
 
(Bitch): A quando la tua stella sul tappeto?
 
Il solito esagerato, pensa, ma non può nulla per reprimere il piccolo sorriso che gli affiora alle labbra.
 
(Dean): Charlie è sempre più veloce di me, quando si tratta di far circolare le notizie.
 
(Dean): Cercherò di non incasinare tutto.
 
(Bitch): Incasinare? Perché dovresti? Andrai alla grande.
 
(Dean): Grazie per l’incoraggiamento, mammina.
 
(Bitch): L’unico rischio è che ti impappini davanti alla tua cotta storica.
 
(Dean): Non c’è Dottor Sexy nel cast.
 
(Dean): Non ho una cotta per Castiel. Lo apprezzo come attore; tutto qui.
 
(Bitch): Scusa. Il ventesimo rewatch di L’uomo che voleva essere re mi aveva tratto in inganno.
 
(Bitch): In bocca al lupo, stronzo.
 
(Dean): Crepi, puttana.
 
(Bitch):. Papà sarebbe fiero di te.
 
Dean viene colpito da quell’ultimo messaggio come da un getto d’acqua gelata caduto improvvisamente dall’alto; resta a fissarlo per un istante lunghissimo, il cuore stretto in una morsa d’acciaio e le dita sospese sulla tastiera, in attesa delle lettere da digitare.
 
Alla fine, chiude la chat senza aggiungere nulla.
 
*
 
Il set è enorme e affollato: sotto lo sguardo agitato di Dean pare estendersi per uno spazio ancora più ampio dei metri quadri che effettivamente ricopre. Gli addetti ai lavori sono simili a un grosso e rumoroso sciame; si muovono in ogni direzione e gli sfrecciano accanto come se il suo corpo non avesse alcuna consistenza.
 
In quell’atmosfera di dinamismo ed efficienza, Dean si sente alla stregua di un pesce fuor d’acqua.
 
Avanti, Dean. Non fare la figura del novellino.
 
Senza capire bene come, si ritrova con un copione ficcato in mano. La persona che gliel’ha consegnato dev’essersi dissolta nel nulla; l’andirivieni prosegue imperterrito tutt’intorno e nessuno pare essersene staccato.
 
Dean vorrebbe sfogliare le pagine per assicurarsi d’avere a mente le battute, ma dubita di possedere la concentrazione necessaria per un ripasso o di ricordarsi come si faccia a leggere.
 
“Cinque minuti!”
 
Mentre l’annuncio mette in guardia i presenti, Dean avverte il cellulare vibrare. Lo estrae dalla tasca, sperando che possa offrirgli una distrazione.
 
(Charlie): Avete già iniziato?
 
(Dean): A momenti.
 
(Charlie): Sei carico?
 
(Dean): Certo. Sto per vomitarmi sulle scarpe.
 
(Charlie): Fa’ finta che gli altri siano nudi. È un vecchio trucco, ma funziona sempre.
 
Quando solleva lo sguardo dallo schermo, Castiel è la prima persona che intercetta. Non è una buona idea, digita, attento a soffocare l’immagine prima che abbia il tempo di completarsi, polverizzando il briciolo di calma che è riuscito faticosamente a preservare.
 
Devo andare, aggiunge, quando vede il regista prender posto dietro la macchina da presa.
 
Quello che Dean suppone essere l’aiuto regia fornisce una serie di direttive generali all’indirizzo di tutti, poi chiama a rapporto Dean e Castiel. Perché, naturalmente, la scena che inaugura le riprese li vede come unici protagonisti.
 
Sia mai che gli fosse concesso il tempo di razionalizzare la presenza di Castiel prima di doverla affrontare.
 
Dean registra le indicazioni in maniera meccanica, affastellandole come un bambino che ammucchia alla rinfusa i suoi giocattoli nella cesta. È fin troppo consapevole della vicinanza di Castiel, dei cenni d’assenso con cui accoglie le istruzioni che gli vengono rivolte, delle domande che pone al fine di ottenere delucidazioni.
 
“Tutto chiaro?”
 
“Tutto chiaro.”
 
Dean resta a guardare Castiel che avanza verso il centro della scena prima di decidersi a raggiungerlo. È talmente rigido da sentirsi un manichino mentre mette in fila i passi.
 
“Motore…”
 
Una serie di déjà-vu gli attraversa la mente: si rivede piccolo e tremante dietro le quinte il giorno della recita scolastica (John seduto in prima fila, gli occhi gonfi di commozione), deluso e frustrato dopo il primo provino fallito (“Hai tutta la vita per rifarti, figliolo; ce la puoi fare.”)
 
“…azione!”
 
Castiel dà la sua battuta; Dean ci mette un attimo di troppo a incastrarvi la replica di Neal.
 
“Rifacciamola!”
 
Il secondo ciak non va meglio: le parole gli escono totalmente forzate, quasi avesse dimenticato come si fa ad articolarle. Il regista chiama un altro stop e dà delle disposizioni che Dean non capisce davvero. Quando riprendono e Dean apre bocca, tutto ciò che trova è un buco nero da cui le sue capacità mnemoniche sembrano esser state totalmente risucchiate.
 
Stavolta viene concessa una pausa. Dean si allontana per rifugiarsi in quello che spera di poter usare come il suo personale angolo della vergogna.
 
Nel frattempo, vengono girate scene che non coinvolgono il personaggio di Neal.
 
Forse hanno già deciso di liquidarlo.
 
Sta per contattare Charlie chiedendole di stracciare il contratto quando un tocco rilasciato all’altezza della spalla lo induce a voltarsi. “Ehi.” Il sorriso che Castiel gli rivolge è abbastanza naturale da nascondere la pena che deve star provando. Non è a caso è uno dei migliori attori sulla piazza. “Ti andrebbe di andare a cena questa sera?”
 
Quando si guarda indietro, Dean incontra soltanto il bianco di cui la parete è rivestita. È proprio a lui che Castiel si sta rivolgendo, quindi. “Io e te?”
 
“È una specie di rito che faccio con i nuovi colleghi. Per, sai— ingranare.”
 
È sicuramente una balla inventata per nascondere il vero motivo della proposta: aiutare il principiante di turno ad ambientarsi ed evitare che la sua inesperienza comprometta la buona riuscita del lavoro.
 
Dean manda giù il grumo di umiliazione; non può permettersi di fare il bambino risentito. “Uh— okay.”
 
“Fantastico. Facciamo alle otto?”
 
Poco più in là, la vita del set continua a brulicare, incurante di lui e del senso di inadeguatezza che si porta addosso da tanto, troppo tempo.
 
“Alle otto.”
 
*
 
Il ristorante scelto da Castiel non è tanto elegante da mettere Dean a disagio, ma abbastanza da superare i suoi standard abituali: non gli è mai capitato di firmare contratti in posti rinomati o di prender parte a cene di gala e lui è più un tipo da fast food e da locali rustici se si tratta di scegliere dove consumare un pasto.
 
“Buonasera, signori: seguitemi.”
 
Una cameriera in divisa li scorta al loro tavolo; attende che si sistemino ai rispettivi posti e gli porge un menù a testa. “Prego” dice gentilmente, poi si allontana per conceder loro il tempo di riflettere sull’ordinazione.
 
Dean comincia a sondare la lista di pietanze. Tra una voce e l’altra, stacca discretamente lo sguardo dalle pagine per dirottarlo in direzione di Castiel. La sensazione di irrealtà lo investe ogni volta che adocchia il suo viso oltre l’orlo della carta; quello seduto dall’altra parte del tavolo è davvero Castiel Novak e la serata non è il frutto di uno di quei concorsi con in palio una cena in compagnia della tua star preferita.
 
La sua vita non sarà Cinderella Story, ma comincia ad assomigliargli terribilmente.
 
È passata una manciata di minuti quando la cameriera riappare munita di penna e taccuino. Prima che Dean possa rivolgerle una sola parola, il menù gli viene strappato di mano con un gesto improvviso. “Prendiamo le tre pietanze meno ordinate” dice Castiel, consegnandolo alla cameriera assieme a quello da lui consultato.
 
Dean non si aspettava quella mossa e non sa bene come reagire: per adesso, ama e odia Castiel contemporaneamente. Deciderà dove far pendere l’ago della bilancia quando saranno arrivate le portate.
 
“Preoccupato?”
 
“Affatto. Mangio di tutto, anche se sono più un tipo da hamburger.”
 
“Come Neal.”
 
Non è il primo a fargli un’osservazione simile: dopo aver letto il copione, Charlie gli ha fatto notare che lui e il personaggio che interpreta hanno più di qualcosa in comune. La dipendenza dal cibo spazzatura, ad esempio.
 
“Come Neal” conferma Dean. “E come Jimmy in Carestia arriva in città.
 
“Lo hai visto?”
 
Castiel pare genuinamente sorpreso. Dal canto suo, Dean ritiene che sarebbe più strano imbattersi in qualcuno che non lo abbia fatto. “Sì.”
 
Arriva un vassoio con del vino e due calici; Castiel ringrazia la cameriera per il servizio e li riempie entrambi. Dean ingolla un sorso e si gusta il sapore dolce che gli invade la gola.
 
Castiel racconta della quantità spropositata di hamburger che quella scena lo ha costretto a ingurgitare; a un certo punto non ce l’ha più fatta e si è limitato a masticarli per poi gettarli via.
 
“Che spreco!”
 
Il tempo scorre senza pesare; non lo fa nemmeno quando Dean si ritrova a riempirlo parlando di sua madre. “Faceva l’attrice di teatro. Me la ricordo a provare i monologhi davanti allo specchio.”
 
“Figlio d’arte, quindi.”
 
“Senti chi parla.”
 
Chuck Novak è una specie di divinità a Hollywood (cinque candidature all’Oscar come miglior attore protagonista e due vittorie, quattro Golden Globe e una stella personalizzata a scintillare sulla Walk of Fame tra quelle di Meryl Streep e di Harrison Ford) e ha trasmesso il gene del successo a tutti i suoi figli: tre hanno ricalcato le sue orme e il quarto si è dato alla regia.
 
“Io sono quello senza talento.”
 
“Senza talento?” Dean è attonito. “Senti, Michael e Raphael saranno anche bravi, ma tu hai più cuore di tutti loro messi insieme.”
 
A giudicare dal modo in cui gli occhi di Castiel si allargano, ha riversato nella voce più impeto di quanto intendesse.
 
“Grazie” dice Castiel sinceramente. “Anche tu sei bravo.”
 
Dean ingoia le obiezioni e incassa il complimento. Sono colleghi, in fondo; è normale che Castiel sia gentile.
 
“La prima volta che ti ho visto recitare è stato in Sette anni all’Inferno.”
 
Oh.
 
“Hai visto quel film?”
 
Dean era convinto che Sam e Charlie fossero stati gli unici a farlo. Ha dei dubbi persino su Bobby.
 
“Ho visto quel film.”
 
Si impone di frenare l’entusiasmo: è probabile che Castiel abbia recuperato un titolo a caso per avere qualcosa da dire.
 
“E anche The family business e Lazzaro risorge.” Dean cerca di calcolare mentalmente quante ore richiederebbe una maratona della sua intera filmografia; non è particolarmente nutrita, ma non lo è nemmeno così poco da poter essere recuperata in un pomeriggio. “Credo sia stata la tua performance migliore. Il monologo post resurrezione è davvero…” Castiel pianta gli occhi nei suoi, la fronte aggrottata nello sforzo di mettere a fuoco il termine adatto. “…intenso.”
 
La gola gli diventa improvvisamente secca. Si porta il bicchiere alle labbra per cercare aiuto nel vino, ma non va tanto meglio.
 
“Tu hai fratelli?”
 
“Uno” risponde subito Dean, lieto dell’assist da sfruttare. “Sam. Non ha voluto saperne della recitazione; si è dato all’avvocatura.”
 
“Ha fatto bene: la carriera di attore è ingrata.”
 
“Ne so qualcosa.” Vecchie immagini di file interminabili e camerini stretti come sgabuzzini riemergono dal fondo della sua mente. “Ho fatto provini su provini prima di avere un’occasione importante come questa. Quando Charlie me lo ha detto non potevo crederci.”
 
“Charlie?”
 
“La mia agente. Faccio ancora fatica a pensare a lei in questo modo.”
 
Castiel pare indugiare sull’affermazione. “È la tua ragazza?” chiede alla fine.
 
“Cosa? No, no.” L’idea basta a fargli sbuffare una risata. “È più…la sorellina che non ho mai avuto.”
 
Questa volta è Castiel a intervallare la conversazione con del vino. Dean si mette alla ricerca di una domanda con cui poterla riavviare, ma, ancora una volta, Castiel lo anticipa. “Quindi hai visto i miei film.”
 
Tutti almeno quattro volte gli sembra eccessivamente sincera, come risposta. “Qualcuno.”
 
“Preferiti?”
 
Croaton 2014, L’uomo che voleva essere re, Figli del Paradiso e…” Elencarli tutti rischia di rendere la bugia un po’ troppo evidente “…questi.”
 
“Oh, ho visto anche Apocalypse, dei tuoi.”
 
“A mia difesa, avevo un disperato bisogno di soldi quando ho accettato di girarlo. E forse avevo anche bevuto.”
 
“Ho fatto Alternative Universe: non ho il diritto di giudicare.” Castiel solleva il bicchiere e ingolla un sorso prima di proseguire. “Non guardarlo mai.”
 
“È quello in cui sei un ufficiale delle SS?”
 
“Maledizione.” Castiel calca volutamente il rammarico nella sua voce. “Non ero ancora famoso, all’epoca. Di solito la gente nemmeno lo conosce.”
 
La gente, a differenza sua, non ritiene la filmografia di Castiel Novak una specie di testo sacro da cui attingere periodicamente.
 
“Puoi sempre dire che si trattava di tuo fratello gemello. Sai, come nelle telenovele.”
 
Castiel sorride al suggerimento. Dean pensa che il vino deve avere una gradazione alcolica troppo alta, se ne basta un bicchiere a fargli girare la testa.
 
“Ecco a voi: buon appetito.”
 
La cameriera li interrompe depositando sul tavolo la prima portata: è un timballo di carne dall’aspetto appena più invitante delle insalatone di Sam.
 
Eppure, l’ago non pende verso l’odio.
 
*
 
“Signor Winchester.” La voce è quella di un giovane pallido e dinoccolato. A giudicare dalla divisa che ha addosso, è stato occupato a distribuire pop corn fino a un attimo prima. “Gradisce qualcosa?” chiede gentilmente, esibendo il vassoio colmo di bicchieri che regge con entrambe le mani. “Un caffè, un cappuccino, una spremuta…”
 
“Nulla…” Dean sbircia il badge spillato sulla maglia a strisce rosse e bianche. “…Alfie. Grazie: sono a posto.”
 
“Ciao, Alfie. Come va?”
 
“Bene, signor Novak.” Alfie rivolge a Castiel un grosso sorriso entusiasta; Dean riscontra nel gesto un agio che non si aspettava di trovarvi. “Secondo il signor Crowley sono quasi pronto a passare all’aiuto regia.”
 
Per un momento, la mente di Dean è occupata dall’immagine di quel ragazzino goffamente impettito davanti alla grande scrivania ricoperta di telefonini di ultima generazione: non ha mai pensato a qualcosa di più simile a un gattino al cospetto di una tigre ringhiante.
 
“Desidera qualcosa?”
 
“No, ti ringrazio.”
 
Il ragazzo si allontana, diretto verso un drappello appostato a qualche passo di distanza.
 
“Fare il ragazzo del bar rientra nella preparazione alla regia?”
 
“A quanto pare.”
 
Il chiacchiericcio si mescola al rumore degli oggetti che vengono disposti sulla scena per la sequenza successiva. Dean osserva quell’operosità frenetica e composta al tempo stesso; non gli risulta più familiare di quanto abbia fatto fino a quel momento e si domanda se arriverà mai a viverla come tale.
 
Poi, Castiel lo prende alla sprovvista come nessun’altro è riuscito a fare prima. “Che ne diresti di trattenerci per provare? Non sentirti obbligato; è solo un’idea.”
 
Dean ha degli ottimi motivi per accettare: non vuole fare altre figuracce né mostrarsi ingrato o sostenuto davanti a una mano che gli viene tesa e di cui ha dato prova di aver bisogno.
 
Il problema è che una parte di lui - la stessa che lo ha spinto ad affrontare il provino nonostante una totale mancanza di fiducia verso la possibilità di superarlo - è semplicemente attratta dalla prospettiva, e non è sicuro che assecondarla sia la scelta migliore.
 
Il dubbio, però, non basta a fermarlo. “Okay” acconsente. “Pensi che ci permetteranno di restare?”
 
“Ci penso io.”
 
*
 
Risuona il click dell’interruttore e lo spazio circostante si riempie di una pallida luce artificiale.
 
Senza i membri di cast e crew che ne calpestano il pavimento e i fari di scena a illuminarlo, il set sembra un posto totalmente diverso da quello che ospita le riprese, una specie di vecchio deposito che custodisce ciarpame in disuso.
 
Per un momento, Dean e Castiel restano impallati uno di fronte all’altro, come se non sapessero che farsene dei loro corpi; è solo un attimo, però, prima che Castiel ponga fine agli indugi.
 
“Partiamo dall’inizio?”
 
“Okay.” Dean serra la presa attorno al copione e alza gli occhi, li riempie di uno sguardo che non è più il suo. “Chi sei?” domanda, modellando la voce in modo che suoni dura e sospettosa.
 
“Manakel.”
 
“Intendevo, che cosa sei.”
 
“Sono un angelo del Signore.”
 
*
 
Ora che è più rilassato, Dean ha modo di catturare tutti i dettagli della performance di Castiel. Il suo modo di recitare rende Manakel perfettamente…non umano. Nella postura, nei movimenti, nella mimica facciale; è come se occupasse un corpo che non gli appartiene e stesse provando a farci l’abitudine.
 
“Quando gli esseri umani desiderano davvero qualcosa, mentono.”
 
Castiel – Manakel, in realtà -  inclina il capo e aggrotta la fronte, gli occhi stretti in due fessure attraverso cui trapela tutta la perplessità di una creatura millenaria che ha a che fare per la prima volta con certe logiche.
 
In quel momento, l’apprezzamento per le doti attoriali di Castiel viene surclassato da un pensiero istantaneo, che acquista forma prima ancora che Dean prenda coscienza di averlo prodotto: è adorabile.
 
“Dean?” Dean sbatte le palpebre, riprendendo contatto con la realtà. L’espressione di Castiel è accigliata in maniera pericolosamente simile a quella sfoggiata nelle vesti di Manakel un attimo prima. In questo modo, recuperare il controllo risulta ancora più difficile. “Non ricordi la battuta?”
 
“Mi ero…” Con uno sforzo immane, Dean ci riesce. “…distratto” farfuglia. Poi, si rivolge alla regia. “Possiamo rifarla?”
 
*
 
Dean è appollaiato sopra una grande cassa amplificata, le gambe raccolte a incrocio che fanno da sostegno al copione.
 
“Che ne pensi della sceneggiatura?”
 
La domanda di Castiel lo porta ad abbassare lo sguardo sulla prima pagina, come se potesse estrapolare da lì il responso. “Mi piace” dice, sincero. “Anche se, non so, il finale…Quale angelo rinuncerebbe al Paradiso per restare sulla Terra?”
 
“Uno innamorato.” Castiel gli offre la risposta senza esitazioni, come se fosse la più chiara delle evidenze. C’è qualcosa in quella naturalezza che procura a Dean una specie di brivido freddo. Non sa di cosa si tratti esattamente, ma sa che, qualunque sia la sua origine, va tenuto nascosto agli occhi di Castiel.
 
“Temo di non essere abbastanza romantico per certe trame” dice semplicemente; è la verità, ma è anche la cosa più semplice su cui far leva, la strada più agevole da percorrere.
 
Castiel soppesa la considerazione. “Non penso sia un tuo problema. Il rapporto tra Manakel e Maggy non è molto approfondito; evolve velocemente e viene da chiedersi ‘da dove vengono fuori i loro sentimenti?’ Si vede molto di più di quello tra Manakel e Neal. Neal è la persona che guida Manakel alla scoperta del mondo; che gli fa da riferimento; che lo introduce all’umanità. Loro condividono un…legame più profondo.”
 
A quello, Dean non sa proprio come rispondere; così, si limita ad alzarsi e a scrollarsi di dosso il disagio, quasi si trattasse di granuli di polvere che un gesto distratto basta a rimuovere.
 
“Cominciamo?”
 
*
 
Hannah avanza nella loro direzione, i tacchi che picchiettano rumorosi lungo il pavimento. “Ciao, ragazzi” dice superandoli; il saluto è indirizzato a entrambi, ma il sorriso tutto denti che sfoggia è riservato esclusivamente a Castiel.

"Ehi, Hannah."

"Ciao, Hannah."

Hannah si inoltra nel corridoio che ospita i camerini. Dean attende che oltrepassi la soglia di quello che porta il suo nome inciso sulla targhetta dorata prima di rivolgersi a Castiel. “La cena com’è andata?” gli domanda.
 
Castiel si rabbuia, come se un pensiero molesto gli si fosse acceso tutt’a un tratto nella mente. “Bene…” dice, incerto; Dean non ha bisogno di attendere il resto per capire che c’è dell’altro “…fino a quando non siamo arrivati a fine serata. C’è stato un--- fraintendimento.” Castiel tace, poi riprende. “È stata colpa mia: avrei dovuto specificare che l’invito non aveva implicazioni di quel tipo.”
 
Dean si risparmia commenti e giudizi; lui ha creduto che l’invito fosse un gesto pietoso mascherato da tentativo di cameratismo, pertanto, non se la sente di puntare il dito.
 
“Hannah è una bella persona, da quel che ho avuto modo di vedere, ma…non ha i requisiti per piacermi.”
 
Non è esattamente una sorpresa; Dean ricorda i titoli strombazzanti rimbalzati sui rotocalchi un paio d’anni prima, il nome di Balthazar Rochè accostato a quello di Castiel in ogni angolo del web.
 
È l’unica storia che il riserbo mantenuto da Castiel non sia riuscito a tenere nascosta.
 
Dean non è un oggetto d’interesse altrettanto succulento per le testate di gossip, ma, nel suo piccolo, adotta a sua volta la linea della riservatezza: quando ha intrapreso la carriera di attore ha accettato di mettere le sue performance sotto i riflettori, non i suoi affari.
 
Lo pensa sinceramente. Per questo, è facile credere che sia solo ed esclusivamente un fatto di principio se è ben lieto di non ricevere aggiornamenti sulla vita privata di Castiel e che la fitta di delusione procuratagli dalla notizia di lui e Balthazar non c’entri assolutamente nulla.
 
“Immagino sia un problema che conosci fin troppo bene.”
 
“Di che parli?”
 
“Avances da parte di colleghe. O colleghi.”
 
“Uh, sì: ne so qualcosa.” Dean non è stupido, e non è nemmeno una di quelle persone che avverte il bisogno di nascondere la verità dei fatti dietro un’umiltà di plastica; se anche non fosse stato conscio dell’effetto che è solito sortire su chi gli sta attorno, sarebbe bastata la folta schiera di corteggiatori che si è guadagnato negli anni a fargli aprire gli occhi al riguardo: Cassie, Bela, Lisa, Aaron e soprattutto--- “Amara.”
 
“The Darkness?”
 
“Lei” conferma Dean in un sospiro – Dio, che razza di harmony da due soldi che è stata quella stagione. “Ha cominciato intasandomi il camerino di rose, poi è passata ai regali. Io ho ingenuamente creduto che sarebbe bastato rispedirli al mittente e mettere le cose in chiaro; devo essermi sbagliato, dal momento che è andata a dire in giro che ricambiavo i suoi sentimenti, che eravamo legati e che progettavamo di prendere casa insieme. Quando ho smentito ufficialmente, me la sono ritrovata sotto casa.”
 
“Tenace.”
 
“Pensavo più a psicopatica. Charlie ha dovuto minacciare una denuncia per stalking per farla smettere.”
 
Castiel accoglie l’epilogo della storia con un cenno che contiene comprensione e riso bonario. Non dice nulla, lasciando che una patina di silenzio scenda a ricoprirli.
 
“Forse tenere separati lavoro e vita privata è la cosa migliore.”
 
Castiel indugia per un lungo istante prima di concedergli il suo assenso. “Sì.” I suoi occhi restano lontani da quelli di Dean. “Forse è così.”
 
*
 
“Secondo me a Neal piace Manakel.”
 
Castiel emette l’osservazione con la casualità distesa con cui si commentano i costumi o le luci di scena; eppure, per Dean, l’effetto è quello di una bomba che detona in maniera improvvisa e violenta.
 
“C- cosa?”
 
Castiel si stringe nelle spalle. “Con l’ultima persona che mi ha guardato in quel modo, ci ho fatto sesso” cita a mo’ di risposta. “Non è esattamente qualcosa che direi a un amico.”
 
“È solo una battuta.”
 
“Anche non morirai vergine, non finché ci sarò io?”
 
“Be’, non ha detto che se ne sarebbe occupato personalmente.”
 
“E la storia dello spazio personale? Non sei molto credibile, se lo dici mentre mi stai appiccicato.”
 
“Sei tu che mi sbuchi alle spalle.”
 
“Bastava fare un passo indietro.”
 
“Sarei finito nel lavandino.”
 
“Okay, ho capito.” Castiel solleva i palmi in segno di resa. “Non ti piaccio” decreta.
 
Non suona davvero offeso, eppure, Dean avverte nitidamente il mutare della conversazione: è sancito da una specie di scatto che risuona nitido tra le pareti della sua testa, il rumore di un ingranaggio che si mette in moto. È certo di esser stato l’unico tra i due ad accorgersene, ma questo non rende l’effetto meno reale. “Certo che mi—certo che piaci a Neal, voglio dire, ma non in quel senso. Lui e Manakel sono solo…” Si ferma, incerto; la parola traballa sulla punta della lingua, come sospesa nel vuoto, poi abbandona faticosamente le labbra. “…amici” conclude. “Manakel è innamorato di Maggy.”
 
“E Neal è etero” osserva Castiel di rimando.
 
Dean abbassa lo sguardo sul copione. Il senso di sbagliato che avverte è simile al suono di un pianoforte scordato. “Già.”
 
*
 
Castiel è rintanato in un angolo lontano dall’allestimento del set, il cellulare attaccato all’orecchio e un cipiglio seccato in viso. “Non insistere” dice, laconico, poi lancia un’occhiata al regista che ha appena preso posto dietro la macchina da presa. “Devo andare: ne riparliamo.”
 
Dean lo vede ingoiare uno sbuffo prima di riporre il telefono e uscire dall’isolamento che si era procurato. “Produttori insistenti?” chiede, quando Castiel è avanzato abbastanza da poter esser raggiunto dalla domanda.
 
“Peggio: fratelli insistenti” replica lui, un sospiro nella sua voce. “Non si rassegna al fatto che non intendo lavorare con lui.”
 
“Non siete in buoni rapporti?”
 
“Oh, no, lo siamo eccome. Solo…” Castiel s’interrompe, in cerca delle parole giuste con cui proseguire. “…non è esattamente il mio genere di film.”
 
Dal tono incerto con cui si esprime, si direbbe che siano le migliori che abbia trovato.
 
“Qualunque film sarebbe il tuo genere.”
 
Un angolo della bocca di Castiel si torce; Dean non saprebbe dire se quello che va a disegnare sia l’accenno di un sorriso o di uno spasmo. “Fidati: non questo.”
 
“Ai vostri posti!”
 
*
 
La scena con cui si sono concluse le riprese giornaliere ha visto Neal e Manakel protagonisti, quindi, quando Dean e Castiel restano soli, si trovano con i costumi di scena ancora addosso.
 
Dean ripone il copione sopra la solita cassa e percorre la figura di Castiel dall’alto verso il basso, gli occhi che passano dalla stoffa beige del trench a quella blu della cravatta. “Non so che diavolo avesse in mente chi ha scelto quest’outfit. Dove si è mai visto un angelo vestito da esattore delle tasse?”
 
“Almeno Manakel non va in giro conciato come un boscaiolo” replica Castiel piccato, un’espressione eloquente rivolta alla camicia a quadri che costituisce la tenuta abituale di Neal.
 
Almeno Neal capisce le battute.”
 
“Almeno Manakel non ha dato un nome alla sua auto.”
 
“Non è un’auto qualsiasi, è una Chevy Impala del 69.” Dean s’interrompe. Una cortina di nostalgia cala a ricoprire i suoi pensieri; quando parla, il sentimento riecheggia forte e chiaro nella sua voce. “Ed era l’auto di suo padre.”
 
Vorrebbe tirar fuori una battuta di spirito o uno stratagemma per sviare la conversazione, ma è talmente in balia della morsa in cui è stretto il suo stomaco da non esserne capace.
 
“Be’, Baby non è così male, in effetti.” Castiel la fa passare per un’osservazione casuale, eppure, Dean ha il sentore che abbia accolto una richiesta di aiuto che non si era nemmeno accorto d’aver formulato. “Quella di Manakel è una Pimpmobile.”
 
“Strambo come il suo proprietario.”
 
“Strambo come il suo proprietario” ripete Castiel, fermo nella sua rivendicazione. “Voglio vivere in un mondo dove la parola normale è un insulto” prosegue, con lo stesso tono appassionato. “E dove si danno nomi alle auto.”
 
Dean sente le labbra piegarsi in un piccolo sorriso: del magone, adesso, non c’è più traccia.
 
*
 
Dean raccoglie il copione che Castiel ha abbandonato sopra la sua cassa – è arrivato a considerarla una proprietà, tanto è forte l’abitudine di piazzarcisi sopra. “Cosa abbiamo oggi?” domanda, abbassando lo sguardo sulla pagina a cui lo ha lasciato aperto.
 
Conoscerti è stata la parte migliore della mia vita.
 
Appena le parole entrano nel suo campo visivo, un pizzicore furioso gli aggredisce le guance.
 
“Puoi fare Maggy, se vuoi.”
 
Quello di Castiel è un semplice gioco, eppure, adesso, la pelle del viso di Dean comincia addirittura a bruciare.
 
L’immagine che si crea nella sua mente è più nitida di quanto non lo sia mai stata; più pericolosamente reale.
 
“Dean?” La voce di Castiel lo ridesta, e la fantasia si dissolve, come un riflesso che si sgretola quando lo specchio d’acqua viene colpito da un sasso. “Stavo scherzando.”
 
Castiel gli prende il copione dalle mani. Dean avverte la consistenza della carta scivolargli via dalle dita in maniera inverosimilmente chiara, come fosse il protagonista di una scena che si svolge a rallentatore.
 
Castiel sfoglia le pagine fino a quando non giunge a quella che era l’oggetto della sua ricerca. “La scena dell’interrogatorio.” dice, e allunga nuovamente il copione a Dean.
 
“Quella in cui metti sotto torchio il gatto?”
 
Dean lo afferra e lancia un’occhiata alla trascrizione dei dialoghi, in cerca di una conferma di cui non ha davvero bisogno. Con la coda dell’occhio, scorge Castiel fissarlo in modo strano.
 
“Quella, sì.”
 
Il cipiglio sparisce talmente in fretta che può convincersi di averlo solo immaginato.
 
*
 
La cravatta di Castiel pende asimmetricamente verso destra. Potrebbe essere colpa dell’addetto ai costumi, o di Castiel stesso, o magari il concetto di colpa non va nemmeno tirato in ballo perché è solo una stupida cravatta spostata di appena qualche millimetro rispetto alla verticale che dovrebbe ricalcare per cadere perfettamente dritta.
 
Dean non sa perché il dettaglio lo ossessioni a tal punto, ma sa che la tentazione di rimediare è così forte da procurargli un fastidioso formicolio alle dita.
 
La ruvidezza della stoffa è la prima sensazione che registra quando il suo cervello interrompe la pausa di riflessione che ha permesso alla sua mano di afferrare il nodo della cravatta di Castiel.
 
Merda.
 
Tirarsi indietro di colpo lo farebbe apparire soltanto più stupido di quanto non sembri standosene impalato, pertanto, Dean si rassegna a portare a termine la missione che per qualche motivo si è prefissato di compiere. “Era…storta” dice flebilmente, a mo’ di giustificazione.
 
Castiel abbassa lo sguardo per perlustrare la propria figura. “Grazie” si limita a dire. Se lo reputa un perfetto idiota, si premura di non darlo a vedere.
 
Dean gliene è immensamente grato.
 
*
 
“Cosa?!” Dean è passato sopra a tante, troppe cose: la passione per i documentari su api e pinguini; l’opinione secondo cui I Simpson sarebbe un prodotto sopravvalutato; Steve Rogers che avrebbe dovuto firmare gli accordi di Sokovia. Questo, però, è ufficialmente troppo; un affronto che non ha intenzione di incassare in silenzio. “Cas” lo apostrofa, severo come un insegnante che si rivolge a un alunno impreparato. “Tutti sanno che Tombstone è il miglior western mai prodotto.”
 
Le tre lettere si incidono nella sua mente soltanto dopo esser state scandite a voce alta. Dean le ha buttate fuori con la stessa naturalezza con cui si rilascia un respiro, o un sorriso; senza averlo minimamente preventivato. Registrarle gli invia una fitta di panico che si trasforma in un moto di esitazione, un attimo di stasi sospeso nel vuoto.
 
“Niente a che vedere con Il buono, il brutto e il cattivo” ribatte Castiel con aria saputa, ed è come se il disagio provato da Dean un attimo prima non fosse mai esistito.
 
Ora, lo sdegno incredulo suscitatogli dalla replica è tutto ciò che è in grado di sentire. “Mio fratello ha gusti migliori dei tuoi” sentenzia. “E ti assicuro che non è un complimento.”
 
Dovreste conoscervi, pensa, ma non lo dice.
 
Eppure gli piacerebbe, presentargli Sam.
 
Gli piacerebbe davvero.
 
*
 
Quel giorno, Dean viene accolto da un’immagine che sa di miraggio: il Trikster, unanimemente conosciuto con il titolo di re del porno, è lì in carne, ossa e vestiti firmati, impegnato a parlare fittamente con Castiel.
 
Dean sbatte le palpebre per assicurarsi che non si tratti di un’allucinazione. Di certo non è un sogno perché, in quel caso, Castiel sarebbe già stato scritturato, ma non è un pensiero su cui è saggio indugiare.
 
“Te l’ho detto: sono venuto a trovare il mio amico Crowley.”
 
“Be’, potevi farlo da qualche altra parte.” A scapito del rimprovero, il tono di Castiel rivela un intento tutt’altro che ostile; Dean coglie al suo interno una nota morbida che potrebbe addirittura essere di affetto, se tra i due vi fosse un legame di qualche tipo.
 
Dean è sicuro che non sia così. Lo saprebbe, se avessero collaborato; eccome se lo saprebbe.
 
“Sicuro di non volere quel ruolo?”
 
Eppure, i due conversano con una familiarità che esclude l’ipotesi che non abbiano dei trascorsi.
 
“Sicuro, Gabe.”
 
A quelle parole, uno stralcio di ricordo si snoda nella mente di Dean, il suono della sua stessa voce a fargli da sfondo.
 
Qualunque film sarebbe il tuo genere.
 
Porca. Puttana.
 
Mosso dalla smania di fugare l’ultimo scampolo di dubbio residuo, Dean avanza per accostarsi ai due. “Voi siete---” Fa vagare lo sguardo dall’uno all’altro, alla ricerca di somiglianze che possano anticipare la risposta che cerca. “---fratelli?”
 
Gabriel gli rivolge un sorriso abbacinante. “Io sono quello bello.”
 
I pezzi del puzzle si incastrano di colpo: la penuria di informazioni sul fratello regista di Castiel, i film di Gabriel rigorosamente rilasciati sotto pseudonimo. Non c’erano cognomi da collegare e, be’, la parentela decisamente non salta all’occhio.
 
“Sfortunatamente” bofonchia Castiel, poi procede alle presentazioni. “Dean, mio fratello: Gabriel. Gabriel, lui è Dean.”
 
“Piacere di conoscerti, Dean-o.” Gabriel fa svettare due dita all’altezza della fronte in segno di saluto. “Piacere di conoscerti di persona. Castiel mi ha parlato di te. In realtà, me ne ha parlato talmente tanto che---”
 
“Non eri qui per Crowley?”
 
“Uh, sì, certo.” Gabriel temporeggia, un pensiero inespresso a scavargli una ruga al centro della fronte. “Nemmeno un’altra esperienza di doppiaggio?”
 
“Una mi è bastata.”
 
“Avanti, ti sei divertito!”
 
“Non costringermi a chiamare la sicurezza.”
 
“Faresti mandare via il tuo fratellone da quegli scimmioni?”
 
“Non mettermi alla prova.”
 
Gabriel rivolge a Castiel un broncio volutamente calcato, guadagnandosi un’occhiata ammonitrice. Decisamente, non sembra il maggiore tra i due. “Tolgo le tende” dice alla fine, mollando a malincuore la presa. “Stammi bene, Dean-o.”
 
Quando lo vede accostarglisi Dean si convince che sia per porgergli la mano, invece, Gabriel fa per infilarla nel taschino della giacca. “Se fossi interessato a---”
 
Gabriel.”
 
“Va bene, va bene.” Gabriel lascia il gesto incompiuto e solleva i palmi in segno di resa. “Peccato: sareste stati perfetti per il progetto che ho in cantiere.”
 
Castiel lo trascina via con la forza, farfugliando scuse su cui Dean non riesce a concentrarsi: Gabriel gli ha appena fornito più materiale per le sue fantasie erotiche di quanto tutti i film che ha diretto gliene abbiano fatto accumulare.
 
*
 
Quando Castiel si china per mettere via il copione, Dean tira fuori la cassetta dalla tasca in cui la tiene riposta. Si era riproposto di consegnargliela prima che cominciassero a girare, ma poi il coraggio è venuto a mancargli e ha deciso di sfruttare la durata delle prove per chiamarlo a raccolta.
 
Adesso, in realtà, non si sente molto più pronto; non a caso, quando Castiel si solleva, gli porge la cassetta con la frenesia di chi si sta liberando di un ordigno pronto a esplodere, lo sguardo ancorato alle lettere da lui stesso segnate sul davanti: Dean’s top 13 Zepp TRAXX.
 
Ha passato a rimuginare su quell’idea più tempo di quanto sia sano, eppure, è come se si rendesse realmente conto di averla messa in atto soltanto in quel momento; come se, prima di allora, fosse stato sotto l’effetto di un incantesimo che riusciva a farla apparire innocua e priva di connotazioni particolari.
 
Dean non sa in quale maledetto universo regalare un nastro con le proprie canzoni preferite incise sopra possa avere una valenza neutrale; certamente non in quello in cui vivono. Stando all’esitazione di Castiel, anche lui deve aver colto gli stessi sottintesi che la sua mente gli ha appena piazzato davanti.
 
Complimenti, Dean: ottima tempistica.
 
“Te l’ho detto: devi farti una cultura.” Non suona come la battuta brillante che aveva programmato, una di quelle con cui, di solito, riesce a tirarsi fuori da ogni impiccio; al contrario, è così palesemente forzata e piena di insicurezza che vorrebbe potersela rificcare in gola. “Se non hai uno stereo---”
 
“Posso procurarmelo.” Finalmente, Castiel afferra la cassetta. Quando parla, ha nella voce qualcosa di morbido che Dean è sicuro di non avergli mai sentito prima. “Grazie, Dean.” Qualcosa che spazza via ogni minima traccia di pentimento. “Grazie davvero.”
 
*
 
Le nocche di Dean battono contro la porta chiusa; dall’interno del camerino, la voce di Castiel lo esorta ad entrare.
 
Dean asseconda l’invito.
 
Il modo in cui viene accolto lo prende decisamente alla sprovvista: Castiel è a torso nudo, la cerniera dei pantaloni abbassata e l’orlo dei boxer in bellavista oltre la stoffa dei jeans.
 
Potrebbe essere il momento in cui si sveglia e scopre di essere ancora a letto, reduce da uno di quei sogni fin troppo vividi che si ritrova spesso a fare, ma, a giudicare dalla persistenza dell’immagine, la scena davanti ai suoi occhi è completamente reale.
 
La cosa peggiore è che, di conseguenza, dovrà gestirla in qualche modo.
 
“Oh, scusa.” Il primo che gli viene in mente è, naturalmente, la fuga. “Torno appena---”
 
“Tranquillo: resta pure.”
 
Dean non può spiegare il motivo per cui è una pessima idea (ha a che fare con tutta quella pelle esposta e con le linee del busto tutte perfettamente definite), quindi, si rassegna a entrare e a richiudersi la porta alle spalle.
 
Lo scatto dei cardini suona come quello di una fottuta trappola per topi: da bravo coglione qual è, ci si è rinchiuso da solo e senza un vero motivo.
 
“Sicuro che non vuoi che ti lasci solo? Sai, per concentrarti, tenere a mente le battute…”
 
Castiel si abbassa i pantaloni; li accompagna fino alle caviglie e li tira via, sfilando con quell’unico gesto anche i calzini. Quando si solleva, ha addosso soltanto gli slip. “Non ho molte battute da tenere a mente: giriamo la scena in biblioteca.”
 
“Oh, sì, la scena in biblioteca. Quella scena. Certo.” Dean si strofina il retro del collo, facendo vagare lo sguardo su ogni parte del camerino ad eccezione di quella occupata da Castiel. “La giri tu, quindi.”
 
“È una scena tra Manakel e Maggy.”
 
“Sì, intendevo: tu. In persona.”
 
“Be’, non c’è bisogno dello stuntman: non è sesso acrobatico.”
 
La parola sesso gli rimbomba nella testa come il rintocco fragoroso di campana. “Non si può neanche dire sesso.” Dean suppone che non esista un modo per chiedere a Castiel di smettere di ripeterla senza sembrare una povera verginella. “Non è affatto—didascalica.”
 
Suona come una giustificazione, ma Dean è troppo preso dai contenuti per far caso al tono con cui Castiel li riveste.
 
“Comunque” riprende Castiel, schiarendosi la voce. “Volevi dirmi qualcosa?”
 
“Non ci eravamo ancora incrociati. Volevo…salutarti.”
 
Nel dirlo a voce alta, Dean realizza che l'intento fa molto più fan esagitato che collega; davanti alla presa di coscienza, un’ondata di vergogna gli accende le guance.
 
“Sono passato davanti al tuo camerino, prima, ma non eri ancora arrivato.” Il principio di panico sorto nel petto di Dean si spegne, come una candela a cui è stato tolto l’ossigeno. “Per salutarti.”
 
“Oh. Io, ecco…ho fatto tardi.”
 
Castiel lo guarda fisso, e annuisce. Passano tante cose tra di loro, come un flusso di piccole particelle invisibili che scorre silenziosamente da un punto all’altro. “Okay” dice Castiel alla fine, la sua voce come velluto che strofina contro la pelle.
 
“Okay” gli fa eco Dean. “Ti lascio alla tua…non preparazione, allora.”
 
Dean si dirige verso la soglia, il rumore dei passi di Castiel che si mescola a quello prodotto dai suoi.
 
Viene assalito dalla tentazione di voltarsi, ma non lo fa; aspetta che la porta si chiuda alle sue spalle per liberare il sospiro che teneva sepolto in gola.
 
*
 
Quel giorno Castiel non è presente sul set: non essendo in programma scene con Manakel, ne ha approfittato per prendersi una pausa.
 
Dean si sforza di mettere da parte il pensiero della sua assenza mentre si incammina verso la sala trucco. Prima che la raggiunga, un trillo notifica l’arrivo di un messaggio; con sorpresa, scopre che è proprio Castiel il mittente.
 
(Cas): Ti raggiungo al solito orario.
 
(Dean): Pensavo che non saresti venuto.
 
(Cas): Hai preso altri impegni?
 
(Dean): No, io—ti aspetto.
 
Dean passa le ore successive con addosso una trepidazione accesa che intacca la sua concentrazione. Riesce comunque a recitare in maniera dignitosa e, alla fine, a immergersi totalmente nel personaggio, relegando l'aspettativa in un angolo remoto della sua coscienza.
 
Solo più tardi, mentre il set si svuota progressivamente, la sensazione riemerge e torna a riempirlo, accrescendosi fino a mutare in un’agitazione nervosa che Dean riesce a stento a tenere a bada.
 
È convinto d’esser l’unico rimasto quando una voce familiare lo raggiunge alle spalle e lo informa del contrario. “Non va via, signor Winchester?” gli chiede Alfie, il solito riguardo nella voce.
 
“Io, uh - aspetto Castiel.”
 
“Avete un appuntamento?”
 
“No!” esclama; a giudicare dall’espressione confusa che Alfie mette su, lo fa con fin troppa energia. “Cioè, , ma non un appuntamento di quel tipo. Solo…ci vediamo per provare.”
 
“Posso lasciarvi qualcosa?”
 
“Tranquillo, Alfie; va’ pure.”
 
Adesso, l’ansia che gli si dimena dentro è l’unica a tenergli compagnia. Dean prova a smaltirla macinando metri e metri di passi fatti a vuoto e spiegazzando i bordi del copione con le dita, ma il risultato non è dei migliori.
 
“Ciao, Dean.”
 
Quando Castiel arriva, in perfetto orario, ha con sé un sacchetto di carta che emana un delizioso odore di carne arrosto. “Hai detto che sei un tipo da hamburger” dice, rispondendo alla tacita domanda posta dall’occhiata che Dean rivolge al cartoccio.
 
La smania che lo scuoteva si placa, mutando in una sorpresa placida e calda, confortevole come una coperta che ti viene improvvisamente adagiata sulle spalle. “Non pensavo che te lo ricordassi.”
 
Dean non sa se abbia scelto consapevolmente di dar voce al pensiero o se questo si sia formulato di propria iniziativa; prima che possa venire a capo del dilemma, Castiel gli porge il sacchetto. Quando Dean lo afferra, sfiora accidentalmente le dita di Castiel con la punta delle proprie; è ancora immerso nella sensazione del contatto quando Castiel riprende a parlare, la coperta che gli viene premuta un po’ di più addosso: “Mi ricordo tutto quello che ci siamo detti.”
 
*
 
“Siamo migliorati.”
 
Castiel ripone il copione e Dean lo imita. Anziché prender posto sopra la cassa, si lascia scivolare sul pavimento e la usa come appoggio per la schiena. “Be’, era il momento.”
 
Quell’avventura è quasi giunta al termine. Pochi giorni e girerà la sua ultima scena; a quel punto, lascerà il set con qualche giorno di anticipo rispetto alla conclusione ufficiale delle riprese.
 
Per la prima volta, Dean avverte il sapore dolceamaro della nostalgia contro il palato. Appena lo riconosce, inghiotte per mandarlo giù. Non vuole ancora pensarci; non vuole che l’imminenza della fine rovini gli ultimi passi di quel cammino; non vuole che guasti il tempo che gli resta da trascorrere con Castiel.
 
“Esercitarsi in coppia è stato utile; di sicuro più di provare i dialoghi da solo allo specchio.”
 
“Come faceva tua madre.”
 
Castiel lo raggiunge sul pavimento e Dean si scosta per permettergli di assumere la sua stessa posizione. Lo spazio è a malapena sufficiente per entrambi; le loro braccia premono l’una contro l’altra e a Dean basterebbe un moto impercettibile per avvicinare la spalla di Castiel e farvi riposare il capo.
 
“Già.”
 
Dean respira a pieni polmoni, assorbendo la rilassatezza di quel momento. È quasi impossibile credere che tutta la tensione risalente al primo giorno di riprese sia davvero esistita, adesso che è così semplice condividere spazi e parole.
 
“Ha conosciuto mio padre grazie a uno dei suoi spettacoli” dice; lo fa di getto, senza averlo programmato, proprio come quando menzionò sua madre seduto a quel tavolo. “È stato lui a raccontarmelo.” Dean rievoca il ricordo della confidenza ottenuta da John dopo anni di addolorato silenzio, i sorrisi nostalgici da cui venne scandita. “Era seduto tra il pubblico e dopo lo spettacolo si appostò all’esterno nella speranza di strapparle un autografo; lei stava scappando da un gruppo di paparazzi e andò a sbatterci contro. Il giorno dopo, i rotocalchi erano pieni di articoli in cui John Winchester veniva presentato come la nuova fiamma della stella di Broadway Mary Cambell. Dopo qualche settimana, è diventato tutto vero.”
 
“Notting Hill.”
 
“Una specie di reboot.”
 
L’angolo della bocca di Castiel accessibile alla sua vista si piega verso l’alto; Dean si ritrova a sorridere di riflesso.
 
“Non sarei qui, se non fosse stato per lei. Non che mi abbia imposto di fare l’attore; semplicemente, a un certo punto, mi sono accorto di aver fatto mia la sua passione, di essermela portata dentro per tutti quegli anni. Quando l’ho detto a mio padre, lui ne è stato entusiasta: mi ha pagato la retta dell’accademia; mi ha accompagnato ai provini; mi ha procurato il mio primo agente. Sapevo che lo faceva per me, ma anche per onorare la memoria della mamma. Per…tenerla in vita, in qualche modo. Per questo ho sempre avuto paura di deluderlo.” Non lo ha mai raccontato a Sam, né a Charlie; forse, non lo ha mai ammesso così esplicitamente nemmeno a se stesso. “Una parte di me continua ad averne anche ora che non c’è più.”
 
“Sono stato un bambino…particolare. Faticavo a interagire con i miei coetanei, a inserirmi nei loro discorsi, a capire cosa ci trovassero di interessante nelle cose che li intrattenevano. Ero una specie di extraterrestre.”
 
“Tipo un angelo del Signore che si ritrova catapultato sulla Terra.”
 
“Esatto” assente Castiel; il paragone gli dipinge sulla bocca un altro sorriso. “Crescendo, le cose non sono migliorate granché. Le mie abilità sociali sono sempre state…arrugginite. Non sembravo la persona più adatta a intraprendere la carriera di attore. Quando rivelai ai miei fratelli di voler tentare, Michael provò a scoraggiarmi. Raphael fu più diretto: disse che sarei stato la vergogna di nostro padre.”
 
“Wow, che fratelli supportivi.”
 
“Gabriel lo è stato” dice Castiel, la voce gonfia di affetto. “Non è stato facile, all’inizio. Recitare comporta tirare fuori delle…cose. E io non ero abituato a farlo. Ma volevo riuscirci. Lo volevo a tutti i costi.”
 
“E ce l’hai fatta.”
 
“Anche tu.”
 
“È ancora da dimostrare.”
 
“Sei bravo; chiunque abbia visto un tuo film è in grado di dirlo. Che altro manca per convincerti?”
 
Dean riflette su quelle parole. Ha lavorato in prodotti che non hanno riscosso grande successo, fino a quel momento, ma sa che non è quello il punto. Se lo fosse, il fatto di esser stato ingaggiato da Crowley basterebbe ad archiviare la faccenda.
 
Il punto non è la fama o il prestigio dei lavori a cui prende parte: il punto è arrivare a credere di aver fatto abbastanza; di essere abbastanza. Per gli standard di Hollywood, per i suoi, per quelli di suo padre; non è sicuro che esista una differenza.
 
“Grazie per aver accettato, Dean. Di provare con me.”
 
“Non dovresti essere tu quello che ringrazia.”

“Sì invece. Ho fatto progressi, da quando ero ragazzino, ma continua a essere importante per me sentirmi a mio agio con chi mi sta intorno. Il lavoro che abbiamo fatto, è stato importante.”
 
Anche per Dean lo è stato. Tutto il tempo passato insieme ha trasformato Castiel Novak, modello da seguire e a cui ispirarsi, semplicemente in Cas: quello che a volte non capisce l’ironia e altre è capace di una sagacia sottilissima; quello che si presenta con un paio di hamburger per farlo felice; quello infinitamente gentile persino con l’ultimo degli stagisti; quello di cui è---
 
“Mi sento a mio agio, con te.”
 
Dean stronca il pensiero prima che abbia il tempo di prendere interamente forma. Quello che ha è perfetto; non lo rovinerà pretendendo più di quanto gli spetti.
 
“Anch’io, Cas.”
 
*
 
“Preparati: Alfie piangerà.”
 
“Nah. Perché dovrebbe?”
 
“Perché è il tuo ultimo giorno sul set.” Castiel lo dice come se fosse l’ovvietà più grande di questo mondo; poi, qualcosa nella sua espressione cambia, e appare il cipiglio che Manakel assume quando scandaglia insistentemente un pensiero. “Sei uno di cui si sente la mancanza.”
 
Castiel distoglie lo sguardo e si mette ad armeggiare con le pagine del copione, come se non avesse appena fatto tremare il mondo di Dean con un solo, enorme scossone. Pian piano, Dean avverte la terra sotto i suoi piedi tornare a stabilizzarsi. Nella sua testa, però, le cose vanno diversamente: un'idea ostinata vi frulla, simile a una foglia che vortica nel vento, e scava più in profondità a ogni istante che passa a fissare Castiel; vede lui, e poi quell’immagine, che non se n’è mai davvero andata dalla prima volta in cui si è ritrovato a contemplarla.
 
Puoi fare Maggie, se vuoi.
 
Le parole premono contro le labbra, spingendo per essere pronunciate. Dean non sa se lasciarle uscire: l’unica cosa che lo spaventa di più dell’eventualità di pentirsene, però, è quella di rimpiangerlo per tutta la vita.
 
“Possiamo provarla.” Gli occhi di Castiel si allargano per la sorpresa. “La scena del bacio.” Non c’era davvero bisogno di specificarlo, ma farlo è un altro passo verso quel vuoto che lo attira tanto quanto lo terrorizza. Dean vuole saltarci dentro e scappare quanto più lontano possibile; ciascuno dei due istinti è come un cavallo che avanza nella direzione opposta a quella in cui procede l’altro e l’unico modo per non restare dilaniato dal contrasto è decidersi a seguire uno dei due. “Si gira domani, no? Ma se pensi che non---”
 
“Okay.”
 
Adesso è fatta: adesso che ha impostato la rotta non si torna indietro.
 
Dean era convinto che la consapevolezza gli avrebbe innescato un panico furibondo, invece, contro ogni previsione, risulta come anestetizzata, quasi esterna alla sua coscienza.
 
Forse è perché tutte le sue energie sono concentrate su Castiel che avanza e su quello che sta per accadere, sul modo in cui lascerà tutto uguale pur cambiando irrimediabilmente ogni cosa.
 
Castiel si ferma a un passo da lui e pianta gli occhi nei suoi. Di solito, Dean è perfettamente in grado di riconoscere il momento in cui si fa da parte per lasciare il posto a Manakel; adesso, invece, non è sicuro di averlo visto effettuare quel cambio.
 
“Conoscerti è stata la parte migliore della mia vita.”
 
Non c’è alcun motivo per cui il cuore dovrebbe essere sul punto di schizzargli fuori dal petto: sono soltanto prove, eppure, l’aspettativa che gli scorre nelle vene non sembra recepire la razionalità di quel pensiero. D’altronde, se avesse ascoltato la logica avrebbe sedato sul nascere quella proposta e avrebbe atteso l’indomani per lasciarsi alle spalle le riprese, Castiel e quell’assurdo sentimento che non ha alcun diritto di provare.
 
Ma non l’ha fatto. Non l’ha fatto e adesso Castiel è talmente vicino che può distinguere ogni screziatura presente all’interno delle sue iridi. Dean le ha osservate per anni attraverso uno schermo, le ha viste illuminate dai riflettori e oscurate dalla penombra artificiale delle riprese in notturna, ma averle piene della sua immagine è qualcosa di completamente diverso: è sconvolgente e gli fa tremare i polsi.
 
“Le cose che abbiamo condiviso, mi hanno cambiato.”
 
Quando Castiel gli prende il viso tra le mani, è come se uno sciame di scintille scoppiasse nel punto di contatto tra i suoi polpastrelli e la pelle di Dean. Il modo in cui Castiel fa scendere lo sguardo a incontrare la sua bocca gli annoda il respiro in gola.
 
“Ti amo.”
 
Dean pensa che sia quello, il momento, invece Castiel torna a sollevare lo sguardo, come alla ricerca di qualcosa: un lasciapassare. Al cospetto dell'esitazione, Dean lo realizza di colpo.
 
Non ce ne sarebbe bisogno. È di lavoro, che si tratta; non c’è nessun permesso da accordare. Che lo voglia o no non è una variabile di cui tener conto.
 
(Lo vuole con un’intensità che lo brucia dall’interno, ma non è quello il punto. Non lo è.)
 
Non ce ne sarebbe bisogno, ma non è l’unica cosa fuori posto, in fondo; ci sono il suo cuore che martella forsennato e un’emozione pulsante che gli ostruisce pesantemente la gola, simile a lava che preme contro il duomo minacciando di farlo saltare e distruggere l’intero cratere.
 
Dean può accettarlo e sporgersi per dire che sì, va bene, va bene.
 
A quel punto, a Castiel basta un nulla per sfiorare le sue labbra con le proprie. Dean si impone di non fremere, ma non ci riesce.
 
Non importa. Può far parte della performance, si dice, prima che la bocca di Castiel cominci a muoversi sulla sua, soffocando istantaneamente quello e tutti gli altri pensieri che ancora si dibattevano nella sua testa.
 
Dean asseconda il bacio; schiude le labbra per accogliere la lingua di Castiel e poggia il palmo aperto sul tessuto della sua camicia, all’altezza del cuore. Ha l’impressione che anche quello di Castiel non batta nella maniera regolare in cui dovrebbe, ma è la percezione di un attimo prima che i denti di Castiel gli puntellino il labbro inferiore; la scarica di adrenalina che lo scuote diventa tutto ciò che è in grado di sentire, un buco nero che inghiotte al suo interno tutto il resto.
 
Il muro che aveva innalzato si sgretola, disseminando pietra e detriti tutt’intorno; quando è totalmente abbattuto, Dean scosta la mano quel tanto che basta per afferrare la cravatta di Castiel e tirarlo più vicino – non era scritto sul copione, ma, stando al copione, dovrebbe trattarsi di un primo bacio discreto e il suono che gli vibra in gola non rientra decisamente in quella definizione. Non lo fanno nemmeno le dita di Castiel che si artigliano alla sua nuca, o il sospiro che Castiel rilascia quando si scosta per cambiare angolazione e trovarne una migliore.
 
Ma stanno soltanto recitando.
 
Quando si staccano alla ricerca di fiato, è più difficile che mai ricordarselo.
 
Il tocco di Castiel preme ancora contro il capo; anziché ritrarre la mano, la fa scivolare verso il viso di Dean.
 
Dean tiene lo sguardo basso, il respiro di Castiel che gli colpisce il viso in piccoli sbuffi affannati.
 
“Sarà meglio che vada.”
 
È la sua voce a pronunciare quelle parole, eppure, Dean la sente risuonare come se provenisse da un punto infinitamente lontano; come se nemmeno gli appartenesse.
 
Nel momento in cui scioglie la presa sulla cravatta di Castiel, lui ritira la mano che si apprestava a posargli sulla guancia: il gesto incompiuto resta ad aleggiare tra di loro come un fantasma.
 
“Vuoi che ti accompagni?”
 
Dean si ostina a non guardarlo. Il confine tra le sue fantasie e la realtà è già diventato abbastanza sfumato: ha bisogno di continuare a vederlo. “Io--- non ce n’è bisogno.” Deve farlo. “Ci vediamo domani.”
 
*
 
Il giorno dopo, Dean arriva in ritardo.
 
Non è stato voluto; semplicemente, il pensiero di rivedere Castiel dopo quanto accaduto ha reso il risveglio più difficile da affrontare e rallentato tutti gli stadi successivi.
 
Hannah e Castiel sono già ai loro posti. Una parte di lui preme affinché distolga lo sguardo, ma l’altra si oppone fermamente alla tentazione: non può permettersi di essere così stupido; non può comportarsi come se stesse per assistere a qualcosa di vero.
 
Non lo è. Sa che non lo è. Castiel bacerà Hannah perché deve; non è qualcosa che desidera o che farebbe se le circostanze fossero diverse.
 
Esattamente come la sera prima.
 
Dean ha commesso l’errore di dimenticarlo quando le loro labbra si sono incontrate, ma è tornato ad essergli chiaro nel momento stesso in cui ha immesso aria per riempire i polmoni.
 
“Motore, azione!”
 
Castiel dà la prima battuta. Nella sua testa, Dean la sente sovrapporsi a quella rivolta a lui; le due versioni coincidono, eppure, in qualche modo, suonano totalmente diverse.
 
Ti amo
 
Giunto al termine del monologo, Castiel si sporge verso Hannah e la bacia.
 
Questo, questo è un bacio fedele a quello descritto dal copione: cauto, impacciato, esplorativo. È perfetto e allo stesso tempo completamente sbagliato. È…finto.
 
Non che ci sia da essere orgogliosi della differenza.
 
“Stop! Buona!”
 
Hannah e Castiel fuoriescono immediatamente dalla parte, sfilandosela di dosso come fosse un vecchio abito da dismettere. Non ci sono esitazioni, né respiri che si mescolano, né dita che indugiano sulla pelle più del necessario.
 
Castiel abbandona il centro del set. Una volta appartatosi solleva lo sguardo a incrociare quello di Dean.
 
Dean si dice che non lo ha intercettato intenzionalmente; che quello che si sta svolgendo è un giorno di riprese qualsiasi e che niente di ciò che sta accadendo ha il valore enorme che la sua mente gli attribuisce.
 
Castiel continua a guardarlo; così, Dean si rifugia in quei convincimenti e si volta per interrompere il contatto visivo.
 
È talmente deconcentrato che recita in modo pessimo. Mortificato, chiede al regista di poter rigirare la scena, ma lui si dice soddisfatto e con un gesto rivolto agli astanti dispone che venga cambiato l’allestimento del set.
 
Al termine delle riprese, tutti si assiepano attorno a Dean per dispensargli complimenti e pacche sulle spalle. C’è anche Alfie, con il badge appuntato a quella stupida maglia a righe, e Dean potrebbe giurare di aver visto nei suoi occhi una scintilla di commozione liquida.
 
Preparati: Alfie piangerà.
Nah. Perché dovrebbe?

 
Per un momento, riesce a godersi il moto di orgoglio che la situazione gli suscita, ma quando la calca si dirada e svela la figura di Castiel in attesa del proprio turno la soddisfazione viene soppiantata da un sentimento completamente diverso; più opprimente, e più complesso, una matassa piena di fili da sbrogliare.
 
Adesso, però, non c’è più tempo per scioglierli.
 
“Spero di rivederti presto.”
 
“Be’, il tour promozionale dovrebbe partire tra qualche mese, no?”
 
Tutt'a un tratto, Castiel si rabbuia. “Certo" dice, senza troppa convinzione.
 
Restano lì a ciondolare sul posto, il silenzio che si innalza tra di loro come un muro di cemento.

"Allora…buon lavoro.” Dean tende la mano; il gesto risulta totalmente sbagliato, ma è l’unico congedo che si senta in diritto di concedersi. “Ci vediamo, Cas.”
 
Passa quella che avverte come un’eternità prima che Castiel gliela stringa. “Ciao, Dean.”
 
*
 
 (…) la pellicola è salita agli onori della cronaca per l’intesa scoccata tra la stella di Hollywood Castiel Novak e la giovane rivelazione Dean Winchester. Il rapporto dei loro personaggi ha oscurato quella che sarebbe dovuta essere la relazione di punta della storia, la romance tra l'angelo Manakel e (…)
 
Dean chiude la pagina web senza portare a termine la lettura; la colonna di parole svanisce insieme alle fotografie sue e di Castiel che contornavano l’articolo.
 
Da quando ha lasciato il set, lui e Castiel non si sono più visti né sentiti. Non ne avevano motivo, in effetti, e con ogni probabilità Castiel è stato impegnato sin da subito con qualche nuovo progetto. Non ha bisogno che il film vada bene per farsi notare e ricevere altre proposte, lui.
 
È normale che sia andata così: non ha senso sentirsi deluso, o abbandonato. Se Dean si è illuso che le ore extra trascorse insieme avessero un qualche significato, che celassero più di una semplice esigenza lavorativa, può biasimare solo se stesso.
 
Non gli resta che farsela passare.
 
Mangiare cioccolata direttamente dal barattolo fa parte del processo.
 
Quando il cellulare squilla, Dean ripone il cucchiaio per afferrarlo; se lo porta all’orecchio, mandando giù l’ennesimo boccone.
 
“Dimmi che non ti stai deprimendo mangiando cioccolato.”
 
Dean lancia un’occhiata colpevole al barattolo. “No” mente, scostandolo in modo che esca dal suo campo visivo. “Certo che no.”
 
“La promozione comincia la settimana prossima” dice Charlie, qualcosa di simile alla rassegnazione nella sua voce. “Servizio fotografico per Entertainment Weekly più incontro con la stampa.”
 
“Non vedo l’ora.”
 
Dean seleziona l’icona di Google per controllare se la notizia circoli in rete, il cellulare mantenuto in una posizione di equilibrio precario. Quando appaiono i risultati della ricerca, allenta la presa e lo lascia cadere.
 
“Dean?”
 
La voce di Charlie è un brusio che gli arriva a stento alle orecchie. Tutta la sua attenzione è concentrata sulle parole che compongono il titolo dell’articolo che ha selezionato e sull’immagine che lo accompagna: un tavolo stagliato oltre un’elegante vetrata e due sagome sporte l’una verso l’altra, immerse in un chiacchiericcio palesemente confidenziale.
 
Ritorno di fiamma per Castiel Novak
 
Con un gesto automatico, raccoglie il telefonino. “Ti richiamo” dice, prima di riattaccare.
 
*
 
Alla fine, Dean giunge alla conclusione che scoprire di Castiel e Balthazar sia stato un bene. Ha dato un senso a tutto; per quello che ha fatto, è normale che Castiel abbia preferito limitare i loro incontri alle occasioni ufficiali, eliminando il rischio di esser molestato o messo in imbarazzo.
 
È una scelta perfettamente comprensibile.
 
Se Dean si premura di evitarlo il giorno del servizio fotografico, non è di certo perché è risentito; se prega affinché non siano previste fotografie di coppia non è perché la sola idea di un contatto ravvicinato lo manda nel panico più totale.
 
Niente di tutto questo. Ha solo…preso atto della situazione, e ritiene che evitare un faccia a faccia sarebbe meglio per entrambi.
 
“Dean, Castiel: tocca a voi!”
 
Ovviamente, non c’era motivo di sperare che il Karma decidesse di diventare collaborativo dopo trent’anni in cui non è mai stato dalla sua parte.
 
Lui e Castiel guadagnano il centro della scena, un telo bianco a fare da sfondo e l’obiettivo spianato davanti ai loro occhi. Dopo mesi di vuoto e di lontananza, ha qualcosa di surreale ritrovarsi ad essere così vicini.
 
“Improvvisate pure.”
 
È Castiel ad accogliere la sollecitazione. Fa un passo nella direzione di Dean, e gli poggia una mano sulla spalla.
 
È un tocco discreto, senza nulla di invadente, eppure, è come se bruciasse; in maniera del tutto irrazionale, Dean sarebbe pronto a scommettere che, rimuovendo la stoffa della camicia, troverebbe la sagoma di cinque dita stampata sulla pelle.
 
“Perfetto!”
 
È tal punto catalizzato da quel pensiero che si accorge a stento della luce del flash che li investe. Castiel si premura di ritrarre la mano nel momento stesso in cui la voce del fotografo sancisce la buona riuscita dello scatto.
 
Tutta l’attenzione concentrata su di loro svanisce, come un banco di nebbia diradato dal vento. Senza quella patina ad ammantarlo, il peso della loro vicinanza si fa quasi insopportabile. Malgrado ciò, Dean non fa nulla per annullarla.
 
“Dean---”
 
Castiel ha appena il tempo di pronunciare il suo nome prima che i membri del cast si infilino tra loro fino a distanziarli di metri. Qualcuno cinge le spalle di Dean con un braccio, qualcun altro gli si attacca al fianco; dev’esser stata chiamata la foto di gruppo senza che se ne accorgessero.
 
Dopo lo scatto, Dean si allontana nella direzione opposta rispetto a quella in cui Castiel è stato spintonato. Ha compiuto una manciata di passi quando rimane vittima dell’imboscata di una giornalista tutta pailettes e sorrisi; gli sbuca alle spalle facendolo trasalire e, dopo averlo preso sotto braccio, lo trascina davanti ad una telecamera.
 
“Cari spettatori, siamo qui con Dean Winchester e Castiel Novak...” A quelle parole, Dean volta la testa di scatto; se Castiel ha registrato il movimento, non lo dà a vedere. “…e abbiamo delle domande da porgli.”
 
“Neal è solo un comprimario, eppure, i vostri personaggi sono quelli ad aver riscosso maggior successo. La loro relazione ha rubato la scena alla romance tra Manakel e Maggie. Cosa ne pensi, Castiel?”
 
“Maggie è importante per Manakel, ma è Neal la persona più significativa rispetto al percorso che compie. È--- il catalizzatore del suo cambiamento. Neal gli insegna che cosa voglia dire essere umano; dalle cose più semplici come guidare o navigare in rete a quelle più complesse come le emozioni, e la libertà di scelta. Si crea un’enorme sintonia, tra loro; a volte, Neal è l’unico essere – angelo, demone o umano – al quale Manakel si senta connesso.”
 
“E tra di voi? Com’è stato lavorare insieme?”
 
Questa volta la domanda è rivolta a entrambi. L’obiettivo della telecamera è davanti a loro, ma non è a lui che Castiel si rivolge quando si sporge per rispondere – parla direttamente a Dean e lo fa senza un briciolo di esitazione, totalmente, completamente sincero. “Magnifico.”
 
Sorprendentemente, Dean si scopre capace di ricambiare lo sguardo.
 
Lui e Castiel restano intrappolati in quel momento fino a quando la giornalista non si schiarisce la voce per attirare la loro attenzione; Dean si accorge soltanto in seguito a quel segnale di avere il microfono posizionato a un soffio dalla bocca, in un tacito invito a esprimersi.
 
“Uh, sì. Siamo stati…bene.”
 
Viene posta qualche altra domanda sui personaggi, poi la giornalista congeda gli spettatori con un saluto e li lascia liberi. Castiel viene rapito da una sua collega prima che lui e Dean abbiano il tempo di scambiarsi anche una sola parola.
 
Probabilmente, non lo avrebbero fatto comunque.
 
*
 
Alla prima, la quantità dei presenti è incredibile: addetti ai lavori, esponenti della critica, star del cinema e dello show business si mescolano a formare una marea brulicante di cui non si individuano i confini.
 
Dean era stato convinto che avrebbe vissuto con null’altro che eccitazione quell'occasione, eppure, adesso, essere in mezzo a quella calca e oggetto della sua attenzione gli appare tutt’altro che desiderabile.
 
L’unico aspetto positivo è che potrà evitare Castiel senza alcuno sforzo: in quella ressa, il difficile sarebbe incrociarsi.
 
Le prime file sono riservate ai membri di cast e produzione; Crowley è seduto al centro di quella più vicina al maxischermo, addosso l’aria tronfia di un re erto sul proprio trono.
 
Dean si sistema in seconda fila, occupando la posizione più laterale tra quelle ancora libere.
 
Basterebbe restare rintanato in quell’angolo con gli occhi incollati allo schermo; basterebbe questo, eppure, mosso da un istinto irrefrenabile, Dean comincia a passare in rassegna le poltrone e si ferma soltanto quando individua il profilo di Castiel.
 
È seduto qualche posto più in là rispetto a Crowley. Alla sua destra è posizionata Hannah, a sinistra---
 
Dean distoglie lo sguardo talmente in fretta che Balthazar resta una macchia sfocata sul bordo del suo campo visivo; la fitta di dolore che lo attraversa, invece, è dolorosamente nitida.
 
Non è così che dovrebbe sentirsi; dovrebbe essere euforico come un bambino e compiaciuto come chi ha ai suoi piedi l'intero universo.
 
È tutto maledettamente sbagliato e lui è un fottuto idiota, un ingrato che non merita di occupare quel posto.
 
“Signore e signori, la proiezione sta per cominciare.”
 
Le luci si abbassano e il vocio tace.
 
Alla prima scena condivisa da lui e Castiel, la realizzazione si presenta come la più spietata delle epifanie.
 
Secondo me a Neal piace Manakel.
 
Ogni volta che Manakel è presente, Neal gli gravita attorno come un satellite incapace di lasciare la propria orbita. È talmente evidente che Dean si sente messo a nudo davanti all’intera platea; lo fa sentire piccolo, e patetico, soprattutto adesso che Castiel è seduto accanto a una persona che fa davvero parte della sua vita e non vi si intrufola soltanto quando i riflettori sono accesi.
 
Una persona che non è lui.
 
È quello che vuoi e che non potrai mai avere, sembrano dirgli le immagini che scorrono sullo schermo. Il promemoria diventa più impietoso ogni volta che gli occhi di Neal si agganciano a quelli di Manakel, a ogni tocco che Dean sa di aver dispensato per una pura concessione personale e non su previa indicazione del copione.
 
Alla fine della proiezione, Dean non aspetta nemmeno che l’applauso si consumi prima di lasciare la sala. Si dirige a passo spedito verso il buffet e punta il punch, sperando che sia abbastanza alcolico da aiutarlo ad affrontare il resto dell’evento.
 
Bere funziona, più o meno. Lo aiuta a distribuire saluti gioviali e persino qualche battuta sagace, ad appiccicarsi in viso un sorriso abbastanza convincente da abbindolare chi gli sta intorno. Non gli svuota la mente, ma può accontentarsi; l’importante è non crollare lì, davanti a tutti, rovinando l’occasione più grande della sua carriera.
 
Charlie non glielo perdonerebbe mai.
 
(John non glielo perdonerebbe mai.)
 
Dean resta faticosamente aggrappato a quell’equilibrio precario fino a quando Castiel non si materializza davanti ai suoi occhi, mostrandolo per l’illusione che era e facendolo andare in pezzi: i cocci sono sparsi ovunque e Dean sa che sarà inevitabile ferirsi. “Ehi, Cas.” Ma può rimandare quel momento. Può camminare tra le schegge senza farsi male, ancora per un po’. “Balthazar? Te lo sei perso?”
 
Castiel gli rivolge uno sguardo accigliato che Dean non è in grado di decifrare. Darebbe la colpa all’alcol, se Castiel non fosse stato fin dal primo giorno un maledetto rebus che Dean si è intestardito a voler risolvere. “Dean, sei ubriaco.”
 
È una mera constatazione, senza l’ombra di giudizio al suo interno, eppure, alle orecchie di Dean arriva come un’accusa, l’indice severo di un giudice che smaschera le colpe dell'imputato davanti alla corte.
 
“Non sono ubriaco.” Non suona duro come avrebbe voluto; le parole escono storte e strascicate dalla sua bocca, confuse come scarabocchi vomitati dalla penna malferma di un bambino. “La stampa ci aspetta.”
 
Castiel compie un altro passo verso di lui, invadendo il suo spazio personale – non sei molto credibile, se lo dici mentre mi stai appiccicato. “È meglio se ce ne andiamo.”
 
“Crowley non sarebbe contento se sabotassimo la conferenza.”
 
“Non sei nelle condizioni di prender parte ad alcuna conferenza. Lascia che---” Castiel fa per afferrargli un braccio, ma Dean arretra, sottraendosi in malo modo alla presa. “Chi ti credi di essere?” Un moto di rabbia gli incendia la voce e gli fa tremare le dita, rendendo la presa sul bicchiere incerta. “Sono mesi che non ci sentiamo. Mesi. Puoi continuare a fingere che non esista come hai fatto per tutto questo tempo.”
 
Parte del contenuto si rovescia, sporcandogli la giacca. Dean non ci fa caso; bada soltanto all’espressione di Castiel che per un momento - un solo, singolo momento, impalpabile come un refolo di vento - viene attraversata da una specie di spasmo. È un attimo, e poi la sua faccia torna imperscrutabile, un blocco di marmo privo di scanalature. Sembra la faccia di Manakel, più che la sua.
 
Dean vorrebbe capire o, in alternativa, mollargli un pugno dritto sui denti.
 
“Andiamo.”
 
Questa volta, Dean si lascia portar via. Non è abbastanza lucido da opporre resistenza e non è nemmeno così sicuro di volerlo fare; la rabbia che sentiva ribollire dentro si spegne, come una fiammella a cui è stato tolto di colpo l’ossigeno.
 
Uno stuolo di occhiate pungenti e mormorii concitati si leva al loro passaggio. Dean lo avverte come fosse qualcosa di fisico, una specie di nube che gli si addensa intorno e preme e pesa pur non avendo una reale consistenza.
 
Alla fine, è contento di lasciarsela alle spalle.
 
*
 
Dean è ridestato dallo scatto della porta che viene chiusa alle sue spalle.
 
Smaltita l’adrenalina prodotta dallo scontro con Castiel, l’intontimento ha preso il sopravvento e lo ha gettato in uno stato di semi incoscienza dal quale non è mai veramente uscito.
 
Per tutto il tragitto ha vissuto sprazzi di lucidità simili a lampi, che ora gli tornano alla mente come la sequenza di una pellicola: Castiel che lo infila nella parte posteriore di un taxi; l’autista che biascica qualcosa riguardo alla loro presunta somiglianza con quegli attori di cui non ricorda il nome; un bancone e una tessera magnetica e un numero di camera.
 
In mezzo, una serie di buchi scavati dall’alcol.
 
Non sa quanti chilometri abbiano percorso né dove siano arrivati; sa soltanto di essere in quella che ha tutto l’aspetto di una stanza d’albergo, le pareti tinteggiate di bianco e il letto a una piazza incassato al muro.
 
Dean viene trascinato fin lì.
 
Ha soltanto una vaga percezione delle mani che lo spingono gentilmente sul materasso, che gli sfilano la cravatta e gli liberano i piedi dall’involucro delle scarpe. Il tocco diventa più nitido quando approda sul suo viso; dura il tempo di un battito di ciglia, eppure, gli si imprime addosso come se si fosse trattato di un contatto lungo e approfondito.
 
“Cas.”
 
Dean realizza d’aver artigliato il polso di Castiel soltanto quando lo tiene già intrappolato tra le dita.
 
È ubriaco, in fondo. Potrà attribuire all’alcol qualsiasi cosa dica e non è come se ci sia ancora qualcosa da compromettere, ormai.
 
Forse non c’è mai stato.
 
“Vorrei che mi baciassi di nuovo.”
 
Passa un momento di assoluta immobilità, in cui tutto pare sospeso su di un filo invisibile che un alito di vento basterebbe a spezzare; poi, Castiel rompe la stasi liberandosi dalla sua presa.
 
A quel punto, Dean chiude gli occhi e cede al sonno.
 
*
 
Quando si sveglia, il cerchio alla testa preme a tal punto contro le tempie che Dean sente il bisogno di pressarle con le dita. Si alza, e un conato gli risale lungo la gola, minacciando di riversarsi all’esterno.
 
Come per miracolo, Dean riesce a trattenerlo fino al bagno. Dopo aver raggiunto il gabinetto di corsa ci si inginocchia davanti e vomita tutto l’alcol che aveva in corpo e, forse, anche qualcos’altro che non è davvero sicuro di voler identificare.
 
È soltanto quando torna nella stanza che nota l’aspirina poggiata sul comodino, riposta accanto a un bicchiere pieno per metà.
 
Dean la prende, mandandola giù insieme all’acqua con un unico sorso.
 
A quel punto, si guarda intorno.
 
Non ci sono vestiti da usare come ricambio, pertanto, si limita a tornare in bagno per darsi una rassettata. Si sciacqua il viso e l’acqua fredda fa riemergere le immagini di Castiel che lo sistema a letto. Per un momento Dean crede che si sia trattato soltanto di un sogno; che tornerà fuori e troverà steso tra le lenzuola qualcuno di cui nemmeno conosce il nome e che non ha gli occhi del colore giusto. Persino in quell’attimo di incertezza, sa che il ricordo del tocco di Castiel è troppo nitido per essere il frutto di un’allucinazione.
 
Inoltre, la pasticca non è di certo spuntata fuori dal nulla.
 
Dean concede un’ultima occhiata alla sua immagine riflessa e scende nella hall. Castiel è poggiato al bancone della reception, addosso gli stessi vestiti che indossava alla prima; Dean si domanda dove abbia dormito e, in generale, se lo abbia fatto.
 
Tira un lungo respiro prima di raggiungerlo, un mi dispiace dovuto a troppe cose che rimbalza tra le pareti della sua mente.
 
È lì, però, che Dean lo lascia.
 
“Come stai?” gli chiede Castiel. Lo fa con un’attenzione di cui Dean vorrebbe non accorgersi; sarebbe tutto più semplice, se non ci riuscisse.
 
“Meglio, dopo aver vomitato anche l’anima.”
 
La battuta non scioglie la tensione; Dean la avverte sfrigolare tra di loro come elettricità, rigettandogli in gola le parole che vorrebbe pronunciare.
 
“Grazie…” per esserti preso cura di me “…per l’aspirina.”
 
Castiel è sul punto di rispondere, ma poi si ferma, come se la replica non avesse trovato la strada per arrivare in superficie. “Ti avrei baciato” dice d’un fiato. “Se non fossi stato ubriaco. Lo avrei fatto.”
 
Dean schiude le labbra, ma non riesce ad emettere più di un respiro spezzato. “Ma--- Balthazar?”
 
“Si occupa dell'organizzazione di eventi promozionali; è così che ci siamo conosciuti. Crowley mi ha chiesto di parlargli per la prima. È per questo che era presente.”
 
Dean non è mai stato in spiaggia da bambino, ma è sicuro che non ci si debba sentire troppo diversamente quando il castello di sabbia che si è diligentemente costruito crolla sotto l’attacco di un’onda inattesa.
 
“Io credevo---”
 
“Dean Winchester.” Gli sguardi di entrambi convergono nel punto da cui la voce è provenuta. Charlie attraversa la hall a passo marziale, gli occhi infuriati puntati su Dean come un indice accusatore. Dopo essersi piazzata di fronte a lui, riprende a parlare. “Si può sapere che fine avevi fatto?” tuona. “Ho Crowley sul piede di guerra, la stampa sul piede di guerra, tuo fratello sul piede di guerra e---” Quando si accorge che l’attenzione di Dean è rivolta altrove, interrompe la filippica; si volta, e incontra Castiel. “Oh” esala, sorpresa. “Non importa: troverò una scusa per tutti.”
 
“Tranquilla: stavo andando via.” Castiel fa scivolare lo sguardo lungo la figura di Dean, una specie di malinconia a riempirgli gli occhi. “Chiamami, se vuoi.”
 
Dean lo segue nel suo allontanarsi fino a quando non lo vede sparire oltre l’uscita. “Sono un idiota.”
 
“Dimmi qualcosa che non so.”
 
Silenzio. Dean non ha idea di come riempirlo. Dovrebbe chiedere scusa anche a Charlie, probabilmente, ma non lo fa. “Chiamo io Crowley” dice invece; è più comodo, e semplice, per un vigliacco come lui.
 
“Non ce n’è bisogno.” Per sua fortuna, Charlie ha sempre saputo vedere oltre le parole che tace. “Va’ a casa.”
 
*
 
È un momento non meglio precisato della mattinata quando il campanello suona, annunciando una visita inattesa.
 
È piuttosto raro che Dean ne riceva; dopo quanto accaduto, però, si aspettava che Charlie sarebbe passata per aggiornarlo di persona.
 
Con il torpore del risveglio ancora addosso, si trascina verso la porta. Non ha un aspetto esattamente presentabile, ma con Charlie non sarà un problema.
 
Non è lei, però, che gli si para davanti.
 
“Sam?”
 
“Spero tu non abbia già fatto colazione.”
 
Dean sposta lo sguardo da Sam al sacchetto di carta che tiene in mano; poi, lo fa riapprodare sul volto di suo fratello. È la prima volta che lo vede da quando si è trasferito; per tutto quel tempo, è stato troppo impegnato a convincersi di non soffrirne la lontananza per accorgersi di quanto profondamente gli mancasse.
 
“Entra.”
 
*
 
Dean arraffa una forchetta al volo e prende posto al tavolo della cucina. Sam si sistema di fronte a lui.
 
Chiacchierano come non facevano da tempo, tra accenni di riso e stralci di ricordi: Dean gli domanda da quanto non tagli i capelli e Sam gli fa notare che mangiando con quella voracità finirà per morire soffocato dal suo dolce preferito.
 
“Sarebbe una fine onorevole.”
 
Riesce quasi a rilassarsi e a dimenticare la direzione che la conversazione è destinata a prendere. Il silenzio prolungato in cui piombano all’improvviso funge impietosamente da promemoria.
 
Dean lo ignora, rivolgendo l’attenzione a quel che resta della pie. Si è già sentito un fallito agli occhi di Castiel e di Charlie; l’ultima cosa di cui ha bisogno è di provare la stessa sensazione al cospetto di suo fratello.
 
Torna a mangiare, questa volta con lentezza. Gli occhi di Sam puntati addosso premono come una spinta quasi fisica, mettendogli una soggezione che lo fa rimanere a testa bassa.
 
“Io e Eileen abbiamo prenotato per il primo spettacolo sottotitolato.” Adesso, il piatto è vuoto. Le briciole ammucchiate sul bordo sono improvvisamente la cosa più interessante che Dean abbia mai visto in vita sua. “Siamo impazienti di vederlo.”
 
“Cos’hai letto?” Dean non alza la testa. Non è arrabbiato, eppure, la sua voce ribolle come se lo fosse. “Sai quello che è successo alla prima, no? Per questo sei qui.”
 
“Sono qui perché sono tuo fratello, Dean: ero preoccupato per te.” Dacché ha memoria, Dean si è sempre avvalso di meccanismi di difesa da stronzo patentato: più si sente debole, più si corazza, e poco importa se l’armatura che indossa finisce per ferire gli altri. “Ho sentito Charlie e sono venuto. Preferisco sapere le cose da te che cercarmele su Internet.”
 
“Non c’è niente da sapere, Sammy.” Le sue difese si abbassano senza che possa fare nulla per impedirlo. È troppo faticoso mostrarsi forte; è qualcosa che lo ha sfiancato per tutta la vita. Non può fare quello sforzo, adesso. “Ho rovinato in un colpo solo la miglior occasione della mia carriera e---” Non siamo tornati insieme. Crowley mi ha chiesto di contattarlo perché si occupasse dell’organizzazione. “Ti sbagliavi: papà non sarebbe fiero di me.”
 
“Puoi smetterla di pensare a papà e concentrarti su te stesso, per una volta?”
 
Finalmente, Dean lo guarda. Sembra quasi incastrato in quella sedia troppo piccola per la sua stazza; Sam è grande e grosso e adulto e, per un momento, la presa di coscienza lo spiazza completamente.
 
Eppure, avrebbe dovuto realizzarlo molto prima di allora: Sam si è costruito una brillante carriera di avvocato, ha trovato una donna meravigliosa da amare, ha comprato casa e sta conducendo la vita dei suoi sogni; la vita che meritava di vivere.
 
La verità è che ha smesso di essere il fratellino da proteggere molto tempo fa e che in fondo Dean se ne era già reso conto; solo, non si era mai messo faccia a faccia con la consapevolezza.
 
“Volevi diventare un attore affermato, e ci sei riuscito. Lascia stare quello che è successo; sai come funzionano queste cose, un paio di giorni e il web sarà concentrato su altro. Quello che resterà è che hai fatto questo film, e lo hai fatto alla grande. Era quello che hai sempre sognato, e lo hai ottenuto. Se c’è qualcos’altro che vuoi, va’ e prenditelo.”
 
Dean lancia un’altra occhiata al piatto; anziché fermarsi a contemplarlo, lo spinge via e torna a guardare Sam.
 
“Saresti molto più bravo come mental coach che come avvocato” dice, poi si fa serio. “Grazie, Sammy.”
 
“Figurati; per una fetta di pie.”
 
“Non parlavo di quello.”
 
Sam gli rivolge un sorriso fatto di premura e comprensione.
 
Per un momento, Dean rivede davanti agli occhi i sorrisi pieni che gli venivano regalati quando cedeva spontaneamente la sua merenda, o quando accettava di perlustrare la loro stanza per dimostrare che non c’erano mostri nascosti sotto al letto o sul fondo dell’armadio.
 
“Di niente.”
 
*
 
Quando Castiel fa il suo ingresso, la sensazione di déjà-vu colpisce Dean come un pugno sferrato dritto allo stomaco.
 
Sono passati mesi dall’ultima volta che sono stati in quel posto. Dean evita di indugiare sulle circostanze; servirebbe soltanto a rendere le cose più difficili e non è decisamente quello di cui ha bisogno al momento: si sente già come se fosse in procinto di scalare un monte altissimo senza la preparazione necessaria a evitare una rovinosa caduta.
 
“Ciao.”
 
È seduto sopra la sua cassa. Era ancora lì, esattamente dove l’aveva lasciata, malgrado il set sia stato svuotato da buona parte dell’attrezzatura che lo riempiva.
 
Se credesse a stronzate come il destino, lo considererebbe a tutti gli effetti un segno.
 
“Ciao, Dean.”
 
“Grazie” dice; è sincero, e impacciato, un po’ come la prima volta che si è ritrovato a parlare con Castiel e ha dovuto convogliare tutte le sue energie nel tentativo di non balbettare. “Per essere venuto. Non sapevo se l’avresti fatto.”
 
“Hai fatto riaprire il set apposta: non potevo mancare.”
 
Ha davvero venduto la sua anima a Crowley, o qualcosa del genere, per ottenere il permesso, ma ne è valsa la pena.
 
O, almeno, spera che sia così.
 
“È strano essere qui e non dover provare.”
 
“Già.”
 
Mancano i copioni. Se ce ne fosse uno a cui poter rivolgere l’attenzione, forse sarebbe tutto più semplice. “Mi dispiace di non essermi fatto sentire.” Per lui, almeno; Castiel non ha bisogno di spinte per tirare fuori le parole. “Dopo l’ultima volta che abbiamo provato…Non sapevo se era quello che volevi.”
 
Vuoi che ti accompagni?
No, io--- vado da solo.

 
Dean ha l’istinto di chiarire, ma sarebbe soltanto un rimandare: è ora di chiamare a raccolta il coraggio e calare la maschera.
 
“Avevi ragione: a Neal piace Manakel. Gli piace in quel senso. Solo, lui è un angelo e, be’, Neal non ha molta autostima, come potrebbe credere di essere all’altezza di una creatura del genere? È convinto che Manakel sia totalmente fuori dalla sua portata; che non si interesserebbe mai a lui; che si sistemerà con Maggy e si dimenticherà persino della sua esistenza.”
 
Quando Castiel raggiunge la cassa, Dean arretra per ritagliargli spazio; ce n’è abbastanza da permettere a entrambi di starci seduti, ma non di farlo comodamente. Il fianco di Castiel preme contro quello di Dean e, quando Castiel si volta, finiscono per trovarsi incredibilmente vicini. Forse lo sarebbero meno se Dean non fosse proteso in avanti; c’è qualcosa, però, che lo spinge a non arretrare nemmeno di un millimetro.
 
“Neal non è in grado di vedere la persona meravigliosa che è. Se potesse guardarsi con gli occhi di Manakel, magari se ne renderebbe conto.”
 
Quelle parole sciolgono gli ultimi residui di paura rimasti dentro Dean. Ora c’è soltanto il sentimento che lo ha spinto fin lì, privo di qualsiasi freno o rivestimento, e Dean non ha intenzione di tornare a nasconderlo.
 
“Vuoi ancora che ti baci?”
 
“Sempre.”
 
Allora, Castiel lo fa.
 
*
 
La seconda va decisamente meglio: Dean si siede accanto a Castiel e si gode tanto la proiezione quanto l’applauso scrosciante che accompagna i titoli di coda.
 
All’esterno, ci sono le grida estatiche dei fan e gli obiettivi affamati dei fotografi ad accoglierli.
 
Un attimo prima che la raffica di flash li investa, Crowley scosta in malo modo le persone che si frappongono tra lui e Dean. Si posiziona accanto a lui e gli cinge le spalle con un braccio, il sorriso minuziosamente attaccato alla bocca. “La prossima volta che sparisci nel mezzo di un evento promozionale ti sguinzaglio contro i miei mastini infernali” gli intima a denti stretti, senza scomporre la maschera messa su per i fotografi.
 
“Chi?”
 
“I miei avvocati. Dovrai risarcirmi più di quello che hai guadagnato e sarai completamente finito, come attore. Non verrai ingaggiato nemmeno per le televendite. Chiaro?” Crowley si sposta verso i fotografi assiepati dalla parte opposta, trascinando Dean con sé. “Sorridi.”
 
Dean obbedisce prontamente. “Trasparente” mormora.
 
“Bene.” Crowley lo lascia andare e, con un ampio gesto delle braccia, indica lui e tutta la fila allineata sul red carpet. “Un cast eccezionale, signori: eccezionale!”
 
*
 
Discrezione.
 
È stata la loro parola d’ordine, e ha funzionato: a circolare sono state soltanto voci già diffusesi al tempo delle riprese e bollate come i deliri di fan che confondono la realtà con le proprie fantasie.
 
Non è emersa alcuna conferma; nessuna prova che potesse avallarle.
 
Ma Dean ha saputo sin dall’inizio che un giorno sarebbero dovuti uscire allo scoperto; che anche i giornali, prima o poi, ci sarebbero arrivati.
 
Per questo non si è scomposto quando Charlie gli ha segnalato la foto di lui e Castiel mano nella mano sulla soglia del ristorante dove hanno consumato la cena da cui è partito tutto.
 
In fondo, non è davvero un problema.
 
The Huffington Post scrive che c’è qualcosa tra di noi.”
 
Castiel si limita a scrollare le spalle. “Lo dicevano anche di tua madre e tuo padre.”
 
Dean sbuffa una risata e afferra la cravatta di Castiel per tirarlo più vicino; quando lo bacia, sente il suo sorriso dispiegarsi contro le labbra.
 
*
 
Il suono delle chiavi infilate nella toppa gli arriva alle orecchie, distogliendo la sua attenzione dai messaggi di Charlie.
 
È diventato un segnale familiare, di quelli che Dean ha imparato ad attendere e che ha finito per assimilare.
 
Eppure, all’inizio, l’idea di convivere con Castiel era talmente surreale da parergli un sogno vissuto a occhi aperti. Quando ha varcato per la prima volta la soglia di casa – della loro casa - ha provato lo stesso senso di straniamento che lo ha assalito nel trovarsi seduto a tavola con lui in quel ristorante un anno prima.
 
All’epoca, Castiel era qualcosa di lontano e irraggiungibile, un pianeta nella cui orbita Dean si riteneva finito in modo del tutto accidentale. Oggi, finalmente, sente che non è un intruso in quella traiettoria e che ha tutto il diritto di stazionarci.
 
“Ehi.” Castiel si china a schioccargli un bacio all’altezza della tempia. “Novità?”
 
“Offerta per il ruolo da protagonista in uno show sul soprannaturale.”
 
“Con tanto di angeli?”
 
“E di demoni.” Dean ripone il cellulare e si drizza sulla sedia, facendo aderire la schiena alla spalliera. “Tu?” domanda, il capo rivolto all’insù a fissare Castiel che è ancora in piedi alle sue spalle.
 
“Proposta di doppiaggio. Non so se accetterò.”
 
“L’hai già fatto per il film di Gabriel, no?”
 
“Sì, be’, solo perché avevo perso una scommessa: non è il mio campo.”
 
“Da come te la sei cavata, non si direbbe.”
 
La realizzazione è un allarme che suona all'impazzata tra le pareti della testa di Dean; è assordante, e terribile, ma drammaticamente tardivo.
 
“Lo hai visto.”
 
“No.” La risposta sfreccia fuori dalla sua bocca alla velocità di un treno in corsa. “Ho, uh…letto delle recensioni.”
 
Gli angoli della bocca di Castiel sono pericolosamente piegati verso l’alto. In un attimo, è posizionato davanti a Dean. Quando si abbassa per sederglisi in grembo, i suoi occhi sono scuri come il più profondo dei fondali.
 
“E cosa dicevano?” chiede, sporto a un soffio dal suo orecchio. Spinge il bacino contro quello di Dean una, due, tre volte, prende tra i denti la carne morbida del lobo. “Cosa dicevano, Dean?”
 
Prima che Dean possa anche solo aprir bocca, Castiel fa sgusciare una mano tra le sue gambe e preme il palmo lì dove il tessuto è diventato dolorosamente stretto. L’ondata di sollievo strappa a Dean un gemito roco; quando lo sente risalire dal fondo della gola, nemmeno prova a trattenerlo.
 
Oscilla i fianchi per andare incontro al tocco di Castiel, alla ricerca di tutto il contatto possibile. Verrà nei pantaloni come un fottuto adolescente, ma la dignità non è in cima alla sua scala di priorità, al momento; è infinitamente più in basso, ben al di sotto delle dita di Castiel che premono sul cavallo dei suoi jeans e delle fitte di piacere che dal bassoventre si spandono fino a---
 
“Perché ti sei fermato?”
 
“Non mi hai risposto.”
 
Dean prova a spingersi in avanti, ma Castiel gli tiene i fianchi saldamente inchiodati alla sedia. Anche sforzandosi, non riesce a ottenere l’attrito di cui ha bisogno. “Cristo.” Dovrebbe essere Manakel quello con la forza sovrumana, porca troia. “L’ho visto, va bene?”
 
“E…?”
 
“E mi sono masturbato. Mentre ti ascoltavo.”
 
Castiel torna a concedergli un po’ di pressione, ma è così lontano dall’essere abbastanza che ottiene soltanto di aumentare la sua frustrazione.
 
“Ti eccita la mia voce?”
 
” butta fuori Dean, in un ringhio sommesso. “Mi eccita, sì. Ora smettila di fare il figlio di puttana e fammi venire.”
 
Dean è incapace di detestare l’espressione soddisfatta dipinta sul volto di Castiel, ma si appunta mentalmente di vendicarsi. In un momento in cui il suo cervello sarà più attivo del suo cazzo, magari.
 
“Ai tuoi ordini.”
 
Castiel gli apre i pantaloni e lo fa sollevare quel tanto che basta a calarglieli insieme agli slip; poi, si alza per sistemarsi tra le sue gambe.
 
Forse la vendetta non è poi così necessaria.
 
 
 
Tre anni dopo
 
Cosa accade tra il boato con cui viene accolto il suo nome e il momento in cui si ritrova la statuetta tra le mani, Dean non saprebbe dirlo. Non ricorda il modo in cui ha reagito alla proclamazione né i passi che ha mosso per arrivare sul palco né l’istante in cui gli è stato porto il premio; è come se fosse stato catapultato direttamente a quel punto, con il microfono davanti e la platea del Dolby Theatre che pende dalle sue labbra.
 
“Non me lo aspettavo” esordisce; poi, però, aggiusta il tiro. “In realtà, ‘Non me lo aspettavo’ è quello che avrebbe detto il vecchio Dean Winchester, quello che non credeva in se stesso ed era convinto di non meritare nulla di buono. Un bel giorno, una persona ha fatto sì che mi guardassi con occhi diversi; che vedessi cose che mai avrei immaginato di trovare in me stesso. Quella persona mi fatto capire che ero in grado di farcela; che potevo persino arrivare a vincere un fottuto Oscar. Se sono qui oggi è grazie a mia madre e all’eredità che mi ha lasciato e a mio padre e al suo instancabile sostegno; se ho creduto di poterci essere, invece, è grazie a lei.”
 
Dean si prende gli applausi con la gioia spavalda di chi è convinto di meritarli tutti.
 
Dagli spalti, Castiel gli sorride.
 
 
  
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