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Autore: SusanTheGentle    25/03/2019    5 recensioni
Ricordo il periodo delle medie…
Nella mia scuola c’era un ragazzo che non parlava quasi con nessuno. Era diverso da tutti i miei compagni, privo di quell’aria anonima tipica degli studenti della Toho, la carnagione un po’ più scura di un comune giapponese, come se avesse passato tutta la vita sotto il sole. E, come il sole, brillava di luce propria. Fu per questo che attirò la mia attenzione.
Lui spiccava prepotente tra la folla, simile a un felino dentro un recinto di pecore tutte maledettamente uguali.
Genere: Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Danny Mellow/Takeshi Sawada, Ed Warner/Ken Wakashimazu, Kojiro Hyuga/Mark, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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8. Quasi amici
 
 
Appoggiato allo stipite della porta socchiusa del minuscolo salotto, le braccia conserte, Mark ascoltava la voce di sua madre parlate al telefono con la signora Brighton. Anche se l’aveva incrociata una volta sola, la madre di Kira non gli piaceva, per via di quella puzza sotto il naso e l'aria di chi pensa di essere migliore a prescindere. Mark detestava la gente così. Solo perché avevano qualche zero in più nel conto in banca non dovevano essere necessariamente migliori.
«Allora siamo d’accordo, signora» udì la mamma dire. «Ma certo, Mark è più che disponibile, e se il negozio è a Saitama è ancora meglio, noi abitiamo lì. Gliene avrei indirizzato uno io ma visto che lo avete già trovato... Certo, Kira potrebbe venire da noi dopo la scuola... Come preferisce lei»
Judith riattaccò pochi secondi dopo, voltandosi verso il figlio maggiore. «Sabato pomeriggio la tua compagna verrà a casa nostra»
A Mark cadde la mascella. «Viene qui?»
«Sì. Perché tanto stupore?»
Perché non voglio che venga qui, avrebbe voluto dirle. Non voglio che veda dove abitiamo, perché capirà che siamo poveri.
Non disse niente, per non ferire la mamma.
Mark non aveva mai provato vergogna per la propria situazione famigliare. Non erano né i primi né gli ultimi in precarie condizioni economiche. La sua riluttanza era tutta rivolta al presumibile atteggiamento che Kira avrebbe assunto una volta messo piede sui gradini di casa. Probabilmente era una snob come sua madre.
«Vai a un appuntamento con una ragazza, Mark?» gli chiese Matt, il piccolo dei Lenders, seduto sul pavimento del salotto a giocare con un camioncino dei pompieri.
Nathalie ridacchiò dietro il quaderno dei compiti.
«Assolutamente no!» sbottò il ragazzo. «È solo una compagna di scuola a cui devo una specie di favore»
«Se esci con una ragazza è di fatto un appuntamento» Teddy, seduto sul divano, trattenne un sorriso.
«Non è un appuntamento, piccoli impiccioni. Sarà solo una gran seccatura». Ma ormai la frittata era fatta.
La mamma gli mise in mano un pezzetto di carta sul quale aveva preso un appunto mentre era al telefono.
«Tieni. Questo è l’indirizzo del negozio di biciclette»
Mark lo prese e una ruga gl’increspò la fronte. «Un negozio di Saitama? Perché non a Tokyo? Quella lì avrà un sacco di soldi, cosa se ne fa di un rigattiere di Saitama?» sputò fuori con avversione.
«Non sta a te decidere» replicò la signora Lenders. «Avrà delle conoscenze da queste parti. Ora va a finire i compiti, io devo preparare la cena»
 
 
 Kira camminava con gli occhi incollati al foglietto sopra il quale era disegnata la mappa per arrivare a casa Lenders. La cartina era stata disegnata a pugno dalla mamma, che le aveva raccomandato più e più volte di stare attenta, di non combinare ulteriori guai, di essere gentile con i Lenders e di tornare a casa per le otto in punto.
Risa non si smentiva mai. La sua fiscalità era leggenda.
La mamma aveva parlato al telefono con la madre di Mark e si erano accordate perché lei andasse a Saitama quel sabato pomeriggio. Kira non aveva idea che lui abitasse proprio a Saitama, era veramente una coincidenza allucinante. Ovunque andava, sembrava che Mark dovesse incastrarsi nella sua vita. Era dappertutto, come il prezzemolo! Chissà di quale colpa la accusavano i kami per averle dato una punizione tanto scocciante.
Ora che non doveva più allenarsi per la festa dello sport, Kira aveva tutto il weekend libero. Si sarebbe annoiata a morte senza Jem, con la quale andava sempre a fare un giro a Shibuya, Shinjuku o Akihabara. Il negozio di bici era un’alternativa ai pomeriggi con la sua amica, alternativa in cui poteva unire l’utile al dilettevole. Inoltre, dopo che Mark si era offerto di sua sponte per aiutarla a riparare la bici, trovava la cosa ancora più entusiasmante.
Le indicazioni condussero Kira su una strada dove sorgevano una serie di vecchie abitazioni tutte più o meno uguali, costruite in stile tradizionale giapponese (1). In una Tokyo straripante di moderne case di cemento e alti palazzi in vetro e metallo, non se ne vedevano più molte fatte in quel modo. Lei stessa viveva in una villetta all’occidentale. Ma nelle periferie e nelle zone rurali era ancora possibile trovare le tradizionali case fatte di legno, paglia e carta, semplici e minimali.
A Kira erano sempre piaciute, come quella della nonna, con il suo portico in legno e il bel giardino zen. Ad un’occhiata più attenta, però, la ragazza capì di essere in un quartiere dove viveva gente non propriamente ricca.
Le abitazioni si alternavano sui due lati della strada: numeri dispari sulla sinistra, numeri pari a destra. La casa dei Lenders la seconda sulla sinistra.
Kira salì i tre gradini che la separavano dal piccolo pianerottolo e pigiò il campanello sotto al numero tre. Un istante dopo la porta si aprì ed apparve il viso gentile della signora Lenders.
«Buongiorno» salutò educatamente la ragazza.
«Buongiorno, cara. Entra pure». Judith si spostò per farla passare. «Accomodati. Vado a chiamarti Mark»
La donna sparì nel corridoio, mentre Kira si fermava a togliere le scarpe nell’ingresso. Avanzò timidamente verso l’interno della casa, udendo le voci di Mark e di sua madre. Poco dopo se lo ritrovò davanti, il solito cipiglio sul viso abbronzato.
«Ciao»
«Ciao» rispose lui.
Mark si prese un momento per studiarla. Era strano vedersi fuori dal contesto scolastico. Senza quella divisa nera e austera indosso, Kira assumeva un’aria più sbarazzina. Indossava un paio di pantaloni azzurri invece della gonna, un orsetto disegnato sulla maglietta rosa che attestava tutti i suoi tredici anni.
Infantile.
Ma le trecce in cui aveva legato i capelli le conferivano un’aria quasi simpatica. E poi pettinata così era…
«Mark, fai accomodare la tua amica» lo riprese la signora Lenders, tornando con sei bicchieri su un vassoio.
«Non siamo amici, mamma, quante volte te lo devo dire?»
«Ma Mark!»
«Oh, non ci badi, signora» la rassicurò Kira. «Sono abituata alla sua boccaccia»
Mark ringhiò qualcosa di indefinito, precedendola in salotto. Se mamma aveva già preparato delle bibite era inutile cercare di svignarsela al più presto. Accidenti, non gli andava di avere la Brighton sotto il suo tetto.
Entrando nel piccolo salotto, Kira fu sorpresa di trovarci tre bambini tra i quattro e i nove anni. Non aveva idea che Mark avesse dei fratelli, non avevano mai discusso di cose personali.
 «Ciao» li salutò con un bel sorriso.
«Ciao» risposero timidamente i piccoli Lenders in un coretto scordato.
«Tu sei Kira-san?» esordì Nathalie fissandola con l’innocente impertinenza di bambina di sette anni. Suo fratello Mark non aveva mai portato amiche femmine in casa, era una novità per tutti loro.
Kira annuì alla domanda, porgendo la mano a Nathalie. «Kira Brighton. Piacere di conoscervi. E voi come vi chiamate?»
«Io sono Nathalie. Lui è Teddy e lui Matt»
Matt nascose il visetto dietro il suo cagnolino di peluche.
«Fa il falso timido» disse Teddy, «di solito non sta mai zitto»
Kira si fece guidare dalla mano sicura di Nathalie verso il basso tavolino al centro della stanza. La bambina sembrava particolarmente felice, ed espresse la contentezza sedendo in braccio alla ragazza, la quale si accomodò sul tatami (2) vicino a Mark.
La signora Lenders posò al centro del tavolino il vassoio che aveva in mano. «Ho pensato fosse meglio un’aranciata fresca piuttosto che una tazza di tè, vista la temperatura quasi estiva» disse, distribuendo i bicchieri ai ragazzi e tenendo l’ultimo per sé.
«La ringrazio, signora. Non doveva disturbarsi tanto» ringraziò Kira, assetata dopo il viaggio in treno e la camminata sotto il sole.
«Nessun disturbo. Siamo noi che ne abbiamo creato a te e a tua madre»
«M-ma no, che dice?». Kira abbassò lo sguardo sulla superficie del tavolino. «Dopotutto, l’ho rotta io la finestra della presidenza»
Non avrebbe mai detto nulla contro Mark davanti a sua madre, anche se continuava ad attribuirgli parte della colpa e dei guai che li avevano condotti fino a lì. Non era così insensibile da affliggere una signora così gentile. La signora Lenders non aveva dispensato Mark da una punizione; ciononostante, una mamma avrebbe sempre ripeso le difese del figlio per quanti errori potesse commettere, dai più gravi ai più sciocchi. Bè, tutte tranne Risa. La signora Lenders, invece, sembrava proprio quel tipo di mamma.
«In fin dei conti, la colpa è anche mia» disse Kira a Mark, quando Judith si chinò verso Matt che si era rovesciato un po’ d’aranciata sulla maglietta.
Rimasto in silenzio fino a quel momento, Mark la guardò con tanto d’occhi. «Ti stai scusando?»
«Con tua madre, non con te» precisò la ragazza, soffocando le parole con un lungo sorso dal suo bicchiere. «È una donna tanto gentile, a differenza del primogenito»
«Sempre simpatica, mi raccomando». Mark sbuffò, posando il gomito sul tavolo.
Nel frattempo, Nathalie era scesa dalle ginocchia di Kira e si era spostata in mezzo ai due ragazzi. Li osservava a intervalli in base a chi parlava, ridacchiando del loro continuo beccarsi.
«E tu che hai da ridere?» la provocò scherzosamente il fratello.
Nathalie continuò a sghignazzare, con Mark che aveva preso a farle il solletico sotto il tavolino. La bimba si dimenava divertita, mentre Kira osservava quel piccolo siparietto fraterno con una consapevolezza tutta nuova. Nei venti minuti in cui rimase seduta nel salotto dei Lenders notò molte cose di Mark di cui non si era mai accorta – se non fosse venuta da lui, probabilmente non se ne sarebbe accorta mai – capendo che sotto la scorza dura esisteva un animo gentile. Ebbene sì, gentile. Capì anche che lui non era del tutto a suo agio, ma Kira sospettava che ciò accadesse solo perché c’era lei. Normalmente, senza estranei intorno, fu quasi certa di potersi immaginare un Mark molto più rilassato e perfino spiritoso, oltre che premuroso e giocoso.
«Sai, Lenders, non sapevo abitassi proprio a Saitama»
«Eh già, che coincidenza»
Kira alzò gli occhi al cielo e rinunciò. Fare conversazione non era proprio il forte di Mark. Poteva avere dei lati positivi, ma quelli negativi prevalevano.
La ragazza sorseggiò la bibita fresca, rispondendo amabilmente alle domande della signora Lenders sulla scuola, la salute, la famiglia. Mentre discorrevano, Kira osservò intorno a sé i dettagli della casa: pochi soprammobili, niente di costoso; qualche fotografia sulla mensola sopra il divanetto all’occidentale, unica nota stonata nell’arredamento ma che in qualche modo si sposava bene con i mobili tradizionali. Un vecchio televisore era incassato dentro un mobile dalle gambe rovinate. Un paio di piantine verdi rallegravano l’ambiente. Non somigliava affatto alla casa che Risa aveva arredato con mobili costosi e strambi quadri di artisti pressoché sconosciuti, ma era ugualmente accogliente e c’era tutto l’indispensabile. I Lenders forse non erano ricchi, ma a una prima occhiata, davano l’idea di una famiglia unita. Kira li invidiò.
«Tu sei la ragazza di mio fratello?» disse il piccolo Matt all’improvviso.
Il gomito di Mark scivolò giù dal tavolino. A Kira andò di traverso l’aranciata.
«Scherziamo?!» esclamarono in coro.
Matt e Teddy scambiarono uno sguardo furbesco con Nathalie. Il primo disse qualcosa nell’orecchio al secondo e soffocarono le risatine in una mano.
«Con voi farò i conti più tardi» li minacciò Mark, suscitando maggiore ilarità in tutti e tre i fratelli.
«Su, bambini, non siate impertinenti» li rabbonì la madre.
«Ma noi volevamo solo sapere se loro…» iniziò Teddy.
«Dobbiamo proprio andare» lo interruppe Mark alzandosi, prendendo Kira per un braccio e facendo alzare anche lei. «Ci vediamo dopo»
«A più tardi» salutò la signora Lenders. «È stato un piacere conoscerti, Kira-san»
«Anche per me»
«Ciao, torna a trovarci presto!» salutarono i tre piccoli Lenders.
Mark rivolse loro un’occhiata feroce, trascinandosi dietro Kira come un pupazzo fino all’ingresso, uscendo e sbattendo la porta alle loro spalle.
«Aspetta un attimo» disse lei, saltellando su un piede alla volta nel tentativo di rinfilarsi le scarpe. «Non ho nemmeno finito di bere la mia bibita, uffa»
«Siamo in ritardo»
Kira alzò gli occhi al cielo. «Ti ha imbarazzato la domanda del tuo fratellino?»
Mark fece schioccare la lingua. «Figuriamoci». Ficcò le mani nelle tasche dei jeans, camminandole davanti di un paio di metri.
Insieme ai jeans scoloriti, lui indossava una camicia a maniche corte che aveva arrotolato sulle spalle. Kira aveva notato già da tempo quel vizio particolare: anche in campo avvolgeva le maniche della maglia per lasciare scoperte le braccia. Se ne avesse avuto la possibilità, Mark avrebbe dato l’addio alla giacca della divisa scolastica e tirato su le maniche della camicia.
Lui era uno spirito libero.
«La tua famiglia mi piace. Hai tre fratellini adorabili e tua madre è veramente gentile. Mi sarebbe piaciuto conoscere tuo papà. Lavora anche di sabato?»
Le sopracciglia di Mark si incurvarono per un attimo, tornando a spianarsi quando nei suoi occhi comparve qualcosa… malinconia forse.
«No», fu l’unica cosa che le disse.
Kira capì di aver sbagliato qualcosa. Non aveva intenzione di impicciarsi, era stata una domanda automatica.
«Scusa, non…»
«Impara a farti gli affari tuoi». Lei sapeva essere indiscreta come un elefante in un negozio di cristalli.
«Ho solo fatto una domanda». Kira inspirò e trattenne il respiro per qualche secondo, impedendo ad altre parole sbagliate di uscire. Riconosceva la sua innata curiosità, ma sospettava che Mark l’avesse tradotta in invadenza.
«La strada è quella giusta?» domandò lui.
«Eh?»
«Non sono mai stato in quel negozio di bici, guarda che mi sto affidando a te. Stiamo andando dalla parte giusta?»
«Sì, è questa. Me la ricordo. Dobbiamo girare a destra» rispose lei, continuando poi a camminargli a fianco in silenzio. Perché lui non voleva parlare di suo padre?
«Allora?» chiese lui dopo un po’.
Kira lo guardò. «Cosa?»
«Non dici niente?»
«A proposito di…?»
«Di casa mia. Non fai commenti pungenti? Sono la tua specialità»
«Che dovrei dire di preciso? È carina»
Mark rallentò il passo per tornarle accanto. Non si era aspettato una risposta candida come quella.
«È vecchia» puntualizzò lui.
«Una casa vecchia non è necessariamente brutta. A me piacciono le vecchie case giapponesi. Somiglia un po’ a quella di mia nonna».
Sembrava che Mark stesse provocandola di proposito. Forse voleva sviare il discorso su suo padre, pensò Kira. Avrebbe voluto chiedergli cosa ci fosse che non andava, ma quello sarebbe stato davvero essere invadente.
«Se vuoi che dica qualcosa di sgradevole sulla tua casa, caschi male, Lenders. L’ho trovata deliziosa»
Mark sbuffò, quasi scontento della risposta. Non gli piaceva questa Kira calma e tranquilla, preferiva quella pungente e vivace. Era dal giorno in cui il preside li aveva convocati nel suo ufficio che la vedeva così abbattuta. «Casa tua com’è?» le domandò poi.
«Una villetta all’occidentale. Ma secondo me è troppo grande per viverci solo in due»
«Vivi sola con tua madre?»
«Per la maggior parte dell’anno sì. Mio padre non c’è quasi mai e mamma sta sempre al suo negozio. Spesso mi sento un po’ sola». Kira fece un mezzo sospiro, spostandosi una delle trecce dietro la spalla.
Mark osservò il gesto. Nel tentativo di farla reagire allungò una mano e tirò.
«Ahia!» esclamò Kira sussultando, esibendo uno sguardo contrariato che le accese lo sguardo. «Perché lo hai fatto?»
«Perché sei troppo musona» rispose Mark. Il suo viso rimase impassibile ma dentro di sé sorrise di soddisfazione.
«Cosa?»
«So che sei triste per la festa dello sport e me ne dispiace. La colpa è anche un po’ mia. Però non ti devi abbattere, non serve a niente»
Kira sistemò il nastro della treccia, annuendo piano. «È la prima cosa intelligente che ti sento dire da quando ti conosco»
«Cretina»
«No, sul serio. Hai ragione ad affermare che non devo abbattermi, ma tu non puoi capire come ci si sente. Tu hai davanti un intero campionato nel quale sai che giocherai tutte le partite; io invece sarò costretta a guardare i miei compagni pattinare senza potermi unire a loro». Il viso di Kira tornò triste. «Mettiti nei miei panni. È normale che stia così»
Mark tentò di immaginare come avrebbe potuto sentirsi se mai il mister lo avesse costretto in panchina per un qualche motivo. Sarebbe stato frustrante assistere alle partite non potendo far nulla per aiutare i compagni a vincere. Il solo pensiero lo fece star male. Il pattinaggio non era uno sport di squadra, ma in un certo modo capì cosa suscitava in Kira quella sorta di innaturale apatia.
«Quanto durerà questa specie di squalifica?»
«Fino al prossimo trimestre». Kira strinse i pungi, il viso illuminato di risolutezza. «Per l’inizio dei campionati scolastici sarò in pista. Ci sarò assolutamente!»
 
 
Arrivarono al negozio di Gary pochi minuti dopo. Lui era fuori ad aspettarli insieme a un'altra persona che Mark non si sarebbe aspettato di incontrare.
Danny Mellow si aprì in un sorriso che dire enorme era dire poco. Nemmeno lui credeva a quello che stava vedendo, anche se una parte del suo inconscio forse lo sospettava.
«Quando mi hai detto che un calciatore ti aveva distrutto la bici, ho subito pensato che avessi descritto Mark alla perfezione» fu la prima cosa che Mellow disse a Kira. «Però non credevo si trattasse veramente di lui»
Mark scoccò alla ragazza un’occhiataccia delle sue, mentre Danny continuava a sorridere allegramente. «Come mi avresti descritto, esattamente?»
Lei incrociò le braccia al petto. «Come un gorilla peloso e pericoloso, ovvio»
Danny scoppiò a ridere. «Non sapevo andaste così d’accordo!»
«Noi non andiamo d’accordo!» esclamarono in coro gli altri due.
Gary si avvicinò, interrompendo educatamente i saluti per presentarsi a Mark. «Tu devi essere il ragazzo che aiuterà Kira a riparare la bici»
«Piacere, sono Mark Lenders».
«Sì, sì, Danny mi parla di te»
Imbarazzato, Mark si strofinò la nuca. «In realtà non so nulla di biciclette, sono stato coinvolto mio malgrado»
«Tuo malgrado un corno» protestò subito Kira. «La bici me l’hai rotta tu»
Mark alzò gli occhi al cielo. «Giuro che se inizi anche oggi con questa lagna…»
«Non preoccupatevi, Danny non vi perderà d'occhio» assicurò Gary, invitandoli tutti ad entrare nel negozio. La temperatura era molto più fresca e piacevole lì dentro. Si spostarono tutti nel retro bottega, dove l’odore di olio e pneumatico impregnava l’ambiente.
«Scusa se veniamo a romperti le scatole la domenica, ma tra gli allenamenti, le partite e i compiti, durante la settimana non c’è molto tempo» disse Mark a Gary.
«Figurati, ti capisco» lo rassicurò quest’ultimo. «Comunque, nessun problema. Anche se il sabato pomeriggio solitamente sono chiuso, vengo ugualmente qui per recuperare il lavoro arretrato».
La bicicletta di Kira era stata sistemata in un angolo in fondo. Gary lasciò i tre ragazzi a lavorare tranquillamente, mentre lui si spostava accanto alle due motociclette. Danny faceva avanti e indietro tra l’uno e gli altri amici, di modo da poter essere utile a tutti.
«Non avevo idea che tu e Danny vi conoscete» disse Mark a Kira, notando la confidenza con cui si parlavano.
«Ci siamo conosciuti solo qualche giorno fa. Il merito è di mia nonna» spiegò Kira, aprendo la cassetta degli attrezzi. Stava diventando brava a riconoscerli. «Gary è il nipote di una sua amica e così ha pensato di rivolgersi a lui per le riparazioni»
Mark finalmente capì. «Ah, ecco perché sei venuta qui invece di rivolgerti a un negozio di Tokyo» 
«Già. Ma ti dirò che sono contenta: Gary è veramente efficiente e Danny è altrettanto bravo. La mia bici non potrebbe essere in mani migliori»
«Sapevo che a Danny piacevano le bici e che ultimamente era stato assunto come apprendista, ma non immaginavo fosse proprio questo il posto»
«E io non sapevo conoscessi Danny». Kira sospirò. «Gira che ti rigira ti ho sempre tra i piedi»
Mark afferrò un cacciavite, rigirandoselo tra le dita. «Non piace nemmeno a me, svampitella. Ma sarà divertente vederti alle prese con i lavori manuali»
«Me la cavo egregiamente»
«Sì, certo, come con l’orto della scuola, vero?»
Kira arrossì di vergogna. Se c’era qualcosa in cui poteva affermare di essere stata battuta da Lenders, era proprio la manutenzione dell’orticello(3). Come punizione non c'era male, di sicuro molto meglio che riordinare e lavare pavimenti e vetri di palestre e spogliatoi. Tuttavia, per qualche strana ragione, la parte di terreno in cui aveva lavorato Mark dava già i suoi frutti; la parte di Kira, invece, sembrava un deserto in miniatura.
«I miei spinaci hanno già messo i germogli. Tu hai fatto morire le piantine di pomodori» sogghignò di nuovo lui.
Kira gli tirò la chiave inglese. «Sta zitto e lavora! Sei qui per questo, non te lo scordare»
Mark schivò il colpo e se non fosse arrivato Danny avrebbero preso a scagliarsi addosso oggetti contundenti…
Senza più perdere tempo, si dedicarono finalmente all’aggiustatura della bici. I pezzi di ricambio erano stati consegnati quel mattino stesso, ed ora stavano tutti in fila sul pavimento di pietra sporco e vecchio in attesa di andare tutti al loro posto. Danny era entusiasta di aver rimediato quelli che per Kira erano solo parti di metallo. Lei e Mark erano dei profani in materia, non sapevano i nomi e neppure dove andassero disposti; avrebbe potuto esser facile intuirlo, ma Mark non si prese alcuna responsabilità e non mosse un dito, avendo già una vaga idea di cosa avrebbe fatto Kira al suo collo se avesse montato qualcosa al contrario... Così si affidò ai consigli di Danny, e solo dopo che ebbe detto loro dove collocare ogni cosa iniziarono a vederci la fisonomia di una ruota nuova.
Fecero parecchi progressi. Kira osservò ammirata Danny maneggiare abilmente il tutto: lavorava con facilità e precisione, rallentando il ritmo per permettere a loro di stare al passo. 
Il tempo passò piacevolmente. Kira e Mark si divertirono come non avrebbero mai pensato, e a lui non sembrò più un obbligo l'essere lì ad occuparsi di quella bicicletta.
Danny era ansioso di sapere di più sulla tanto rinomata Toho School, così Kira e Mark si persero in racconti sulla difficoltà delle lezioni, sulla severità delle regole e dei professori. Presero in giro la Amada facendo ridere Danny, che a sua volta mise al corrente il suo ex capitano su come andava la vita alla Muppet: Keith Coleman era diventato capitano e aveva ereditato la maglia numero dieci che una volta indossava Lenders. Tutti i vecchi compagni erano molto felici per lui. Era anche merito loro se Mark aveva avuto quella borsa di studio.
«Keith è un bravo giocatore, sono scuro che starà guidando bene la squadra» disse quest’ultimo.
Danny annuì. «È così. Ma sta attento capitano, siamo molto agguerriti»
«Siamo?» ripeté Kira senza capire. «Ma scusa, Danny, tu non frequenti ancora le elementari?»
Mellow arrossì e sorrise. «Sì ma…vedi, il mio mister mi ha voluto nella squadra delle medie»
Kira fece un’espressione ammirata, mentre Mark emetteva un fischio compiaciuto.
«Questo non me l’avevi detto!» sorrise il ragazzo, strofinando una mano sui corti capelli di Danny.
Kira li osservò scambiarsi un sorriso e si rese conto di non aver mai visto sorridere veramente Mark fino a quel giorno. Quei due dovevano essere veramente molto amici ed avere una gran sintonia tra loro. Benché a scuola si fosse fatta delle amiche, non poteva affermare di essere riuscita a costruire un rapporto così solido.
«Ah, lo sapevi che Turner è rimasto alla Muppet?» continuò Danny. «Aveva ricevuto un incarico da una scuola di Okinawa ma ha deciso di restare ancora per qualche anno e passare ad allenare la squadra delle medie»
«Sì, lo avevo sentito» ripose Mark, una punta di nostalgia nel ricordare il suo ex allenatore. Jeff Turner era stato il suo mentore, quasi un padre in certe occasioni, consigliandolo e aiutandolo a crescere non solo a livello atletico.
«Il campionato lo vincerà la Toho» disse d’un tratto Kira.
Mark la guardò con tanto d’occhi. «Da quando tifi per noi?»
«Tifo per la scuola. Passami la tanichetta dell’olio, per favore»
Mark gliela passò, pensando se quelle giornate premature di sole cocente non le avessero fuso il cervello. Lei detestava il calcio… o così aveva sempre creduto.
«È giusto tifare per la propria scuola» disse Danny. «Perché non fai la manager della Toho, Kira?»
La tanichetta dell’olio rischiò di caderle di mano. «Non ci penso nemmeno! Lavare le divise di quei gorilla puzzolenti? Bleah! No, no, e poi non avrei comunque tempo»
Mark sfoggiò un’espressione annoiata quando Kira iniziò a parlare del pattinaggio artistico. Finse di non ascoltarla, anche se di tanto in tanto sbirciava la ragazza gesticolare e sorridere a Danny, il quale sembrava bendisposto ad ascoltarla tanto da ritrovarsi a farle domande alle quali lei rispondeva con entusiasmo. Mark si chiese perché Kira non potesse essere sempre così amichevole come quel giorno.
«Magari non ti interessa, perdonami» disse poi lei a Danny, interrompendosi. Quando parlava del pattinaggio si emozionva così tanto da non riuscire più darsi un freno.
«Non c’è alcun problema» la rassicurò Danny. «A me piace ascoltarti, è interessante conoscere altri sport così diversi dal calcio»
«Il suo sport è una trappola mortale» mormorò Mark, armeggiando con una chiave a cono.
«Solo perché hai avuto una brutta esperienza, non significa che lo sia per tutti» ribatté Kira brandendo la tanichetta dell’olio, che schizzò goccioline untuose qua e là.
«Mark, sei andato sui pattini?» indagò Danny, incuriosito.
Kira soffocò una risatina malvagia. «Oh, avresti dovuto ved…AHIA!»
«Mark, che fai?!» esclamò Danny.
«Oh, scusate, mi è sfuggita di mano la chiave…» disse Mark con indifferenza, dopo aver calato senza pietà la chiave a cono sulla testa di Kira.
«E guarda a caso ti è sfuggita sulla mia testa!» ringhiò lei, massaggiando nel punto i cui l’aveva colpita.
«Succede…»
Gary chiamò Danny accanto a sé in quel momento. Approfittando della momentanea assenza di Mellow, Mark puntò di nuovo la chiave sotto il naso della ragazza. «Non dire una parola»
«Perché?»
«Non dire niente a Danny della sfida di pattinaggio, né di quella di calcio, né delle altre»
«Ti vergogni, Lenders?»
«Non è per quello, è…» la motivazione gli morì sulla punta della lingua. Okay, sì, era per quello. «Non dire niente e basta»
Kira sbuffò.
«Non sbuffarmi addosso! Se quella lingua lunga fa uscire una sola sillaba sulla sfida, ti rapo a zero»
Kira spalancò la bocca ed emise un suono indignato, portandosi le mani sul capo.
«Allora, cosa stavamo dicendo?» domandò Danny tornando da loro.
Mark sviò l’argomento pattinaggio puntando di nuovo sul calcio e il campionato nazionale. I due ragazzi ripercorsero alcuni aneddoti del tempo in cui giocavano nella Muppet, mentre Kira si teneva le trecce per proteggerle e fissava guardinga il suo rivale. Selvaggio com'era Lenders, non si sarebbe stupita se avesse decise di farle lo scalpo...
Ma invece di lasciarli ai loro discorsi e perdersi nei suoi pensieri, la pattinatrice si ritrovò con suo stesso stupore ad ascoltare i loro racconti con una certa curiosità. Sentirli parlare era come aprirsi un varco nella sfera personale di Mark Lenders, uno spiraglio sulla sua infanzia in cui lei non aveva mai tentato di addentrarsi.
Benché da diverse settimane condividessero molteplici disavventure, Mark non provava nessuna interesse nei suoi confronti; ma Kira aveva scoperto di provarne per lui. In Lenders c’era qualcosa che stuzzicava il suo interesse. Se le avessero domandato che cosa avesse smosso la sua curiosità, non sarebbe riuscita a rispondere. Era il suo aspetto in generale, misto a un carattere tutt’altro che servile. Mark era molto rispettoso con gli altri pur non sopportandoli, ma non si tratteneva dal dirti in faccia quello che pensava, se doveva, e non aveva paura di farlo. Era molto diverso dagli altri compagni di scuola, tutti così tremendamente perfetti da risultare finti come manichini in una vetrina, attenti a fare e dire la cosa giusta, quasi avessero studiato un copione. Mark invece no. Lui era un mistero, una personalità spiccata, uno spirito ribelle che si trasformava nel più feroce degli avversari sul campo quanto nel più dolce dei fratelli in famiglia. Kira ne aveva avuto la prova proprio quel pomeriggio.
E quel pomeriggio, accucciata sul pavimento sporco di un vecchio magazzino, le mani sporche di olio, Kira scoprì di avere molte più cose in comune con Mark Lenders di quante ne aveva con le sue amiche.
Alla fine della giornata avevano gambe e schiena intorpiditi per essere rimasti troppo tempo nella stessa posizione. Osservarono i progressi del loro operato, soddisfatti per essere riusciti quasi riusciti a terminare il lavoro.
«La prossima volta potremmo anche finire» disse Danny, stirando le braccia.
«Per essere la prima volta che fate una cosa del genere, ve la siete cavata molto bene» aggiunse Gary, a cui spettava l’ultimo giudizio.
«Mi piacerebbe tanto decorarla, quando avremo terminato» disse Kira, donando sguardi adoranti alla sua bici. 
«Si può fare» annuì Gary. «Cosa vorresti disegnare?»
«Ancora non lo so di preciso. Forse qualche ghirigoro floreale. Sarebbe carina, non credete?»
«Roba da femmine» fu il commento di Mark.
Kira alzò gli occhi al cielo. «E allora?» Lo faceva apposta a darle contro in ogni cosa, ormai era assodato. «Non ti obbligherò ad aiutarmi anche in quello, se non vuoi»
«È già uno strazio doverti aiutare a rimettere in sesto il tuo trabiccolo»
«A me sembra che tu ti sia divertito, invece» obiettò Danny.
Mark ficcò le mani nelle tasche dei pantaloni macchiati d’olio e polvere, avviandosi verso l’uscita del magazzino.
Gary chiuse la saracinesca con il pesante lucchetto di ferro, scortando i ragazzi per un tratto di strada. Il sole calva rapidamente e la frescura della sera li accompagnò facendo loro venire la pelle d’oca. Nessuno aveva pensato di portare un giacchetto, vista la calura del pomeriggio.
«Possiamo finire il lavoro con pezzi di ricambio usati» stava dicendo Danny, «ne abbiamo tanti in magazzino e non ti costeranno nulla, Mark. Se vuoi posso anche non farteli pagare subito»
«Sarebbe un favore troppo grande» rispose il capitano della Toho, posando una mano sulla testa di Danny in un gesto affettuoso.
Un paio di passi più avanti, Gary stava lodando la bici di Kira come fosse un personaggio famoso, lei che lo fissava con occhi adoranti. Mark li fissò qualche istante, provando una punta di fastidio. Perché lei discorreva con gli altri con il sorriso sul viso, mentre verso lui si mostrava sempre così caustica? Beh, lui non si impegnava granché per renderle le conversazioni facili, questo doveva ammetterlo. Mark respinse l’incomoda sensazione, pensando che alla fin fine non era un problema non andarci d’accordo. Non gli cambiava la vita, benché quel pomeriggio in sua compagnia fosse stato piuttosto piacevole, bisticci a parte.
Gary riaccompagnò Danny a casa, salutando Kira e Mark, i quali svoltarono verso la stazione più vicina.
Lenders la fissava di sottecchi, udendola canticchiare allegramente sottovoce.
«Sei contenta» constatò.
«Sì, molto» Kira gli si mise di fronte, camminando all’indietro. «Sono contentissima di come abbiamo lavorato. Siamo a buon punto. Se ce la mettiamo tutta anche la prossima volta, potremmo tranquillamente già finire, l'ha detto anche Danny. E poi mi sono divertita»
Mark la guardò ancora. Adesso stava parlando con lui sorridendo. Eppure lui non riusciva a ricambiare quell’entusiasmo.
«È stato utile per imparare a fare qualcosa che non sapevo» disse invece, ridimensionando la situazione.
«Anche questo, certo» annuì Kira, tornando a camminare normalmente al suo fianco. «Così, la prossima volta che avrò dei problemi con la bici, non ti scoccerò più»
«Se non fosse stato per la bici non ci saremmo nemmeno mai parlati» gli uscì detto.
«Eh?». Kira trattenne il respiro per un attimo. Come frase suonava ambigua...
«Sicuramente sarebbe stato molto meglio per me. Mi hai reso questi primi mesi di scuola un inferno» concluse Mark con il solito tono scocciato.
Lei sbuffò. Come non detto. «Non voglio arrabbiarmi, è stata una giornata troppo bella. Quindi non rovinarla»
Si fermarono davanti alla stazione. Kira fece per salutarlo ma lui la seguì all’interno.
«Che cosa fai?»
«Ti accompagno a casa» rispose Mark senza guardarla.
«Non serve»
«È sera, c’è buio, ormai»
«Non sono ancora le sette»
«Kira, smettila di protestare. Ti accompagno e basta» Mark si buttò su una panchina, appoggiando la schiena al muro. «Se tornassi a casa e dicessi a mia madre che ti ho lasciata rientrare sola, mi costringerebbe a tornare indietro»
Rimasta in piedi a fissarlo, Kira spostò lo sguardo su uno dei tanti cartelli pubblicitari appesi ai muri della stazione. «Beh, allora grazie» disse, arrossendo leggermente.
Troppe stranezze tutte insieme, quel giorno… Aveva visto Mark sotto tante luci differenti: il fratello maggiore scherzoso, il figlio affezionato, l’amico fidato…
Kira sedette sulla panchina accanto a lui, aspettando il treno in silenzio. Il primo, lungo silenzio tra loro, fatto di riflessioni e forse di leggero imbarazzo.

 
 
 
 
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Note:
 
1. Le case tradizionali, dette ‘minka’, sono costruite in legno (travi, pareti, soffitto, tetto, pilastri strutturali), paglia (copre il tetto e il pavimento in tatami) e carta (usata per rivestire i shoji, cioè le porte scorrevoli). Tutte le pareti interne sono mobili, costituite dai shoji, tranne dove ci sono gli armadi a muro e le zone chiuse per i servizi. Le pareti esterne vengono aperte nella bella stagione, formando una sorta di veranda che guarda sul giardino, protetta da un tetto sporgente. La veranda può servire anche come corridoio esterno o come comunicazione fra gli spazi interni ed esterni. Nella stagione fredda, questo portico diviene parte della casa. Nelle abitazioni tradizionali giapponesi ci sono pochi mobili d’arredamento. In camera da letto si ripone tutto negli armadi a muro. Nelle stanze, i mobili variano a seconda del giorno o della notte. Ad esempio, al mattino si ripone il futon nell’armadio per lasciare spazio a un piccolo e basso tavolino e dei cuscini sui quali sedersi sul tatami. In casa non può mancare l’irori, il focolare ricavato da una cavità nel pavimento, che ospita il fuoco per il bollitore e serve a riscaldare l’ambiente. Le abitazioni giapponesi tradizionali hanno un angolo destinato ad ospitare un altare domestico, buddhista o scintoista, dove poter pregare. Ci sarebbe ancora tanto da dire, ma approfondirò poco a poco.
 
2.Tatami: una stuoia rettangolare, di paglia di riso, usata tradizionalmente in Giappone come copertura del pavimento.
 
3. In alcune scuole giapponesi sono presenti degli orticelli, delle aiuole o piccoli animali di cui gli studenti si prendono cura. Spesso, nelle mense della scuola, si consumano verdure tratte proprio dall’orto botanico.
 

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Salve lettori!
Non mi dilungo tanto perché ho poco tempo, sorry.
Come al solito non sono completamente soddisfatta di questo lavoro, ma ecco l’ottavo capitolo. Si smuove qualcosa finalmente, Mark e Kira iniziano a conoscersi fuori dalla sfera scolastica. Stavolta non si è visto Ed, ma mi rifarò largamente la prossima volta.
 
Già vi lascio, devo scappare. Perdonate se ci sono errori, non ho avuto tempo di rileggere.

Grazie a tutti quelli che leggono, recensiscono e hanno aggiunto la storia a seguite/prefeite/ricordate
Un bacio,

Susan <3
   
 
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