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Autore: Roiben    26/03/2019    0 recensioni
Qui si narra di avventure e tribolazioni occorse all’Uomo Nero, e del suo fatale incontrar la Dea della Notte, dopo del quale nulla mai sarà più come fu.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Pitch
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il suo sorriso. Non lo aveva mai veduto di persona, ma ne aveva letto e sentito parlare e, a dire il vero, avrebbe più che volentieri continuato a evitarlo, se solo non gli fosse capitato sotto gli occhi giusto un momento prima. Non l’ha riconosciuta subito: dall’aspetto è difficile giungere alla sua reale natura. Ma quel suo sorriso non può essere confuso; si tratta della dea del caos e della guerra: Nemain. Ora, inoltre, si spiega anche il puzzo che si porta dietro, malamente coperto dai fiori di stramonio: morte. “Ma che fortuna” bercia mentalmente. Già, non si può certo dire che sognasse di rimanere invischiato nelle trame di una tra le creature più velenose dell’intero pantheon, ma tant’è dovrà proprio trovare il modo per uscirne, possibilmente intero.

 

Intanto un paio di quelli che può tranquillamente considerare i suoi rapitori se lo sono caricato sulle spalle e a passo di marcia lo stanno conducendo solo il cielo sa dove, seppur in effetti qualche sospetto ce l’avrebbe. Quando scorge, al di sopra della propria testa, delle arcate in pietra che ricordano in parte quelle di qualche tempio dimenticato e corroso dal tempo, storce il naso e reclina il capo per tentare di vedere con maggior chiarezza il percorso preso dai suoi accompagnatori. Il luogo non si presenta molto arredato; per lo più statue di dubbio gusto, gargolle e altre simili amenità. Ha già il sospetto di doversi scomodare a chiedere informazioni direttamente alla padrona di casa, quando i suoi portatori iniziano a scendere e la luce dell’ambiente a scemare. Vorrebbe potersene rallegrare, ma l’odore che giunge alle sue narici non gliene offre l’opportunità: sangue, e per buona misura decomposizione. D’altronde, che altro poteva aspettarsi dai sotterranei di quella che immagina essere la dimora di Nemain?

 

Quasi avrebbe preferito scorgere cadaveri, ma ciò che intravede lungo il corridoio, in quelle che può solo definire nicchie poiché la parola stanze sarebbe pretenziosa e fuori luogo, sono figure di esseri viventi, anche se, a ben vedere, non è certo di quanto a lungo lo resteranno. Qualcuno (o qualcosa?) sembra essersi divertito parecchio con coloro che risiedono in quei sotterranei, forse addirittura la padrona di casa, ma non ci giurerebbe. Invece pensa di intuire in modo sgradevolmente chiaro il destino che attende le prede frutto della caccia della notte appena trascorsa. Da ciò che i suoi occhi pensierosi possono scorgere, deduce che siano oramai a corto di cavie ancora in vita per esperimenti non propriamente leciti. Potrebbe trattarsi, magari, di un mago, anche se dal puzzo propende per qualche alchimista di scarso valore. Che poi si aspettino di potersi fare le ossa e trarre un qualche insegnamento dalla sua presenza è comunque fuori discussione; piuttosto spiccherà loro la testa dal collo (non si tratterebbe comunque di una grave perdita), o meglio ancora farà saltare all’aria il tempio o qualunque cosa sia in realtà quel posto, con tutte le sue marce fondamenta (e questo lo può fare; ha perfino in mente la formula giusta per radere al suolo l’intera collina, se necessario). Prima di correre quel rischio, tuttavia, deve comprendere le vere intenzioni di coloro che lo ospitano, ma soprattutto di chi realmente si tratti. Non può avere la certezza che ci sia solo lo zampino di Nemain lì dentro. Potrebbe addirittura esistere di peggio. E a quel pensiero lo sconforto più nero lo assale.

 

A un tratto sgrana gli occhi, suo malgrado sorpreso, mentre i suoi portatori lo lanciano di peso in uno di quei pertugi, con la differenza che in questo ci sono anche le sbarre (un trattamento d’eccezione!). Atterra pesantemente sul pavimento, lastricato di grosse pietre fredde e levigate dal tempo e dall’usura, con un grugnito di protesta, ma rimane immobile e in silenzio ad ascoltare gli uomini o quello che sono e i loro passi che si allontanano con indolenza. Sospira, prova a districarsi dalle maglie di metallo ed emette un lieve gemito mentre la sua schiena schiocca, adirata per il pessimo trattamento.

 

«Che razza di modi empi» borbotta fra sé, seccato e un poco depresso.

 

«Aspettarsi levità da quelle creature è tempo sprecato» replica una voce sconosciuta da non troppo distante.

 

Pitch si irrigidisce e deglutisce un fastidioso bolo di saliva. Può trattarsi di una preda come lo è lui stesso? O, peggio, un nuovo nemico dal quale guardarsi le spalle? “Vale la pena tentare” decide.

 

«Conosci i soggetti?» domanda in tono neutro.

 

Riceve un piccolo sbuffo, in cambio. «Ho mio malgrado avuto occasione di spendere del tempo in loro compagnia. Sarebbe stato ben più piacevole affondare in un mare di magma incandescente» commenta con una marcata nota di acidità che, nonostante la situazione precaria, fa sorridere Pitch.

 

«Sì, credo di poterlo immaginare. In effetti sono reduce da uno sgradevole incontro con un gruppo di creature ben poco cortesi e… immagino con il loro capo» soppesa incerto.

 

«Hai dunque avuto il privilegio di incontrare Nemain… Ti compiango» conferma la voce.

 

Trae un profondo respiro e decide di rischiare. «Posso chiederti con chi sto discorrendo?».

 

Il silenzio che segue la sua richiesta gli fa pensare di aver osato troppo. Invece il suo udito fine intercetta un piccolo sospiro.

 

«Arawn» soffia la voce, e il tono questa volta è decisamente sconfortato.

 

Trae un brusco respiro poi, per quanto si provi a trattenersi, una lieve risata sboccia dalle sue labbra esangui.

 

«Perché ridi?» chiede la voce di Arawn, evidentemente un po’ offesa. «Lo trovi divertente?».

 

«No… Mi scuso» rantola Pitch, cercando come può di placare l’improvvisa e quanto mai fuori luogo ilarità. «Il fatto è che, se non vado errato, gli esseri umani sono soliti definirti Uomo Grigio».

 

«Sì, ciò che affermi è corretto. Ma…» dubita Arawn, ancora irritato.

 

«In questo caso forse dovresti sapere che da qualche tempo a questa parte, ovvero da quando vago per questi lidi, gli esseri umani di questo vostro mondo hanno preso a chiamarmi Uomo Nero» spiega Pitch.

 

Di nuovo è silenzio. Poi, nel silenzio, un lieve incresparsi d’aria che si trasforma in qualcosa che ricorda il tintinnare di campanelle, o lo scroscio lieve della pioggia primaverile. Ora anche Arawn sta ridendo.

 

«Te lo concedo» ammette Arawn, in tono divertito, «è una situazione piuttosto buffa». Dopo un altro momento di disteso silenzio, giunge un nuovo sospiro. «Quindi, chi sei tu, in effetti?» indaga incuriosito.

 

«Posso offrirti un nome. Spiegare il resto sarebbe quanto meno complicato» tentenna Pitch.

 

«Sta bene. Mi accontenterò di un nome» accetta di buon grado Arawn.

 

«Pitch» si limita a dire.

 

«Solo questo: Pitch?» dubita Arawn.

 

«Possedevo un nome differente, in un tempo molto lontano» ammette Pitch. «Ma non sono più ciò che ero a quel tempo. Pertanto sì, solo Pitch».

 

«È strano, ma temo di non riuscire a ricordare la tua presenza in questo mondo. Eppure dovrei poter ritrovare qualche traccia di te, da qualche parte nella mia memoria».

 

Pitch abbassa le palpebre sugli occhi stanchi. Dev’essere già mattina inoltrata, là fuori.

 

«Non può esserci alcuna traccia di me nelle tue conoscenze. Io non appartengo a questo vostro mondo» spiega Pitch.

 

Qualcosa gocciola, da qualche parte. Forse semplice umidità che trasuda dalle spesse mura fino ai sotterranei; forse qualcosa di meno gradevole.

 

«Vieni da altrove?» indaga Arawn.

 

«Altrove… È un’ottima definizione, mi piace. A ogni buon conto sì, da un luogo molto lontano da qui; stelle differenti».

 

Prova a muoversi, le maglie metalliche fremono e tintinnano, ma nessun cedimento lo fa ben sperare.

 

«E tu, signore dell’oltretomba, come ti sei ritrovato ai piedi di costei?».

 

Un brontolio proviene dalla direzione in cui pensa si trovi Arawn. «Divergenze» borbotta appena.

 

«Oh sì, lo posso ben immaginare. Ed essendo ella una femmina, non sarà stata nella buona disposizione d’animo d’accettare né tanto meno prendere in considerazione il tuo differente punto di vista».

 

«Affatto» conferma Arawn con un soffio stizzito.

 

Un lieve, angoscioso lamento serpeggia fino a lui. Arcua le sopracciglia, impensierito, ma distoglie presto l’attenzione.

 

«Ma dimmi, signore, sei dunque suo ospite da molto tempo?».

 

«Non ne ho la certezza. Dovrebbero essere trascorse circa tre albe dall’ultima occasione nella quale ho veduto la luce del mondo umano».

 

Riflette, provandosi a ricordare, dettagli sopiti nel tempo ma non andati perduti completamente. Le maglie di metallo stringono attorno al suo corpo, ma crede di poterle vincere, mettendoci volontà sufficiente. Non può tuttavia far conto di lasciare quel luogo indisturbato, non senza conoscerne gli opportuni segreti.

 

«Ancora non ti è venuto a noia?» mormora, quasi fra sé.

 

«Da più tempo di quanto io sia disposto ad ammettere» risponde Arawn.

 

«Dunque, mio buon signore Arawn, che ne diresti di congedarti dalla sua tiepida ospitalità?».

 

«Lo farei volentieri, se sapessi come».

 

«Sei una creatura soprannaturale. Il come lo puoi inventare a tuo piacimento» obbietta Pitch.

 

«Vi sono regole…» tituba Arawn, confuso.

 

Sorride, di un sorriso sinistro e pericoloso. «Tu lo credi. Ma sono catene, quelle, che si possono spezzare con semplicità, se stringono fino a far mancare il fiato».

 

Un lungo momento di pensieroso silenzio cala sui sotterranei umidi e scuri.

 

«Qual è la tua idea?» giunge infine la voce vigile e attenta di Arawn.

 

*

 

Ha gli occhi chiusi mentre si accinge a radunare le idee e trovare loro un ordine adatto a esporle al suo compagno di sventure. È custode del mondo dei morti: sa che pazienterà il tempo sufficiente a trovare la via giusta, ma quale sia questa via non ne è ancora del tutto certo. La sua comprensione della magia non è mai stata completa né perfetta, nel tempo, e le falle nella sua mente non concorrono a migliorare la sua visione del problema.

 

«Quanto potente è la tua influenza sulla materia?» decide di chiedere, giusto per saggiare il terreno dello scontro.

 

«Nel mio mondo è quasi illimitata. Ma quello nel quale ci troviamo è il mondo degli esseri viventi, degli umani: interferenze di questa portata non sono permesse a…».

 

«Signore Arawn, te lo chiedo come un favore personale: vorrei che almeno provassi a risparmiarmi le solite favole sul codice d’onore delle divinità. Ho udito storie, nel tempo in cui i miei piedi hanno calcato e percorso questa Terra, le quali mi hanno ampiamente disincantato sulla valida applicabilità di queste vostre, cosiddette, regole. Ti è mai capitato di udire quel racconto assolutamente edificante e delizioso che narra di una contea la quale, nell’arco di un’unica notte, è stata cancellata completamente dalla faccia della terra da un acquazzone? No? È strano, poiché doveva essere accaduto, guarda caso, proprio dalle tue parti».

 

«Non sono io il responsabile dell’accaduto» sibila Arawn.

 

«No, certo. Immagino che tu, personalmente, non ti sia mai mosso per questo genere di… trastulli» chiosa Pitch.

 

«Forse… in un paio di occasioni può essere accaduto» replica asciutto. «Ma nessun villaggio o contea è mai stato distrutto a causa del mio intervento» rimarca cocciuto.

 

«Prendo nota e ne terrò debito conto» assicura Pitch. «E tuttavia io non sono che uno spirito. Possiedo delle conoscenze, alcuni poteri e abilità utili, intelligenza quanto basta, ma… Non mi sarà possibile, da solo e senza assistenza, trovare una via per uscire da questo pasticcio».

 

«Dunque, dimmi, cosa puoi fare?».

 

«Il mio campo sono le emozioni, negative per lo più. Contro un avversario definito posso scontrarmi. Ma questo posto è stato eretto su basi che non comprendo del tutto, e i fili vengono mossi da lei. Ho bisogno del tuo aiuto, signore».

 

Arawn sospira pesantemente. «E io del tuo, immagino».

 

Stiracchia le labbra in una smorfia di contrizione. «Ogni soluzione ha il suo prezzo. Io posso farti uscire da lì, tu puoi farci uscire da questo… luogo».

 

«Ho del tempo per poterci riflettere?».

 

«Forse. Non posso averne la certezza poiché non so cosa vogliano da me» commenta Pitch, incerto e impensierito.

 

«Neppure io, purtroppo» ammette Arawn. «Sta bene: farò ciò che è necessario per liberarci da questa scomoda posizione. Ma…».

 

«Ti ascolto. Dimmi pure le tue condizioni».

 

«Non è mia intenzione offenderti, spirito, ma devo assicurarmi che la tua oscurità non abbia a intaccarmi, per nessun motivo. Sarebbe troppo pericoloso».

 

Ripiega le lunghe dita fra le maglie della rete, stringendo. Le sue ciglia sfarfallano nella penombra. La punta della lingua saetta sulle labbra aride, inumidendole. Espira lentamente.

 

«Sarà come tu desideri, signore Arawn» promette Pitch.

 

*

 

Il giorno, quando il cielo è illuminato dal sole e l’aria è più calda, non è esattamente il momento migliore per adoperare i suoi poteri a sostegno della magia. È più faticoso e spesso gli fa dolere la testa. Ciò nonostante è più che cosciente del tempo che scorre inesorabile, e non se la sente di rimandare più a lungo solo per un poco di malessere passeggero.

 

Prende qualche lenta boccata di quell’aria greve che lo circonda e concentra la propria attenzione alla ricerca della forza che possa sorreggere l’incantesimo adatto. I suoi occhi sono chiusi, ma la sua mente è aperta e i suoi pensieri veloci. Piccole rughe compaiono sulla sua fronte altrimenti levigata; le catene tintinnano senza che il suo corpo si sia mosso per provocare quel suono. L’aria si fa più rarefatta e fredda, l’oscurità più fitta. Le maglie di metallo gemono, alcune piccole crepe le intaccano, infine si sgretolano riversandosi al suolo.

 

Il suo respiro ora è un poco più pesante e affrettato, ma infine è libero di muoversi a piacimento, e quindi non attende oltre per rimettersi agilmente in piedi e guardarsi attorno con circospezione per controllare che nessun ospite inatteso e sgradito sia stato attirato nei sotterranei dai rumori prodotti poco prima. Quando è certo che non riceveranno la visita fuori programma da nessuno, si decide a studiare brevemente le sbarre che bloccano l’entrata. Piega il capo di lato, valutandone in silenzio il valore, e giudica che tutto sommato ne possedesse in maggior quantità la rete che lo imprigionava in precedenza. Scrolla le spalle, in qualche modo interdetto per quella constatazione e per la scarsa lungimiranza dei loro anfitrioni, poi serra le dita di una mano su una delle sbarre e dà uno strattone deciso, ritrovandosi lei e alcune sue compagne fra le mani.

 

«Non ci sono più le celle di una volta» commenta, non senza una certa sorpresa mista a disgusto.

 

«Non dovresti lamentartene, in questo caso» replica Arawn.

 

«Oh, non lo faccio. Mi limitavo a constatare».

 

Con passo lento ma deciso oltrepassa il buco nel quale è stato precedentemente rinchiuso e procede oltre, cercando quello nel quale dovrebbe trovarsi il signore dell’oltretomba. I suoi passi sono cauti e silenziosi, eppure Arawn sembra comunque in grado di percepirlo muoversi.

 

«Un poco più avanti, sulla tua destra» lo istruisce infatti, pensando di potergli essere di aiuto con la propria voce.

 

E in effetti Pitch non deve fare ancora molta strada. Presto, nonostante la pesante oscurità, i suoi occhi attenti scorgono una nuova cella, proprio sulla destra come gli è stato indicato. A una prima occhiata giudica che sia più spaziosa e meglio protetta rispetto a quella nella quale era stato gettato lui. E all’interno individua presto una figura che sembra fatta di fumo, risultando quasi evanescente nel buio che la circonda.

 

«Signore Arawn?» si accerta.

 

La figura offre una parvenza di sorriso. «Proprio io, sì».

 

Pitch fa vagare lo sguardo sorpreso sulla strana creatura dall’altro lato del cancello e scuote la testa.

 

«Mi scuso per l’impertinenza, ma non hai un aspetto molto sano» prova, incerto.

 

«Ne sono piuttosto consapevole. Stare al buio e lontano dal mio regno provoca un’alterazione nel mio aspetto, e non ho ritenuto saggio sprecare energie per mantenerlo intatto» spiega con pazienza.

 

«Comprendo. Non potendo sapere per quanto tempo sarebbe durata questa situazione, convengo che la tua decisione sia stata più che saggia. Ora, se non ti dispiace, vorresti allontanarti dall’entrata? Queste sbarre mi sembrano più robuste delle altre e temo di aver bisogno di più spazio per operare».

 

Seguendo il suggerimento di Pitch, Arawn si porta nell’angolo opposto e rimane in silenzio a osservare l’operato del suo momentaneo alleato.

 

Sì, decisamente qualcuno lì dentro ci ha messo maggior impegno per assicurarsi che chi era dietro quelle sbarre ci restasse. Pitch cruccia le sopracciglia e pensa che le sue spade, in quella circostanza, gli farebbero un gran comodo. Ma poiché al momento non le ha a portata di mano dovrà arrangiarsi altrimenti. Fruga nella memoria alla ricerca di qualcosa di utile, e quando pensa di averlo trovato appoggia le mani sull’inferriata e mormora alcune parole. Il cancello di fronte a lui trema, ma lo stesso fanno le pareti e il pavimento. Serra le labbra, sperando di non aver calcolato male la potenza dell’incantesimo e un momento dopo il metallo si sbriciola sotto le sue dita intaccando anche una piccola parte della roccia circostante.

 

«Mh… Bisogna che riveda un po’ la portanza di questo incantesimo» ragiona fra sé, adocchiando con aria critica il danno.

 

«Se non altro l’edificio è ancora in piedi» lo consola Arawn.

 

*

 

Sono diretti verso le scale che li condurranno all’uscita, o almeno è quanto si augura Pitch. Quando Arawn gli si è accostato ha avvertito un brivido, che non era né di freddo né di timore, ma piuttosto una sensazione estranea e sconosciuta, o forse un vago ricordo dimenticato da troppo tempo. Percorrendo lo stretto e buio corridoio, di tanto in tanto, avverte suoni ovattati provenire dalle loro spalle, ma decide di ignorarli e procedere oltre; intende abbandonare al più presto quel luogo infernale, e fermarsi a indagare sulle stranezze che racchiude non potrebbe procurargli che guai ulteriori.

 

Camminano in silenzio, l’uno a fianco dell’altro. Si sta abituando gradualmente a quella presenza che non appartiene allo stesso mondo degli uomini mortali, ma ciò non significa che possa diventargli naturale; dubita che possa essere un evento attuabile, e quell’apparenza nebbiosa non è certo di aiuto, piuttosto il contrario. Si chiede che aspetto abbia in realtà, come lo vedrebbe se si trovassero nel suo regno. Poi scuote la testa perché l’idea di ritrovarsi nell’Annwn non lo alletta per nulla; preferirebbe piuttosto ritrovarsi di nuovo fra i piedi i guardiani e tutto il loro scomodo entourage.

 

«Si intravede un chiarore» lo avvisa la voce stranamente nitida ma imperturbabile di Arawn.

 

Pitch solleva lo sguardo senza rammentare quando lo aveva distolto né perché. E sì, in effetti non molto più oltre può scorgere un lucore soffuso. Non è molto, ma dopo tanta oscurità è di certo un cambiamento interessante.

 

«Che l’uscita si stia approssimando?» si chiede a voce alta.

 

«Me lo auguro» ammette senza remore Arawn.

 

Nonostante la sua espressione placida, il suo tono lascia trapelare un velo di nervosismo. Forse anche lui ne ha ormai abbastanza di quel posto. Le pareti, attorno a loro, sembrano farsi più distanti; il corridoio si sta allargando e il buio retrocede, lasciando il posto a una penombra meno opprimente. Qualche minuto più tardi incrociano una biforcazione: a destra, in apparenza, il corridoio prosegue verso una luce più decisa e un passaggio più agevole; a sinistra si addentra nuovamente nelle viscere dei sotterranei, perdendo gradualmente nitidezza con il procedere della via.

 

«Mh… Potremo fidarci?» soppesa Pitch, che a quanto sembra non è stato attento a sufficienza sulla strada dell’andata e non ricorda affatto quella biforcazione.

 

«Se dessimo una veloce occhiata a sinistra? Per accertarci che non si tratti di un qualche inganno» propone Arawn.

 

Pitch stringe le labbra e la sua espressione si fa pensierosa. «Potrebbe valere la pena» considera con incertezza. Si volta verso Arawn e sembra soppesarlo. «Sei in grado di produrre luce?».

 

Arawn inarca le sopracciglia. «Una minima quantità, sì. Che cos’hai in mente?».

 

«Vorrei entrare nel corridoio di sinistra, e vorrei che tu rimanessi qui e facessi luce» spiega.

 

Gli occhi di Arawn si sgranano appena. «Per essere un punto di riferimento» comprende.

 

Pitch annuisce. «Sarebbe comunque imprudente se vi entrassimo entrambi».

 

Arawn accenna un piccolo sorriso. «Sono d’accordo. Sarò la tua luce» acconsente di buon grado. Chiude le mani a coppa e un momento dopo queste si illuminano di un biancore perlaceo.

 

«Perfetto. Cercherò di essere rapido» avvisa, prima di incamminarsi a passo sostenuto nelle ombre della biforcazione alla loro sinistra.



  
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