Libri > Percy Jackson
Segui la storia  |       
Autore: The Custodian ofthe Doors    29/03/2019    5 recensioni
[Storia interattiva| Deathfic!| Ready? Start!| Iscrizioni chiuse]
In un epoca sorprendentemente di pace, quando nulla turba l'equilibrio del mondo e dell'umanità, il pericolo più grande non è altro che la noia di coloro che hanno e possono tutto.
*
“ Problemi in Paradiso?”.
*
Il foglio volteggiò lento nell'aria densa delle Praterie degli Asfodeli, lì dove sorgeva il muro che li divideva dai Campi di Pena.
L'anima guardò altri fogli colorati svolazzare oltre quelle alte mura scure, caduti dal cielo, forse da quello vero e non dalla volta rocciosa che faceva loro da soffitto.
*
E se è la vita dei loro figli quella che gli dei vogliono veder in gioco, non vi sarà nessuno che potrà impedirlo.
*
“Riuscirai a “sopravvivere”? Sarai in grado di ingannare Thanatos?
Questa è la sfida della morte.
Questa è la Death Race.”
Genere: Avventura, Azione, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altro personaggio, Gli Dèi, Nuova generazione di Semidei, Semidei Fanfiction Interattive
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A










V. Run.

 

 

 

 

Le ere che si erano avvicendate durante la sua vita erano state come mesi infiniti di una stagione che portava solo noia e disguidi. Non c'era stato un periodo che aveva preferito più degli altri, neanche l'antica epoca d'oro, e forse era anche colpa sua che non era mai riuscito a godersi a pieno ciò che il mondo, la natura, l'umanità, gli aveva offerto.
I ricordi immagazzinati nella sua memoria eterna erano sbiaditi, la copia scialba di eventi ed emozioni provate una vita prima che spesso non riusciva a recuperare completamente. Oh, le nozioni c'erano tutte, il sapere, i torti subiti, le guerre ma non le motivazioni per cui erano state fatte. I nomi, quelli erano più difficili da ricordare ma mai quanto i volti e questi a loro volta non erano difficili da ricordare quanto lo erano le voci.
Difficili da ricordare ma non da riconoscere purtroppo per lui.
Se faceva vagare lo sguardo lontano, oltre i prati neri e la nebbia, poteva vedere ancora scene di un'esistenza così lontana da parere mai esistita, eppure così vicina e concreta da sembrar appena accaduta.
Scorse il volto di uno dei suoi figli, di uno dei suoi tantissimi eppure pochi figli. Li vide uno per uno apparire davanti ai suoi occhi foschi come le tenebre del Tartaro, sfumando poi nella nebbia delle Praterie. Volti giovani, alcuni troppo, altri appena neonati che mai sarebbero cresciuti; i volti di quegli uomini e quelle donne che erano riusciti a diventar adulti anche nel corpo e negli anni e non solo nell'apparenza e nel cuore.
Erano tutti persi, tutti, dal primo all'ultimo, condannandolo ancora una volta ad esser solo nell'eternità.
Ade aveva imparato a sue spese che anche dalla terra più fertile non nasce nulla se è il seme quello ad esser sterile e malgrado lui sapesse perfettamente di non esserlo si sentiva proprio così: come il seme residuo di una pianta ibrida che non avrebbe mai dato germogli abbastanza resistenti e forti da crescere e completare il ciclo della loro vita sino a morire sereni -non nella gloria- e soddisfatti della fine naturale dei loro giorni.
Mentre ai suoi piedi il vociare concitato e sconcertato di migliaia di anime si agitava e cresceva come il mare mosso, che s'ingrossa ad ogni onda, ogni volta che torna indietro per poi ricorrere verso la costa più grande e minaccioso di prima, Ade si ritrovò a domandarsi perché. Perché stavano facendo tutto questo? Perché dovevano per forza veder il sangue scorrere per essere felici? Potevano negarlo quanto volevano ma la verità era che tutti loro erano figli di loro padre. Anche chi discendeva dai cinque fratelli era comunque figlio di Crono, nessuno si salvava, neanche la bella Afrodite nata dalla spuma. Anzi, forse lei per certi versi era ancora più crudele e sanguinaria di loro.
Quando Zeus l'aveva convocato per parlare della calma che assaliva quegli anni postumi alla guerra, per dirgli che forse era ora che facessero qualcosa anche loro, qualcosa per distrarsi in modo “costruttivo” e non scadere sempre nelle solite battaglie che portavano la popolazione degli Inferi ad ingrandirsi ulteriormente con maggiore velocità – come se poi non succedesse già di norma- Ade era rimasto sorpreso. Un po' annoiato visto che lui, invece, di lavoro che lo impegnasse ne aveva comunque molto, ma comunque sorpreso che il fulcro della conversazione fosse la noia che tutti loro provavano e non i danni derivati da questa e già impossibili da eliminare.
Poi era tornato a casa sua, aveva trovato un vecchio amico ad aspettarlo come di consueto e si era rilassato raccontandogli di cosa avessero discusso.

 

<< Problemi in paradiso?>>

 

No, nessuno problema sino a quel momento, i problemi questa volta li avrebbe creati quello stesso uomo che si poteva permettere di prenderlo in giro o di mandare al diavolo Atena senza che lei potesse far nulla.
Cercò con lo sguardo gli occhi luminosi di quel dannato che era riuscito a partorire un'idea così contorta eppure così allettante.

Non potrebbe andare meglio di così, no?”

No, non poteva, la gara era stata studiata nei minimi dettagli, filava tutto alla perfezione, l'obbiettivo era preciso, definito. Cos'era che strideva?

Ma allora, perché farlo? Perché dare a tutti l'opportunità di tornare indietro, tornare ad essere sé ma vivi?

Ade rimase con lo sguardo fisso su quella folla vociante senza però vederla.
Doveva mettere fine a quella storia, o meglio, dargli il definitivo inizio o non sarebbero mai riusciti a vederne la conclusione. Non prima che l'Oracolo decidesse di uscirsene con una nuova, grande, terribile e nefasta profezia che avrebbe costretto tutti loro a vestire ancora le armi di battaglia.
Alzò una mano, leggermente, senza arrivare neanche a superare la sua spalla e già tutti tacquero sotto la pressione della sua aura, grazie a quel senso di conservazione che avevano ancora malgrado fossero morti e che gli suggeriva di chinare il capo dinnanzi a qualcuno più potente e più grande di loro.
Se solo pensava che un tempo c'era stato qualcuno che mai aveva abbassato la testa se non per pregare, e neanche loro ma il suo di Dio, Ade quasi aveva voglia di sorridere.

Non avevamo capito niente all'ora e ancora oggi, malgrado tutto, continuiamo a non capire.

<< La prima prova è stata una scrematura per far sì che solo i più idonei arrivassero qui. Un'anima che non è in grado di domandarsi dove stia andando ma segua semplicemente il gregge non è e mai sarà pronta a risalire sulla terra dei vivi.
Molte cose sono cambiate nel corso degli anni, che voi siate morti ieri o millenni fa.
Ad oggi lassù c'è chi governa e chi deve obbedire, come sempre è stato e sempre sarà, ma c'è molta più libertà di quanta la maggior parte di voi ricordi. Non è un mondo per deboli, se volete vivere un'esistenza da pecore allora vi consiglio vivamente di rimanere qui e tornarvene nel luogo a cui vi hanno assegnato i Giudici.>>
Fece una pausa solo per lasciare che il dubbio serpeggiasse tra la gente. Vide qualcuno incassare la testa nelle spalle, domandandosi se fosse davvero pronto per tornare alla propria vita magari in un'epoca completamente diversa dalla sua.
Il fatto che nessuno sapesse con certezza quanti giorni fossero passati dalla propria morte, quanti anni anche, lasciava tutti, dal primo all'ultimo, con un tarlo nella testa: e se il mondo in quel momento fosse stato troppo diverso da quello che ricordavano loro?
Vide un giovane di colore aggrottare le sopracciglia e non gli fu difficile comprendere i suoi dubbi.
 

E se la segregazione razziale si fosse espansa a tutto il mondo?”

 

Una donna si portò una mano alla gola e l'altra alla testa.

 

E se gli uomini avessero ancora il diritto di scegliere della vita e della morte delle donne?”

 

Un uomo dai tratti asiatici, la giacca militare sporca indosso, chiuse per un attimo gli occhi.

 

E se fossero cadute altre bombe sulla sua gente e il suo popolo non esistesse più?”

 

Un ragazzo alto, dai folti capelli rossi con lo sguardo perso nel nulla.
 

E se vi fossero ancora le persecuzioni contro le streghe?”

 

E se non avevano vinto la guerra?”
“ E se la sua nazione fosse stata sterminata?”

E se il suo regno fosse andato distrutto?”
“ Se la sua terra non fosse più esistita?”
“ E se…”

 

C'erano centinaia di migliaia di “se” e di “ma” che si agitavano nella mente di quelle anime ed Ade, per un istante, ma neanche poi così piccolo visto che questo era un suo pensiero ricorrente, maledisse tutta la sua specie per essere in grado di sentire i pensieri altrui.
Una gran rottura di scatole, solo questo.
Attese altri minuti, certo che nessuno avrebbe avuto il coraggio di alzare la mano e chiedere qualcosa e poi sospirò.
Voleva solo tornarsene dentro casa e farsi gli affari suoi, già il fatto che gli avessero invaso il giardino non gli andava troppo a genio.

Già il fatto che tutto sto' casino sia dovuto succedere nel mio Regno non mi va a genio.

<< Per chiunque fosse deciso a non vivere come un suddito obbediente ma di farlo, di nuovo, nel pieno della propria libertà, congratulazioni, avete superato il primo ostacolo della Death Race e ora vi attende il secondo.
All'inizio di questa gara avete firmato un contratto che vi vincola a partecipare ad ogni prova o a tornare da dove venite. Nel caso in cui qualcuno di voi volesse ritirarsi vi consiglio di farlo ora o all'inizio, o alla fine, di ogni prova. Chiunque deciderà di abbandonare la gara in corso d'opera per, non so, vivere da libera anima fuggiasca, è liberissimo di farlo.>> un sogghigno divertito si aprì sulle labbra fini e pallide, << Non darete problemi in ogni caso visto che vi dimentichereste persino chi siete.>>
 

 

A quell'affermazione Lea sussultò, voltandosi di scatto verso Ùranus che invece aveva stretto i denti e gonfiato i polmoni di un respiro inutile e trattenuto.
<< Che vuol dire?>> chiese a voce bassissima la ragazza. << Intende che quelle anime verranno riprese e spedite nelle Praterie?>>
<< Più probabilmente che verranno lasciate nelle praterie. Non credo che ci faranno gareggiare nei Campi di Pena o in quelli Elisi, credo che la maggior parte delle prove, se non tutte, verranno svolte nelle Praterie, quindi- >>
<< Se ti ritiri alla linea del traguardo o a quella di partenza ci sarà qualche essere che ti riporterà da dove vieni, se abbandoni durante la corsa nessuno ti verrà a recuperare e verrai lasciato al tuo destino. Un po' come tutti quelle che non sono arrivati qui.>>
Jane rimase impassibile, parlando con un filo di voce ma in modo estremamente chiaro. Di certo la cosa non la spaventava per niente, non lei che per secoli era stata a vagare tra quelle lande nere e fumose.
Ùranus annuì. << Probabile.>>
<< Ma… è crudele.>> soffiò Lea, facendo vagare lo sguardo dai suoi compagni alla figura scura ed altera di Ade. Come poteva il Dio dei Morti essere così cattivo? Non avrebbe dovuto saper meglio degli altri quanta disperazione già ci fosse nel suo regno? Quanta ce ne fosse anche dove tutto invece era bianco e luminoso?
<< Non lo è anche ideare un luogo vuoto in cui ogni anima diviene lentamente altrettanto vuota e sola, così tanto da non ricordarsi neanche chi è?>> le rispose Jane con più forza di quanta non servisse, con una punta di ferocia che fece venir voglia alla bionda di far un passo indietro ed allontanarsi da lei.
Non lo fece solo per presa di posizione, non si sarebbe fatta spaventare da una ragazzina arrabbiata e con un passato oscuro alle spalle.
<< Sì, lo è ed anche per questo credo che sia troppo crudele.>> disse con durezza.
<< Alle volte dimenticare tutto è molto meglio che ricordare ogni cosa.>>
Le due ragazze si voltarono verso Ùranus, il giovane teneva gli occhi fissi nel vuoto, immerso nei ricordi di una vita passata che avrebbe voluto dimenticare.
Ma era davvero questo ciò che voleva?
C'erano stati momenti in cui aveva desiderato scordare tutto, quando gli ultimi istanti della sua vita, quelli della sua morte ad esser precisi, tornavano prepotentemente a burlarsi di lui nel momento in cui cadeva il quel sonno fittizio che serviva solo per far scorrere più velocemente un tempo che non potevano calcolare e percepire.
Quindi se avesse mollato tutto, se non fosse tornato su, avrebbe potuto dimenticare e basta?
Poteva?
Un'onda di freddo lo distrasse e lo costrinse a lasciar da parte i suoi pensieri per concentrarsi sul Dio che aveva di nuovo alzato la mano per chiamare le anime all'attenzione.


<< Nella zona Est di questo giardino si trova la linea di partenza per accedere alla seconda prova. Essa consisterà, banalmente, nel riuscire ad attraversare un labirinto per giungere poi alla terza prova.
Avete affrontato le Praterie degli Asfodeli, arrivando qui quando la maggior parte di voi ignorava persino l'esistenza di questo stesso palazzo. Sarete avvantaggiati dal fatto che il percorso sarà circoscritto e non potrete quindi “spaziare” ovunque vogliate. Sceglierete una delle entrate- >> un gesto della mano e l'enorme schermo nero che trasmetteva l'immagine del dio diede una panoramica dell'entrata al labirinto. Uno spiazzo circolare erboso, alte mura di edera a formare un arco entro cui si aprivano ben dieci porte diverse. Ogni uscio era nero, scuro come le ombre che nascondeva dietro di sé, davanti ad ognuno di questi uno scheletro in armatura d'onore presenziava come una guardia seria ed impassibile. << percorrerete la vostra strada e arriverete all'uscita.
Nessuna porta vi condurrà ad un vicolo cieco, la scelta dell'entrata porterà l'unico vantaggio di avvicinarvi ad una via più sicura delle altre ma tutte quante si incroceranno prima o poi.
Questa è una gara di intelligenza e d'intuito, di senso d'orientamento e di sopravvivenza.
Ispirato al famoso “Labirinto di Dedalo” questi corridoi ospitano il bene ed il male, potrete trovarvi qualunque cosa al suo interno.>>
Le immagini sullo schermo cambiarono ancora ma questa volta mostrarono il vero Labirinto, con mura di pietra e porte sigillate, archi di fuoco e bestie feroci.
Molte anime sussultarono, alcuni indietreggiarono ricordando come proprio quei cunicoli avessero decretato la loro morte.
Tenendo lo sguardo fisso su quella vista Nathan serrò la mascella ingoiando un'imprecazione.
Il Labirinto di Dedalo, davvero? Volevano togliersi tutti dalle palle subito? Se il loro fosse stato pericoloso anche solo la metà di quello originale sarebbero stati tutti fottuti, dal primo all'ultimo.
Guardando i suoi compagni era lampante che nessuno di loro due sapesse di cosa stesse parlando Ade, ma Nathan invece lo sapeva bene, fin troppo in effetti. Quanti compagni validi aveva perso, caduti per errore in una delle tante e micidiali entrate di quell'inferno? Quanti vi si erano infilati volontariamente, soprattutto sciocchi figli di Atena, convintissimi che la statua della loro divina madre fosse nascosta in una di quelle stanze?
Non aveva mai tenuto il conto.
Il figlio di Ares riportò la sua attenzione sul Dio, senza battere le ciglia, solo tendendo lo sguardo fisso davanti a lui come gli avevano insegnato a fare mentre uno dei suoi superiori parlava.
Ade era pacato nei modi e nelle parole ma Nathan poteva avvertire che c'era qualcosa che non quadrava neanche a lui. Per la prima volta da quando aveva visto quel volantino colorato, il giovane si trovò a domandarsi chi tra i tanti Dei avesse ideato quella gara, chi fra di loro avesse ideato quella prova.
Una gran voglia di alzare la mano e porre quelle domande lo prese ma si trattenne solo perché sapeva fin troppo bene quanto quell'essere pallido come i morti non amasse assolutamente rispondere ai dubbi dei semidei.
Rimaneva il fatto che, per quanto la menzione del Labirinto l'avesse messo in guardia, per tornare a vivere la sua vita e non una nuova, Nathan era pronto a far di tutto, anche infilarsi tra i cunicoli ideati da Dedalo in persona.
 

<< Le regole della prova, ora.>>


Cade aggrottò le sopracciglia. << Come “le regole”? Che vuole dire? Non ha appena detto che dovremo solo passare attraverso quel labirinto ed uscire dall'altra parte?>> chiese rivolto a Nathan che però scosse la testa.
<< Probabilmente ogni prova avrà regole diverse e fatte appositamente per l'evenienza.>>
<< Ha detto che troveremo “il bene e il male”, >> aggiunse Eliza, << Tutte queste anime stipate in un labirinto, il cui unico scopo è arrivare dalla parte opposta per poter riguadagnare la propria vita… secondo te quanta gente finirà per lottare, per intralciarsi a vicenda?>>
Nathan annuì. << Specialmente le anime dei Campi di Pena. Sono sicuro che non vedano l'ora di menare le mani e regalare a tutti i beati un po' dei tormenti che gli sono stati inflitti per tutta la morte.>>
<< Quindi ci dobbiamo anche preparare a far a botte, bello.>> borbottò Cade.

 

 

<< Primo: non c'è limite di tempo. Siete morti, potete metterci quanto vi pare, il vostro unico limite sono gli altri concorrenti.>>

 

 

<< Ed ecco che molto gentilmente Ade mette tutti contro tutti.>> ringhiò Nathan.
<< Come se ti dispiacesse l'idea di dare qualche pugno a quei bastardi. C'è la feccia dell'umanità tra i dannati, magari becchi qualche tuo nemico.>> gli suggerì il rosso ghignando.
Per la prima volta, probabilmente, il figlio di Ares restituì il sorriso al suo nuovo compagno.
<< Ovvio che non vedo l'ora. Se mi dovesse capitare qualche figlio di puttana che ho incontrato in vita non c'andrò certo leggero. Meritano di rimanere qui per sempre a soffrire.>>


<< Secondo: non potete attraversare le mura. Che nessuno provi a distruggere l'edera. Già questa gara è abbastanza fastidiosa in sé, vorrei evitare di doverne indire un'altra perché mia moglie vi ha sterminati tutti.>>

 

 

<< Sua moglie è Persefone vero?>> chiese conferma Lea.
Ùranus annuì piano. << Dea della fertilità, colei che con la sua presenza sopra o sotto la terra ne scandisce le stagioni e l'alternarsi di vita e morte.>>
<< E sarebbe pericolosa perché?>> sbuffò Jane con una nota sarcastica, << Ci farà fiorire i capelli.>>
<< Perché è una Dea e potrebbe disintegrare la tua anima con uno sguardo, darti in pasto al Tartaro o sottoporti a torture peggiori rispetto a quelle che hai già patito in vita.>>
La risposta lapidaria di Ùranus fece storcere il naso alla ragazza, ma non replicò.
La verità era che, malgrado tutto, Jane ancora faticava a vedere in quegli esseri la potenza e la distruzione che li aveva generati e di cui loro erano portatori. Ma cosa poteva farle la Dea delle stagioni? Da morta il passare dell'inverno e della primavera non le interessava più, se i campi non avessero dato frutti non sarebbe stato un suo problema.
<< Davvero?>> si ritrovò a chiedere con una nota ben chiara di scetticismo.
<< Apollo è il Dio delle arti, della musica, protettore dei medici.>> disse il giovane. << Ed è il principale responsabile delle carestie, delle malattie, delle pestilenze della terra. Eppure all'apparenza non è altro che un ragazzo biondo, bellissimo e vanitoso a cui non interessa nulla di niente se non di sé stesso. Diresti mai che è solo una facciata e che in verità dietro questa immagine si nasconde un Dio freddo e spietato?>>
Jane alzò un sopracciglio: non poteva dirlo, ovviamente, ma tutti quegli aggettivi usati per descrivere il Dio del Sole stridevano gli uni con gli altri.
Posò lo sguardo su Lea, che aveva invece abbassato il suo, pensierosa, e si domandò se anche quella ragazzetta, bionda e apparentemente solare e determinata, nascondesse un lato spietato e feroce.
Sapeva creare pestilenze e carestie anche lei? Era così pericolosa e lei l'aveva sottovalutata?
Non rispose ad Ùranus ma il ragazzo sapeva d'aver ragione. Non che la cosa gli facesse piacere: sapere per certo che anche dietro al Dio più apparentemente innocuo si nascondeva una bestia nera non lo rassicurava affatto e lo riempiva di dubbi.
Cosa l'avrebbe aspettato nel labirinto?

 

 

<< Terzo: >>
 

 

<< Terzo? Pure? >>
<< Chiudi quella fogna e ascolta, rosso.>>
<< Sta zitto e ascolta, ragazzino!>>

 

 

<< all'entrata del labirinto dovrete depositare tutte le armi in vostro possesso.>>

 

 

<< COSA?!>>
Eliza e Nathan saltaron su assieme, gli occhi sgranati ed i volti increduli come quelli di molte altre anime che cominciarono a protestare più o meno apertamente.
Cade ghignò: << Chiudete quelle fogne, state zitti ed ascoltate bambini, per favore.>>
<< STA ZITTO!>>

 

<< Tutto ciò che vi servirà per superare la prova è all'interno del labirinto stesso. Non necessiterete di null'altro. Così eviteremo anche che qualcuno abbia subito la bella idea di prendere ad accettate qualche ramo.>> continuò con voce monocorde Ade. << Questo è quanto. Seguite la segnaletica, rimanete sulla strada, non calpestatemi il prato e consegnate le armi agli scheletri.
Non fatevi ammazzare e che Nike possa assistervi.>>
Con queste ultime parole il Dio si voltò, sparendo all'istante in una nube nera e fitta. Quando questa si diradò lo schermo gigante s'accese con una luminosa freccia gialla indicando la direzione da prendere.
Dopo un attimo di esitazione la folla scemò verso l'inizio della seconda prova, le facce stupite, scioccate, qualcuna pensierosa e interdetta.
Alcune anime stringevano convulsamente le proprie armi, le guardavano con il timore più che fondato di non poterle più rivedere, che fosse perché perdute dagli scheletri o perché loro stessi non avrebbero superato la prova.
Jonas poteva capirli: quelli erano sicuramente semidei, o almeno alcuni di loro, con una consunta maglia arancione su cui era ricamato un cavallo alato e la scritta “campo mezzosangue”, dovevano esserlo. Ragazzi più grandi o anche più piccoli di lui, che avevano imparato a sopravvivere e che l'avevano fatto con l'arma che ora gli veniva chiesto d'abbandonare.
Scrollò il polso facendo scendere sul dorso della mano il bracciale sbrillentato e si domandò come si sarebbe sentito se gli avessero imposto di toglierselo, di separarsi anche da quell'ultimo brandello della sua vita.
Lo confortava da una parte pensare che molte di quelle anime lì presenti, quelle che provenivano dai Campi di Pena come lui, non possedevano nulla se non loro stessi e la loro pazzia. Di certo non avevano addosso cose preziose, forse solo lui e Cicno possedevano qualcosa di reale valore.
Il suo collare, così lucido da potercisi specchiare dentro, ora divenuto una collana di filo spinato e quei due bracciali puliti e dal riverbero quasi fastidioso, che contrastavano con la figura sporca e malmessa del ragazzo.
Si ritrovò a spiare il giovane con la coda dell'occhio, cercando di capire, di capirlo.
La verità era che Jonas non si fidava di Cicno, non completamente, non davvero. Sarebbe stato complicato da spiegare a voce ma dentro di sé il ragionamento filava perfettamente: aveva la sensazione che Cicno non l'avrebbe tradito, per un motivo a lui ignoto l'altro aveva un qualche interesse a tenerselo vicino e non avrebbe fatto nulla per metterlo in difficoltà. Non ora per lo meno.
D'altra parte i suoi modi di fare gentili, educati, così confidenziali, pronti a farsi vedere amico e non nemico, non erano riusciti a pieno nel loro intento. Non che lo reputasse una persona cattiva, non ne aveva le prove per farlo e al momento neanche possibili argomentazioni. Cicno si era dimostrato interessato alle sue parole, l'aveva aiutato in un momento di bisogno, ma Jonas non era stupido e sapeva che di gente che fa qualcosa in modo disinteressato non ne esisteva, soprattutto non oltre le mura nere.
Per di più, quel suo modo di fare gli pareva quasi troppo gentile e ciò gli provocava un prurito alla base del collo, il desiderio di grattarsi via quella sensazione di- di- accondiscendenza.
Ecco: Cicno era accondiscendente con lui come lo sarebbe un adulto con un bambino a cui non si può spiegare un argomento troppo complesso. Lo reputava forse debole per via della sua età? Sapeva da quale terrazza proveniva e aveva pietà di lui perché in vita era stato un codardo?
Non poteva dirlo con certezza, da una parte avrebbe voluto fidarsi di lui per avere un alleato in quella stupida gara, dall'altra non avrebbe mai voluto affidare a nessun altro la propria vittoria, la propria sopravvivenza. Era in grado di badare a sé stesso, anche in un mondo che non conosceva.
Incapace di star fermo Jonas cominciò a dondolare sui talloni, infilando le mani in tasca per non muovere anche quelle.
Il suo sesto senso, il suo istinto, gli diceva di rimanere all'erta, di non prendere ancora una posizione ma ti attendere nel mezzo, guardandosi bene dall'esser troppo dipendente da quello che, a tutti gli effetti, si era innalzato a suo protettore, ma rimanendo comunque al suo fianco.
Sospirò infastidito: perché ogni dannata cosa che gli succedeva o che lo riguardava doveva sempre camminare sul filo del rasoio? Perché non poteva esser chiaro e invece continuava ad esser tutto così maledettamente contraddittorio?
Cercando di nascondere al meglio il suo nervosismo Jonas strinse i pugni nelle tasche e seguì i suoi “compagni” verso l'entrata del labirinto.
Affrettarsi ed essere i primi non sarebbe servito a nulla. C'era una voce lontana, che poteva sembrar quella di sua madre ma anche quella di una qualunque donna, che gli ripeteva di tener a mente la prima regola detta dal Dio di quelle terre: Avete tutto il tempo del mondo, siete già morti.
Jonas guardò la fiumana di persone e trattenne l'aria nei polmoni.
Perché più che una regola pareva un avvertimento?

 

 

*

 

 

 

 

Con riluttanza Eliza si era spogliata di tutte le sue armi, posandole tra le braccia di uno scheletro con l'armatura nera e minacciandolo neanche troppo velatamente di star attento a quello che faceva se non voleva finire come concime per le preziose edere della Signora Ade.
Il soldato era rimasto impassibile ed aveva teso le braccia anche verso Nathan che con la stessa felicità di qualcuno a cui avevano appena dato un calcio sullo stinco – Cade era stato molto meno delicato con il suo “Andiamo amico, neanche ti avesse tirato un calcio sulle palle!”- si era tolto il fucile di spalla e l'aveva appeso al collo della guardia.

<< Se si graffia rimpiangerai di non essere diventato concime.>> ringhiò facendo alzare gli occhi al cielo alla ragazza: perché doveva rincarare la dose in quel mondo, sottolineando che quello che lei avrebbe potuto fargli non sarebbe stato neanche lontanamente paragonabile a quello che avrebbe potuto fargli lui?
Piegò il collo a destra e sinistra infastidita. Quando era piccola aveva sentito centinaia di volte quella frase detta dai suoi amici.

 

Se fai così ti picchierò talmente male che rimpiangerai di non esser stato picchiato da Eliza”

 

Come se lei non fosse in grado di procurare lo stesso dolore a qualcuno, come se non fosse in grado di reggere i ritmi e i livelli di un maschio.
Invece l'aveva fatto, l'aveva fatto per anni nell'esercito, dimostrandosi all'altezza dei suoi commilitoni, nascondendo loro una scomoda verità e continuando a lottare nonostante tutto. Era riuscita ad essere un soldato esattamente come lo erano tutti gli altri.
Logicamente sapeva che Nathan non voleva insultarla o sminuirla, ma questo non le impedì comunque di mantenere quell'aria cupa e seriosa.
Voleva solo fare quel dannato labirinto, uscire di lì e riprendersi le sue armi.
Riportò la sua attenzione sugli altri due ed aggrottò le sopracciglia quando vide il biondo con una mano premuta sul pettorale dello scheletro.
Nathan fronteggiava la guardia infernale, l'altra mano allungata dietro di sé, verso Cade che stringeva qualcosa in mano. Pareva quasi che il primo stesse proteggendo l'altro ed Eliza non ne capiva il perché.

<< Cosa c'è?>> chiese facendo un passo avanti.
<< Non è un'arma, andiamo, non sono neanche tre dita!>> protestò Cade.
<< Parli di lame?>>
<< Ai miei tempi se un coltellino superava tre dita di lunghezza non era reputato un'arma vera e propria e non serviva il porto d'armi bianche per averlo, ma non credo che qui la cosa valga.>> sbuffò infastidito Nathan. << Dagli quel coso e facciamola finita.>>
Cade fece una smorfia quasi sofferente. << Devo?>>
<< Vuoi entrare nel cazzo di labirinto?>>
<< Sì ma ques- >>
<< E allora dagli il fottuto coltellino!>>
Eliza storse ancora il naso. << Te lo chiedo di nuovo: devi per forza parlare in questo modo?>>
<< Sì se serve a far recepire meglio il messaggio.>>
<< Okay!>> saltò su Cade prima che i due potessero mettersi a litigare lì, davanti ad una delle entrate.
Scansò Nathan e abbassò lo sguardo sul coltello, promettendosi mentalmente di recuperarlo, qualunque cosa fosse successa. Strinse la presa sull'elsa e poi la consegnò allo scheletro.
<< Stacci attento, non lo graffiare e tutte quelle cose che ti hanno già detto loro, minacce comprese, paiono decisamente incazzati adesso e potrebbero esserlo pure dopo.>>
Quello lo guardò con le sue orbite vuote e poi fece loro cenno di proseguire, le armi svanite con uno schiocco di falangi consunte.
<< Non mi piace questa storia.>> disse Nathan. << Toglierci le armi e farci comunque capire che potremmo dover combattere.>>
<< Lo puoi fare anche a mani nude, no?>> borbottò Cade.
<< Sì, ma questa cosa- >>
<< Ti puzza, l'abbiamo capito.>>
Il biondo lo guardò male ma il ragazzo non diede segno d'essersene accorto, piuttosto portò le mani in tasca ed indicò con un cenno del capo i vari archi. << Quale?>>
<< Non abbiamo nessun indizio su quale sia il più sicuro, quindi uno vale l'altro.>>
<< Se non vi va di scegliere posso sempre farlo io.>> Cade sorrise, flettendo le dita della mano destra sino a sfiorare il palmo.
Respirò a pieni polmoni l'aria degli Inferi, quel vago retrogusto perenne di zolfo, di fumo e polvere. C'era una strana scia, un sentore di aria vagamente più pulita, la traccia di un passaggio che incrociava meno muri, che si srotolava veloce verso la meta.
<< Tu non scegli proprio un cazzo. Ti sei scordato pure da dove vieni, figurati se ti facciamo scegliere dove andare.>> rispose burbero Nathan.
Ancora una volta, Cade lo ignorò. << Il quarto arco. Su, forza!>>
Il figlio di Ares lo guardò male, stringendo i pugni minaccioso ma la mano ferma e sicura di Eliza lo bloccò. << L'hai detto tu stesso, tanto un vale l'altro, se gli ispira il quattro non ci cambia niente prendere quello.>>
La sua voce era decisa come i suoi movimenti ed il soldato non poté che darle ragione, grugnendo infastidito ma avviandosi verso la direzione giusta.
Eliza sospirò e lanciò uno sguardo a Cade che sorrideva vittorioso.
<< Grazie Elza.>>
<< Eliza.>>
<< La “e” era giusta però, mi sono scordato solo la “i”. >> poi ad alta voce. << Visto Norman? Mi ricordo chi sono! Sono le lettere quelle che mi sfuggono!>>
<< Ti sfuggiranno i denti se non la smetti di parlare e non muovi il culo!>>
Il ragazzo rise di gusto e gettò la testa indietro, scuotendola per togliersi i capelli dalla fronte e fissare il buio inteso del soffitto cavernoso.
Sarebbe arrivato anche lì, dove le correnti più calde spingevano i fumi dei fuochi ed il calore delle magie. Cade poteva sentirli sulla pelle, i più piccoli sbalzi termici che si frapponevano tra le celle d'aria, ettolitri cubici di ossigeno e gas proveniente direttamente dal centro della terra, il fiato morto e pesante di tutte quelle anime, dei fuocherelli degli Elisi e dei bracieri dei campi di Pena. Percepiva quell'inconsistente e umidiccia nebbia magica, la famosa Foschia di Ecate che tutto incantava e tutto nascondeva e l'unico desiderio che animava il suo corpo per quello di tornare a respirare aria pulita, a respirare davvero.
Davanti a lui Nathan aveva l'arco, scostando con una spallata un uomo che era poi scappato dentro il labirinto terrorizzato dal suo sguardo assassino. Al suo fianco Eliza guardava con malcelato fastidio il biondo soldato e Cade si ritrovò a sogghignare leggero, avvertendo quella sottile tensione che si stava andando creando tra i due.
Forse Nathan non se n'era accorto, forse neanche Eliza si era davvero resa conto della cosa, ma mettere due soldati, due guardie con lo stesso rango, nella stessa squadra non portava sempre a buone cose. Era ovvio che il figlio di Ares fosse abituato a comandare, retaggio paterno escluso pareva uno che dirigeva la marcia, un vero leader, ma in contrapposizione aveva una figlia di Nike, che non avrebbe abbassato la testa, che conosceva i veri comandanti e che forse non riconosceva in Nathan uno di loro. O più semplicemente c'era qualcosa che la turbava e il comportamento strafottente dell'altro la stava innervosendo.
Aggrottando le sopracciglia Cade si rese improvvisamente conto che se ai suoi tempi era assurdo vedere una donna nell'esercito a quelli di Eliza doveva esserlo ancora di più.
Con noncuranza si fece un po' più vicino alla ragazza, facendo vagare lo sguardo a destra e sinistra, disinteressato.
Apparentemente non funzionò molto.

<< Sento le rotelle nella tua testa che girano, cos'hai in mente, ple di carota?>> gli domandò secca.
Cade si strinse nelle spalle. << Tranquilla, non ho intenzione di candidarmi anche io come capo spedizione, abbiamo già il biondastro che si crede suo padre e tu che ingoi rospi solo perché ti hanno insegnato a farlo.>> sorrise un poco maligno e l'occhiataccia di Eliza gli confermò che la frecciatina era andata a segno. << Mi stavo piuttosto domandando un cosa.>>
<< A cui a quanto pare posso rispondere io.>>
<< Puoi rispondere solo te. Il soldato lì può anche venire da un epoca più recente della nostra e sapere un bel po' di cose, ma dubito che sappia nulla della tua vita.>>
Gli occhi verdi della ragazza scattarono verso di lui, freddi e taglienti come poteva esserlo un coccio rotto. << Cosa vorresti sapere di me?>> chiese con voce calma.
Cade sorrise ancora. << Nulla di troppo personale, tranquilla. Volevo solo sapere come hai fatto.>>
<< A far cosa?>>
<< Credo proprio che tu lo sappia, ma se vuoi te lo chiedo direttamente, non mi faccio problemi, tranquilla.>>
Eliza continuò a fissarlo, lanciando solo di tanto in tanto qualche occhiata a Nathan che intanto avanzava tenendo la testa alta e scrutando con attenzione dietro ad ogni angolo.
<< Sono stata discreta.>> si risolse a dire. << Non mi sono mai spogliata davanti agli altri, non che ci fosse spesso l'occasione, alle volte neanche avevamo tempo per lavarci, figurarsi per cambiarsi una giubba strappata.>>
<< Vuoi davvero farmi credere che nessuno se n'è mai accorto? Insomma, voce? Mercanzia? Quei vostri problemi di donne? Che c'è? Avevo una madre anche io sa, e delle amiche.>> mosse subito sulla difensiva alzando le mani. Le sue tasche vuote, prive del coltello e ora anche del peso dei suoi arti, gli diedero più fastidio di quanto non credesse.
Eliza però l'aveva guardato malissimo, forse perché questo genere di domande non si facevano alle signorine ai suoi tempi. Beh, neanche a quelli di Cade se è per questo, ma lui aveva vissuto a stretto contatto con moltissime persone diverse per anni, tutte con desideri e bisogni differenti, alla fine, volenti o dolenti, anche quelli più basilari, fisici, umani, venivano conosciuti.
<< Mai accorti di nulla.>>
<< Sei stata fortunata.>>
<< Sono stata brava.>>
<< Esattamente due cose che non riusciamo ad essere noi ora.>>
La voce infastidita di Nathan li riportò al presente. Almeno dieci passi davanti a loro il ragazzo era appiattito contro una parete e teneva la mano destra alzata in un chiaro invito a fermarsi.
<< Né fortunati né bravi, questo posto non è solo un cazzo di labirinto, ma ha anche delle pareti fatte con questa merda di edera, non gli si può far un segno, non si distinguono le foglie.>>
Cade alzò un sopracciglio. << E perché ti sei spalmato sul muro?>>
<< Perché ho sentito un rumore, idiota. >> ringhiò l'altro.
<< Continuando ad inveire in questo modo dubito che passerai inosservato.>> Eliza avanzò decisa, si accucciò dietro a Nathan e poi si sporse leggermente.
<< Che cazzo fai?>> bisbigliò irritato.
<< C'è poca luce, sono in basso e a differenza tua che sembri una torcia nel buio sono mora e mi mimetizzo meglio. Ora taci.>> soffiò a voce bassa.
Il soldato borbottò qualcosa di sicuramente contrariato ma lei non se ne curò, intenta a scrutare nella penombra.
Dietro di loro Cade si godette lo spettacolo divertito, forse quel labirinto non era poi così male.
Portò le braccia dietro la testa e si mise a dondolare sui talloni. Lui non sentiva nulla, neanche un rumore, neanche un passo.
Un momento.
Perché non sentiva nulla?
Si volse di scatto verso la direzione da cui erano arrivati, un ammasso nero e brumoso come il fumo di una casa in fiamme. Non c'era nessuno, non c'era anima morta e sorvolando sulla terribile battuta che il suo cervello gli aveva appena proposto Cade non riuscì a non chiedersi dove fossero gli altri.
Si erano lasciati alle spalle ancora centinaia di migliaia di anime, intente a spogliarsi di armi e quant'altro. Alcune sarebbero sicuramente entrare nell'arco quattro, era impossibile che non fosse così, non potevano essere gli unici.
Senza distogliere lo sguardo da quella che doveva essere l'entrata Cade indietreggiò verso i suoi compagni, avvicinandosi anche lui al muro e rimpiangendo di non aver con sé un mantello per potersi coprire al meglio.

<< Non vorrei essere la voce della discordia, o portare sfiga, >> iniziò con un fil di voce. << ma dietro di noi non c'è nessuno, non arriva nessuno, come se dopo la nostra entrata l'arco si fosse chiuso e nessuno potesse più passar di lì.>>
Eliza e Nathan si voltarono quasi in sincrono, per Cade non fu difficile individuare il luccichio cupo degli occhi della ragazza e quello cangiante e freddo del giovane.
<< Che cazzo vuol dire?>> ringhiò Nathan posandogli una mano sulla spalla e spingendolo contro il muro per poter veder meglio la fine del corridoio.
<< Vuol dire che ci siamo solo noi in questo cunicolo, ecco cosa.>>
<< Com'è possibile? Non possono aver davvero chiuso l'entrata dopo di noi.>> Eliza si rimise in piedi e si spolverò le ginocchia dal terriccio umido di quel prato sotterraneo.
<< No, non hanno chiuso un bel niente, ma probabilmente hanno fatto in modo e maniera che tutti i gruppi formatisi venissero divisi gli uni dagli altri.>> ragionò a voce alta il biondo. << La struttura del labirinto è perfetta per dividere le persone. Il terreno d'erba e le pareti di foglie attutiscono i rumori e impediscono ai concorrenti di percepire qualunque suono non sia strettamente nelle vicinanze. La poca luce complica le cose.>>
<< Ma se questo è solo un labirinto, se dobbiamo solo arrivare all'uscita, perché fare tutto questo? Perché impedirci di trovare altre anime, hanno paura che assieme potremmo arrivare più facilmente alla meta?>>
<< Potrebbe essere, Ade ha detto che non abbiamo limiti di tempo, quindi forse mirano a farci distrarre, a rallentarci. Da soli abbiamo meno possibilità di vincere, come in ogni guerra, più l'esercito è esiguo più fatica dovranno fare i soldati.>>
<< Ma alle volte, un esercito intero può rimaner bloccato lì dove pochi uomini passerebbero.>> fece notare Eliza scrutando con attenzione il compagno. << Ha che gioco stiamo giocando davvero?>>
<< Siamo alla mercé degli Dei, ai loro comodi, com'è sempre stato e sempre sarà. Siamo marionette.>> disse seccamente Nathan frugandosi in tasca per estrarne la bussola. << Resta il fatto che non possiamo rimanere fermi, più tempo passiamo qui più sono le anime che potranno superarci. Se Ade non ci vuole uniti vuol dire che questo giocherebbe a nostro favore, partiamo da questo presupposto, altrimenti non avrebbe avuto senso far in modo che nessun gruppo ne incontrasse un altro.>>
<< Dobbiamo organizzare una strategia come si deve.>>


Cade lasciò che i due si mettessero d'accordo sul da farsi, era ovvio che non avrebbero preso in considerazione nessuna delle sue proposte e ad esser onesti neanche gli interessava molto pensarci su.
Quel luogo gli dava i brividi, una sensazione viscida che gli scivolava sottopelle come aveva fatto tanti anni prima. Si sentiva braccato, un topo in trappolato dentro ad una scatola che attendeva solo il momento in cui una porta si sarebbe aperta per mostrargli le fauci del gatto.
Lì stavano fregando, li stavano fregando alla grande e lui non ne capiva il motivo.

È solo un dannato labirinto.

Le regole erano poche, semplici, stupide: nessun limite di tempo, non calpestate le aiuole, posate le armi. Queste ultime Ade aveva dato ad intendere che dovessero essere depositate per evitare che qualcuno le usasse per aprirsi una strada tra i muri, ma Cade non era stupido, Dei dell'Olimpo se non lo era, e gli pareva solo una grandissima fregatura.
Ma dove?
C'era una frase di quella sintetica e pallosa premessa che gli stava solleticando il cervello da quando l'aveva sentita, ma non riusciva a ricordare, a concentrarsi.
Che cosa mancava?
Trovare il bene e il male, arrivare alla fine… i suoi compagni si erano focalizzati sul tempo ma qualcosa gli diceva che non era quello il fattore più importante, che la chiave era da un'altra parte, fuori dalle regole.
Doveva solo concentrarsi, magari poteva farsi un goccetto nel mentre? Oh, quella sì che era una splendida idea!
Si tolse la sacca dalla spalla con un movimento fluido e vi ficcò una mano dentro per cercare la sua fiaschetta. Aveva appena sfiorato il tappo con le dita quando Eliza lo richiamò.

<< Ci stiamo muovendo, che fai? Vieni con noi?>> gli chiese scocciata. Che avessero di nuovo discusso?
<< O possiamo mollarlo qui.>>
<< Poi come fareste senza di me?>> rispose lui sorridendo.
<< Ti conosco da meno di un giorno e già mi stai sul cazzo, direi che faremo entrambi benissimo senza di te.>> ringhiò acido Nathan stringendo la sua bussola in mano.
<< Oh, ci riaffidiamo a quella?>> chiese il rosso senza neanche curarsi della frase detta dall'altro.
Eliza annuì. << Pare che sia utile anche per ricercare delle forti fonti di energia, sicuramente fuori dal labirinto ci sarà qualcuno ad aspettarci, magari Ade stesso, sfrutteremo la cosa.>> poi indicò alla loro destra. << Di qui.>>
<< E i rumori che aveva sentito il ragazzino?>>
Quello lo fulminò con lo sguardo. << Chiamami ancora ragazzino… >>
<< Ehi, per una volta che dico la cosa giusta! Sei più piccolo di me sia di anni che di morte, che ti aspetti?>> sogghignò superandolo e avviandosi verso la direzione indicata dalla ragazza.
<< Che porti un minimo di rispetto a chi ti è superiore.>>
A quella frase Cade si bloccò, girandosi lentamente con un sorriso freddo stampato in volto.
<< E tu lo saresti perché? Per la divisa? Perché sei andato al Campo? O forse perché tuo padre è Ares? Notizia dell'ultima ora, soldato, siamo morti, qui siamo tutti sullo stesso piano, che ti piaccia o no.>>
Nathan lo guardò con aperto disprezzo, pronto a replicare, ma Cade si voltò di scatto verso sinistra, alzando una mano per stroncare qualunque risposta.
Ingoiando il rospo anche il giovane si volse nella stessa direzione, le orecchie tese per sentire ciò che aveva evidentemente percepito l'altro.
<< Cosa c'è?>> chiese Eliza avvicinandosi.
Cade mosse di poco la mano, la richiesta chiara e silenziosa di lasciarlo concentrare.
Una vaga brezza gli carezzò il volto, il suono basso, quasi un fischio, di un rivolo d'aria che passa in uno spazio esiguo, l'aroma di qualcosa di conosciuto mischiato all'erba, all'umidità e all'odore opprimente dell'edera.
Nella sua mente un filo azzurrino s'accese nel buio, srotolandosi veloce e luminoso nell'oscurità di quei cunicoli ingarbugliati come matasse di lana. Tra infinite possibilità, infinite svolte e bivi il filo continuò la sua corsa folle sino ad incontrare un altro punto luminoso, qualcosa di piccolo, una forma regolare che conosceva fin troppo bene.
Sorrise senza neanche rendersene conto.
A quanto pare anche nell'Ade s'insidiavano le correnti dei cieli.

<< Dobbiamo fare una deviazione, da questa parte.>> disse sicuro, già dimentico di quel piccolo alterco, avanzando verso sinistra prima che Nathan lo afferrasse prontamente per un braccio e lo strattonasse indietro.
<< Cosa di “andiamo a destra” non ti è chiaro?>>
<< Tutto visto che non l'avete detto.>> replicò seccato scostandosi con gesto secco. << Ti dico che dobbiamo andare di là.>>
<< E io ti dico che la strada giusta è a destra invece. La bussola- >>
<< Indica i punti cardinali, capta le fonti di magia e di energia e potrebbe portarci verso l'uscita come potrebbe portarci al patibolo.>> gli fece notare.
<< Senti, brutto pe- >>
<< Perché dici che dovremmo andare a sinistra?>> s'intromise Eliza ponendosi tra i due con fare risoluto.
<< Perché è la direzione giusta.>>
<< Argomenta, rosso.>> ordinò perentoria.
Cade alzò gli occhi al cielo. << Il rumore che lui ha sentito prima.>> disse indicando il biondo, << Avete capito cosa fosse? Siamo qui da soli, l'erba e l'edera attutiscono i suoni, ma tu hai sentito qualcosa, no? Cosa?>>
<< Che cazzo c'entra ora? Pensi che non abbiamo controllato mentre tu fissavi l'infinito? Non c'è niente, siamo soli.>>
<< Non me ne frega nulla di quello che avete o non avete controllato, cosa hai sentito?>> chiese con voce più dura. Quello poteva anche essere un soldato o quel che cazzo gli pareva, ma cominciava a dargli i nervi, specie in una situazione come quella.
Dietro di loro, avanti, tutto attorno, odori e suoni fantasma si sovrapponevano per poi svanire, trascinati per un attimo verso di loro per poi venir spazzati via. Sì, decisamente i suoi nervi stavano affrontando una bella prova, era da molto che non sentiva più quelle sensazioni.

<< Nathan.>> Eliza richiamò il ragazzo che si limitò ad una smorfia contrariata. << Diglielo, non ti costa nulla.>> fece paziente. L'ultima cosa di cui aveva voglia era far da balia a quei due cretini, ma a quanto pare non aveva molta scelta visto che il Fato glieli aveva affibbiati senza possibilità di replica.
Il figlio di Ares sputò a terra con fare sprezzante. << Rumore di battaglia, lame che cozzavano. Ma non c'è niente, come hai detto tu prima, siamo soli qui, in questa parte di labirinto, o per lo meno non ci è permesso incontrare altri. Ora tocca a te dirci per quale cazzo di motivo dovremmo andare a sinistra.>> ringhiò poi sul piede di guerra.
Cade annuì un paio di volte, ciò che l'altro gli aveva detto non era stato che una conferma alle sue sensazioni.
<< Non so come possa spiegarvelo senza sembrare un pazzo, ma non penso sia corretto dire che siamo isolati. Possiamo incontrare gli altri concorrenti, eccome se non possiamo, sono abbastanza sicuro che in questo momento centinaia di anime stiano combattendo le une contro le altre.>>
<< Cosa? Che te lo fa pensare?>> chiese Nathan improvvisamente più attento.
<< Le nostre armi.>> disse solo Cade e quando gli altri non capirono al volo sospirò. << Ci hanno privato delle armi, ricordi? Hanno detto che tutto ciò che ci sarebbe servito sarebbe stato all'interno del Labirinto.>>
<< Esatto, penso ce le restituiranno una volta fuori.>> mormorò pensierosa Eliza.
<< Io penso di no, altrimenti perché il mio coltello sarebbe qui nel labirinto ora?>>
I suoi compagni si voltarono a guardarlo accigliati, sospettosi.
<< Che cazzo significa?>> domandò brusco il biondo.
<< Ecco, questo è il punto che mi farà sembrare un pazzo.>>
<< Tranquillo, ho già una pessima opinione di te, non puoi peggiorarla.>>
<< Grazie soldatino, questo si che mi rincuora.>> fece portandosi drammaticamente una mano al cuore.
<< Fai meno il coglione e parla!>>
<< Okay, okay. C'è un filo, che voi non vedete, che va- >>
<< Dei dell'Olimpo! Mi sbagliavo, puoi ancora far abbassare la mia opinione di te! Un filo? Cosa c'è? Hai le allucinazioni ora? Ci stai davvero facendo perdere tempo perché vedi fili inesistenti?>>
<< No, non ho le allucinazioni, il filo c'è.>> ringhiò in risposta facendo un passo verso Nathan, la sua prima vera e propria azione bellicosa da quando si erano incontrati.
<< E allora cosa? Retaggio divino?>> domandò l'altro avanzando anche lui di un passo.
Eliza mise una mano sul petto di entrambi e tirò loro uno spintone per allontanarli.
<< Smettetela di fare gli idioti!>>
Il silenzio li avvolse di nuovo, neanche un respiro smuoveva l'aria, neanche un movimento, ma Cade lo sentiva, lo vedeva, sapeva che invece qualcosa si stava muovendo, che qualcosa era sempre in movimento.
<< Sì, >> si risolse a dire, << chiamiamolo retaggio divino. Questo filo arriva dritto al mio coltello. È a sinistra, due svolte a destra, la terza uscita e poi alla fine del corridoio. Non è così lontano, facciamo una deviazione e poi usciamo di qui alla svelta, okay?>>
<< Ma neanche per sogno!>>

Eliza fissò per un secondo Cade, domandandosi se ciò che stesse loro dicendo corrispondesse a verità.
Perché il suo coltello era lì? Questo significava che anche tutte le loro armi lo erano? Che qualcuno si sarebbe potuto imbattere nelle sue e prenderle? Non avrebbe più rivisto le sue lame, il suo fucile? Qualcuno li avrebbe usati contro di lei magari?
Un brivido la scosse al ricordo del fucile che invece imbracciava il suo compagno, ben più grande e spaventoso del suo, semiautomatico l'aveva chiamato Nathan.
Ma perché avrebbero dovuto disseminare le loro armi per quei cunicoli? C'era gente proveniente da ogni dove, qualcuno che avrebbe potuto malauguratamente trovarsi tra le mani una bomba e farla esplodere senza rendersene conto.
Tornò a guardare Cade, ad osservarlo e valutarlo. Quel ragazzo era ancora una grande incognita per lei, ma qualcosa le suggeriva che stesse dicendo la verità.

<< Smettetela, sono stanca di dividervi e sentirvi battibeccare!>> sbuffò tirando di nuovo uno spintone ad entrambi.
<< Non perderemo tempo per un cazzo di schifo di coltellino!>>
<< Ma ti ho detto che è qui vicino! E poi da lì potremmo uscire in fretta, so dov'è l'uscita, la vedo!>>
<< Che sei? Un figlio di Apollo? Di Hipnos? Hai le visioni?>>
<< Fatti i cazzi tuoi!>>
<< Basta!>>
La giovane guardò male i suoi compagni, serrando i denti tra di loro in un ringhio mal trattenuto.
<< Prima le Praterie che sbiadiscono i ricordi, ora questo labirinto dove pare non ci si possa mai mettere d'accordo. Non so se fa parte della prova o se è semplicemente la situazione che ci sta condizionando, ma dobbiamo smetterla. >> fissò il proprio sguardo prima negli occhi blu del figlio di Ares e poi in quelli verdi dell'altro. << Siamo partiti assieme, forse per volere divino, forse per volere del Fato, non possiamo saperlo, ma siamo arrivati sino a qui e non possiamo perderci in un bicchier d'acqua, non alla seconda prova. Quindi mettiamo in chiaro le cose, il patto è questo: ci aiuteremo a vicenda a superare le prove finché ci sarà possibile farlo assieme, quando poi le sfide saranno uno contro uno ognuno per la sua strada, senza rancore. Ma per ora, >> e qui si fermò di nuovo a fissare gli altri due, << per ora vedete di non fare i ragazzini.>>
Non poteva credere di aver dovuto fare un discorso del genere a due giovani, a due adulti, ma se metter le cose per iscritto era l'unico modo per venir fuori da quella situazione allora andava fatto.
I ragazzi continuarono a fissarsi in cagnesco, ognuno chiuso nel suo mutismo. Poi Nathan alzò la testa e si voltò verso destra.

<< Fate come vi pare, la direzione giusta è quella di destra, quindi io vado di lì. Se da questa merda dobbiamo uscire assieme, allora verrete con me.>> e per lui lì finiva il discorso.
Cade dal canto suo alzò gli occhi al cielo e poi li chiuse, prendendo un respiro profondo.
Eliza non aveva la più pallida idea di cosa stesse facendo ma non riuscì a togliergli gli occhi di dosso, calamitata.
La sensazione di un venticello fresco, quella che si ha quando per molto tempo si era stati chiusi in una stanza calda e poi finalmente si esce all'aperto, solleticò la sua nuca e forse anche quella dei suoi compagni. Nathan si voltò verso di loro, lei gettò un'occhiata al corridoio dal quale erano venuti e Cade, infine, volse la testa verso l'altro lato, verso sinistra.
Fu un momento, nulla di più, il ricordo fittizio di una giornata tersa e arieggiata, quando l'aria diveniva frizzante ma non ancora del giusto tepore che preannuncia l'estate. Una sensazione che lì sotto, nelle terre di Ade, nessuno poteva provare, forse solo i Beati.

<< Cosa… ?>> domandò con voce sommessa la giovane, scostandosi i capelli scuri dalla fronte.
Nathan, vigile e muto, pareva perso in pensieri che non avrebbe mai condiviso con loro.
<< Cade?>> provò allora Eliza, << Che diamine è stato?>>

Il rosso annusò l'aria, prendendo grandi respiri profondi che non gli erano utili a nulla se non ad interpretare quegli odori vaghi che l'edera assorbiva.
Lo sentiva, lo sentiva chiaramente. Era lì e lui non poteva ignorarlo.
Il filo azzurrino si srotolava davanti ai suoi piedi, più in là una scia aranciata correva verso una meta identica ma dal differente tracciato.

<< Andate a destra, ma non continuate a girare da quella parte, cercate di non spingervi troppo ad est, okay? >> Disse deciso sistemandosi meglio la giacca. Le dita passarono leggere sulla vernice crepata che gli decorava il bavero di tessuto grezzo.
<< Andate? Che vuol dire? Che diamine ti salta in mente, vuoi andare da solo a recuperare quel dannato coltello?>> chiese con più fervore Eliza.
<< So la strada, troverò da solo il modo per arrivare all'uscita.>>
<< Ci hai appena cagato il cazzo con la storia che non abbiamo armi e che in giro per il labirinto c'è gente che combatte, ti aspetti davvero che ti lasceremo andare?>>
La voce dura di Nathan costrinse Cade a voltarsi verso di lui, fissando il suo sguardo negli occhi freddi dell'altro con decisione.
Annuì.

<< Sì, è quello che mi aspetto facciate. Nella prova precedente voi eravate avvantaggiati, in questa lo sono io. Non avete armi e per quanto possiate essere forti non poteste competere contro qualcuno che invece ne ha.>>
<< Fammi indovinare, pel di carota, tu invece puoi?>> fece sarcastica Eliza ponendo le mani sui fianchi e scrutandolo con palese disapprovazione ed un pizzico di ironia.
<< Posso evitarli meglio. E in ogni caso so menare le mani anche io, da piccolo mi capitava spesso di trovarmi a dover affrontare gente armata, so come comportarmi.>>
Fece un passo avanti solo per poter mollare una paca sulla spalla alla donna e sorriderle con una faccia da schiaffi degna di nota. << So che ti sei già affezionata a me e che sarà un colpo terribile dovermi star lontana, ma ti assicuro che sarà per poco, se seguirete la bussola, non andrete ad Est e vi farete i beneamati affaracci vostri potreste addirittura arrivare sani e salvi all'uscita. In caso contrario, il Grande Cade verrà a salvarvi mie dolci donz- ahi!>>
Saltò indietro massaggiandosi la testa dolorante ma senza perdere lo stupido sorriso con cui aveva parlato.
Eliza aveva ancora la mano con cui gli aveva rifilato quello scappellotto alzata.
<< Fai poco lo spiritoso, razza di stupido! Tu non vai proprio- >>

<< Fa come ti pare.>>

Fu ancora Nathan ad interrompere il loro battibecco, il volto serio e l'espressione concentrata.
<< Sei un buon combattente, vero? Specializzato nel corpo a corpo.>>
Cade sorrise. << Me la cavo, sì.>>
L'altro annuì. << Sei figlio di una divinità molto forte?>> chiese poi accigliandosi leggermente.
Stringendosi nelle spalle il giovane si infilò le mani nelle tasche con noncuranza
<< Non lo sono forse tutti? >> poi scosse la testa. << Va bene che Ade ha detto che abbiamo tutto il tempo che ci pare, ma direi che noi ne stiamo perdendo parecchio. Andate, ci rincontriamo fuori dal labirinto, alle brutte ci aspettiamo lì?>>

Nessuno dei due conosceva bene l'altro, ma se avesse potuto scommettere, Eliza avrebbe detto che nella sua voce c'era qualcosa che stonava, qualcosa di simile all'insicurezza ma completamente diverso.
Per un attimo, e solo uno, le tornarono alla mente tutte le volte che aveva visto suo padre partire per una convocazione, tutte le volte che era stata ferma impalata davanti allo schieramento di soldati pronti a marciare.

 

<< Ci rivedremo presto, vero padre?>>
 

Il volto di Cade era rilassato, le labbra arcuate verso l'alto, gli occhi vispi, ma c'era quella piccola piega, quella minuscola increspatura all'angolo della bocca che le dava una sensazione di tensione.
Come di qualcuno che per tutta la vita era stato abituato a non essere mai solo.
Come un uccellino che per tutta la vita aveva volato assieme al suo stormo e poi, improvvisamente, si ritrovava a farlo da solo.
Non aveva paura, non di quello che stava per fare, a cui stava andando incontro. La paura di Cade, il dubbio era forse meglio chiamarlo, era quello di non ritrovare più coloro con cui aveva volato.
L'occhio le cadde sul bavero della giacca, su quelle forme stilizzate di uccelli che solcavano l'azzurro crepato di un cielo inesistente.
Cosa si nascondeva dietro a quel ragazzo?

<< Ti conviene uscire prima di noi se ci riesci, perché se quando metto piede fuori da questo fottuto labirinto non ti trovo poi col cazzo che mi fermo ad aspettarti!>>
Strappata di peso dai suoi ragionamenti Eliza alzò gli occhi al cielo quasi esasperata dal comportamento del figlio di Ares. Possibile che non sapesse minimamente parlare?
<< Oh! Ma come!? Credevo che tra di noi ci fosse qualcosa! Non puoi stroncare in questo modo un amore appena nato!>>
O forse era quasi esasperata da quei due assieme.
<< Piuttosto mi faccio tagliare le palle, altro che amore appena nato!>>
<< Non puoi rifiutare così i tuoi sentimenti! >>
O forse era tutta quella situazione a darle ai nervi.
<< Senti, vuoi andare a prendere il tuo cazzo di coltellino? Vai va! Basta che smetti di dar fiato a quella fogna!>>
<< Guarda, soldatino, che lo so che già ti manco...>>
<< Ma voi due, fino a tre secondi fa, non stavate per mettervi le mani addosso?>> domandò lei guardandoli con un'aria decisamente disgustata.
Cade le sorrise. << Era amore represso.>>
<< Ho ancora voglia di mettergli le mani addosso.>>
<< Via, Nathan, non davanti ad una signorina.>>
<< Ma sta zitto, è un soldato, avrà visto più cazzi di te!>>
<< Ehi!>> Eliza avvampò improvvisamente, sentendo le guance andare a fuoco, l'indignazione bloccata in gola come un boccone andato di traverso. Sentì a mala pena Nathan borbottare un “non in quel senso… intendevo che-” prima di decidere di metter fine a quella stupida pantomima.
Marciò verso il biondo afferrandolo per un braccio e strattonandolo verso il tunnel indicatogli dalla bussola. Dietro di loro Cade sghignazzava senza ritegno.

<< Fai quello che devi fare e poi fatti trovare fuori dal labirinto, non fare cazzate e- >>
<< Uh! Nathan! L'hai fatta proprio uscire di testa, ha detto una parolaccia!>>
<< STA ZITTO CRETINO!>>
<< Non ho detto nulla di strano, siete voi ad essere ottusi e non capire quello che intendevo! >> disse quello risoluto a non prendersi nessuna responsabilità.
Perché finivano sempre in quel modo? O litigavano o riuscivano a dir solo puttanate.

 

E stiamo assieme da meno di un giorno forse… se li avessi incontrati al Campo avremmo passato tutti i giorni della nostra vita in punizione.

 

<< E!>> calcò Eliza dandogli un altro strattone per farlo tacere, << vedi di non farti ammazzare!>>

Cade li guardò andar via con un vago fastidio alle guance per le risate che stava trattenendo, salutandoli con la mano e sentendo solo in parte la ragazza ordinare all'altro di tirare fuori la bussola e darsi una mossa, ricevendo come risposta un duro e sentito “non prendo ordini da nessuno io”, seguito prontamente dall'estrazione della bussola richiesta.
Si permise uno sbuffo divertito e poi si girò, la mano alta in segno di saluto anche se i suoi “compagni” non potevano vederla.

<< Tranquilli non- >>

Si congelò sul posto, la bocca gli si richiuse da sola senza il minimo permesso quando il suo cervello decise che parlare non era un'azione così importante dal momento che aveva appena fatto una realizzazione decisamente inquietante.

 

<< Non fatevi ammazzare e che Nike possa assistervi.>>”

 

<< Merda.>>

 

 

*

 

 

 

 

Scivolare via in silenzio non era stato per nulla difficile.
Nell'iniziale confusione che si era creata tra la folla pressante che voleva a tutti i costi entrare nel labirinto per prima, Jane aveva visto i suoi “nuovi amici” rimaner bloccati nella coda di chi doveva lasciare le proprie armi.
Li aveva guardati curiosa, cercando il luogo in cui potevano nascondere una spada, o un arco, ma non avevano con sé nessuno di questi, né una sacca in cui tenerli. Che avessero un coltello o un pugnale nascosto nei vestiti?
Non le era interessato davvero molto, erano poche le cose che ancora destavano la sua curiosità e le armi non rientravano tra queste.
Lei di spade, di lame, di lance, non ne aveva mai toccata una. Non si era allenata da piccola, non erano cose che si addicevano ad una ragazza. Per la sua società lei avrebbe dovuto solo cucinare, rassettare la casa, occuparsi dell'orto magari, delle bestie nel cortile. Doveva rammendare e cucire, accettare l'uomo che suo padre avrebbe scelto per lei ed essergli devota, dargli tutti i figli che lui avrebbe desiderato.
Non era andata così, non ci si era neanche lontanamente avvicinata.
Il sospetto aveva iniziato a dilagare nella sua città, sospinto da venti provenienti da quel vecchio mondo che tanti orrori aveva fatto, da quella gente che poi non era altro che la sua gente, mostri vissuti della guerra e nello scempio che avevano dato alla luce altri mostri in grado di far altrettante orribili azioni. Alle volte il genere umano le pareva così indegno di calcare quelle terre…
Dopo il sospetto erano arrivati i primi sintomi, la paura, le accuse, le condanne. Poi suo padre, che a tutto ciò era estraneo, era morto. Sua madre l'aveva seguito poco dopo, i veri colpevoli erano rimasti impuniti, lei sola, il mondo era crollato senza darle alcun tipo d'avvertimento.
Ripensandoci quei giorni le parevano lontani, quando una lama scintillante era simbolo di nobiltà e di forza, di giustizia; le sembravano così effimeri, come nebbia, come la nebbia delle praterie.
Passando sotto il braccio teso di un uomo di forse trent'anni, la pelle sbiancata dalla morte ma ancora cupa come le gente vissute al sole, Jane non fece neanche caso ai suoi stessi pensieri.
Era una bugia, era sempre tutto una bugia. Un'illusione.
Intravide a mala pena un arco erboso, la gente attorno a lei era moltissima, pressata l'una contro l'altra e Jane cominciava a sentirsi sempre più irrequieta, sempre più stretta.
Non lo sopportava, il contatto umano, esser sfiorata per sbaglio senza che quella stessa persona si rendesse anche solo conto di averla vicina. Lei odiava star in mezzo a molta gente, odiava star in mezzo alla gente e basta e tutti quegli anni, quei secoli, passati in solitaria negli ampi ed infiniti prati neri non l'aiutavano di certo.
Se solo fosse stata viva, lo sapeva, avrebbe cominciato a prendere respiri sempre più rapidi, sempre più profondi.
Persone e piante, un abbinamento davvero pessimo per lei, ma poteva farcela, doveva farcela.
Scivolò tra i morti, aiutata dalla sua piccola statura, tenendosi strettamente la gonna tra le mani chiuse febbrilmente a pugno per non inciampare.
Gli altri non la vedevano, non la vedevano mai, neanche ad viva spesso ci riuscivano e questo era un bene. C'era stato un momento in cui avrebbe tanto desiderato d'esser vista, di esser compresa, ma tutto aveva perso di significato, nulla importava più davvero.
L'arco di edera l'aspettava cupo e terribilmente minaccioso, una bocca di foglie dalla gola nera ed infinita che l'avrebbe potuta ingoiare da un momento all'altro.
Prese un altro respiro, profondo ed inutile e poi, a testa bassa, oltrepassò la seconda linea di partenza.

 

C'era confusione, c'era il vociare continuo ed ininterrotto di tutte quelle anime. C'era odore di zolfo, di terra secca, di pietra e di cenere, l'odore delle fiamme e quello del ferro. C'era la luce azzurrognola delle lampade del palazzo di Ade e quella più calda delle torce dei bracieri del giardino, la luce accecante e così piena di colori di quelle lastre che proiettavano le immagini come uno strano gioco di magia. Come un illusione.
E poi tutto era scomparso.
La confusione era cessata, il vociare si era spento, l'aria soffocante di centinaia di corpi riuniti tutti assieme sparita. L'odore di zolfo, di pietra, di cenere e di ferro solo un vago ricordo ora soppiantato dall'odore dell'erba umida, della terra bagnata, dal profumo soffocante dell'edera che era ovunque, era ovunque e da nessuna parte. Era sopra di lei, sotto di lei, la schiacciava contro le pareti, la risucchiava in un budello di verde tetro ma lucido, rischiarato da un fuoco invisibile che pallido illuminava solo un raggio di tre metri circa attorno a lei. Poi c'era solo il buio ed il silenzio.
Non era possibile, Jane lo sapeva benissimo. Non era stata l'unica ad entrare nell'arco 1, il più vicino, e non era neanche stata l'ultima di sicuro.
Perché non c'era nessuno? Perché era così vuoto?
Mosse qualche passo incerto, tremando come non le succedeva più da troppo tempo.
Quel mondo era sbagliato, non era il luogo in cui era entrata, non era più l'Ade.
Dov'era finita? Perché era lì?
Jane odiava cordialmente i boschi, ne detestava le profondità buie e terrose, quell'odore di vegetazione dolciastra e fredda. Erano brutti ricordi quelli che bussavano alla sua mente e la giovane non riuscì a non piegare le labbra in un risolino divertito ed isterico: ricordare.
Le sarebbe dovuto esser vietato, le era stata tolta quella possibilità, quel diritto, nell'esatto momento in cui i Giudici non l'avevano reputata abbastanza. Ma era da una vita intera che Jane non era abbastanza e forse questo era uno dei motivi per cui la foschia non aveva avuto effetto su di lei.

O forse è per colpa di chi mi diede i natali.

C'erano cose, cose del suo passato e pensieri oscuri di quel presente labile che scivolava via come acqua tra le mani, che Jane avrebbe davvero voluto dimenticare. Tra di questi c'era la sensazione delle radici e del terreno dissestato sotto i suoi piedi, i rami che le ferivano le braccia, che le strappavano i capelli. C'era un fuoco lontano attorno a cui ballavano esseri abominevoli di cui Tituba, la cara vecchia Tituba, le aveva solo accennato.
 

<< Cose oscure, giovane signorina, cose oscure. Creature che solo loro avrebbero potuto creare.>>
 

E quel posto…. Quel labirinto non aiutava, non aiutava per niente.
Con una fitta improvvisa la sua mente la costrinse ad arrestarsi sul posto, lasciando Jane di stucco quando si rese conto che aveva camminato sino a quel momento, la testa persa lontana in ricordi che non voleva ricordare. Dov'era andata? Perché si era allontanata dalla strada principale? Dietro di lei c'era un corridoio rettilineo proprio come quello da cui era entrata ma non poteva dire con certezza di esser ancora lì.
Un fruscio di foglie la fece voltare verso… verso dove? Veniva da quella parte? Oppure dall'altra? Che strada aveva preso?
Un rumore affrettato di passi la costrinse ad avvicinarsi al muro, sino a schiacciarcisi contro, sentiva l'edera pizzicargli la pelle come se il bordo delle foglie fosse affilato, come aghi di pino, come le foglie secche di quel lontano inverno in cui la sua vita era precipitata a picco.
Qualcuno si stava avvicinando e lo stava facendo velocemente e lei non aveva scampo, non poteva difendersi in alcun modo. Non sapeva neanche perché fosse così convinta che chi le stava correndo incontro avesse intenzioni bellicose, lo sapeva e basta. Stava arrivando qualcuno pronto a combattere e lei non lo era neanche lontanamente.
Il tonfo sordo di un corpo che cade la fece indietreggiare ancora di un passo, ormai i rami molli e flessibili della pianta le si erano conficcati nei fianchi come zeppi secchi, contro le sue caviglie nude premevano i rami più grandi e resistenti della pianta, ferendola senza pietà.
Qualcuno urlò, una voce spaventata e affaticata, affannata da una corsa che tecnicamente non avrebbe dovuto necessitagli ossigeno. No, non era una persona ansimante da una corsa quella che sentiva, era una persona terrorizzata, qualcuno che cercava inutilmente di prendere respiro anche se il suo fisico non ne richiedeva per poter sopravvivere.
Erano parole confuse quelle che avvertiva, il tono inconfondibile ma lontano di una supplica, le grida di battaglia di sottofondo, un qualcosa che Jane non aveva mai sentito ma che riconobbe con sicurezza, con precisione, con ovvietà.
Nel suo torace qualcosa si contasse di scatto, il ricordo sbiadito di un cuore affaticato dalla paura e dal dubbio, la ricerca disperata di un organo vitale di calmarsi e non esplodere nella sua confortevole gabbia.
Da dove venivano però quei suoni? Da dove venivano quelle suppliche? Chi era a parlare? Chi stava supplicando?
Il calpestio di erba sovrastò per un attimo le voci lontane e vicine, il sibilo di una lama squarciò l'aria e Jane non ebbe bisogno di veder nulla per sapere che una scure era appena calata su di un'anima sfortunata.
Con le mani ancora strette attorno ai bordi della sua gonna Jane chiuse gli occhi più forte che poté, voltando il viso verso la spalla sinistra cercando di nascondersi dall'ennesima morte che avrebbe macchiato la sua memoria.

Morte?

Una foglia gli carezzò la guancia, come il tocco leggero di una mano che cercava di farla girare per poterla veder ben in volto. Per una frazione di secondo le sembrò di rivivere un sogno, sentì ancora i polpastrelli tiepidi e leggermente rovinati di sua madre sfiorarle l'epidermide per chiederle cosa non andasse.

 

<< Tutto bene, Jane? C'è qualcosa che non va, cara?>>


Le parve di sentire le sue braccia stringerla, la sua voce lontana tranquillizzarla.

 

<< È stato solo un brutto sogno, bambina mia, solo un brutto sogno. Non hai nulla da temere.>>
<< Ma era così vivido madre! Era vero, era tutto vero! È stato terribile, quelle donne… >>
<< Era un sogno, non pensarci più, tra poco sorgerà il sole e porterà via con sé tutti i demoni della notte.>>

<< Torneranno?>>
<< Se succederà ci saremo io e tuo padre. Ma promettimi una cosa, Jane, giurami che non dirai mai a nessuno dei tuoi incubi. Sono tempi scuri bambina, tempi davvero oscuri. Non voglio che ti facciano del male, la gente ha paura e non sai quanto può diventar crudele una persona spaventata.>>
<< Ma sono solo sogni, l'avete detto voi madre.>>
<< Lo so, ma tu promettimelo. Cercano solo qualcuno su cui sfogare i loro timori, una strega da esorcizzare… promettimi che non lo dirai mai a nessuno, giuramelo.>>
<< Ve lo giuro madre.>>

 

Era successo così tanto tempo fa… solo stupidi incubi che la terrorizzavano e non la facevano dormire, che le rubavano il sonno e la tranquillità. Ma non sarebbe più successo, proprio come allora l'abbraccio di sua madre era in grado di sconfiggere ogni dubbio e ogni dolore, ogni paura ed ogni incubo.
Non avrebbe mai immaginato di poterla abbracciare di nuovo, di potersi perdere tra le sue braccia.
Braccia fini e filiformi, cosparse di decine di piccole mani lisce e fredde, dai bordi taglienti come aghi di pino, come le foglie secche del bosco. Braccia che le si stavano arrotolando attorno alle gambe, alle sue stesse braccia, stringendo la presa sulla vita, sul torace, avvolgendole il collo e la testa.
Jane aprì di scatto gli occhi, il terrore che brillava nelle sue iridi come non faceva da secoli, ma quando provò ad aprire la bocca per urlare era troppo tardi.
L'edera gli coprì le labbra con una stretta decisa e quasi soffocante, premendole sulla pelle ed ingoiandola nelle mura del labirinto dell'Ade.

 

 

 

*

 

 

 

Non voleva crederci, non poteva crederci. Non era possibile.
Jonas si guardò attorno con attenzione, volgendo lo sguardo a destra e sinistra, voltandosi di spalle per assicurarsi di non aver qualcuno dietro di sé.
Si era perso. Era davvero riuscito a perdersi? Era davvero riuscito a perdersi una statua greca che camminava ed un gigante nero alto due metri?
Lasciò ricadere le spalle e poi la testa all'indietro, alzando gli occhi al cielo e masticando un paio di imprecazioni in tedesco.
Perfetto, era davvero riuscito a perdersi, cazzo.
Tutto ciò stava sfiorando il ridicolo, i suoi “compagni” erano proprio davanti a lui, dritto per dritto, che marciavano seguendo lo stupido monaco pelato o quel che era. Poi aveva sentito un rumore, qualcosa che gli aveva riportato alla mente il suono di metallo che sfrega contro altro metallo. L'aveva associato al clangore che si espandeva nella palestra quando gli schermisti si allenavano, chiusi nelle loro ridicole tutine bianche, con un braccio piegato dietro alla schiena ed i fioretti che si incrociavano rapidi in una danza di passi che consisteva solo nell'avvicinarsi e poi retrocedere.
Ma perché avrebbe dovuto sentire un rumore del genere?
Si era voltato solo un attimo per controllare che non ci fosse nessuno dietro di lui, un gesto involontario come quello di tamburellare con le dita sul metallo freddo del suo collare.
Non c'era niente, dietro di lui, assolutamente nulla. Forse si era immaginato tutto, forse era anche quello un eco lontano di un ricordo perso della sua vita passata, forse aveva solo sentito male o qualcuno indossava un'armatura medievale e le placche che sfregavano le une contro le altre l'avevano tratto in inganno.
Non vi aveva dato peso, neanche un po', si era rivoltato e poi bloccato di colpo: davanti a lui si aprivano tre strade diverse e Jonas non aveva la più pallida idea di quale di quelle avesse scelto la sua compagnia.
Si era quindi perso un nutrito gruppetto di persone abbastanza agguerrite e battagliere, convinte di saper come uscire di lì, senza neanche sentirle.
Dannazione e dire che il gigante non era così silenzioso, i suoi passi parevano tonfi sordi di sacchi di sabbia che cadevano a terra, di quelli che venivano accatastati per le strade in vista di possibili invasioni.
Con un grugnito chiuse di scatto i pugni, alzandoli come se volesse maledire il cielo per poi batterli solo sulle sue stesse gambe.

<< Dannazione! Dannazione!>> ripeté ancora frustrato.
Sentiva il nervosismo salire sempre di più, facendosi largo nel suo torace e raschiandogli il petto. Come sarebbe uscito di lì adesso? Che ne sapeva lui di quale fosse la direzione giusta?
Chiuse di nuovo gli occhi e prese un bel respiro, imponendosi quella disciplina che gli era stata inculcata in testa per tutta la vita ma che il suo sangue divino, a quanto pare, aveva sempre impedito attecchisse del tutto nel suo animo.
La verità era abbastanza ovvia e semplice: Jonas fingeva continuamente una calma ed un controllo che non aveva ma che tutti pretendevano sfoggiasse con orgoglio e alterigia. In quel momento però l'unica cosa che desiderava era prendere a calci qualcosa, purtroppo per lui Ade era stato più che chiaro nello specificare che i muri d'edera non dovevano essere toccati.
Ora doveva solo calmarsi e trovare il modo per uscire di lì, se poi nel farlo avrebbe incontrato qualcuno con cui poter menar le mani almeno un po', beh, non si sarebbe tirato indietro.
Come avrebbe potuto capire da che parte andare? Jonas avanzò verso i vicoli e si inginocchiò a terra per scrutare con attenzione l'erba scura. Il gigante nero doveva pesare come minimo una tonnellata, doveva essersi lasciato dietro qualcosa, qualche impronta, un filo d'erba rotto. Certo, poteva anche esser stato qualcun altro, ma di lì erano passati loro in quel momento quindi doveva provare. In ogni caso non aveva molto da perdere.
Esaminato il terreno il ragazzo si tirò in piedi spolverandosi i pantaloni per poi fissarsi le mani: sporche di terra e leggermente macchiate di verde, poteva sentirne l'umidità sull'epidermide e quel frescore gli risultò quasi fastidioso.
Gettò un'occhiata in giro, una vecchia abitudine dura a morire, risalente a quando voleva far qualcosa che di solito gli veniva proibito e doveva prima accertarsi che non ci fossero testimoni; poi si pulì le mani sul retro dei calzoni come sua madre gli ripeteva sempre di non fare, che solo la gente di strada si asciugava le mani o se le puliva sui propri vestiti.
Ma sua madre non c'era, non c'era suo nonno, non c'erano gli insegnati o qualcuno che potesse guardarlo, sgridarlo, giudicarlo. Per la prima volta da quando era uscito dai Campi di Pena Jonas si rese conto di essere solo, solo e libero di fare ciò che voleva.
A conti fatti quegli altri non lo conoscevano, non sapevano come fosse stato in vita, non sapevano da che epoca provenisse e come fosse opportuno comportarsi al tempo. Forse avrebbe potuto bestemmiar loro davanti e nessuno avrebbe battuto ciglio. Forse nessuno l'avrebbe fatto perché non c'era una sola anima a cui importasse davvero qualcosa di lui.
Aveva passato la sua intera vita, neanche poi così lunga, cercando di conformarsi a modelli che tutti reputavano perfetti e che lui non riusciva a raggiungere. L'aveva consumato, questo obbiettivo, l'aveva fatto soffrire, gli aveva roduto lo stomaco e fatto urlare frustrato all'apice della sua sopportazione.
Ma ora non era più così, ora poteva davvero far ciò che voleva, far le sue scelte in autonomia.
Con una rinnovata forza Jonas strofinò ancor di più le mani sui pantaloni per poi portarne una al suo orecchio, lì dove avrebbe dovuto esser ancora incastrato il fiore che gli aveva regalato Ipnos.
Una smorfia dispiaciuta gli piegò le labbra quando si rese conto che non c'era più, che probabilmente l'aveva perso nel tragitto sino alla Casa di Ade.
Da lì la mano scivolò sul suo collo, sfiorando il filo spinato che un tempo era servito come catalizzatore del suo dolore, uno specchio lucido in cui gli altri codardi avrebbero per sempre potuto veder ciò che avevano perso e mai avrebbero riavuto indietro.
Era ironico che poi, alla fine, un'opportunità l'avevano avuta anche se molti di loro non sarebbero riusciti neanche a sfiorarla con le dita.
Gli altri, ma lui sì invece.
Gli era stato detto che aver un sogno lo rendeva degno di provare, di aver una seconda possibilità. Jonas ci credeva, ci credeva con tutto sé stesso, era l'unica cosa che gli era rimasta.
Con quella risoluzione che aveva sfoggiato da vivo si voltò fiero, a testa alta, verso il corridoio centrale, pronto ad intraprendere la sua prima, vera avventura da solo.
Se fuori da quelle mura avesse rincontrato i suoi compagni, ben venga, ma se così non fosse stato non si sarebbe fermato.
L'ebrezza della libertà era un profumo fresco e pungente che gli ricordava l'aria nebbiosa della mattina. E non avrebbe rinunciato a respirala ancora.
Avanzò sicuro senza fermarsi, continuando a seguire tracce ed indizi che trovava in giro, cercando comunque di mantenersi sempre nella stessa direzione e di non prendere troppe svolte.
Ce l'avrebbe fatta, sarebbe uscito di lì da solo, non era certo uno stupido, poteva riuscirci e l'avrebbe fatto.

Poi un rumore assordante lo raggiunse, ricordi sbiaditi di esplosioni di vetri e di edifici in fiamme. Passi concitati dei commedianti di una guerra popolare ma non per questo meno sanguinaria.
Una figura alta e massiccia comparve alla sua destra, veloce e letale come un treno, e Jonas riuscì solo a chiedersi se anche da morto avrebbe sentito il dolore atroce delle sue ossa calpestate.

 

 

 

*

 

 

 

Come fossero finiti in quella situazione non le era neanche lontanamente chiaro.
Si erano messi in fila come tutti, avevano lasciato le loro armi con riluttanza ma obbligati a farlo dalle regole. La ragazza che stava con loro, Jane, era sparita nel nulla, inghiottita dalla folla di anime erranti che si accalcavano le une sulle altre.
Avevano varcato l'arco numero 3 assieme e poi tutto ciò che li circondava era scomparso.
Non c'era più un singolo elemento che potesse convincerli di trovarsi ancora nell'Ade, persino il soffitto scuro faceva intuire che vi fosse qualcosa ma impediva di scorgere la pietra della volta rocciosa.
Lea si era avvicinata inconsciamente ad Ùranus e in un secondo momento forse se ne sarebbe anche pentita: continuando di questo passo non avrebbe fatto altro che dar l'impressione di una ragazzetta incapace di difendersi, terrorizzata dagli eventi e dalla brutalità di quella gente.
Lei. Lei sarebbe sembrata una povera fifona. Lei che si era buttata per le strade durante quei maledetti giorni di sommossa, che aveva corso per i vicoli stretti e i palazzi scrostati, imbrattati dai manifesti e da ciò che restava di loro. Lei che aveva aperto quella porta a forza per fare il suo dovere e che era morta per quello, era morta per fare la cosa giusta senza accettare compromessi. La stessa ragazza che si era avvicinata ad un giovane che, seppur le dava infinita sicurezza, non conosceva per niente, che poteva esser stato un assassino in passato, anche se ne dubitava fortemente visto il luogo in cui la sua anima dimorava.
Rimaneva il fatto: Lea non era una codarda eppure era passata per quello, per una povera ed indifesa donnicciola che non sapeva come affrontare il mondo. O almeno, quelle erano le sensazioni che le erano scivolate addosso, mentre i suoi piedi perdevano aderenza sul terreno e slittavano sull'erba bagnata di una brina che non ci sarebbe dovuta essere.
La presa sul suo gomito si strinse. Ùranus la tirò su di peso da terra e la spinse avanti a sé, esortandola a correre più veloce.
<< Destra! Vai a destra!>> tuonò con la sua voce profonda e calda, in pieno contrasto con gli occhi gelidi e l'espressione seria che gli brillava in volto.
Lei inciampicò sui suoi stessi passi, allungando istintivamente le mani davanti a sé per attutire la possibile caduta. Riprese terreno e ricominciò a correre.
<< Chi sono?!>> urlò di rimando cercando di voltare la testa e vedere i loro inseguitori. Ùranus però, proprio dietro di lei, le faceva da scudo con la sua enorme massa, tutta protesa in avanti, nella corsa.
<< Non lo so, ma non è gente affidabile.>> la spinse verso l'entrata più vicina e si gettò anche lui un'occhiata alle spalle. << Sono certo sia un'altra la loro preda ma non credo che- >>
<< Che se malauguratamente dovessimo finire sulla loro strada si farebbero qualche scrupolo?>> chiese lei ironica, una punta d'isterismo a tingerle la voce.
Il suo compagno non disse nulla, semplicemente strinse i denti e si concentrò sulla strada, spingendola e rischiando di farla cadere di nuovo.
<< Ma perché combattono? E dove diamine hanno prese le armi? Sono anime come noi! Sono sicura che fossero tutti nel giardino di Ade! Come ci sono arrivati qui, con quei macete in mano?>>
<< Non lo so. Non ne ho la più pallida idea, ma non mi piace. Ade ci disse che non saremmo potuti entrare con le nostre armi e adesso… >> scosse la testa, l'afferrò per le spalle e la lanciò letteralmente nel cunicolo di sinistra prima di tuffarcisi anche lui. Nel corridoio principale una donna con una specie di sottoveste scura e delle calze nere sfrecciò veloce tirando una ginocchiata dritta in faccia ad un uomo bianco, la divisa militare rossa sporca d'erba e sangue ormai secco.
Ùranus la fissò allibito mentre Lea, tiratasi su in ginocchio, guardò quella che sapeva essere una combattente cinese lottare contro un soldato dell'800.
<< Non capisco perché combattano però. Dobbiamo arrivare all'uscita, è questo l'obbiettivo della gara.>>
<< Ma meno persone ci arriveranno e più si alzerà la possibilità di vincere per gli altri.>> le fece notare il giovane mettendosi in piedi e porgendole la mano per fare altrettanto. << Ho solo il timore che le armi di cui sono riusciti ad impossessarsi rimarranno in mano loro sino alla fine della gara.>>
Lea si ritrasse nell'ombra del cunicolo, il braccio teso davanti ad Ùranus per spingerlo a far lo stesso.
<< Credi siano le armi che ci hanno fatto lasciare, vero? Credi siano le nostre.>> disse sicura.
Lui annuì. << Rivorrei la mia, era un regalo di mio padre.>>
<< Anche il mio era un regalo, se può consolarti in qualche modo.>>
Il sorriso impacciato dell'altro le fece capire che no, non gli dava alcun sollievo, ma che la ringraziava per averci provato, sapeva che lei poteva capirlo.
Elena sospirò e si ritrasse ancora, quella situazione non le piaceva, non le piaceva per niente.
Stavano camminando tranquillamente per la loro strada quando due combattenti li avevano travolti in pieno, mandandoli a gambe all'aria e costringendoli a togliersi di lì il più in fretta possibile.
La ragazza asiatica, con i capelli lunghi e neri legati in una coda alta, aveva atterrato con facilità due uomini bianchi e poi era stata a sua volta scagliata via da un omaccione pallido come Ùranus ma con una folta chioma bionda.
Non si erano curati di loro, nessuno li aveva visti, o per lo meno nessuno dei presenti.
Poi era arrivato quell'uomo, la pelle chiara segnata da strani disegni arzigogolati, i capelli lunghi ed unti appiccicati sulla fronte. Li aveva individuati e fissati con uno sguardo folle, per poi dire qualcosa in una lingua sconosciuta, la voce fine e sibilante, come il rumore acuto di un gesso che graffiava una lavagna. Aveva tirato fuori da dietro la schiena una scimitarra decisamente più vecchia di lui, con il filo irregolare e l'elsa di legno e pelle. Poi li aveva semplicemente caricati ed allora l'unica cosa che erano stati in grado di fare era stato correre.
Stringendo la maglia di Ùranus Lea voltò le spalle al combattivo gruppo e si diresse verso la fine del corridoio, il più lontano possibile da loro.

<< Dove stiamo andando? Non possiamo deviare troppo, rischieremo di perdere la via.>>
<< L'abbiamo già persa, non possiamo rimanere qui, quel folle vuole ucciderci, gliel'ho letto negli occhi.>> disse rabbrividendo. Accelerò il passo, la testa che si girava di continuo dietro di loro per controllare che nessuno li stesse seguendo.
<< Si stanno sterminando a vicenda, vogliono eliminare qui i più deboli, i disarmati. Un luogo circoscritto è più facile da tener sotto controllo.>> fece pensieroso l'altro. Aveva un leggero fiatone, come se quella situazione l'avesse affaticato e Lea ebbe la strana sensazione che non fosse la prima volta che si trovasse in una situazione del genere. Le sfiorò la mente l'idea di chieder conferma ma una vocina nella sua testa le suggerì di non farlo: e se la sua morte fosse stata legata ad una fuga? Se tutta quella corsa gli riportasse alle mente brutti ricordi.
Si sentiva inquieta e non era solo per quei pazzi alle sue spalle. Sin da quando erano entrati in quel labirinto tutto le era parso opprimente, chiuso, buio, stretto, soffocante. E a quello si era unita la strana sensazione di sconforto, di paura, che silenziosa scivolava verso di lei e proveniva proprio dal suo fianco.
Guardò di sottecchi Ùranus, chiedendosi se non fosse lui, se non fosse colpa della sua discendenza divina che per altro ancora non gli aveva rivelato.
Sapeva molto e poco del suo compagno d'avventura, la cosa l'infastidiva parecchio, specie se ricordava quanto fosse stata curiosa ed attenta a tutto in vita.
Quello non era però il momento adatto per pensare alla morsa che le stringeva lo stomaco, dovevano trovare un luogo sicuro ed escogitare un piano per uscire di lì. Possibilmente incolumi.

<< Ci serve un posto riparato.>>
<< Non ne troveremo così facilmente. Il luogo più “sicuro” sarebbe quello con una sola via d'entrata da tenere sotto controllo, ma in quel caso… >>
<< Saremo in un vicolo cieco, quindi non avremmo possibilità di fuggire in caso quei pazzi ci trovassero.>>
Ùranus annuì. << Il problema è tutto qui. Hai in mente qualcosa?>> chiese speranzoso.
Lea si fermò, poggiando le spalle contro il muro d'edera e guardandosi attorno con apprensione.
<< Posso provare, ma non ho la certezza che funzioni.>> disse con sincerità.
Il ragazzo si mise sulla difensiva, le gambe ben piantate a terra, i pugni chiusi e le orecchie dritte.
<< Qualunque cosa sia, prova, se dovesse arrivare qualcuno ti difenderò io.>> la guardò dritta negli occhi e per un attimo Lea ebbe una vertigine. Le parve che il mondo si fosse messo a girare, delle voci lontane urlarono nei meandri della sua memoria, scacciate immediatamente da urla più reali, più vicine, più combattive.
Ùranus allungò il collo e serrò la mascella. << Dobbiamo trovare un altro posto, qui non siamo al sicuro.>> fece allarmato. Poteva sentire quasi dei passi avvicinarsi, non avevano molto tempo.
<< Ma non possiamo neanche continuare a girare a vuoto!>>
<< Non importa! Per ora conta solo rimanere- >> si bloccò, guardò spaesato la sua compagna e Lea, con una prontezza che non le avrebbe dato, l'afferrò per la mano e se lo trascinò dietro, sfruttando quell'attimo d'incertezza per dettar lei la strada da fare.
<< Vivi? Beh, siamo già morti, quindi peggio di così non potrà andarci.>> disse secca ricominciando a correre.
Chiuse la mano che non stringeva quella di Ùranus e se la portò al petto, chiudendo per un attimo gli occhi, solo per prendere fiato – inutilmente – e per pregare suo padre di concederle quella grazia.
In vita c'era riuscita poche volte e debolmente, ma in quel momento non poteva sbagliare.
Un tenue luccichio le illuminò la pelle, come quando da piccola metteva la mano sulla lampadina appena accesa e l'incandescenza della resistenza le faceva brillare le dita.
Era poco, normalmente sarebbe stato appena percepibile, ma in quei tunnel bui e freddi, umidi ed erbosi, sembrava una lucciola nei boschi.
Un segno di luce in mezzo all'oscurità. La scintilla che gli avrebbe mostrato la via.
Aprì di scatto la mano ed il brillio volò via. Fluttuò davanti a loro come un fuoco fatuo. Ùranus, preso alla sprovvista le si schiantò addosso mandandola lunga per terra e da quel groviglio di braccia e gambe che erano diventati, poté osservare rapito una minuscola lucciola che galleggiava a mezz'aria.

<< Co- cosa? Come?>> chiese balbettando.
<< Alzati! Dobbiamo seguirla prima che scompaia! Non so quante volte potrò rifarlo, non ci riesco sempre!>> Lea si districò a fatica dal corpo pesante del suo compagno d'avventura, afferrandolo per un braccio e tentando di tirarlo in piedi mentre l'altro, ancora scioccato, fissava il suo piccolo faro che li attendeva sfarfallando proprio come un insetto.
Dei rumori li raggiunsero in fretta. Lea si voltò verso la loro direzione terrorizzata, se avesse avuto ancora un cuore vivo le sarebbe schizzato in gola, la sensazione, per lo meno, era sempre quella.
<< Muoviti! Non abbiamo tempo!>> bisbigliò guardinga, tirandolo ancora malgrado non sembrasse servir a nulla.
Per fortuna Ùranus sembrò riprendersi. Scosse la testa come a voler scacciare un brutto ricordo e si mise finalmente in piedi. Fece scivolare la mano in quella della bionda bionda e la strinse.
<< Allora facci strada.>>

Forse avevano davvero una possibilità di uscire di lì sani e salvi.

 

 

 

 

*

 

 

 

Correva così velocemente che i suoi piedi a mala pena sfioravano il terreno. Le scarpe di cuoio, logore e sporche di fango, calpestavano l'erba per una frazione di secondo, il tempo necessario per imprimere la forza per un nuovo passo, lasciando dietro di loro un'impronta a mala pena visibile.
Il filo colorato si srotolava davanti a lui, visibile solo agli occhi di chi aveva un legame con il cielo e con i suoi domini, rapido come i venti che soffiavano ad alta quota, come i pegaso che solcavano mari di nuvole con i loro zoccoli perlati.
Cade si sporse leggermente a destra per prendere meglio la curva, la spinta sinuosa e decisa della corrente che lo sosteneva in ogni manovra come avrebbe fatto con il rapace più veloce e scattante della volta celeste.
Da quanto tempo era che non correva più in quel modo? Oh, quando era entro le mura bianche aveva corso parecchio, aveva fatto il giro di quella prigione candida come la bruma mattutina, un luogo di felicità e di riposo che però gli stava stretto, che lo conteneva come un tempo avevano fatto i confini della sua città. Cade si era sentito “punito” anche lì dentro, anche in mezzo ai fortunati, ai giusti, forse perché la convinzione martellante di esser riuscito ad entrare nei Campi Elisi solo per una pura botta di fortuna era rimasta annidata in lui e non si era più smossa neanche di un centimetro.
Ma ora era diverso, completamente ed immensamente diverso. Certo, era sempre bloccato in un percorso circoscritto, ma stava correndo per la sua vita, per la liberà, verso la libertà. E per sentirsi finalmente di nuovo libero come lo era un tempo doveva aver con sé ogni cosa che gli era appartenuta. Specie il suo coltello.
Non era niente di ché, solo un semplice coltellino da intaglio, di quelli che si usavano per tagliare le corde dei pacchi, che si usavano per strappare la stoffa, per cogliere una frutta, per incidere un legno. Non aveva nulla di speciale se non il fatto che era stato con lui da sempre, amico nel momento del bisogno, in ogni sua avventura e missione, anche le meno nobili.
Cade alzò di poco la testa, come a volerla tener dritta, fiera. Era vero, in vita si era macchiato le mani di molte azioni riprovevoli ma l'aveva fatto sempre e soltanto per necessità. Sì, insomma, qualche volta aveva fatto lo spaccone, si era vantato un po', solo per dimostrare agli altri di poter far qualunque cosa loro gli proponessero, però non era una persona cattiva, non lo era mai stata.

Non lo sono. Non lo sono.

E quel coltello, il suo stupido e semplice coltellino da intaglio ne era un promemoria, serviva per ricordargli chi era stato, il ragazzino che aveva imparato ad incidere rose sulla testiera del letto in cui dormivano sua madre e sua sorella, quello che tagliava le reti da pesca agli stronzi che sfruttavano i pescatori più poveri, il giovane che aveva alzato il pugno al cielo, vittorioso, pronto per guidare ancora una volta i suoi Liberty all'azione.
Il ragazzo che era morto senza sapere se quell'ultima missione, la più importante, fosse stata vinta o meno.
Il coltello era importante, era necessario, gli ricordava chi era, gli ricordava chi era stato, gli ricordava com'era morto e perché.
Svoltò veloce seguendo la scia colorata che ormai diveniva sempre più spessa, le foglie d'edera attorno a lui parevano allungarsi nel tentativo di toccarlo, come un eroe attorniato da centinaia di ammiratori urlanti. Ma non era altro che un'illusione, non era altro che la depressione formata dall'aria che gli scivolava dietro come la coda di un fuoco d'artificio.
Dopotutto non poteva esser mica vivo quel labirinto.
Davanti ai suoi occhi il filo luminoso tremolò, ormai delle dimensioni di un cordone da ancora, di quelli che aveva visto al porto una vita fa. Più in là girava a sinistra, sbiadiva per un po' e ritornava spesso e colorato come prima. Cosa c'era lì davanti a dargli fastidio? Ad interferire con la sua ricerca? Non poteva essere un muro, perché Ade aveva specificato che non li si potesse oltrepassare, ma non poteva essere neanche un'anima, non avrebbe avuto la forza giusta per disturbare la sua connessione… a meno ché…

 

 

 

*

 

 

 

Quel labirinto non era ovviamente solo un labirinto. Cicno se ne era reso conto nell'esatto istante in cui aveva visto le molteplici entrate, quei tunnel bui come le tane delle murene, pronte ad ospitare esseri sinuosi e letali.
Forse con il passare dei secoli gli uomini avevano dimenticato la gioia e la crudeltà degli Dei, il loro amore per quei luoghi intricati, che ricalcavano fin troppo bene le loro menti contorte, i loro subdoli intenti. Un labirinto non poteva essere un semplice complesso di muri, il cui percorso portava alla vittoria, no: uscire da uno di quei luoghi infernali significava vivere, tanto per gli uomini quanto per le anime.
Aveva adocchiato i suoi compagni discutere sulla migliore strategia da intraprendere, il vecchio sacerdote aveva mosso il suo bastone da passeggio e aveva indicato una delle entrate. L'unico pensiero che aveva sfiorato le mente di Cicno era stato relativo alla scelta del numero, dispari, ed al fatto che probabilmente il vecchio avrebbe dovuto lasciare il suo bell'appoggio decorativo. Come fosse riuscito a riappropriarsene poi, non voleva saperlo.
Nessuno dei Dannati aveva con sé armi, non era permesso a nessuno di loro ovviamente, non potevano difendersi dalle torture degli spiriti dell'Ade, dovevano soffrire per le loro pene terrene, quindi erano stati i primi e più veloci ad intrufolarsi nei condotti.
Tutti gli altri, che erano partiti ben attrezzati dalla loro piccola fortezza felice, si erano visti costretti a deporre le armi, ad abbandonare una sicurezza che, Cicno sorrise, probabilmente non era che effimera. Dopotutto, se erano già morti, come potevano spade, mazze e lance, ferirli ancora?
Un sorriso divertito gli tirò le labbra, non potevano, le armi non potevano più niente su di loro, era questa la verità.
Con una mano si tirò indietro una ciocca di capelli ed il bracciale di metallo brillò ad una luce fantasma che li seguiva come un raggio divino. Non illuminava molto, solo la zona in cui camminavano, ma tanto bastava per continuare a camminare, per far sì che il sacerdote potesse chiedere al suo Dio dei morti una grazia, in promessa di tornar in superficie e servirlo come aveva fatto un tempo.
Probabilmente il vecchio non sarebbe mai arrivato in superficie ed il Dio, chiunque quello fosse, si sarebbe preso indietro la sua anima dannata come pagamento di quel debito inadempiuto, ma ancora una volta a lui non interessava nulla, non interessava nulla di nessuno di quegli stolti che lo circondavano, né del gigante che aveva giurato di proteggere né tanto meno del ragazzino che quell'essere l'aveva obbligato a prender con sé, che aveva legato a lui proprio tramite quei bracciali.
Il ragazzino però aveva il pregio di essere silenzioso, di farsi gli affari suoi e di portare il giusto rispetto agli altri, forse per il semplice fatto che fossero adulti, forse perché suggestionato dalla lontananza che passava tra la loro vita e la sua.
Senza neanche rendersene conto, con fare quasi svogliato, Cicno si voltò per controllare cose stesse facendo Jonas, il prediletto di Hipnos. Aveva percepito chiaramente una forza interessante, qualcosa che non conosceva ma che si sarebbe potuto rivelare utile, potente, doveva solo guadagnarsi la fiducia del ragazzo e spingerlo a confidarsi con lui. Magari avrebbe potuto iniziare sin da subito. Si era reso conto di non essergli indifferente, dopotutto nessuno poteva sfuggire al suo fascino, era un dato di fatto, avrebbe potuto puntare su quello ma qualcosa gli diceva che il biondino non si sarebbe fatto abbindolare per così poco.
Tutti i suoi pensieri si bloccarono quando si rese conto che il ragazzino non era lì.
Cominciò a guardarsi freneticamente attorno, per vedere se gli fosse passato avanti – ne dubitava fortemente – o se magari fosse nascosto dietro a qualcuno.
Non c'era, non c'era da nessuna parte.

Dei immondi!

Dov'era? Perché non era lì?
L'uomo che glielo aveva affidato gli aveva detto di stargli attento, di condurlo sino alla Casa di Ade o se ne sarebbe pentito amaramente.
Quel semplice ricordo però lo tranquillizzò: gli era stato detto di portarlo sino alla linea di partenza e lui l'aveva fatto, quindi il suo compito era adempiuto.
Un sorriso rilassato si allargò sul suo volto, non era certo colpa sua se il ragazzino si era perso, quel labirinto non era ciò che sembrava, era vivo in un modo in cui loro non lo erano mai stati, era stato progettato per metterli in difficoltà… che colpa aveva lui se la seconda prova aveva fatto il suo dovere e una delle prime vittime era stata proprio il piccolo Jonas?
Nessuna. Cicno non aveva alcuna colpa e quell'essere non poteva fargli niente.
L'unica incognita rimaneva il legame tra i suoi bracciali ed il collare del ragazzo, ma quello non era poi un grande problema, non qualcosa di cui sarebbe dovuto occupare al momento.
Forse non avrebbe mai scoperto quali erano i grandi poteri di Jonas, ma non avrebbe neanche mai dovuto affrontarli.
Un nemico in meno era sempre cosa gradita e lui lo sapeva fin troppo bene.

Poi un rumore strano, conosciuto ma dimenticato da secoli.
Il sacerdote si bloccò ed indicò una delle aperture del labirinto.
Cicno non comprese ciò che stava dicendo ma dalla posa rigida che avevano assunto tutti i suoi compagni non doveva esser nulla di buono.

<< Che succede?>> chiese avvicinandosi di poco al gigantesco guerriero.
L'uomo allungò il braccio, invitandolo a nascondersi dietro di lui.
<< Nulla di buono, figlio degli Déi. Quello che odi è rumore di lame che s'incrociano.>>
Cicno sgranò gli occhi suo malgrado. << Cosa?>>
<< Altre anime. Stanno combattendo. C'è stato detto di deporre le armi ma c'è chi ne ha ugualmente con sé.>>
Qualcuno gridò alla truffa, all'inganno, ma il greco non li stava più ascoltando, completamente concentrato sui suoni della battaglia che si stava consumando poco più in là.
Delle figure uscirono di scatto da dietro uno dei muri, alcune tuffandosi poi dentro al altri cunicoli, altre incespicando e cadendo come una aveva appena fatto, voltandosi avanti a sé e rimanendo impietrita alla sola vista di qualcosa che era a loro celato.
Una massa di grandi dimensioni si slanciò fuori dal muro d'edera e Cicno seppe per certo che l'anima a terra non aveva più via di scampo.
L'unica cosa che fu in grado di scorgere fu il guerriero maori scattare in avanti non prima d'averlo spinto al sicuro in uno dei corridoi.
Cosa successe oltre quelle mura Cicno non ci tenne minimamente a vederlo.

 
























   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Percy Jackson / Vai alla pagina dell'autore: The Custodian ofthe Doors