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Autore: AmeliaRose    30/03/2019    1 recensioni
È passato un anno esatto dalla sconfitta del branco di Alpha e dalla partenza silenziosa da parte di Derek.
Stiles non si sarebbe mai aspettata un cambiamento così radicale della sua vita, cambiamento fatto di addii amari e amicizie ricucite nel dolore. Ma una visita inaspettata da parte di una vecchia conoscenza travolgerà nuovamente la sua vita e di quella dei suoi amici.
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Tratto dal ventiquattresimo capitolo:
[...] «Possiamo vederla?», domandò John in lacrime. Finalmente, ora che aveva il quadro completo della situazione, poteva fare quella fatidica domanda. Sapeva che se lei lo avesse portato a vederla subito non avrebbe ascoltato una minima parola uscire dalla sua bocca, sarebbe stato troppo occupato a guardare sua figlia, ad abbracciarla e baciarle la fronte. [...] Esme prese la maniglia della porta e guardò John negli occhi. «È pronto?», domandò dolcemente. «Si.», rispose, non stando più nella pelle nel rivedere finalmente, dopo tanto tempo, la sua amata figlia. [...]
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Genere: Commedia, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Derek Hale, Isaac Lahey, Lydia Martin, Stiles Stilinski
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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"Teen Wolf e tutti i suoi personaggi non sono di mia proprietà, tutti i diritti sono dei legittimi proprietari a cui ho venduto l'anima, il mio è solo un divertimento"


21. Ventunesimo Capitolo
 

Trovare il coroner che aveva fatto l'autopsia a Stiles non era stato un problema per la squadra dell'FBI capitanata dall'agente speciale Rafael McCall.
Mikel Johnson, questo era il suo nome, non aveva fatto una piega quando gli agenti si erano presentati a casa sua con in mano i mandati di arresto e di perquisizione; Non aveva battuto ciglio o detto qualcosa mentre l'agente Barton, dopo avergli detto quali erano i suoi diritti, gli aveva messo le manette ai polsi e non sembrava affatto infastidito nel vedere i tanti agenti di polizia mentre mettevano a soqquadro la casa alla ricerca di prove incriminanti oppure mentre prendevano i suoi pc e gli hard-disk esterni per portarli alla centrale e controllare se al loro interno ci fossero prove che potevano incastrarlo per molteplici crimini.
Per l'agente McCall, Mikel, si aspettava che prima o poi l'avrebbero scoperto, si aspettava una loro retata e sapeva che avrebbe accettato qualsiasi sentenza della Corte che lo avrebbe giudicato. Non aveva cercato di scappare, non aveva cercato di aggredirli come molti invece facevano e non aveva minimamente provato ad opporsi all'arresto o ad insultarli mentre raccoglievano prove.
«Non capisco.», mormorò l'agente Barton, «Perché non ha ancora chiamato il suo avvocato?», chiese da dietro al vetro degli interrogatori una volta giunti alla Centrale di Polizia.
Mikel era seduto sulla sedia di metallo con le mani ancora ammanettate al freddo tavolo della sala interrogatori, la sua espressione era rilassata e portava sul volto un sorriso poco promettente. Era calmo, troppo secondo gli agenti, e sembrava non importargli affatto di aver messo in cattiva luce l'intero dipartimento dell'FBI.
Già si immaginavano le prime pagine dei giornali più importanti non appena la notizia verrà trapelata, senza contare che la stampa internazionale se li mangerà vivi quando sottolineeranno come nel loro paese una cosa del genere non era mai successa e che dagli Stati Uniti D'America si aspettavano di meglio, molto di meglio. 
Sapevano già inoltre che, probabilmente, il Direttore Dipett avrebbe messo sotto controllo tutti gli agenti per far sì che non ricapiti ancora un disastro del genere, sarebbero spettati loro mesi e mesi di colloqui, controlli e test per testimoniare il loro pulito operato.
Nessuno fece in tempo a rispondere alla domanda di Barton perché l'agente McCall, accompagnato dallo Sceriffo Jefferson, entrò dentro la stanza gettando il fascicolo del caso al centro del tavolo.
Si sedettero davanti a lui e rimasero in silenzio per qualche secondo, silenzio che serviva per contemplare l'uomo ricercato.

«Immagino che tu già conosca quali accuse pendolano sulla tua testa.», disse freddamente Rafael, «Nessuna domanda sul perché ti trovi qui, nessuna richiesta per chiamare l'avvocato, niente di niente.»

«Quando ho deciso di iniziare questa collaborazione avevo già messo in conto tutte le conseguenze possibili. Ma tutto quello che ho fatto, dall'insabbiare prove al mentire sui certificati di morte, l'ho fatto in nome della scienza.», iniziò lui porgendosi verso i due agenti, «L'ho fatto per tutti noi, per dare a ogni singolo umano che cammina su questa Terra una vita più longeva e priva di malattie. Se mi dispiace per tutte quelle persone che ci hanno fatto da cavie? La mia risposta è si, certo, non era facile fare quel determinato lavoro che ero stato chiamato a fare ma non mi pento nel modo più assoluto del mio operato.».
I due agenti erano rimasti quasi a bocca aperta nell'ascoltare le sue affermazioni dette in modo pacato, tranquillo, come se al posto di aver confessato di avere fatto esperimenti su cavie umane avesse consigliato quali biscotti erano più buoni e adatti ai vari tipi di tea caldi.
Sia gli agenti all'interno della stanza e quelli che stavano osservando da dietro allo specchio erano in uno stato di shock alla notizia. Sapevano del rapimento, delle finte morti e del traffico di umani, ma questo? Non se lo erano minimamente aspettato, Mikel li aveva presi di contropiede e sembrava stupito nel vedere che non avevano scoperto anche questa attività criminale.

«Aspetta...», mormorò lo Sceriffo Jefferson, «Voi non vendevate solamente donne e uomini ma facevate su di loro anche degli esperimenti?», domandò scioccato.
Ancora faceva fatica a credere alle sue orecchie, era una cosa fuori dal mondo per lui e non era abituato a lavorare contro un criminale del genere.

«Le posso assicurare che tutte quelle donne e tutti quegli uomini non mancheranno a nessuno. Puttane, senzatetto, drogati... Feccia inutile che popolano le strade di ogni società esistente. Anzi, dovreste ringraziarci per averle usate, vi abbiamo liberato e ripulito le strade e resi per la prima volta nella loro vita degli esseri utili.», disse con serietà e con disgusto quando nominava le sue cavie.

«Ringraziarti per cosa?», domandò con tono duro l'agente McCall, «Per aver ucciso persone innocenti che hanno avuto la colpa di prendere la strada sbagliata?».
Mikel sorrise beffardo.

«Che tipo di esperimenti facevate?», domandò lo Sceriffo aspettandosi il peggio.
L'uomo davanti a loro si sfregò le mani e sorrise, stava aspettando quella domanda da quando gli avevano messo le manette ai polsi.

«Esperimenti che, se non fermati, porteranno il genere umano ad un livello avanzato. Provate a immaginare un mondo dove non ci sono malattie e dove le persone possono vivere più a lungo. Non vi piacerebbe vivere in un mondo del genere? In un mondo sprovvisto di dolore perché si è scoperto che un proprio caro ha un male incurabile? Un mondo pieno di speranze e con una prospettiva di vita migliore per tutti?»

«Esperimenti come il tuo si stanno già facendo.», disse Rafal incrociando le braccia al petto, «Nei centri di ricerca con le varie sovvenzioni statali e private. Testando su animali o tramite apparecchiature tecnologiche in cui il margine di errore si fa sempre più sottile ogni giorno che passa. E tutto questo è legale, non come voi che agite nella criminalità.»

«Ma noi abbiamo una marcia in più.», disse Mikel con un sorriso.

«E quale sarebbe? Sentiamo un po'.», domandò lo Sceriffo.
Mikel si passò la lingua sulle labbra prima di rispondere, il suo sguardo era dubbioso, come se stesse pensando se era il caso di rivelare anche quella preziosa informazione o meno.

«Noi abbiamo materiale biologico che nessun'altra struttura possiede.», spiegò, «Noi abbiamo sangue, midollo spinale e tessuti che appartengono a persone che hanno l'incredibile capacità di trasformarsi in diverse creature.», rivelò infine.
Il silenzio calò velocemente nella stanza.
Il silenzio era così tanto che se tendevi bene l'orecchio potevi quasi sentire i pensieri che attraversavano la mente dei due agenti che lo stavano interrogando.

«Che cosa sta farneticando?», domandò scioccato l'agente Barton da dietro il vetro.

«Questo è impazzito.», mormorò l'agente Cruz.

«Punterà all'infermità mentale per non avere sulle spalle la pena di morte.», concluse convinta l'agente Morrison.

«Persone che hanno la capacità di trasformarsi in diverse creature?», domandò incredulo l'agente McCall.

«Lupi, coyote, volpi, iene... Ne esistono di svariate razze e, di questo ne sono assolutamente certo, ogni nazione ne ha un esemplare diverso.», spiegò Mikel, «Loro sono assolutamente perfetti, in ogni loro piccola cellula. Non si ammalano mai, mai! Non importa quante volte proviamo ad infettarli con ceppi di virus, non importa quante volte cerchiamo di contagiarli con un parassita, loro guariscono ogni volta.», disse con fervore.
«E quando abbiamo scoperto questo abbiamo cominciato a pensare a cosa potrebbe accadere se si procurassero delle ferite. E sapete qual è la risposta?», domandò ai due agenti.
Li guardò ma loro non dissero nulla.
«Le loro ferite si rimarginano in pochissime ore. Non importa quanto è profonda e grave la ferita, guariscono. Hanno una guarigione così accellerata rispetto a noi che la ferita non fa neanche in tempo ad infettarsi se non la si cura! E delle ferite non ne rimane traccia, neanche una piccola e insignificante cicatrice. È straordinaria questa scoperta!»
Ma tutto d'un tratto il sorriso sul volto di Mikel sparì.
«L'unico problema ora è riuscire a capire come prendere queste capacità e portarle in un soggetto umano, non siamo ancora riusciti a trovare una soluzione a questo. Ogni volta che provavamo a fare una trasfusione di questo sangue o trapiantare del midollo, la cavia moriva entro pochissimo tempo portando tutti i nostri sforzi nel cesso. Ma sono sicuro che prima o poi riusci-»
Rafael sbatté prepotentemente un pugno sul tavolo così velocemente da far sobbalzare sul posto Mikel e interrompendo il suo delirio. Anche lo Sceriffo prese paura a causa del gesto completamente inaspettato.

«Ora basta con queste stronzate, Mikel!», urlò in preda alla collera, «Non abbiamo tempo da perdere ad ascoltare questa marea di cazzate! Ci dica la verità, ora, subito, immediatamente!».
Mikel si protese nuovamente verso di lui e nel suo viso tornò quel malefico sorriso.

«Tutto ciò che ho detto lo può trovare all'interno dei miei hard-disk, sempre ammesso che voi riusciate ad entrarci.», disse con tono di sfida, «Ho registrato con la mia telecamera la maggior parte dei miei esperimenti, vedrete con i vostri occhi tutte le trasformazioni di cui ho parlato.», continuò, guardandolo fisso negli occhi, «E sono sicuro, agente McCall, che alcune riprese la sorprenderanno. Con me ho avuto collaboratori di ogni genere: studenti di medicina, professori di alto rango e anche personale veterinario o, questo ne sono sicuro le piacerà, anche figli di agenti di polizia pronti ad avvisarci non appena voi sospettavate di tale attività.», aggiunse sottolineando le ultime parole.
Il cuore di Rafael cominciò a fargli male.
Aveva capito dove Mikel voleva arrivare, lo stava avvertendo che forse aveva ripreso suo figlio. 
Sapeva che Scott ultimamente non era propriamente in sé, sapeva degli Argent e conosceva il suo amore per la giovane figlia di Chris. 
Era possibile che stesse parlando proprio di lui?
Rafael si alzò dal suo posto e uscì in fretta dalla stanza interrogatori, probabilmente per la prima volta dopo tanti anni non sapeva come agire.
Continuare ad essere un ottimo agente come era sempre stato e fare il suo lavoro nel modo più pulito possibile oppure nascondere ed insabbiare tutto nel caso in cui centrasse anche suo figlio?


Era passata una settimana dalla sconcertante rivelazione che Stiles era una volpe mannara.
La cosa aveva sorpreso tutti, anche Peter dopo averlo saputo ne rimase sconvolto.
Ultimamente per la ragazza si era fatto tutto strano, incomprensibile e preoccupante: Le pillole rigettate, i suoi episodi di sonnambulismo che l'avevano portata più di una volta a mettersi in una situazione di grave pericolo. Aveva avuto la fortuna che con lei ci fosse stato qualcuno pronto a fermarla prima che mettesse piede in strada, con il rischio di venire investita o farsi molto male buttandosi giù dal balcone di Villa Hale.
Secondo Deaton, dopo un'attenta analisi del suo libro, tutti quegli episodi erano da attribuire alla natura di Stiles.
La sua creatura l'aveva guarita dal suo deficit d'attenzione e iperattività, di conseguenza faceva rigettare i farmaci perché il suo corpo non ne aveva più bisogno, ed era risaputo che le volpi grigie erano prettamente creature notturne e questo andava a spiegare il sonnambulismo.
Sentendo quelle parole Derek rimase per qualche secondo interdetto e chiese delucidazioni; Deaton spiegò che questo tipo di creature rimanevano dormienti fino al compimento della maggiore età della sua parte umana, quindi fino ai diciotto anni, ma poteva mostrarsi per un breve periodo prima di quell'età se l'altra sua metà era in pericolo di vita oppure se necessitava dei suoi poteri di guarigione se stava male.
Derek chiese come mai la creatura non era comparsa prima dal momento che Stiles soffriva di questo deficit da quando era piccola e Deaton disse che dal momento che mancava poco al compimento dei diciotto anni, la creatura doveva prepararsi per uscire allo scoperto e doveva essere in forma.
Deaton aveva aggiunto, infine, che finché si trattava di guarire qualche problema fisico o mentale non era un problema, ma se si fosse trovata in pericolo di morte certa allora le cose si potevano fare ancora più gravi e questo i cacciatori lo sapevano, secondo il veterinario lo avevano fatto apposta.
Sempre secondo il libro, se Stiles si fosse trasformata prima dei suoi diciotto anni, le future trasformazioni della ragazza sarebbero state dolorose visto che il suo corpo non era ancora pronto per un cambiamento così importante.
Il libro non diceva per quanto tempo sarebbe durato quel dolore, ma solo l'intensità.
A quelle parole, inutile dire, Derek cominciò a ringhiare maledicendo mentalmente tutta la stirpe degli Argent.
Ogni volta che l'Alpha pensava alla sua dolce compagna che provava dolore, si trasformava. Non riusciva a controllarlo, ogni volta sentiva le sue zanne e i suoi artigli fuoriuscire minacciosamente.
L'avrebbe fatta pagare a tutte le persone coinvolte con il suo finto omicidio e rapimento. Avrebbe messo fino agli Argent, non avrebbe risparmiato nessuno, come loro avevano fatto con ogni componente della sua famiglia.
Due giorni dopo il ricovero in ospedale di John, Derek si era presentato da lui per parlare meglio di tutta quella faccenda e per fargli una domanda importante: Chi era il fratello di Stiles?
Nessuno ne aveva mai parlato, su quello ne era sicuro.
Nemmeno Scott aveva accennato a un presunto fratello maggiore.
Superato lo shock iniziale, John gli raccontò per filo e per segno tutta la storia; Claudia, la madre di Stiles, quando era molto giovane e andava ancora al liceo, aveva preso una grandissima sbandata per un suo compagno di scuola molto più grande e che durante un falò organizzato dai loro amici che avevano in comune perse la verginità con lui.
Claudia era cresciuta in una famiglia rigidissima e i suoi genitori non avevano mai affrontato con lei l'argomento 'sesso', addirittura le avevano fatto saltare le lezioni di educazione sessuale a scuola.
Lei all'epoca era un po' ingenua, non si era mai preoccupata di informarsi da sola in biblioteca o chiesto a una sua amica fidata di parlare di questo argomento e quindi non sapeva che doveva prendere delle precauzioni per non rimanere incinta. Nemmeno il ragazzo, di cui Claudia non rivelò mai l'identità, si era preoccupato di usare il preservativo e lei rimase incinta con il suo primo rapporto sessuale.
La sua famiglia riuscì a nascondere la gravidanza, la fortuna volle che all'epoca il fatto era avvenuto nei primi mesi dell'anno e una volta giunta l'inizio dell'estate, quando il suo ventre cominciò a diventare sempre più evidente, l'avevano mandata dai dei parenti che all'epoca risiedevano nella costa opposta.
L'avevano fatta partorire lì, i suoi genitori le avevano negato di tenere il suo bambino, lui sarebbe stato adottato da una famiglia molto facoltosa del posto che avevano sempre desiderato avere un figlio ma nonostante i tanti tentativi non erano riuscito ad averlo a causa dell'infertilità di lui scoperta anni dopo.
Avevano pensato tutto loro, e la famiglia che aveva adottato il neonato aveva acconsentito ad esaudire il desiderio della mamma biologica: il bambino doveva chiamarsi Theo.
Pochi giorni dopo il parto la sua famiglia la sottopose ad uno stressante e faticoso allenamento, la pancia, i fianchi e tutti i chili accumulati con la gravidanza dovevano sparire alla svelta per non destare sospetti di nessun genere.
Al suo rientro a scuola avvenuto in ritardo rispetto ai suoi compagni - per non lasciare nessun tipo di sospetto pagarono anche un medico per falsificare un certificato che attestava che aveva appena passato una malattia contagiosa - aveva ancora un po' di kg in più e andava in giro a dire che durante le vacanze estive dai parenti aveva preso un po' di peso perché aveva esagerato troppo con il loro cibo locale  super calorico.
Per la famiglia di Claudia l'apparenza era tutto, avrebbero fatto qualsiasi cosa per nascondere la gravidanza della figlia e fingere che non fosse mai avvenuta. 
Consideravano quella gravidanza impura e una grandissima macchina scura che avrebbe rovinato per sempre la loro reputazione e il loro cognome.
John, inoltre, gli aveva detto che Claudia non aveva visto il suo bambino dal giorno della sua nascita ma era riuscita, senza dirgli come, a scoprire molte cose su di lui: Le scuole che aveva frequentato, i sport che aveva praticato e dove risiedeva.
Posto dove tutt'ora abitava ancora visto che l'aveva ereditata dopo la morte dei suoi genitori adottivi.
Derek, dopo svariati secondi, gli chiese se per caso conoscesse l'indirizzo di Theo e lui annuì, l'Alpha scrisse su un fogliettino la via e si congedò augurandoli una pronta guarigione.
Derek, con la sua Camaro nera, andò a quell'indirizzo e parcheggiò l'auto ad un paio di metri dalla casa di Theo.
La sua abitazione, una villa dalle modeste dimensioni, era identica a tutte le altre ville della via: stessi colori, stesse rifiniture, stessa altezza della siepe e stesso colore dello steccato di ferro.
L'Alpha si domandò quel era stato il lavoro dei coniugi Conrad per potersi permettere così tanto lusso.
All'improvviso la portiera del lato passeggero si aprì e Theo entrò nella vettura chiudendola piano.
Derek non si era accorto di lui da quanto era immerso nei suoi pensieri.
«Il tuo odore si sente per chilometri.», mormorò il ragazzo, dopo aver sorseggiato il suo caffè da un bicchiere di carta comprato in una caffetteria vicina.
L'Alpha lo scrutò e notò il suo abbigliamento: una camicia di buona fattura color kaki, pantaloni marroni e scarpe eleganti nere.
«Che cosa sei venuto a fare qui?», domandò infine.
Derek inspirò e guardò dritto davanti a sé.

«Sapevi di Stiles?», domandò senza tante cerimonie, andando dritto al punto.

«Si.», rispose, «Tutta la Biblioteca lo sapeva.», mormorò.

«Non è quello che intendevo.», disse Derek.
Theo rimase per qualche secondo in silenzio prima di rispondere.

«Si, so che Stiles era mia sorella.», ammise.

«Perché non sei venuto al suo funerale?», domandò gelido.

«Ero presente.», disse, «Ma ero lontano da tutti. Mi ero nascosto come meglio potevo e avevo celato il mio odore per non farmi individuare.»

«Che cosa sei tu?», domandò infine Derek, senza guardarlo.

«La stessa creatura di mia sorella.», disse quasi con ovvietà.

«Il libro dice che le volpi mannare sono rare da trovare, anzi, si pensava che si fossero estinte a causa dei cacciatori.», disse Derek voltandosi verso di lui. «Deaton mi disse che quando quella persona portò il libro gli aveva detto che ne doveva consegnare altri dieci e ora mi dici che anche tu sei una volpe mannara? State spuntando più dei funghi per essere creature quasi estinte.»
Theo sorrise.

«Gli oracoli hanno fatto un errore, diciamo. Hanno visto male. Quel tizio si feriva solo alle femmine. Noi maschi ci siamo risvegliati decenni fa a quanto pare, ma i cacciatori ci lasciano in pace perché noi, al contrario delle femmine di questa specie, non trasmettiamo il gene della volpe mannara. È da quando l'hanno capito che ci lasciano stare.», spiegò.

«Se sapevi questo perché non hai cercato di proteggere Stiles?», domandò irato l'Alpha.

«Perché lei doveva essere umana.», rispose. «Se avessi saputo che Stiles  era una volpe anche lei mi sarei precipitato a vivere a Beacon Hills in meno di un giorno. L'avrei protetta da tutti, avrei fatto l'impossibile anche da Omega quale sono.»

«Che cosa intendi con 'lei doveva essere umana'?», domandò Derek.

«Le donne che hanno il gene della volpe mannara e che non si trasformano, possono generare solo un figlio con questo gene, gli altri sarebbero stati umani al cento per cento.», spiegò Theo, «Nostra madre ne ha generati due con questo gene, il che mi fa pensare che lei aveva il gene dell'Alpha. In questo caso, Stiles una volta trasformata sarebbe stata una volpe mannara Alpha.», continuò, «Questo è un avvenimento così raro che viene solo citato nei libri che parlano di noi.»
Derek era scioccato dalla notizia. Deaton non gli aveva detto niente di questa faccenda. 
Si cominciava a domandare se nel libro questo era scritto o no.
Nella vettura era calato il silenzio e Derek notò Theo che lo guardava, stava aspettando chiaramente che lui iniziasse a parlare di nuovo.

«Lei è ancora viva.», l'Alpha riuscì a dire solo questo frase.
Vide il viso di Theo sbiancare in pochi secondi, era incredulo e aveva la bocca leggermente aperta dallo stupore.

«Che cosa stai dicendo?», domandò lui appoggiando la schiena nel sedile.
Derek spiegò nuovamente l'intera faccenda, e più ripeteva tutta la storia e più stava male, e alla fine Theo aveva lo sguardo perso.
«Devo chiamare Alex.», disse all'improvviso.

«Chi?», domandò Derek.

«Lei fa parte di una task-force governativa che indaga su casi con persone che appartengono al cosidetto mondo soprannaturale. E lei è anche la mia compagna.», spiegò lui in fretta.

«Aspetta.», disse stupito Derek, «Il governo sa di noi?», chiese incredulo.
Theo lo guardò scioccato.

«Certo che si! I governi di tutto il mondo hanno creato anche delle leggi apposta per noi, leggi che ci tutelano e che ci condannano se commettiamo qualche reato.», disse Theo, «Ci sono, credimi, è solo che sono nascoste agli occhi di tutti.»

«Non credo che sia il caso di chiamarla, è una nostra faccenda...», cominciò a dire, ma Theo lo interruppe alla svelta.

«No, non pensare che dovremo farci giustizia da soli.», disse con tono freddo, «Non conosco mia sorella quanto te, ma so per certo che non vorrebbe che tu ti facessi ammazzare per vendicarla. Se agiamo assieme alla legge, potremo dare a loro una pena esemplare da scontare.», disse cercando di convincerlo che la sua era la strada migliore da seguire, «Derek, noi siamo migliori di loro. Noi siamo migliori delle persone che ci danno la caccia, non diventiamo come loro! Se mia sorella è ancora viva Alex la troverà, l'ha sempre fatto.»
Theo uscì dalla vettura mentre si accingeva ad estrarre il telefonino dalla tasca dei pantaloni, pronto per chiamare la sua compagna e per informarla delle informazioni appena ricevute.

«E per quanto riguarda la talpa della biblioteca?», domandò Derek, «Non avete avuto più notizie?».
Deaton non gli aveva più riferito più nulla sulla questione.
Theo si voltò verso di lui e rimase per qualche secondo in silenzio, indeciso su quali parole usare.

«No... Non ancora. Le cose si stanno complicando dal momento che stanno facendo fatica a trovare tutti i membri per poterli interrogare.», spiegò lui mentre digitava sul touch-screen il numero di Alex.

«Pensi che siano stati loro?», domandò Derek mentre stringeva con presa ferrea il volante della Camaro.

«Non lo so... O sono dalla parte delle persone che hanno agito contro mia sorella oppure si sono nascoste perché hanno paura che quelle persone possano fare lo stesso con loro. O peggio.», disse portandosi il telefonino all'orecchio, Derek sentì che aveva avviato la chiamata.
«Appena avrò novità mi farò sentire.», disse infine.

«Ma se non hai neanche il mio numero!».
Theo sorrise mentre dall'altro capo del telefono continuavano a non rispondere.

«Pensi davvero che non abbia chiesto alla mia compagna di cercare informazioni su di te e di darmi il tuo numero di telefono?», domandò incredulo, «Sei l'anima gemella di mia sorella, ho sempre tenuto d'occhio ogni tuo movimento tramite le tue chiamate e le tue carte di credito.».
E con un ghigno chiuse la portiera della macchina e si incamminò verso casa mentre la conversazione con la sua compagna si avviava.


La settimana per la squadra dell'FBI, capitanata dall'agente Rafael McCall, era passata molto lentamente.
Non avevano trovato nessuna nuova pista da seguire, nessuna nuova prova o risultato, niente di niente e questo aveva reso tutti più irritati del solito.
I video e le note vocali contenuti nel computer e negli hard-disk di Mikel erano tutti criptati e questo voleva solo dire che ci avrebbero messo più tempo per estrarre tutto il contenuto, tempo che in questo caso costava vite umane ogni secondo che passava.
Quando Rafael venne chiamato da uno dei tecnici per fargli visionare uno degli hard-disk che erano riusciti a decodificare si precipitò subito da loro, impaziente di mettere in chiaro tutta quella faccenda che sapeva di marcio.
L'agente McCall aveva dato precise indicazioni di non visualizzare nessuno video o di ascoltare gli audio, nemmeno la sua squadra lo avrebbe fatto senza il suo consenso e questo sarebbe stato fino a quando lui stesso non gli avrà visualizzati e ascoltati tutti. Doveva appurare che nessun fotogramma mostrasse la faccia o la voce di suo figlio.
E finalmente, dopo una settimana dall'arresto del coroner, si era chiuso a chiave nell'ufficio dello Sceriffo che gli aveva gentilmente ceduto per quell'occasione.
Guardava lo schermo nero del computer portatile, doveva soltanto premere un tasto e avrebbe scoperto la verità che celava quell'hard-disk. 
Quel giorno avrebbe scoperto se suo figlio faceva o aveva fatto parte di quell'organizzazione criminale? Lui non era affatto pronto per scoprirlo.
«Su, forza.», si disse a sé stesso ad alta voce, «Via il dente e via il dolore.», e detto questo avviò il primo video.
Sullo schermo apparve una stanza che ricordava molto quella di un ospedale: pareti immacolate di colore bianco, lampade al neon sul soffitto, due letti distanziati tra loro al millimetro di ferro battuto munite con l'apposito gancio dove va agganciata la sacca della flebo - o di sangue - e al centro, in mezzo a loro, un comodino di acciaio con sopra un vassoio di plastica blu che conteneva dei bicchieri di carta di colore bianco.
La telecamera era posizionata ad altezza d'uomo e in mezzo alla stanza, da quella posizione si poteva vedere chiaramente che i due letti erano occupati da due persone, un uomo e una donna sotto a delle coperte ci cotone bianco.
La visuale si mosse, Rafael non si era accorto che la telecamera non era retta da un treppiede ma che era in mano ad una persona.
Ora il video mostrava la donna, era legata al lettino di sinistra e aveva le mani e i piedi legati da manette di cuoio, le stesse manette che utilizzavano gli ospedale psichiatrici nell'ottocento. L'unica cosa che faceva capire a Rafael che quella che stava guardando era una donna era dalle sue forme femminili celate da sotto il lenzuolo e i suoi lunghi capelli castani. Il volto, invece, non era visibile. Qualcuno di indefinito gli aveva fatto indossare una maschera bianca e senza tratti distintivi, come per indicare che quella donna era senza identità, una persona che non contava assolutamente nulla. Un fantasma.
Rafael capì che quella maschera l'avrebbe rivista in più video quel giorno; Oltre a rendere quelle persone senza identità, l'agente era convinto inoltre che era anche un metodo per non far riconoscere quelle persone ed evitare che dei testimoni oculari potessero riconoscere chi erano le ultime persone viste in sua compagnia.
 La telecamera si spostò velocemente sull'uomo legato nel letto di destra, Rafael si stupì nel vederlo senza una maschera addosso.
Nell'inquadratura, in basso a destra, apparve una mano che teneva una siringa con al suo interno un liquido giallastro e la conficcò, senza tante cerimonie, nel braccio della vittima.
Appena il liquido entrò tutto in circolo nel suo sangue, l'uomo cominciò ad agitarsi violentemente e ad emettere dei ringhi che parvero, per Rafael, disumani.
Poi, di scatto, l'agente sobbalzò dalla sedia in preda all'orrore.
L'uomo, con una forza disumana, riuscì a lacerare le manette di cuoio che lo tenevano legato a letto, le sue unghie cominciarono tutto d'un tratto ad affilarsi e ad appuntirsi sempre di più. Il suo viso si stava facendo sempre più lungo e i tratti somatici farsi sempre più diversi e animaleschi, inoltre della peluria cominciava a crescergli attorno al viso ad una velocità impressionante mentre i suoi canini assomigliavano sempre di più a quello dei lupi: grossi ed appuntiti.
I suoi occhi cambiavano colore di continuo, da verdi ad azzurro acceso e viceversa.

«Qualcuno lo tenga fermo, presto, prima che si alzi del tutto!», urlò la voce di Mikel da dietro la telecamera, dal volume della sua voce probabilmente era proprio lui la persona che reggeva la telecamera.
E poi lo vide, suo figlio.
Scott teneva ferma quella creatura che pochi secondi prima sembrava un uomo quanto lo era lui.
Mikel inquadrò le mani di suo figlio, anche le sue stavano cominciando a cambiare fino ad assomigliare a quelle di un animale.
Poi l'inquadratura diventò nera.
Rafael scosse freneticamente il mouse fino a quando non apparve sullo schermo la barra delle durata del video e vide che scorreva ancora, il filmato non era ancora finito.
Forse era successo qualcosa ed era per quello che Mikel aveva spento la telecamera e per non far finire il video avevano messo la transizione nera.
L'agente McCall era scioccato.
Come poteva suo figlio, sangue del suo sangue, fare quella cosa? Come riusciva a mutare il suo corpo a piacimento? Erano stati loro ad infettarlo? Anche lui era stato una vittima di un loro sporco esperimento? E come poteva accettare di fare parte di quel gruppo di criminali?
L'uomo non poteva che farsi tutte quelle domande.

«Mikel disse che erano creature soprannaturali... Forse è stato morso da un licantropo?», si domandò Rafael a bassa voce.
Scosse la testa dopo essersi fatto quella domanda, doveva rimanere lucido e non perdere la bussola della ragione, doveva attenersi alle cose reali ed a quello che confermava la scienza.
Nello schermo riapparve la stessa stanza ma questa volta era sporca di sangue.
Nei muri c'erano dozzine di impronte insanguinate, le lenzuola e il pavimento erano nella stessa situazione. In quella stanza sembrava essersi appena consumata una strage.
La telecamera inquadrò il letto in cui poco prima c'era distesa la donna e ora vide che appoggiato sopra al materasso pregno di sangue c'era solo la maschera dove dalle fessure degli occhi e delle bocca uscivano dei rivoli di sangue ormai secco.
Mikel, da dietro la telecamera, sbuffò.
«Non sta funzionando. Tutti i nostri esperimenti sembrano non portare a nessun risultato. Tutte le nostre cavie muoiono diversi secondi dopo la trasfusione di sangue, il loro corpo, al momento, non è idoneo a sopportare un cambiamento del genere. Ma noi non molleremo, non ci demoralizzeremo davanti a questi ostacoli che a prima vista sembrano intramontabili. Noi andremo avanti fino all'ultimo secondo. Per la scienza, per l'umanità e per un futuro prospero.».
E il video finì.


Rafael uscì dalla centrale di polizia più in fretta possibile.
Era ormai giunta la sera e aveva visto tutti quei video che l'hard-disk conteneva, dopo tutte quelle immagini da brividi gli era venuto un forte mal di stomaco e un senso di nausea atroce, oltre ad un grandissimo mal di testa.
Quando finì di vedere l'ultimo filmato, per qualche secondo si era domandato se tutto quello che stava vivendo non era altro che un brutto incubo.
Uomini che si trasformavano in paurose creature? L'aveva visto fare solo nei film horror.
Sembrava tutto così irreale ai suoi occhi.
Quando riprese un po' di lucidità mentale, chiamò la zia di Scott per sapere quando aveva visto per l'ultima volta Scott e quando sentì che mesi fa l'aveva chiamata Melissa per dirgli che era ritornato a casa, ne rimase sorpreso.
Perché non ne sapeva niente? Melissa lo chiamava sempre per ogni minima sciocchezza e ora, davanti a cose ben più serie e gravi, basta? Silenzio di tomba?
Una volta sistemata tutta quella faccenda sarebbe passato anche a parlare con il preside della vecchia scuola di Scott.
Oramai aveva perso così tante ore di lezione che sicuramente sarebbe stato costretto a ripetere l'anno e non era concepibile che nessuno lo avesse chiamato per chiedere delucidazioni o mandato una lettera per avere un colloquio urgente.
Una volta raggiunta la sua auto, sentì dei passi provenire da dietro le sue spalle e d'istinto portò la mano sulla fondina della sua pistola.
Si fermò e si voltò per guardare chi aveva dietro di sé pochi secondi fa.
Un possente uomo afroamericano, che aveva riconosciuto dato che lo vedeva gironzolare nei corridoi della centrale dell'FBI a Washington, accompagnato da una bassa ragazza dai capelli biondi a caschetto che non aveva mai visto prima.
«Agente McCall, sta per caso andando a trovare suo figlio?», domandò la giovane ragazza con tono gentile.
Quelle due persone si fermarono a pochi passi da lui e lo fissarono.
Rafael non riuscì a vedere chiaramente le due figure davanti a sé, i pochi lampioni del parcheggio non gli dava la possibilità di poter analizzare ogni particolare di loro due.

«Chi siete?», domandò tenendo sempre ben salda la mano sulla fondina.

«Sto per tirare fuori dalla tasca interna della mia giacca il mio distintivo di riconoscimento.», disse ad alta voce la ragazza davanti a sé.
Rafael annuì e la guardò attentamente mentre faceva quello che gli aveva detto in modo molto lento, attenta a non fare mosse fraintendibili.
L'uomo rimase sorpreso nel vedere che anche lei era un agente governativo, non l'avrebbe mai detto vista la sua giovane età.

«Cosa sapete voi di tutta questa storia?», Rafael sapeva che loro erano a conoscenza di tutta quella faccenda, sennò non avrebbero mai chiesto di punto in bianco di suo figlio, ma voleva sapere quanto sapevano. Era chiaro, per lui, che nei loro file avevano tasselli in più rispetto ai suoi.
«E cosa volete da mio figlio?», aggiunse in seguito.
La ragazza, Alexandra questo era il suo nome, gli sorrise.

«Noi sappiamo quello che sta succedendo, agente McCall.», disse sempre con lo stesso tono gentile, «E per quanto riguarda suo figlio, mi sembra chiaro che anche noi abbiamo delle domande da rivolgergli.»

«Perché?».
Alexandra sembrò stupita per qualche secondo sentendo quella domanda, ma si ricompose quasi subito.

«Perché noi, più di voi, abbiamo l'autorità per interrogarlo.», rispose con tono professionale.

«Che cosa vorrebbe dire che voi avete più autorità di me?», chiese infastidito davanti a quello che era un chiaro tentativo di scavalcamento di ufficio.
Non era abituato a vedere e sentire agenti che usavano questi rozzi metodi per essere i primi nel portare in ufficio più risultati degli altri.

«Perché noi siamo più competenti di voi per quanto riguarda questi particolari casi.», rispose quasi con ovvietà e con tono paziente.

«Più competenti di me? Perché?», domandò con quasi tono di sfida.
La ragazza sorrise nuovamente e i suoi occhi si illuminarono di un viola acceso.
«Ah, ecco perché.».


Era ormai notte inoltrata e tutta la Villa era silenziosa.
Non si sentivano neanche più i servitori che, giù nelle cucine, toglievano le stoviglie fresche di pulito dalla lavastoviglie.
Il vecchio proprietario della tenuta russava nella stanza adiacente a quella della ragazza che in questo momento guardava fuori dalla finestra.
Il vento notturno muoveva dolcemente le punte delle foglie degli alberi e la fanciulla si domandò quando era stata l'ultima volta che il vento le aveva accarezzato il corpo.
Non se lo ricordava più, era passato così tanto tempo dall'ultima volta e più scorrevano i giorni e più tutti i suoi ricordi che aveva sembravano appartenere ad un'altra persona e non a lei.  Suo padre, i suoi amici, il branco e Derek si facevano sempre più sbiaditi, a volte si svegliava chiedendosi se erano mai esistiti per davvero o erano tutti frutto di un sogno.
Si faceva sempre la stessa domanda: "Se sono davvero persone reali perché non mi hanno ancora trovata?".
Si toccò il collare elettronico che portava, contro la sua volontà, al collo e alzò lo sguardo fissando la luna.
Tra pochi giorni sarebbe stata di nuovo piena e tutto sarebbe ricominciato.
Già non sopportava più tutto il dolore che provava a ogni luna piena e ogni volta che sentiva quel dolore lancinante spezzarle le ossa non desiderava altro che la morte.
La sua mano si spostò sull'addome, nel punto in cui gli avevano sparato, e si domandò se era normale che quella ferita non era ancora del tutto guarita viste le sue condizioni attuali.
Un gufo emise un forte stridulo e la ragazza distolse lo sguardo dalla natura davanti a sé e sospirò, si voltò verso lo specchio illuminato dalla lampada da comodino e si guardò: i suoi capelli erano corti, al vecchio non piacevano le ragazze che cercavano di scappare e dopo il suo ultimo tentativo, aveva deciso, come punizione, di tagliarglieli.
A lei non importava del taglio accorciato, tanto sarebbero ricresciuti comunque, ma secondo il vecchio per una donna un taglio del genere doveva essere come portare una grande vergogna, come se il taglio di capelli fosse come portare la lettera 'A' scarlatta.
Probabilmente il vecchio aveva ancora il cervello impostato nell'età medievale.
Le sue forme si erano fate più magre, così come il viso si era come tirato da quanto era ferrea e rigida la sua dieta. Le sue mani la spaventavano, così magre e così bianche, sembravano quelle di una morta.
Lei non aveva più il controllo del suo corpo, ormai non poteva più decidere nulla.
Il vecchio decideva tutto per lei, cosa mangiare, come mangiarlo, come parlare, come gesticolare e come camminare.
Aveva combattuto tanto contro di lui, aveva tenuto duro fino a quando aveva potuto, ma più passava il tempo e più le forze per combattere l'abbandonavano.
Quell'orribile persona l'aveva cambiata fisicamente, l'aveva resa un giocattolo in privato ma durante la luna, davanti ai suoi amici più cari e intimi, la trattava come un trofeo che esponeva per farsi invidiare da tutti.
Ricorda ancora i loro sguardi durante quelle notti, protetti da lei da un'apposita gabbia che non le permetteva di rompere con la sua forza disumana. Neanche per loro era una persona, era un oggetto. Un oggetto raro e di inestimabile valore. Ed è per quello che a ogni luna piena loro si presentavano alla tenuta.
Si divertivano, ne era sicura, nel guardarla dimenarsi dal dolore mentre si trasformava in una creatura della notte.
Il vecchio le aveva anche cambiato nome, ora lei era Daisy.
Ma quell'ultima cosa non l'aveva intaccata, non gli avrebbe mai permesso di distruggere completamente la sua identità.
Non importava quante volte il vecchio ci avrebbe provato, lei non sarebbe mai stata Daisy, sarebbe per sempre stata Stilies Stilinski!

 
Angolo Autrice:
Eccoci di nuovi qui con il nuovo capitolo.
Come vi è sembrato?
Tra poco ci sarà l'incontro tra Derek e la 'nuova' Stiles, che cosa vi aspettate di vedere?
Ringrazio tutti quelli che hanno messo la storia tra le preferite/ricordate/seguite, tutte le persone che hanno letto e recensito i capitoli di questa storia e, ovviamente, tutti i lettori silenziosi.
A presto, spero.
 
 
   
 
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