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Autore: Imperfectworld01    31/03/2019    0 recensioni
Dicono che la vita di una persona possa cambiare in un attimo. In meglio, in peggio, non ha importanza. Perché nessuno ci crede veramente, finché non succede.
Ed è allora che gli amici diventano nemici, le brave persone diventano cattive, quelle di cui ci fidiamo ci tradiscono, e altre muoiono.
Megan Sinclair è la brava ragazza del quartiere, quella persona affidabile su cui si può sempre contare, con ottimi voti a scuola e con un brillante futuro che la attende.
E poi, all'improvviso, una sera cambia tutto. Una notte, un omicidio e un segreto. Un segreto che Megan, con l'aiuto di un improbabile alleato, cercherà di mantenere sepolto a tutti i costi.
Genere: Introspettivo, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Combatti


«Parlami di tua madre, Megan.»

«Ha altri appuntamenti dopo il mio? Potrebbe volerci un po'.»

«Non preoccuparti, hai tutto il tempo che ti occorre.»

Feci un respiro profondo. «Dunque, mia madre... Mia madre è una maniaca del controllo. Io non posso decidere nulla, devo solo attenermi a quello che dice lei, a ciò che ritiene più giusto, per me e per gli altri. Quello che penso io non ha alcuna importanza. Inoltre, ha una particolare fissazione per il cibo, ancor di più per quello che mangio io. Per lei devo mangiare poco e sano, non sia mai che possa mettere su qualche chilo di troppo, che mi venga la cellulite, che la pancia mi diventi troppo gonfia. Mi dice: "Megan, ti vedo le braccia grosse e flaccide, perché non vai un po' in palestra?". Poi però: "Ti si sono ispessite le cosce a furia di allenarti, non vorrai mica sembrare un uomo. Non è il caso di smettere?". Oppure: "Se mangi troppo cioccolato, guarda che ti finirà tutto sul culo. Vedo già che hai i fianchi più larghi". A volte ha tentato di "motivarmi" a perdere peso dicendo: "Ai ragazzi piacciono le ragazze magre". Ma il meglio, o forse il peggio, c'è stato quando, dopo a giorni passati quasi del tutto a digiunare in seguito alla morte di Emily, dopo avermi finalmente vista mangiare qualcosa, se n'è uscita con: "Hai passato giorni a non mangiare praticamente niente e poi ora ti abbuffi. Io dico, lo sai che è a causa di continue oscillazioni di peso che vengono le smagliature? Per non parlare della cellulite! Te l'ho detto che devi stare attenta". 
«È un inferno vivere con lei, non la sopporto più. Mi sembra di essere sempre sotto osservazione, che ogni mia azione venga giudicata negativamente... Le madri degli altri stanno vicino alle figlie, gli danno il loro appoggio, magari gli danno dei consigli, ma non gli impongono come vivere, come agire. Soprattutto, ora più che mai, avrei bisogno di essere capita, di essere messa al primo posto. Ma per lei l'unica cosa importante è ciò che appare agli occhi degli altri, quello che provo io non conta. Il giorno del funerale di Emily, quando sono stata cacciata dalla signora Walsh, mia madre è intervenuta scagliandosi contro di lei soltanto perché, dal momento che sua figlia era stata screditata, automaticamente era stata messa in cattiva luce lei. Quando a me è stato dato dell'essere demoniaco, dell'assassina e mi è stata persino augurata la morte, io ho incassato il colpo senza batter ciglio, mentre mia madre ha continuato a pensare a se stessa e alla sua immagine, come sempre. Sa che cos'ha detto vedendo le mie foto sui giornali di quel giorno? "Comunque sei venuta bene".»

Mentre io davo libero sfogo alle frustrazioni che mi attanagliavano da sedici anni e che negli ultimi giorni si erano moltiplicate in modo notevole, la dottoressa Blackburn rimase ad ascoltarmi educatamente in silenzio, guardandomi negli occhi. Cominciò a prendere degli appunti sul suo quaderno solo una volta che finii di parlare. Sebbene si trattasse solo di una piccolezza, il fatto che rimase a guardarmi fino alla fine mi fece sentire bene. Mi aveva dedicato la sua piena attenzione e mi aveva fatta sentire ascoltata.

Dopo essersi assicurata che non avessi nient'altro da aggiungere, parlò: «Quindi forse è stato l'atteggiamento di tua madre ad aver generato in te questa mania di fare sempre la cosa giusta, Megan. Forse, seppur inconsciamente, ha prodotto qualcosa di buono, di positivo. Ha cresciuto una figlia in grado di riflettere sulle azioni che commette, che pensa alle conseguenze a cui tali azioni potrebbero portare e agli effetti che potrebbero avere sugli altri.»

Avvertii una leggera sensazione di fastidio a livello dello stomaco. Stava forse difendendo mia madre? Pensavo che il mio monologo fosse servito a farle capire quanto mi sentissi oppressa da lei. Tuttavia, decisi di aspettare la fine del suo discorso.

«Ma c'è un limite a tutto, non è così, Megan? I genitori, come dici tu, dovrebbero consigliare i figli, indirizzarli, ma non soffocarli. Altrimenti, ciò che potrebbe essere qualcosa di bello, ossia la tua capacità di giudizio, potrebbe trasformarsi in una e vera propria ossessione, che ti porta a vivere male le tue relazioni sociali. Sei grande ormai, puoi prendere le tue decisioni da sola, così come puoi finalmente affrontare tua madre. Hai mai provato a dirle come ti senti?» domandò e io scossi la testa. «Perché?» chiese a quel punto.

«Non lo so. Forse ho paura. Forse sono soltanto una vigliacca.»

Mi tornò subito alla mente la frase che avevo letto a casa dell'avvocato Finnston la prima volta che ci ero stata: «Sapere ciò che è giusto e non farlo è la peggior vigliaccheria».

«Sapere di esserlo è già un passo per cambiare, se è questo che vuoi. Non essere più codarda, Megan. Sii coraggiosa e combatti per ciò in cui credi, per ottenere ciò che vuoi. E non sentirti mai in colpa se stai lottando per la tua felicità, perché è la cosa più importante, senza la quale non puoi davvero dire di vivere. Se sarai davvero determinata, allora gli altri ti capiranno e non potranno fare a meno di accettarti per come sei.»

«D'accordo, le parlerò. Spero che sia come dice lei.»

«Lo spero anch'io, Megan» disse rivolgendomi un flebile sorriso. «In merito a ciò che mi hai detto riguardo all'alimentazione... Dunque, io credo di te che tu sia una ragazza consapevole, perciò non ci girerò intorno e mi aspetto da te che tu sia sincera: hai dei problemi con il cibo?» chiese.

«Se si riferisce a quei giorni in cui non ho mangiato praticamente nulla, ecco... so che le sarà parso un comportamento strano, io stessa non ne comprendevo il motivo, dal momento che non era mai successo prima... Quindi mi sono informata e ho letto che l'inappetenza, oltre a essere dovuta a cause patologiche, farmacologiche e fisiologiche, può essere legata anche a cause emotive come tristezza, ansia, depressione o lutto. Ma ora mi è passata: sto mangiando regolarmente. Quindi... be', non penso di avere problemi con il cibo, a parte quelli che mi crea mia madre.»

La dottoressa parve sorpresa per via delle mie ricerche, così come lo era stato David il giorno del funerale di Emily. Tuttavia, decise di non soffermarcisi troppo. «Sì, d'accordo. Ma stai comunque molto attenta» disse. Poi diede un'occhiata all'orologio che portava al polso e si avviò alle sue solite conclusioni: «Mi raccomando, per qualsiasi cosa, anche la più banale, sappi che puoi sempre scrivermi o chiamarmi. Se hai urgenza, puoi venire direttamente qui e sarò disposta ad ascoltarti il prima possibile. Poi durante questa settimana ci metteremo d'accordo per il prossimo appuntamento, va bene? Mi racconterai le novità su tua madre, se ce ne saranno, e poi potremo passare ad altro, Megan».

Annuii e mi alzai in piedi, andando a dirigermi verso la porta. Così fece anche la dottoressa Blackburn. «Ah, alla fine non mi hai parlato di quel ragazzo con cui hai discusso... Ho ancora dieci minuti, se vuoi possiamo parlarne ora» disse.

«No, non si preoccupi. Ho capito come risolvere le cose. Grazie tante e buona giornata.»

•••

Una volta arrivata a casa lunedì sera, dopo una faticosa giornata di scuola e un'altrettanto stancante seduta dalla psicologa, mi stravaccai sul divano e mi coprii con una coperta in pile. Se durante il giorno ero riuscita a tenermi impegnata, una volta che mi ritrovai finalmente a casa, da sola, fui invasa dai soliti pensieri angosciosi.

Mancavano undici giorni all'udienza preliminare e non avevo la benché minima idea di come sarebbe andata, mi chiedevo se ce l'avrei fatta, se si sarebbe risolto tutto. Non volevo dubitare delle capacità dell'avvocato Finnston, era sicuramente un uomo abile, con tanti successi accumulati nel corso degli anni, ma non volevo nemmeno affidarmi totalmente a lui e illudermi che sarebbe andato tutto bene. Faceva parte della natura umana analizzare ogni aspetto della propria vita e cercare di rilevarne i rischi e le complicazioni: nessuno era in grado di conoscere il proprio futuro, però poteva cercare di prevederlo e manovrarlo sulla base delle scelte compiute.

E, sebbene era a Frederick Finnston che spettava occuparsi di tutto e io avrei dovuto lasciarlo fare senza immischiarmi, forse avrei potuto dare un minimo contributo che sarebbe stato utile alla mia causa.

•••

Non appena arrivai a scuola di martedì mattina, mi separai da Tracey, la quale già dal giorno prima, per fortuna, era tornata a scuola, e mi diressi verso il bar. C'era un gruppo numeroso di studenti ammucchiato davanti al bancone. Alcuni sorseggiavano del caffè, altri mangiavano delle brioche, altri ancora compravano delle mentine o delle barrette al cioccolato. Fra di loro scorsi una testa dai riccioli neri e, dopo essermi fatta spazio fra le diverse persone che mi intralciavano la strada, riuscii a raggiungerla.

Gli poggiai una mano sul braccio per far sì che si accorgesse della mia presenza e, quando si voltò, mi sorrise. «Ehi» disse.

«Ehi» ripetei io, ricambiando il sorriso.

Mi stampò un veloce bacio sulle labbra, prima di voltarsi verso l'addetta al bar e dirle: «Potrebbe darmi un'altra brioche al cioccolato? È per la mia ragazza».

Mise particolare enfasi nella parola "ragazza" e, sentirglielo dire, fece accelerare il mio battito cardiaco.

La signora mi passò il croissant e Dylan le porse i soldi, prima di tornare a guardarmi: «Ancora non ci credo che da ieri sei ufficialmente la mia ragazza».

«Invece è così, e non potrei esserne più felice.»

«Io... io non pensavo che mi avresti perdonato dopo quello che ti ho detto. Megan, tu mi piaci, mi piaci davvero. E mi piaceresti a prescindere dal tuo aspetto, e quello che ho detto...»

«Lo so. L'hai detto perché eri ferito. Sei fatto così, reagisci male e dici cose che non pensi» lo interruppi. «Per questo ho deciso di lasciarmi tutto alle spalle. E anche perché, come ti ho già detto settimana scorsa, ho bisogno di te.» Mi avvicinai a lui e lo baciai, un attimo prima che suonasse la prima campanella e ci dirigessimo in classe.

Alla fine l'avevo fatto. Avevo dato ascolto a David.

•••

«Mi è sembrata giusto un po' tesa la situazione fra voi due. E mi riferisco a prima della litigata.»

Sobbalzai. Non mi ero accorta che David era apparso al mio fianco, né che aveva assistito alla discussione fra me e Dylan. Aveva in mano un altro drink e, a giudicare dal tono della sua voce, sembrava davvero su di giri. Ora i primi tre o quattro bottoni della camicia erano slacciati e lasciavano intravedere il suo petto, che si stava alzando e abbassando frequentemente.

«Non preoccuparti, sono solo drammi da stupidi ragazzini sedicenni.» La mia voce non apparve dura e ferma come avrei voluto, anzi, sentivo che stavo per mettermi a piangere a ripensare alle parole dette da Dylan. Tuttavia, riuscii a impedire che accadesse.

Cresci, Megan, mi dissi, le lacrime non risolveranno i tuoi problemi, devi occupartene da sola.

«No no, io non mi preoccupo di solito. È inutile e controproducente. Inoltre fa anche sudare. E a me non piace sudare.»

Non riuscii a capire il senso delle sue parole, ma d'altronde non c'era da stupirsi: aveva bevuto così tanto da non essere più capace di intendere e di volere, ossia di rispondere delle sue azioni. E delle sue parole.

«Dai, dimmi tutto» aggiunse e lo guardai stranita: «Perché dovrei raccontarti gli affari miei?».

Pensavo di essere soltanto una bambina e che a lui non piacesse fare il baby-sitter.

«Perché sono bravo con le parole e mi piace ascoltare il suono della mia voce» rispose, e io inarcai le sopracciglia. «Dai, mettimi alla prova!» mi incalzò e, non so per quale motivo, decisi di dargli corda e gli spiegai in modo sintetico il tutto: «Mi ha detto che l'unico motivo per cui ci ha provato con me, è per via del mio fisico, e che non gliene frega niente di avere una relazione con me».

Emily aveva ragione. I ragazzi si interessavano a me solo per via del mio aspetto.
Avevo sempre creduto che gli altri mi vedessero come "Megan Sinclair la brava ragazza", invece avevo scoperto di essere "Megan Sinclair, quella con la quarta di seno" oppure "Megan Sinclair, quella con il bel culo".

«Be', mandalo a quel paese.» Scrollò le spalle, come se fosse una cosa di poco conto e risolvibile in pochi secondi.

«Magari fosse così semplice.»

Era la cosa più giusta da fare, ma non era di certo la più facile: Dylan mi piaceva, e tanto. Anche se forse io non piacevo a lui nel modo in cui avevo creduto fino a cinque minuti prima.

«Non deve esserlo» rimarcò. «Scelte di questo tipo non lo sono mai. Io lo so bene.»

«Ah sì? Non si direbbe di te che sei il tipo che ha questo tipo di problemi» lo canzonai, ripensando alle ragazze con cui l'avevo visto ballare in modo non propriamente casto pochi minuti prima.

«No, ti sbagli» ribatté, cominciando a guardare un punto indefinito davanti a sé, come a rievocare dei vecchi ricordi. «Sono stato innamorato. Non è finita bene... e alla fine ci ho rimesso soltanto io».

Rimasi in silenzio, non sapendo cosa sarebbe stato più giusto dire. Forse si riferiva alla ragazza della foto sul suo profilo che avevo visto quella mattina, ma decisi di non indagare, anche perché ero sicura che non avrebbe voluto addentrarsi nel discorso.

Mi accorsi che David, dopo le sue ultime dichiarazioni, aveva riacquistato un po' di lucidità. «Non avrei dovuto parlartene» disse, passandosi quindi una mano sulle labbra, come a voler impedire che trapelassero altre informazioni in merito a quell'argomento. «Mi sa che sono ubriaco» disse, prima di scuotere la testa ripetutamente, come a volersi liberare della sbronza. Metodo piuttosto discutibile, a mio modesto parere. «Non parlo mai di me stesso a meno che non sia ubriaco» aggiunse.

«Perché? Io ti parlo di me, mentre io non so nulla di te.»

Ignorò completamente la mia ultima affermazione. «Perdonalo» disse riprendendo il discorso precedente, tornando a guardarmi.

«Scusami? Mi hai appena consigliato il contrario e...»

«Non pensava davvero ciò che ti ha detto. Ti ha detto quelle cose solo perché hai ferito il suo stupido orgoglio maschile, negando che ci sia qualcosa fra voi» mi interruppe.

«Come fai a dirlo con certezza? Neanche lo conosci.»

«Non serve: non conoscevo nemmeno te una settimana fa, eppure sono riuscito a capirti in un attimo. Lui è cotto di te, era evidente da come ti guardava e, se davvero non gliene importasse niente di te, non avrebbe mai reagito in quel modo, non ti pare?» chiese in maniera retorica. «Sono un genio» si disse poi da solo.

«Resta il fatto che non avrebbe mai dovuto dirmi quelle cose. Sono arrabbiata con lui e non ho intenzione di averci mai più a che fare.»

Roteò gli occhi. «Dai, non fare la melodrammatica. Perdonalo» ripeté. «Passaci sopra. Lui ti piace e hai bisogno di lui».

«Che ne sai te di cosa ho bisogno io?» domandai e la risposta che ricevetti fu certamente inaspettata: «So che non ti piacerebbe averlo come nemico. Se all'udienza che ci sarà fra due settimane, lui sarà chiamato a testimoniare e ce l'avrà ancora con te, forse potrebbe dire cose che potrebbero andare a tuo svantaggio, considerando la facilità con cui gli escono di bocca cose che non pensa realmente. Perciò, perdonalo e tienitelo buono fino ad allora».

Spalancai la bocca e arricciai il naso in segno non solo di disprezzo, ma anche di disgusto nei suoi confronti. «Ma che razza di persona sei? Le persone non sono oggetti, non vanno usate come mezzi per raggiungere degli scopi!» esclamai.

«Giusto, tranne per il fatto che è esattamente ciò che accade in ogni processo. E poi non è così tragica la cosa: non ti ho chiesto di prostituirti. Lui ti piace, non dovrebbe pesarti la cosa. Digli che vuoi metterti insieme a lui, che senza di lui non puoi stare e altre cazzate simili che si dicono di solito le persone innamorate, e il gioco sarà fatto.»

«Forse gli avvocati lo fanno, ma le persone normali hanno a cuore i sentimenti degli altri. Io ce li ho. E se questo è il tuo modo di agire, allora forse il tuo grande amore ha fatto la scelta più saggia a disfarsi di un verme come te!».

Forse avrei dovuto evitare di tirare fuori la storia di quel cosiddetto amore che l'aveva fatto soffrire, dal momento che la sua reazione mi suggerì che l'avevo offeso, eppure non seppi controllarmi. Come aveva potuto consigliarmi di fare una cosa del genere?

Serrò le labbra e deglutì, abbassando lo sguardo. Poi bevve in un solo sorso il drink che non aveva toccato per tutta la durata della nostra conversazione e risollevò lo sguardo, puntandolo sul mio. Era raro che accadesse, ma riuscii a scorgere ciò che provava in quel momento, forse perché per via dell'alcol era senza filtri. Così, con gli occhi colmi di dolore a causa delle mie parole, mi disse: «Bene. Ora finalmente lo so: non sei così buona come vuoi far credere a tutti».

   
 
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