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Autore: PiscesNoAphrodite    07/04/2019    2 recensioni
[...] Mi sovvennero quei piccoli sauri che sovente sorprendevo ritemprarsi al sole, immobili sulle pietre roventi, i cui battiti del cuore si scorgevano susseguirsi rapidamente attraverso l'esile strato di pelle squamosa. Creature subdole e indifese, al tempo stesso. Lucertole...
***
Ipotetico Post-Ade narrato dal pov dei personaggi di Lizard Misty e Pisces Aphrodite... I Saint sono stati riportati in vita da Athena ed emergono antichi rancori.
(I personaggi descritti in questa storia non mi appartengono ma sono proprietà di M. Kurumada.)
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hound Asterion, Lizard Misty, Perseus Algol, Pisces Aphrodite
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Gli Eletti, capitolo III

 

 

VI

 

Equilibrio

 

La luce del sole penetrava tra gli interstizi degli elementi architettonici illuminando l'interno dell'edificio, lambendo volute e intarsi sulla superficie aurea della corazza. Le Sacre Vestigia lo avevano scelto aderendo, elemento dopo elemento, alla sua figura sottile, apparentemente fragile, eppure forte. Le falde del manto, adagiato sulle spalle del Santo, fendevano gentilmente l'aria. Indossò l'elmo sopra la cascata di boccoli biondi e si volse a ritroso, raggiungendo l'esterno con lento incedere.

All'orizzonte, oltre il peristilio di bianche colonne che delimitava il perimetro poligonale del Tempio, il chiarore del giorno investiva il culmine delle architetture sacre e la valle. Ma lo sfondo che si stagliava oltre quei picchi dorati virava in tonalità sempre più vaghe, diradandosi fino a divenire tale a bruma lattiginosa, incolore. Simile ai margini inconsistenti di un sogno...

 ~

Aprì gli occhi e in essi si rifletté l'azzurro del cielo soprastante la distesa di sabbia sulla quale giaceva.
I sogni sono desideri avulsi dalla realtà.
Granelli di sabbia si erano insinuati nelle vesti e tra i capelli aggrovigliati, provò a sollevarsi sui gomiti sebbene il dolore inibisse i movimenti. Strinse i denti e si soffermò a scrutare il paesaggio intorno a sé: il cielo sgombro da nubi che si congiungeva all'orizzonte con le placide acque del mare. Stesso odore pungente, stessa aria impregnata di salsedine densa di umidità che preannunciava una giornata particolarmente afosa.
Devo essermi addormentato, Algol dov'è finito?

Non scorse traccia del compagno d'armi e stette ancora un po' fermo ad aspettare, ma la desolazione del luogo e la consapevolezza di essere sporco e malconcio lo persuase di tentare a rimettersi in piedi. Esitò giusto il tempo di chiudere gli occhi ed emettere un sospiro, ma qualcuno gli tese una mano – qualcuno che non si aspettava d'incontrare.
Seiya?!


Rifiutò l'offerta d'aiuto, contrariato dal gesto di cui stentava a comprendere il significato. Non era semplice diffidenza perché quel verme di Seiya sembrava sincero; per indole non era persona incline a mentire e, per quanto non lo sopportasse, era un pregio che bisognava riconoscergli, seppur inficiato da mille altri difetti.

“Fa' come vuoi" Il Santo di Bronzo aggrottò le folte sopracciglia grattandosi il capo – non troppo stupito dal rifiuto che in qualche modo si aspettava – sotto lo sguardo indagatore dell'altro che, a sorpresa, gli afferrò la mano per rimettersi in piedi. Era imbarazzante quel raffronto. Misty ricordava un ragazzetto spocchioso di bassa statura e adesso, trovandoselo di fronte, per l'ennesima volta, gli sembrava più alto. Non quanto lui ma comunque più alto e maturo di quanto non fosse mai stato. Lo esaminò dalla testa ai piedi col solito piglio altezzoso ma Seiya si mostrò tranquillo, tenendo a freno il proprio istinto e la lingua, come logica conseguenza di aver rimuginato a lungo dopo la ramanzina fattagli da Aphrodite.

“Vuoi che ti accompagni?”

“No, grazie. Ma se dovessi incontrare Algol, lungo il cammino, riferiscigli che sono andato a casa. Almeno in questo modo ti sarai reso utile" replicò il Santo d'Argento con un sorrisetto di scherno stampato sulle labbra e l'autorità di chi stesse impartendo un ordine. Seiya si accigliò, indispettito, ma stavolta prevalse il buon senso.

 ~

Misty versò l'ultima brocca d'acqua nella vasca e, sebbene non fosse del tutto colma, era più che sufficiente per lavarsi. Svolse le bende intorno alle mani e agli avambracci e si spogliò dalle vesti che allontanò da sé con un piede. Indumenti che avrebbe gettato via.

Adagiò il capo sul bordo e il piacevole contatto con l'acqua lo indusse quasi ad assopirsi, ma si limitò ad abbassare le palpebre senza cedere alla tentazione di abbandonarsi completamente. Era una giornata che sembrava essere iniziata in modo strano...

Il dolore poco a poco si attenuò ma sentimenti più cupi, come il turbamento e la paura, stentavano a dissiparsi. Doveva imporsi di cambiare atteggiamento, anche per riconoscenza nei confronti di chi riponeva fiducia in lui – Aphrodite, su tutti. Le palpebre si fecero più pesanti e scivolò di poco più in basso fino a quando l'acqua non gli sfiorò il collo inducendolo ad aprire gli occhi, per poi socchiuderli, riluttante a sostenere l'intensità improvvisa della luce diurna che irrompeva nell'ambiente. Occhi sensibili come la pelle bianchissima appena arrossata dal sole.

Questa volta rifuggì lo specchio. Recuperò degli indumenti di ricambio e si rivestì, sistemando i capelli umidi che ricadevano sul volto dalla grazia quasi muliebre. Quella parvenza di benessere fu breve, stava iniziando di nuovo a sudare: quando si immergeva in acqua troppo fredda per rinfrescarsi, uscendone, otteneva l'effetto contrario. Quando imparerò?

Si riscosse dai pensieri dopo aver udito bussare alla porta d'ingresso nella stanza adiacente ma, prima di andare a sincerarsi chi fosse, tirò la tenda sull'apertura che collegava i due locali distinti.

Asterion...
Si soffermò per un momento a contemplare la sua presenza per nulla sgradita. Lo invitò a entrare e scostò una sedia dal tavolo, prese una caraffa d'acqua con due bicchieri di vetro e sedette a sua volta. Il commilitone gradì la cortesia poiché le temperature estive in Grecia erano intollerabili.

“Hai visto Algol? Stamane mi ha abbandonato sulla spiaggia ed è scomparso, ne sai qualcosa?”

“A dire la verità, sì. Sembrava irritato e sono venuto qui a riferirtelo. Secondo lui non stai affrontando le cose con lo spirito giusto... ma cosa te lo dico a fare?” Gli riferì Asterion, dopo essersi sfilato il diadema che gli cingeva la fronte e averlo riposto sul tavolo, come se il fresco racchiuso tra quelle mura gli recasse un po' di sollievo. Sospirò guardandosi intorno, uno scandagliare discreto volto a studiare tratti di una personalità singolare. Tra pochi oggetti e scarni arredi lignei, disposti con cura meticolosa, vi erano persino tende decorate alla finestra, in tinta con la tovaglia... il vaso con le rose. Dettagli che, se non fosse stato accorto, gli avrebbero strappato una risata e si portò per tempo una mano davanti alla bocca. Molte cose in quella stanza denotavano buon gusto ed erano riflesso di un perfezionismo portato agli estremi, seppur con pochi mezzi.
Chissà cosa non vedremo alla Settima Casa se mai ottenesse l'investitura, si disse Asterion, che confidava nelle doti di Misty, seppur con qualche riserva, ma si sentiva in colpa per dubbi che equiparava a slealtà in un rapporto d'amicizia disinteressato.

“Infatti, tu sai cosa penso a riguardo" esordì Misty, spezzando il silenzio. Non sospettava su cosa vertessero quelle riflessioni, benché fronteggiasse con occhi attenti il proprio interlocutore avvolgendo un ricciolo di capelli tra le dita.

“Mi sono ripromesso di farmi gli affari miei, ricordi? Non voglio rovinare la nostra amicizia.”

“Saggia decisione. Cambiando discorso - e già che sei qui - vorrei chiederti un favore.”

“Chiedi pure, nei limiti del possibile vedrò di accontentarti.”

“Tempo fa avevo preso un libro in prestito dalla biblioteca, il primo tomo di una serie, potresti restituirlo al mio posto?” Misty si alzò per raggiungere lo scaffale situato a pochi passi.

“Certo, chissà cosa mi ero immaginato. Ma... scusa, non potresti consegnarlo tu stesso?” ribatté Asterion, col tono di chi stesse contestando il capriccio di un bambino viziato. Poi si pentì per quella risposta avventata, un po' scortese, ispirata dalla brutta abitudine di farsi servire che il parigrado non aveva mai perso.

“Non credo che oggi uscirò di casa" puntualizzò quest'ultimo, dopo essersi asciugato il sudore dal volto arrossato con un fazzoletto.

“Non preoccuparti è un malessere passeggero, soffro il caldo, mi indispone.” Detto questo, Misty recuperò il libro dallo scaffale, deponendolo sul tavolo.
Asterion soppesò il volume e, dopo aver letto l'intestazione in sovraccoperta, si lasciò sfuggire quella risata inopportuna dapprima repressa con molto tatto.

“Dovresti leggerlo invece, e fare un viaggio di fantasia" sbottò Misty, corrucciato, quasi risentito per come i suoi gusti non incontrassero quelli dell'altro.

“Come se ritornare dall'aldilà non fosse già surreale abbastanza. Sei ancora un bambino.” Asterion si prese la libertà di schernirlo con affetto perché sapeva di essere annoverato tra i pochi individui dai quali Misty avrebbe accettato un atteggiamento del genere.

“Già, peccato che non ci sovvenga alcun ricordo dell'oltretomba, se non la sensazione di un banale risveglio.”

Asterion non rispose, ignorando la reazione piccata e il libro accanto a sé, incuriosito da una statuetta che riproduceva le fattezze di una civetta, il rapace sacro ad Athena. Studiò l'oggetto in silenzio.

“L'ho reperita in un mercatino a Rodorio – tra le cianfrusaglie, in una cesta – poco tempo fa. Se ti piace puoi prenderla.”

Asterion scosse il capo e ripose la civetta dove l'aveva trovata. Il suo interesse si rivolse al commilitone e prese a fissarlo con insistenza, tanto da indurlo a distogliere quello sguardo sempre così altero e caparbio.
Cosa mi sta succedendo? Trasalì, riscuotendosi sollecito dalla distrazione, e riprese la tiara per collocarla sul capo, si era fatto tardi e anche lui aveva delle consegne da rispettare.

 

***

 

“Shura, occupati del bagaglio a mano, per favore.” Aphrodite istruì il Santo della Decima Casa nel momento in cui giunsero – scortati da servitori – a imboccare la strada principale che serpeggiava tra gli edifici che sorgevano nella valle sacra. “Abbi pazienza. Arrivati a Rodorio saremo accompagnati all'aeroporto di Atene.”

“Non mi sto lamentando, sta' tranquillo.” Lo rassicurò Capricorn il quale, come al solito, si era offerto di seguirlo senza battere ciglio.

Durante il tragitto incrociarono altre persone alle quali non parve per nulla inconsueto vedere due Santi in abiti civili – che, con tutta certezza, si stavano recando in missione nel mondo esterno.

Uno di questi, nella fretta, si scontrò con Pisces scusandosi per la svista ma quest'ultimo – costatando di chi si trattasse – fu folgorato da una repentina intuizione e lo richiamò.

“Avevi qualcosa da dirmi, Asterion?”

“No, mi stavo dirigendo verso la biblioteca e sono in ritardo.”

“Capisco... ma forse, incontri che sembrerebbero casuali potrebbero riservarci delle sorprese.”

“Se la metti così. In altre circostanze non ti avrei mai informato. Ma se il destino ha voluto che ci incontrassimo proprio in questo frangente, allora, parlerò.”

Aphrodite fece un cenno a Shura, che si era fermato poco distante, esortandolo ad attendere ancora qualche minuto. Potevano permetterselo dato che si erano mossi con largo anticipo. Dopodiché si appartò col Santo di Canes Venatici per apprendere cosa avesse da dirgli.

“Dovresti conferire col tuo discepolo.”

Pisces inarcò un sopracciglio, senza interrompere l'interlocutore, cercando riparo all'ombra sotto la chioma verdeggiante di un leccio.

“Dubito che riuscirà a conseguire l'investitura...”

“E con quale ardire proferisci quest'insinuazione?” replicò con molta tranquillità, ponendosi a braccia conserte con le spalle rivolte al massiccio tronco della pianta. “Cosa te lo fa pensare?”

“So che può sembrare assurdo, ma non è un timore infondato. È troppo insicuro, non è motivato abbastanza per avere successo.”

Il Custode della Dodicesima Casa si soffermò a riflettere. “Lo avresti letto nella sua mente?” Proruppe con una sonora risata. “E cosa vuoi che me ne importi. Misty non è più un bambino" esordì serenamente, ma con autorevolezza che trasparì da un'occhiata ferma e penetrante. L'altro ricambiò lo sguardo e le sue iridi scure parvero brillare; le labbra gli si incresparono in una smorfia di disapprovazione.

”Non crucciarti, lascia che Misty si assuma le proprie responsabilità come si conviene a un Santo del suo rango.”

Quella risposta lasciò Asterion esterrefatto, convinto di aver fatto una figura barbina.

“Non ci sarò a supportarlo, stavolta dovrà cavarsela da solo e non può che giovargli, stanne certo. Il Sommo mi ha concesso una vacanza, mi assenterò per qualche settimana col pretesto di sbrigare alcune formalità burocratiche in patria" esplicitò Pisces, portandosi il dito indice sulle labbra, nel dubbio se celare un sorriso divertito che avrebbe indispettito il Santo d'Argento. “Chi si diletta a leggere Le Cronache di Narnia?” Gli domandò, puntando in quello sguardo sfrontato con i suoi occhi turchesi.

Asterion realizzò, a un tratto, che Pisces avesse letto di sfuggita il titolo del libro che si portava appresso: “Non io, di sicuro" replicò a disagio.

 ~

Odio viaggiare, il solo pensiero della trafila che mi attende inibisce il mio entusiasmo.

Il velivolo accenna a muoversi percorrendo la pista con lentezza esasperante. Non so perché ma tutte le delucidazioni inerenti la sicurezza, che precedono il volo, mi trasmettono ansia. A me? Un Santo di Athena. È strano che un viaggio insignificante mi impensierisca e forse ciò è dovuto al fatto che, nell'ultimo periodo della mia vita, quello precedente alla rinascita, non ho fatto che presidiare il mio Tempio. Sempre piantonato nell'Atrio o nel roseto. Dohko ha avuto pietà di me ma credendo di farmi un favore mi ha distolto da quelle abitudini rassicuranti. Per fortuna c'è Shura ad accompagnarmi in questo breve esodo, sembra così tranquillo e l'idea di decollare non lo tange. Beato lui. Che il piego con le modalità da attuare in situazioni d'emergenza rimanga pure nella tasca elastica sul retro del sedile anteriore. Non voglio pensarci.

Sta accelerando, mi sento compresso contro lo schienale. Finalmente stiamo prendendo quota e il velivolo sembra innalzarsi gradualmente, infatti riesco ancora a scorgere il paesaggio sottostante...

Adesso, sopra la coltre di nubi, il cielo è così terso da essere sfolgorante – sono costretto ad abbassare la tendina del finestrino, che al momento della partenza ci hanno raccomandato di tenere sollevata – è curioso immaginare come a un certo punto s'interrompa e d'un tratto compaia l'oscurità, lo spazio siderale. Si dice che l'Universo sia infinito, in continua espansione, o che forse finisca proprio laddove l'ingegno umano non possa giungere. Chissà qual è la sua forma: se piatto, sferico, o a sella... se ai confini si contemplino altri mondi. Se vi siano dimensioni parallele e sia possibile effettuare un salto temporale. Probabilmente sì, se si pensa alle costellazioni, agli astri, che dal suolo percepiamo in loco come erano disposti qualche milione di anni fa e, attualmente, non sono più nella posizione in cui li vediamo...

“Ti vedo provato. Vuoi un caffè?” Gli domandò Shura con invidiabile tranquillità.

“No, ti ringrazio. Quei beveroni che propinano non sono il mio forte" rispose, reclinando il capo sul poggiatesta. Non dopo aver assaporato quello di Death Mask, si disse.

“Qual è il programma?” Capricorn insisté nel tentativo di scuoterlo da un'apparente apatia. Poteva intuire quali pensieri si agitassero nella sua mente, soprattutto dopo la conversazione con quel Santo d'Argento, ma evitò di affrontare il discorso e sapeva quanto Aphrodite apprezzasse la sua discrezione. Si erano detti tutto senza parlare...

“La zona più antica di Stoccolma è caratteristica, per via delle architetture tipiche e gli edifici di interesse storico come il Municipio e il Gyllene Salen, che si trova al suo interno. Ma, in seguito, preferirei ripiegare su qualcosa di più naturalistico, magari una gita che comprenda i principali arcipelaghi dell'isola" replicò Pisces, rivolgendogli uno sguardo di sottecchi, rimboccandosi le maniche e allentando il colletto della camicia.

“Scelta dettata dalla tua indole introversa?” domandò l'altro, mettendo da parte la rivista che stava sfogliando.

Senti chi parla...

“Sì e no. Il capoluogo, specialmente la sera, è pieno di vita, dai ritmi quasi mondani. Se preferisci potremo optare per quella scelta e soffermarci qualche giorno in più.” Sul suo volto comparve un leggero sorriso che alleviò il disagio dovuto a preoccupazioni non esplicitate. “Non ho problemi, sebbene rifugga la confusione. Sai, mi sono assuefatto – col passare del tempo – a un certo stile di vita e non disdegno il silenzio delle foreste.”

“Per me non fa alcuna differenza, credimi. Sono felice di approfittare dell'occasione per visitare altri luoghi che non siano il Santuario.”

Aphrodite annuì volgendo lo sguardo all'esterno dove si poteva scorgere il blu del cielo, baluginante attraverso la tendina abbassata a metà.

Forse ho sbagliato tutto. Forse la mera ambizione si è convertita in un ostacolo insormontabile. Sono preoccupato, sebbene riponga assoluta fiducia nelle sue capacità. In lui vedo, sì, grazia, ma anche forza – volontà di assurgere a qualcosa di più grande che valichi i confini serrati della predestinazione. Sono convinto che ci creda ancora.

Predestinazione... vincolo indissolubile, che può rivelarsi una benedizione o una condanna. Ma è possibile scioglierlo? Non mi è dato saperlo. Nel Medioevo cristiano volersi innalzare dalla propria condizione era impensabile, nemmeno ai nobili era concesso di compiere il processo inverso. A ognuno competeva un ruolo ben preciso nella società: per estrazione sociale, per discendenza diretta. Una sorta di gerarchia imposta da Dio. È, forse, un concetto che abbraccia ogni fede? Sembrerebbe di sì, ma è possibile svincolarsi da esso o siamo legati al destino in modo irreversibile? Si arrovellò, realizzando un origami con un volantino pubblicitario.

 

***

 

Era una notte limpida, nella quale si potevano scorgere miriadi di stelle, e illuminata dalla luna crescente il cui bagliore velava le forme circostanti avvolgendole come un sudario. Tali condizioni erano favorevoli al vaticinio degli astri, a trovare una risposta a diversi quesiti. Dohko sospirò, scrutando nei meandri del cielo costellato di stelle, e trovò la conferma di una pace duratura. Gli Dèi persistevano in un vago disinteresse per i problemi che affliggevano i mortali. Un atteggiamento non insolito che, in qualche modo, lo rassicurava predisponendo l'animo alla tranquillità.

Si ritirò dal luogo inaccessibile e privilegiato, dal quale poteva effettuare le osservazioni, e giunse sullo spiazzo dove si ergeva la statua crisoelefantina di Athena. Infine ripiegò all'interno, al di là dei drappi cremisi che ondeggiavano tra le colonne; dileguandosi, avvolto nelle ombre del portico a colonne che immetteva nel silenzio dell'area più recondita.

 

***

 

Non ci sarebbe motivo per stare di guardia in un periodo di pace – sebbene la Terra sia sempre in fermento e la contesa tra i popoli incessante. I Templi dovrebbero essere vuoti e i Santi, preposti a presiederli, dovrebbero essere in qualche angolo remoto del mondo a vivere la propria vita come persone comuni. Già una volta è stato così, ma adesso ci si tiene sempre all'erta come se l'idillio non fosse destinato a durare in eterno, perché? Forse è bene non farsi cogliere impreparati, forse è semplicemente per questa ragione. Chi lo sa?

Sedette su un frammento di pietra, su ciò che rimaneva di un capitello ionico. Non c'era nulla di cui preoccuparsi, la brezza che spirava tra i cipressi e le rovine antiche era gradevole. L'amazzone dell'Ofiuco sostava poco più in là, pensierosa, con lo sguardo forse orientato nella stessa direzione, sul paesaggio che si delineava tra le ombre e il chiaro di luna. La maschera d'argento sul volto sfavillava di quella stessa luce irreale che rimbalzava sugli elementi convessi della spartana armatura, e le conferiva un fascino sovrannaturale. Avevano conversato poco prima, per ingannare il tempo: una conversazione sulle maschere, e non quelle virtuali di cui le genti si avvalgono per mentire o per dissimulare il falso sé – , ma maschere magiche che si adattano al volto come una seconda pelle, attraverso le quali si può mangiare, vedere e respirare. Oggetti forgiati ai tempi del Mito, che si conformano al volto di chi li indossa proprio come le armature dei Santi che si adattano al possessore... non lo sapevo. Quante cose ancora non conosco.

Misty la osservava da lungi e, a un tratto, lei si voltò un istante come se quei pensieri ne avessero richiamato l'attenzione. Erano in sintonia e, per qualche strano motivo, Shaina preferiva intrattenersi a parlare con lui piuttosto che con altri.

Algol sopraggiunse dal sentiero solitario che si diramava tra le arcane vestigia e gli alberi secolari. Si soffermò bisbigliando qualcosa alla Sacerdotessa dell'Ofiuco – uno sbrigativo scambio in cui si contemplavano direttive da osservare – e poi lei si congedò, imboccando la stessa strada in direzione contraria.


“Sei imbambolato. Ti piace quella donna?”

“Non mi lascia indifferente...”

“Hai buon gusto ed è un'osservazione che non fa una piega, ma tu sei un esteta" realizzò Perseus, sfilandogli la tiara d'argento e percorrendo con l'indice il contorno del suo volto.
L'altro non reagì al fine di impedirglielo, non desiderava turbare quella tranquillità che da tempo anelava. Non gli impedì di sedersi al suo fianco e non si distolse nemmeno dalla beatitudine che gli infondeva l'essere assorto, immerso nell'oscurità notturna intorno a sé.

“Sono passati giorni e giorni ma non hai concluso nulla di buono, hai intenzione di continuare così?”

“No. Domani vorrei riprendere con gli allenamenti. È controproducente ostinarsi in un atteggiamento rinunciatario, devo andare fino in fondo nel bene e nel male. Ho riflettuto e ho deciso di seguire i vostri consigli, dopotutto non siete così stupidi come sembrate” rise.

“Hai ritrovato te stesso?”

“Non sono mai cambiato" rispose Misty riprendendo il diadema dalle sue mani. Soppesò l'oggetto che riluceva del bagliore lunare: era un manufatto dal valore incommensurabile, decorato e impreziosito da uno smeraldo ricavato dalla fusione di metalli magici preesistenti agli albori del mondo. Lo adagiò sul capo come a voler sopperire all'irrispettosa leggerezza con cui il suo pari vi si era rapportato. Si allontanò da lui, approssimandosi sul versante opposto ai piedi dell'Acropoli. A volte quella sfrontatezza volgare lo infastidiva benché, in realtà, non si fosse mai preoccupato delle opinioni altrui; di come giudicassero le sue relazioni interpersonali e da cosa fossero determinate, se lo considerassero un diverso. Ricevere apprezzamenti lo gratificava e li accettava di buon grado da chiunque provenissero, uomini o donne – giusto o sconveniente che fosse...

 ~

Risalì il viottolo che dalla spiaggia conduceva alla dimessa abitazione, inspirando l'aria salmastra densa dal sentore acre, tipico della vegetazione autoctona. Pervaso da una gioia che non ricordava di aver sperimentato nell'ultimo periodo. La ronda notturna sembrava essere stata interminabile e le esercitazioni che ne erano seguite, all'alba, erano state proficue. Non era così sicuro di aver ritrovato la fiducia di un tempo ma l'umore era migliorato.

Dopo aver mangiato qualcosa bevve un sorso d'acqua e depose il bicchiere sul fondo del lavello di pietra; prese fiato, concedendosi qualche istante di tregua, per poi accingersi a uscire di casa. Imboccò il vicolo che immetteva nella piazza principale dirigendosi verso la strada lastricata in direzione dell'Acropoli. La percorse sotto il sole a picco, che sovrastava il cielo all'ora di punta, quando nemmeno l'ombra di un cipresso si allungava sul sentiero.

Giunto al bivio non svoltò nelle vicinanze dell'Arena dove si stavano svolgendo le consuete attività agonistiche né verso la Prima Casa – presidiata da Mu di Aries – dalla quale si accedeva alla rampa per i Templi. Ma scelse di percorrere il tragitto accidentato che si inoltrava nella boscaglia, inerpicandosi lungo la china ascendente ai livelli superiori del monte. Una strada che aveva percorso sovente, anni addietro, per raggiungere la Dodicesima Casa evitando così il percorso principale – ma, quel giorno, il Tempio di Pisces non era la sua meta. Voglio vedere il Totem, si prefisse.

Procedendo a passo tranquillo non impiegò molto tempo per giungere a destinazione, assorto nei propri pensieri e rinfrancato dalla piacevole tranquillità: dal refolo di vento che sibilava tra le fronde della fitta vegetazione, dal frinire delle cicale, o dallo sgattaiolare improvviso di qualche animale selvatico. Sbucò attraverso un varco naturale aperto nell'intreccio dei rovi. Il sentiero lo aveva guidato nei pressi del pronao della Settima Casa, e avrebbe, così, potuto saggiarne l'imponenza di persona. L'architettura sacra ad appannaggio dei Santi sembrava rimarcare il netto divario tra le Caste.

Il Tempio dal perimetro poligonale si ergeva davanti ai suoi occhi e si soffermò ad ammirarlo, estasiato. Non che non avesse mai messo piede in un edificio del genere prima di allora, ma il pensiero che, forse, avrebbe avuto la possibilità di presidiarlo fu sufficiente a infondergli un certo entusiasmo. Non voleva quasi ammettere di ritenersi degno. Ma avrebbe dovuto avere l'accortezza di non varcare la soglia di un Tempio incustodito e cedette alla tentazione, come determinato ad appropriarsene con un gesto simbolico – ma avrebbe avuto anche il coraggio di toccare le Sacre Vestigia custodite al suo interno?

Si avventurò all'interno della struttura disabitata da decenni, pervasa da un'atmosfera di sinistro abbandono. Lo scandire dei passi vi risuonava tetro, flebili raggi di sole filtravano tra gli elementi architettonici – proprio come ricordava di aver visto in sogno – ma non producevano luce né calore a sufficienza. Non percepì alcuna energia né riuscì a trovare la sacra armatura come si aspettava; solo il vento che si addentrava negli ampi spazi tra le colonne, il porticato e le aule, soffiando in quel vuoto perenne.

“Tu non dovresti essere qui, non ne hai facoltà." La voce del Sommo, pacata e autorevole, risuonò nella lugubre penombra del Tempio. Era comparso dall'oscurità nella quale rifulsero le due gemme incastonate nella maschera. La indossava in quell'occasione, assieme al copricapo, che riproduceva sulla sommità le fattezze di una creatura mitologica, come completamento ai paramenti. Quella mise conferiva un carattere inquietante alla figura del Gran Sacerdote, a prescindere da chi fosse la persona deputata a ricoprire quel ruolo.

“Volevo solo vederlo...” Misty sgranò gli occhi dalle pupille dilatate e l'imbarazzo trasparì dal volto pallido. Desiderava giustificarsi sebbene dubitasse delle proprie capacità persuasive che – in quel frangente – non avrebbero sortito l'effetto sperato.

“Vedere cosa? Ariele.”

“Il Totem" rispose il Santo d'Argento, in tutta sincerità.

“È un privilegio che non ti spetta e non ti è concesso contemplarlo, a meno che non sia pubblicamente esposto. Avevi forse intenzione di appropriartene indebitamente?” Il Sommo alzò la voce, dubitava che nella precedente asserzione risiedesse un fondo di verità. Dubitava della buona fede dell'interlocutore in quel momento cruciale.

Quest'ultimo si schermì, sopraffatto dal timore di non riuscire a sostenere l'accusa: “Non avete il diritto di parlarmi così" disse, incurante delle norme che prescrivevano deferenza nel relazionarsi con autorità superiori; e come atto di estrema difesa all'ostilità, apertamente manifesta, che non sarebbe riuscito a contrastare altrimenti.

“Perché non dovrei averne il diritto? Sentiamo.”

Un fulgore abbacinante fendette l'oscurità. Un'ondata di pura energia lo travolse scagliandolo a ridosso di una colonna come se avesse ricevuto uno schiaffo in pieno volto. Misty si portò una mano laddove era fuoriuscito del sangue, lo aveva percepito scorrere, dopo averne saggiato il sapore e vincendo il disgusto che la vista del fluido scarlatto gli provocava da sempre, come retaggio di un'ignota fobia ancestrale.
Ma il mentore di Shiryu non aveva mosso un dito.
È stato il suo cosmo, realizzò, frastornato e perplesso. Non riusciva a credere che quell'individuo sarebbe arrivato a tanto.

“Mi avete frainteso" replicò con semplici parole che sottintendevano il suo stato d'animo.

“C'era da aspettarselo, i tuoi riflessi sono inesistenti. Nullità. Avrei dovuto osare di più, ma sarebbe stato un abuso di potere. Insulso, imbecille arrogante... sappi che domani, nel primo pomeriggio, avrà luogo il torneo che decreterà il possessore delle Sacre Vestigia di Libra. Avrei inviato un messo per informarti ma colgo l'occasione per farlo personalmente, data la tua sgradita presenza" esordì il Sommo Sacerdote con parole mirate a ferire. Si stava trattenendo ma gli avrebbe impartito volentieri una severa lezione: lo trovava presuntuoso e insolente... quante volte aveva pensato che non fosse nemmeno degno del titolo di Santo d'Argento, che chissà come – in virtù di quale scherzo del destino – avesse conseguito.

Misty asciugò col dorso della mano il taglio superficiale che si era aperto sul labbro inferiore, senza più argomentare né alzare lo sguardo velato da lunghe ciglia. Fece per allontanarsi, scomparire, nel tentativo di assemblare pezzi della propria dignità infranta.
In quel preciso istante sbollì la collera che aveva sopraffatto la ragione e Dohko ebbe l'impressione di rinsavire.


Ho l'aspetto di un giovane nel fiore degli anni, ma dentro sono ancora quel vecchio bicentenario che pretende di giudicare quelli che non la pensano come lui. Ho perso la pazienza commettendo un sopruso, ho reagito fuorviato dall'autorità che rappresento, ed ero talmente accecato dall'ira che avrei potuto davvero fargli del male. Quest'oggi i piatti della bilancia non si sono mantenuti sulla retta dell'equilibrio, ma uno di essi si è inclinato dal lato della Forza prevaricando la Giustizia. Me ne rammarico. Non ho voluto ascoltarlo. L'ho giudicato in forza dei miei preconcetti. Dopo questo episodio avrebbe, sì, ragione di considerarmi prevenuto. Ahimè. Vorrei fare ammenda ma adesso è troppo tardi, mi auguro soltanto che quanto è accaduto tra queste mura non comprometta la sua prestazione nella sfida di domani, non potrei perdonarmelo. Cosa penserebbe Shiryu di un maestro stolto a tal punto?

Rimosse la maschera e il copricapo, passandosi una mano tra i capelli, avvilito.

Era stata una strana coincidenza quella di averlo incontrato in quel luogo, oppure il frutto di un caso fortuito. Fermo restando che quell'imprevisto aveva svelato a Dohko un aspetto di sé che disconosceva. Languiva nella convinzione della rettitudine espressa e insita in ogni sua scelta, ma il fatto di aver presidiato all'inviolabilità del Sigillo di Athena per duecentoquarantatre anni non lo esentava dal commettere errori umani, e si era appena reso conto di averne commesso uno madornale. Guadagnò l'uscita, sbucando alla luce del sole che si rifletteva sull'ampio spiazzale di pietra, dalle cui spaccature irrompevano le erbacce. Un luogo su cui gravava un tetro silenzio che riecheggiava, paradossale, del clamore delle battaglie, degli avvenimenti delle epoche passate. Da troppo tempo dimenticato, a sé stante.

Si incamminò verso i livelli superiori, percorrendo il sentiero di scale pervaso da una quiete che ispirava la meditazione. Quando finalmente giunse a varcare il pronao del Tempio principale, eluse la Sala delle Udienze per dirigersi nelle stanze private. Si liberò dai pesanti paramenti che indossava per assolvere al proprio ruolo formale, e rimase con il costume tradizionale cinese, tipico dell'etnia di origine e simile a quello indossato da Shiryu.

Il Totem...Il malinteso che aveva avuto con Misty lo spinse a recarsi nel naos dove erano custodite le Sacre Vestigia. In quel recondito silenzio, nell'oscurità smorzata dal flebile lume dei bracieri, rifulgeva il Totem in tutto il suo splendore. Emanava un'aura di potenza, brillava avvolto da sprazzi luminosi guizzanti sulla superficie aurea. Era indubbiamente vivo e reclamava il possessore. Dohko non poteva negare a se stesso di aver riconosciuto nel discepolo Shiryu – assennato, docile e rispettoso – il possessore ideale, quasi lo fosse per diritto di nascita e non per diritto acquisito. Riconobbe di essere di parte e ciò non collimava col valore della Giustizia: doveva confutare quell'iniqua propensione poiché non rispecchiava il senso insito in detta simbologia.

Sfiorò le Sacre Vestigia che gli erano appartenute e che aveva onorato con le proprie imprese, percepì il flusso di energia racchiuso nel nobile manufatto. Fu rassicurato dalla conferma che sarebbe stata l'armatura a sancire il verdetto – non lui – e non vi sarebbe stata alternativa più equa.

 ~

Dohko ha ragione. Non dovevo essere lì, mi sono lasciato trascinare dalla curiosità.

Misty chiuse la porta di casa alle spalle, senza preoccuparsi di girare la chiave nella toppa della serratura, dopo essersi guardato intorno con circospezione; temendo che qualcuno dei suoi pari potesse sopraggiungere all'improvviso, turbando quell'amaro momento di riflessione in cui riusciva soltanto a incolpare se stesso. Sedette su una sedia rigirando tra le dita quella figurina zoomorfa, appena sbozzata, dagli occhi grandi ed espressivi, il becco ricurvo come un unico artiglio. Sembrava sorridergli...

Sarebbe stato più facile atteggiarsi a vittima come si era ostinato a fare in passato – convincersene – al solo scopo di alleviare il peso sulla coscienza. Ma non si sarebbe pianto addosso per il semplice motivo che qualcuno di così influente si fosse preso la libertà di insultarlo – non era la prima volta che accadeva, ed era doloroso – ma non avrebbe rimuginato sulla legittimità di quelle parole umilianti. Avrebbe sondato nel proprio animo trovando la forza necessaria per far fronte ad avversità reali o presunte, gli darò modo di ricredersi. Se lo era ripromesso ma adesso era stanco, sentiva il corpo fragile vacillare sotto il peso delle incombenze e degli eventi.

Inspirò silenziosamente, lambendo con la lingua la ferita sul labbro. Il sangue si era rappreso, il taglio si era cicatrizzato in breve tempo. Allo specchio trovò la rassicurazione che cercava e finalmente poté distendersi affondando la testa sul cuscino. La prova che si sarebbe svolta il giorno seguente lo esentava da altri compiti.

La malinconia dovuta a motivi che raramente esplicitava non costituiva un deterrente, bensì un incentivo per qualcuno... Malgrado si sentisse triste, non gli aveva impedito di avvicinarsi lasciandosi sorprendere mentre languiva nel dormiveglia in cui si era abbandonato. Non respinse la persona che desiderava avere accanto a sé, che non avrebbe fatto domande, e della quale – nel subconscio – aveva invocato la presenza. Se l'era chiesto spesso, ma non era amore né affetto: poteva essere simbiosi, attrazione, o reciproca stima. Poteva essere tutte quelle cose insieme o nessuna di esse... Ma gli balenò un improvviso ripensamento in virtù del quale si sottrasse con garbo a quelle attenzioni. Esitando, con lo sguardo assonnato, fino a riscuotersi da dubbi e freni inibitori; lasciando che l'altro insinuasse deliberatamente quelle stesse mani sotto gli indumenti per rimuoverli come un superfluo impedimento – percorrendo un sentiero di perfezione ideale.

Non era stato un sogno, non aveva l'abitudine di coricarsi senza vestiti. Si svegliò con i capelli appiccicati al volto e si avvolse col lenzuolo che aveva scalzato istintivamente dal materasso. Non c'era nessun altro in casa e l'unico rumore che udì, nel silenzio, fu il tintinnio melodioso del piccolo sonaglio a tubolari metallici, oscillante al soffio della brezza mattutina, che spirava attraverso la finestra socchiusa recando con sé l'odore resinoso dei pini.

Sedette sul letto, ravviando i capelli fulvi con entrambe le mani, e si attardò con l'impressione di avere la mente svuotata nonostante fosse reduce da un sonno ristoratore. Si avvicinò allo specchio, per poi raggiungere l'altra stanza nella quale notò la tavola imbandita. Qualcuno gli aveva preparato un'abbondante colazione in previsione di ciò che doveva affrontare, era un pensiero gentile e Algol non sembrava dotato di tale sensibilità, ma chi poteva aver avuto l'idea se non lui?

Sulla sedia era riposto un involucro contenente qualcosa. Si apprestò a scartarlo e trovò degli indumenti all'interno: l'uniforme di addestramento e vari accessori di cuoio preposti alla protezione di alcune parti del corpo, con iscrizioni in arabo incise. L'emblema di Medusa campeggiava in rilievo sul lato esterno del bracciale.
Presumo che dovrò indossarli quest'oggi, al torneo, si disse, con un blando sorriso pervaso da scarso entusiasmo.

Svoltò l'angolo di casa imboccando la solita stradina celata tra gli alberi che lo avrebbe condotto alla spiaggia. La sabbia non scottava ancora a quell'ora del mattino e cristalli di sale luccicavano al sole, il cielo era limpido e luminoso, parimenti la distesa marina su cui si specchiava. Ciò che prediligeva di quel luogo, unitamente a incomparabile bellezza, era che non fosse frequentato dalle genti – troppo spesso affaccendate nella quotidianità – che popolavano il Santuario. Conservava la sacralità dei siti incontaminati, evocava reminiscenze di un antico passato impresso nell'erosione delle rocce e scandito dal rumoreggiare dei flutti.

Passeggiava sulla riva sopraffatto, dopo tanto tempo, dal desiderio di inoltrarsi in quelle acque, sebbene i ricordi che affioravano dalla memoria fossero sconfortanti: il mare connesso alla rimembranza di fatalità quali disfatta e morte. Non doveva illudersi ma forse quel giorno la speranza – che faceva breccia come un raggio di sole, uno spiraglio tra le nuvole – gli consentì di ponderare gli avvenimenti antecedenti la rinascita con occhi diversi.


***

 

È stato un soggiorno piacevole in Svezia, ma credo che ormai la mia vera casa sia qui, al Santuario. È stato piacevole consumare l'ultima frukost a base di uova con salsa al caviale; pane di segale con salame e formaggio, yogurt e caffè, prima dell'imbarco. Non mi sono dimenticato degli amici e ho qui per loro dei piccoli souvenir, ma la giornata è stata più lunga del previsto e provvederò domani a consegnare i regali. Si è fatto tardi, il sole sta tramontando all'orizzonte e di Stoccolma rimpiango soprattutto il clima.

Gli ultimi sprazzi di luce lambivano di sfumature rossastre la valle sacra e i Templi svettanti ai livelli superiori dell'Acropoli, gli acroteri riflettevano gli ultimi raggi di sole. Tuttavia, sebbene stesse per calare la sera, si avvertiva un'insolita concitazione nell'aria e l'andirivieni di gente – tipico delle ore diurne – sembrava persistere quando avrebbe dovuto attenuarsi. Vi era uno strano brusio, confusione.

Dev'essere successo qualcosa.

I due Santi d'Oro si scambiarono un'occhiata giungendo nei pressi della Prima Casa e Aphrodite ebbe un'intuizione: il torneo, oggi deve essersi svolto il torneo. Ripiegò per dirigersi verso l'Anfiteatro, ma quando vi pervenne dovette apprendere da alcuni soldati che l'evento era ormai terminato e nessuno dei due contendenti aveva ottenuto l'investitura. L'edificio si era quasi svuotato, il baldacchino allestito per ospitare le autorità era stato dismesso, ma brillavano ancora i fuochi delle torce e nei bracieri. Stava sudando, ma riuscì a mantenere un contegno adeguato. Il Santo di Capricorn condivideva le sue perplessità, entrambi stentavano a comprendere quali fossero state le esatte dinamiche dell'avvenimento, e si espressero con sguardi interrogativi.

Aphrodite corse verso gli spalti per raggiungere gli ultimi Santi di Bronzo rimasti e riuscì a fermare Shun per tempo, questi si premurò di informarlo sull'accaduto, pronunciandosi a riguardo, prima di fargli aprire bocca. Sembrava che Shiryu, stando alla sua versione, avesse riportato delle ferite: il suo colpo aveva rimbalzato contro lo scudo d'aria – incrinandolo – ma per fortuna era rimasto incolume. Si era rialzato quando avrebbero dovuto portarlo via in lettiga.
Infatti lo scudo d'aria ha due funzioni: difensiva e offensiva, si disse Aphrodite, le cui labbra si incurvarono in un incontenibile sorriso di soddisfazione che si sforzò di dissimulare.

“Il Sommo ha ritenuto opportuno sospendere la sfida, temendo per il peggio.” Quella rivelazione smorzò il fugace entusiasmo di Aphrodite che si era soffermato ad ascoltare senza interrompere, quasi trattenendo il fiato, con un vuoto nello stomaco. Ascoltò tutto quello che Shun aveva da dirgli, senza parole adatte per controbattere perché aveva smarrito ogni velleità di replica. Aprì alcuni bottoni della camicia, si sentiva soffocare e desiderava anzitutto cambiarsi d'abito.

“A quanto pare il torneo si è risolto con un bel... nulla di fatto" concluse Shura cercando di minimizzare l'assurdità dell'accaduto, dopo aver colto l'imminente malessere del suo amico.

“Che cosa!?”

“Il peggio per entrambi.”

“Cosa vorresti dire, Santo di Andromeda?” Pisces impallidì e rivoli di sudore gli scivolarono lungo le tempie.

“Che le loro forze si equivalgono.”

“Il mio discepolo? Dov'è in questo momento?”

“Non preoccuparti, sta bene, non ha riportato conseguenze gravi.” Shun cercò di infondergli tranquillità, in quanto aveva percepito molta apprensione sotto una scorza di apparente distacco.

“Ho capito, ma dove si trova adesso?”

“Vai al Tredicesimo Tempio.” Gli suggerì il Santo di Andromeda.

Aphrodite sospirò, avrebbe voluto correre a perdifiato per sincerarsi che il discepolo stesse bene ma la sua indole razionale prevalse sui sentimentalismi. Si soffermò a riflettere e Shura era ancora al suo fianco, si stava dimostrando un amico premuroso anche in quel frangente. Se ne compiaceva, malgrado il suo principale rammarico fosse quello di non essere stato presente e, purtroppo, avrebbe potuto raccogliere informazioni solo da terzi. Si accinse a percorrere il cammino verso il Tempio principale, domandandosi se – senza una convocazione ufficiale – la Sala delle Udienze sarebbe stata aperta per lui. Si chiedeva perché Misty fosse stato trattenuto in quel luogo, ma poi si impose di mettere a tacere quel turbinio di pensieri deliranti che gli frullavano nella mente: solo giunto a destinazione avrebbe conosciuto la verità.

 ~

Schiuse la porta, una massiccia porta di ebano intarsiata a temi naturalistici e figure antropomorfe. Era la prima volta che metteva piede in una delle numerose stanze situate nell'ala privata del Tredicesimo Tempio, e fu colpito dall'atmosfera solenne che caratterizzava quel luogo. Ma fu un labile soffermarsi sugli arredi della camera, rischiarata da una fioca luce che brillava nella sera.

Si accostò al letto dove giaceva il ragazzo rivestito di una tunica bianca, impreziosita dalla passamaneria che contornava il collo e le maniche. Era immerso in un sonno profondo e all'apparenza non recava alcun segno dello scontro avvenuto – probabilmente grazie all'ausilio dello scudo d'aria – eccetto un alone bluastro sotto agli occhi. Una fasciatura gli cingeva la fronte e spuntava da sotto la frangia come se avesse subito un trauma proprio in quel punto: all'altezza in cui nella sua barriera doveva essersi aperto uno spiraglio, come una smagliatura in un tessuto.

Aphrodite gli prese la mano gelida, col palmo umido di sudore. Intrecciò le dita alle sue. La strinse e poi sciolse la stretta per accostare le dita al volto del dormiente, facendole scivolare dal contorno ovale fin sulle labbra dischiuse e asciutte. Le inumidì con un fazzoletto imbibito d'acqua e lui, finalmente, diede un cenno di vita destandosi dal pesante torpore: Misty aprì gli occhi, poco a poco, svelando due iridi azzurre simili a cristalli nonostante la midriasi.

Sbatté le ciglia, dopo aver messo a fuoco l'immagine di Aphrodite, articolando qualche parola – frasi sconclusionate che assemblate acquisivano una propria logica – in cui gli domandava chi fosse; affermando di non aver mai ammirato un volto così simile al proprio, per poi menzionare uno specchio. Quindi tacque, riprendendo fiato: “Vedi? Quello specchio che c'è laggiù" indicò con un dito. Aphrodite si voltò per costatare la presenza dello specchio barocco appeso alla parete, in fondo alla stanza, e lo assecondò. Le congetture avanzate poc'anzi presero forma. Si era rattristato ma convenne di non esternare sgomento davanti a lui.

“Non ha importanza. Non è importante che tu ricordi la mia identità. Ci sarà tempo per ricordare, ogni cosa a suo tempo.”

“Non capisco.”

“Non preoccuparti, dormi adesso, riposati. Si sistemerà tutto, te lo prometto" disse, passandogli una mano tra i capelli.

Uscì dalla camera dopo aver spento la lampada e tirato la tenda davanti alla finestra. Una falce affilata, velata da nubi, spiccava nel crepuscolo e si riuscivano a scorgere solo le stelle più brillanti. Attraversò il lungo corridoio – la cui vastità lo indusse a volgere più volte uno sguardo cauto a ritroso – e raggiunse il porticato esterno. Poi imboccò un altro corridoio percorso da imponenti colonne che gettavano ombre sul pavimento levigato, la cui ultima porzione si affacciò sullo scalone che scendeva al piano inferiore. Un brivido gli percorse la spina dorsale, quella sera spirava un'aria fredda. Aphrodite si aggrappò al corrimano di marmo, sebbene l'illuminazione fosse sufficiente – coadiuvata dal bagliore lunare che faceva capolino da qualche finestra – tanto da riuscire a discernere, nella penombra spettrale, l'espressione sibillina plasmata sui volti delle statue che si alternavano lungo il cammino. Se non fosse stato per il senso dell'orientamento si sarebbe smarrito in quell'edificio che sembrava essere stato concepito come un intricato labirinto al solo fine di disorientare i visitatori. Giunse quindi sull'ingresso secondario che immetteva nella Sala delle Udienze, e che avrebbe dovuto attraversare per raggiungere l'uscita principale.

“Pisces.” La voce del Sommo, udita alle spalle, lo esortò ad arrestarsi. “Hai qualche minuto?”

Aphrodite assentì, sebbene gli suonasse come una domanda superflua: certo che sì, cos'altro avrebbe dovuto fare se non il piantone alla Dodicesima Casa? Era irritato, non aveva voglia di intavolare una conversazione, ma quello era il Gran Sacerdote, la seconda carica a presiedere il Santuario dopo Athena.

Dohko lo invitò a entrare in quella che sembrava una biblioteca privata, a giudicare dalla mole di manoscritti che ospitava riposti in appositi ripiani incassati alle pareti. Era un luogo sfarzoso, arredato con cura, e addirittura ridondante ai suoi occhi di esteta. La poltrona dove fu invitato a sedersi era rivestita di velluto cremisi, adorna di decori in stile rococò che riprendevano le cornici dorate degli specchi e gli altri elementi d'arredo; e tutto ciò si armonizzava alla perfezione con reperti di epoca classica. Si trattava di una scelta dovuta al gusto dei predecessori. L'attuale Gran Sacerdote gli sembrava una persona alquanto modesta e di poche pretese, quell'opulenza non gli si confaceva e probabilmente si era dovuto adattare. Pisces rivolse lo sguardo all'uomo voltato di spalle, assorto a contemplare lo scenario che si profilava dinanzi alla finestra aperta sulla terrazza, dalla quale proveniva il profumo delle azalee giapponesi: un modo per prendere del tempo e raccogliere le idee. Ne percepì il disagio congiunto a tristezza, ma pazientò attendendo che questi si decidesse a parlare.

“Lo avevo sottovalutato.”

Aphrodite fece una breve pausa: “È risaputo che Misty non si distingua per amorevole affabilità.”

“Non starò a raccontarti tutto quello che è successo, immagino ti abbiano già informato” Dohko aveva cambiato argomento e la loro conversazione fu interrotta da un'ancella, che si annunciò recando un vassoio con una teiera e delle tazze decorate.

“Sì, mi hanno accennato come si sono svolti i fatti" riprese Pisces, nel momento in cui furono nuovamente soli.

“Per adesso rimarrà tutto invariato, le Sacre Vestigia permarranno tra queste mura. L'investitura è rinviata. La contesa tra i due Santi si è risolta in parità e, in teoria, avrebbero entrambi facoltà di essere designati quali miei legittimi successori; ma sappiamo che questo non è attuabile. Quindi dovrò essere io a valutare, sulla base di parametri in cui non si contempli la forza, e operare una scelta. Ma non ora.”

“Non mi ha riconosciuto, non ricorda più nulla...” osservò Aphrodite dopo aver scostato la tazza dalle labbra, accingendosi a riporla sul tavolo.

“Sì, lo abbiamo constatato al suo risveglio. Non può essere lasciato solo poiché ha rimosso i ricordi antecedenti l'episodio e forse non sarebbe in grado di badare a se stesso, ma è perfettamente abile ad apprenderne e memorizzarne di nuovi. È stato a causa dell'impatto...” replicò Dohko, costernato. “Dovremo pazientare, attendere che recuperi, non posso quantificare il tempo di cui avrà bisogno, ma potrà soggiornare qui; alla Dodicesima Casa o dove sceglierà di stare, e voi tutti lo guiderete nel percorso aiutandolo a ricordare" ravviò i capelli e fissò il proprio interlocutore.
Pisces fu incapace di sostenerne lo sguardo e con la scusa di sorseggiare il tè, deglutendo a fatica, si concentrò sul filetto d'oro che bordava l'orlo della tazza.

“Perché tutto questo riguardo nei confronti di un Santo di rango intermedio?” Ebbe il coraggio di domandare, alzando gli occhi celesti e soffermandosi a contemplare la grazia di figure danzanti ricamate sull'arazzo che tappezzava una parete.

“Non c'è una ragione specifica... ritengo sia giusto, ha messo in difficoltà il mio allievo ed è stata una dimostrazione di abilità" temporeggiò il Sommo, tradendo un certo imbarazzo, e dopo si schiarì la voce. “Non credevo sarebbe stato in grado di farlo. Ero sicuro che Shiryu avesse la vittoria garantita e mi sbagliavo."

E presumo vi sentiate responsabile per questo, lo avete osteggiato a causa della sua presunta arroganza, l'arroganza di chi ha il fegato di sbattere la verità in faccia a discapito dell'ipocrisia – perché, in realtà, non avete mai perdonato il suo ardire e vi siete legato al dito l'episodio in cui ha sbugiardato Saori. E, dulcis in fundo, perché pensate che il suo sembiante lo releghi all'inettitudine... conosco questa solfa.

Aphrodite depose la tazza sul vassoio in un modo sgraziato che non gli era proprio, senza avere il coraggio di alzare lo sguardo.

“L'amnesia è un problema complesso: i ricordi – che sono patrimonio di ogni individuo – potrebbero riaffiorare domattina, dopo mesi, anni, o essere svaniti per sempre...”

“Il pessimismo non ha mai giovato a nessuno e non apporterà miglioramenti alla sua condizione” osservò Dohko, il quale aveva dedotto dal suo atteggiamento una certa disillusione, e si rapportò di conseguenza, sebbene fosse consapevole che il Custode della Dodicesima Casa non si sarebbe lasciato zittire in quel modo.

“Farò tutto ciò che è in mio potere per aiutarlo ma adesso, con il vostro permesso, desidererei rientrare al mio Tempio rimasto incustodito da qualche tempo.”

“Certamente. Spero tu abbia beneficiato del breve periodo di assenza.”

Aphrodite fece un cenno affermativo col capo: la possibilità di congedarsi in quel momento topico, in cui era consapevole di non riuscire più a mantenersi neutrale – temendo di sbottare da un momento all'altro – lo rasserenò. Necessitava di rimanere da solo a riflettere, di ritrovare la tranquillità che gli avrebbe permesso di riordinare i pensieri.

Il rientro al Grande Tempio non era stato dei migliori, infauste concatenazioni di eventi avevano compromesso la sua serenità ancorché non vi fosse coinvolto in prima persona; forse si era adeguato a una calma piatta che, aveva presunto, presto o tardi, sarebbe cessata. Così era stato.

Le rose risplendevano al suo passaggio. Quel chiarore inondava d'argento i marmi rendendo la notte meno cupa e spettrale, dissipando le ombre che confondevano la mente e incupivano il cuore.

Aphrodite fece il suo ingresso alla Dodicesima Casa, aveva dapprima ordinato alla servitù di disfare i bagagli e preparargli un bagno. Le sue indicazioni non erano state disattese: il bordo della piscina riluceva di flebili lumi emanati da ceri e candelieri che proiettavano ombre contro le mura della sala. Le stesse luci si riflettevano sul suo corpo statuario e sui capelli tingendoli di riflessi dorati. Si immerse nella vasca, appagato da un tepore avvolgente che gli avrebbe conciliato il sonno meglio di qualsiasi bevanda o intruglio a effetto rilassante. Non sapeva in che modo agire, e soprattutto come aiutare la persona che aveva scoperto essergli più cara di quanto avesse mai immaginato.

Il mattino seguente si alzò all'alba per recarsi nel roseto dove era solito consumare una colazione leggera. Aveva in mente qualcosa poiché la notte gli aveva portato consiglio: non aveva dimenticato le abitudini del suo allievo, o almeno, gli sembrava di ricordare le consuetudini che ricorrevano in una vita precedente troncata anzitempo. Chissà se Misty le avesse mantenute, alla stregua di un rituale consolidato, anche dopo la rinascita? Non restava che recarsi nella valle sacra per scoprirlo. Si trattava di recuperare degli oggetti che avrebbero avuto la funzione di tessere preposte a completare un mosaico e guidarlo nel difficile compito di riesumare i ricordi...

 

***

 

Si raggomitolò tra le lenzuola e fu il chiarore del giorno a destarlo dal sonno ipnotico. Fece un tentativo di adattarsi alla luminosità preponderante, ponendosi una mano sul volto per proteggersi dalla luce troppo intensa: gli occhi lacrimavano e le tempie pulsavano incessantemente; tuttavia la sofferenza non gli impedì di rievocare i volti delle persone che lo avevano soccorso – ma da che cosa? Da un incidente? Non riusciva a darsi una spiegazione, per quanto si sforzasse di sondare nei vacui anfratti della propria mente in cerca di un appiglio. Gli sovvenne la stanza nella quale era rinvenuto, ed era la stessa in cui si trovava attualmente. E quel volto d'angelo, quella persona che gli aveva parlato con gentilezza accarezzandogli i capelli... così simile a lui, era per caso suo fratello?

Da uno spiraglio aperto tra le dita della mano osservò una rosa rossa deposta sul comodino. Protese il braccio in avanti con uno sforzo e riuscì a cingerne il gambo tra pollice e indice, la accostò al volto inalandone il dolce profumo – senza comprendere perché lo stesse facendo – risolvendo di restare sdraiato a letto. L'equilibrio era precario, il pavimento sembrava vorticare al di sotto insieme alle pareti della stanza, e la nausea gli provocava conati di vomito a momenti alterni. Si rigirò sul fianco, ripiegandosi su se stesso, con gli occhi chiusi e la rosa stretta tra le dita.

Cingere una rosa era una semplice azione che aveva ripetuto infinite volte, eppure non gli sovveniva niente del recente passato, e non sarebbe stato sufficiente un gesto banale a rievocarlo. Persisteva un vuoto aberrante, una lavagna dalla quale erano stati cancellati tutti i ricordi con un deciso colpo di spugna.

   
 
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