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Autore: _Frame_    07/04/2019    4 recensioni
[Human!AU]
[Frying Pangle!Centric; Bad Touch Trio; Accenni ad altre coppie]
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Per festeggiare l’ultima caldissima settimana di vacanze estive non c’è niente di meglio di una colossale gita di gruppo al mare, fra partite a beach volley, falò sulla spiaggia e sbevazzate in compagnia, prima che le scuole e le università riaprano, e prima che la vita riprenda il solito ritmo quotidiano.
Spronato (ricattato) dai suoi due migliori amici, Gilbert Beilschmidt decide che questa è la sua ultima opportunità per rimediare a una certa mancanza, prima che la partenza per l’accademia militare lo separi da coloro che ama di più.
Genere: Comico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Austria/Roderich Edelstein, Bad Friends Trio, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Ungheria/Elizabeta Héderváry
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Brevi disavventure di adolescenti allupati'
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. Tre di picche

 

 

Emil giunse i pugni intrecciando le dita e sovrapponendo i pollici, distese le braccia, e si piegò sulle ginocchia, puntando lo sguardo concentrato sulla palla gialla e azzurra che gli stava volando contro. Ricevette la pallonata – un sonoro schiaffo sui polsi già martoriati – e la fece rimbalzare verso Alfred. Alfred la ricevette, compì un rimbalzo sollevando uno sbuffo di sabbia da sotto i piedi nudi, e la alzò con entrambe le mani in direzione di Mathias. Mathias spiccò il volo, impennò il braccio rovesciando la mano sopra la testa, divaricò le dita, e schiacciò la palla oltre la rete.

La palla schizzò come una meteora infuocata.

Feliciano emise un gridolino d’allarme, balzò di lato, e la scia roteante gli sfrecciò sopra la spalla. La palla si schiantò a terra, schizzando un rigetto di sabbia sulle sue caviglie, e segnò il punto per la squadra avversaria.

Mathias riatterrò dalla schiacciata, strinse i pugni, e compì un altro energico balzo a gambe raccolte. «Evvaiii!» Il viso bagnato di sudore, ma rosso di emozione e di fatica, luccicò sotto i raggi di sole che splendettero attraverso l’azzurro ridente dei suoi occhi. «Punto alla Squadra Nordica!»

Alfred s’indicò il petto dove pendeva la targhetta militare che rimbalzava ogni volta in cui lui compiva un salto. «Con acquisizione americana» specificò.

Anche Leon, disposto a fondocampo affianco a Emil, sollevò la mano. «E asiatica.»

Sottorete, Tino batté le mani e saltellò senza riuscire a contenere l’entusiasmo che gli formicolava sotto i piedi sporchi di sabbia. «Un altro punto per noi!» esclamò. «Siamo ancora in vantaggio! Non ci batte nessuno!»

Emil si passò un pugno sulla fronte, asciugandosi il sudore imperlato sulla pelle ancora bianca e poco abbronzata, e si massaggiò i polsi doloranti dopo l’ultimo bagher che gli aveva stampato una chiazza rossa e bruciante sugli avambracci. «Capirai.»

Mathias compì una piroetta, girandosi verso il loro ombrellone, e sventolò il braccio per richiamare l’attenzione di Lukas. «Ehi, Lukie, hai visto? Hai visto che ho segnato il punto?»

Lukas abbassò il libro che stava leggendo ma da dietro cui aveva sbirciato la partita senza farsi notare. Fece roteare lo sguardo, diede un colpetto agli occhiali da sole che gli stavano scivolando dai capelli, e richiamò le ginocchia al ventre, accoccolandosi contro lo schienale della sdraio. «Vedi di non romperti la testa.» Girò pagina e riprese a leggere. «Ammesso che ci sia qualcosa da rompere.»

Berwald sistemò le creme solari che stava riorganizzando nella loro borsa da spiaggia. Raccolse la maglietta di Tino, la ripiegò e la infilò dentro la borsa per evitare che si sporcasse di sabbia. Anche lui, da sotto l’ombrellone che offriva loro riparo, teneva gli occhi vigili sulla partita.

Dall’altro capo della rete, Lovino si diede una strofinata alla fronte sudata e corrugò una scura e profonda espressione di rabbia e bramosia vendicativa. «Dannati.» Distese il braccio e puntò l’indice contro suo fratello. «Feliciano, sistemati indietro. È da quando è cominciata la partita che non hai preso neanche una palla.»

Feliciano raccolse la palla atterrata affianco ai suoi piedi e la spedì alla squadra avversaria. «Perché ho paura di prendermele in faccia» protestò. «Anche a calcio è così, sai che non faccio mai il portiere.»

Lovino fece schioccare la lingua e alzò lo sguardo al cielo, corrugando una smorfia di disappunto. «Patetico.» Infilò due dita fra le labbra e fece un fischio a Ludwig. «Ohi, crucco!» Indicò la rete con un cenno del capo. «Renditi utile con quella tua montagna di muscoli e vai a fare muro sotto la rete.»

Ludwig annuì e si diede una sgranchita alla spalla. «Come vuoi.» Passò davanti ad Antonio, già posizionato a gambe piegate e a spalle basse, e si mise di fianco a Kiku che faceva la guardia sottorete.

Tino si portò all’angolo del campo, preparò la battuta reggendo la palla con il braccio teso, e aprì la mano libera accanto alla bocca per farsi udire da tutti. «Palla!» Schiacciò il suo lancio e la palla volò al di là della rete.

Ludwig ricevette la palla e la innalzò senza buttarla nel campo avversario. Alle sue spalle, Lovino prese la carica, spiccò un salto affianco a Kiku, ribaltò il braccio come aveva fatto Mathias prima, e scaricò una feroce schiacciata sulla palla.

La palla si deformò in una scia gialla e azzurra. Leon si tuffò in avanti, distese il braccio, la sfiorò col pugno, ma la palla gli sfregiò le nocche e si schiantò sulla sabbia, segnando il punto.

Lovino riatterrò sul campo, prese fiato, e strinse il pugno in segno di vittoria. «Sì!»

Antonio spiccò un balzo ed esultò. «Puntooo!» Batté le mani sopra la testa.

Mathias si chinò a raccogliere la palla e la fece rimbalzare da una mano all’altra. Soffiò uno sbuffo scocciato ma combattivo. «Questa gliela faremo pagare, dannata Squadra Asse.» Passò la palla agli avversari e si girò. «Ehi, Emil.» Indicò Leon che si stava rialzando dopo il tuffo. «Di’ al tuo ragazzo di schiacciare la palla come se si trattasse di sculacciare il tuo sedere, oppure lo piazzo di nuovo a fondo campo.»

Emil avvampò come se il caldo sole pomeridiano gli avesse abbrustolito le guance. «Non è il mio ragazzo!»

Leon non fece una piega e si ripulì dalla sabbia che gli era rimasta incollata alla canotta nera. «Forse è meglio se torna Tino sottorete, io mi trovo meglio come servente.»

«Segnate il punto» esclamò Feliciano. «Punto per noi, punto per noi!»

Da sotto l’ombrellone più vicino al campo da beach volley, seduto sul telo da mare assieme ad Arthur, Francis sventolò la mano in segno di conferma. «Punto per voi, Feli.» Usò l’indice per tracciare una linea sulla sabbia spianata come una tavola, e segnò un altro punto sotto la casella della squadra di Feliciano, arrivando a ventuno. La squadra di Mathias era in vantaggio. Loro erano arrivati a ventisette.

Arthur pescò la bottiglia di tè freddo al limone dal letto di ghiaccio che riempiva il frigo portatile, lo stappò e si rinfrescò con un paio di sorsate. Si asciugò la bocca e si guardò attorno, buttando l’occhio oltre il profilo di Francis seduto accanto a lui e sporgendosi con le spalle in avanti per sbirciare anche al di là della sdraio su cui era seduto Matthew. «Ma dove diavolo è finito Gilbert?» Rivoletti di ghiaccio sciolto percorsero la bottiglia di tè freddo e colarono fra le sue dita. «Non doveva esserci anche lui alla partita?»

Francis spinse i gomiti sulle ginocchia, raccolse il viso fra le mani, affondando le nocche nelle guance rese già rossicce dal sole estivo, e sorrise, complice di quel segreto. «Oh, aveva da fare. Forse non lo vedremo per tutto il pomeriggio.»

Arthur riaffondò la bottiglia di tè freddo nel frigo portatile dove stavano conservando anche gli ultimi ghiaccioli. «Magari ha chiamato e non...» Sollevò la maglietta che Alfred aveva abbandonato sotto l’ombrellone, la rigirò, la tornò a posare, e si piegò a controllare anche nello spazio fra la sabbia e il telo da mare. «Ma dove diavolo ho messo...»

Matthew strinse le ginocchia al petto, accucciato sull’orlo della sdraio, e sporse le spalle in avanti per rivolgergli uno sguardo premuroso. «Qualcosa che non va?»

«Non trovo il cellulare, dannazione.» Arthur mollò l’orlo del telo da mare, accostò la mano alla bocca e gridò verso la rete da beach volley. «Alfred!» Sollevò il telefono di Alfred che aveva trovato sotto la sua maglietta. «Uso il tuo cellulare per chiamarmi e trovare il mio!»

Alfred riatterrò dopo un’alzata sottorete, e la targhetta militare gli rimbalzò sul petto. «Uh, cosa?» Calò le braccia. «Ah, sì, okay, non...»

La pallonata di Ludwig gli schizzò sopra la testa, emise un fischio dietro il suo orecchio, e cadde alle sue spalle, spalancando un cratere nella sabbia.

Feliciano compì un balzo di gioia e impennò le braccia sopra la testa. «Punto per noi!» Saltò ad appendersi alla schiena di Ludwig, come una scimmietta, e fece dondolare i piedi. «Il capitano ha fatto punto, il capitano ha fatto punto!»

Mathias riprese fiato dopo gli ultimi passaggi e aggrottò la fronte. «Ma che diavolo!» Si girò a gridare verso Arthur. «Ci hai sabotati, Arthur!» Gli scagliò l’indice contro. «Non vale! Punto annullato! Esigo l’annullamento del punto!»

Arthur emise un piccolo sbuffo e lo ignorò. «Chiudi il becco, idiota.» Sbloccò lo schermo del telefono di Alfred.

Come sfondo era impostata una fotografia di loro due, vestiti con cappotti invernali e sciarpe, il giorno in cui erano usciti al luna-park. Alfred sorrideva – un braccio teso per reggere il cellulare in alto, l’altro avvolto attorno alle spalle di Arthur, e le labbra sporche dello zucchero spolverato sulla frittella che aveva appena divorato. Arthur teneva lo sguardo sbieco – odiava farsi fotografare – ma anche le sue labbra erano piegate in un fine sorriso che teneva nascosto sotto la sciarpa. Fra le braccia sorreggeva l’orsacchiotto azzurro che Alfred aveva vinto al tiro a segno e che gli aveva regalato.  

Arthur fece roteare lo sguardo, arricciò una smorfia per celare il rossore del suo viso intenerito, e compose il suo numero.

La suoneria infranse l’atmosfera di pace che regnava sotto l’ombrellone, distante dagli schiamazzi provenienti dalla rete da beach volley.

 

Mister Peanutbutter’s house. Who’s that dog? Mister Peanutbutter! Knick-knack-paddy-whack. Give-a-dog-a-bone. Who’s that dog? Mister Peanutbutter!

 

Arthur inseguì il volume della suoneria e trovò la luce dello schermo fra le pieghe dell’asciugamano di riserva ancora infilato in borsa.

«Oh, eccolo.»

Scavò nel tessuto di spugna fino a incontrarne la consistenza.

 

Trying to catch a break Jack. Leave a dog alone. Good boy...

 

Spense la chiamata.

Francis lanciò un’occhiata perplessa prima al cellulare e poi ad Arthur. «Perché hai la suoneria di Mister Peanutbutter?»

«È solo quella di Alfred.» Arthur sbloccò lo schermo con lo stemma dei Serpeverde e controllò le notifiche. Nessuna traccia di messaggi o di chiamate da Gilbert. Francis lo stava ancora fissando di traverso, un sopracciglio inarcato e un mezzo sorrisetto che conosceva bene a rompere la curva delle labbra. Arthur lo fulminò. «Che c’è?» sbottò, quasi giustificandosi. «Gli somiglia.»

Francis accostò il viso al suo, tenendo steso quel sorriso inquisitorio. «Quindi tu saresti un’intellettuale vietnamita affetta da crisi esistenziali?»

«Considerando com’è finita» sospirò Arthur, «spero decisamente di no.»

«Arthur, guardami!» Alfred inviò una schiacciata nel campo avversario, riatterrò dal balzo, e sventolò le braccia verso l’ombrellone. «Mi guardi?»

Arthur gli rispose con un cenno della mano. «Ti guardo, ti guardo.»

«Mattie!» esclamò ancora Alfred. «Mi guardi anche tu?»

Matthew sorrise e sventolò anche lui la mano. «Sì, Al, ti guardiamo tutti.»

Lo sguardo di Francis era ancora concentrato sul cellulare di Arthur. Francis si strinse il mento, corrugò un’espressione dubbiosa ma incuriosita, e raggiunse il suo telefono nella tasca dei pantaloncini. Compose il numero di Arthur.

Lo stemma verde-argento dei Serpeverde tornò a illuminarsi, e la vibrazione della suoneria spanse un coro di rane gracidanti.

Francis trasalì. «Quella è la mia suoneria?»

Arthur spense il cellulare e ghignò. «La più adatta che ho trovato.»

Francis stritolò il telefono, facendo stridere le unghie sulla cover che riproduceva una carta da lettere con scritte in corsivo. «Maledetto.» Si avventò addosso ad Arthur fino a schiacciare la fronte sulla sua. «Per vendetta andrò in giro a dire a tutti che dormi con il peluche di Twilight Sparkle.»

Arthur avvampò. «S-sta’ zitto!» Tornò a spingerlo indietro tenendosi appeso ai suoi polsi. «Me l’ha regalata Alfred per il nostro primo appuntamento, non ho nulla da vergognarmi!»

Gli occhi di Francis si fecero fini, bui e malefici. «E dirò anche che è la versione alicorno

Arthur trasse un ansito scandalizzato che infiammò la sua espressione furente. «Bastardo.»

«Traditore del fandom!»

Matthew gesticolò per separarli. «Ehm, ragazzi» mormorò. «Forse sarebbe meglio non...»

«Puntooo!» Mathias corse intorno alla loro porzione di campo, lasciandosi dietro un turbine di sabbia, ed esultò ancora. «Sempre più vicini alla vetta!»

Tino saltò a sua volta e il suo viso luccicante di sudore splendette sotto i raggi del sole. «Grande, Mathias! Squadra Nordica all’attacco!»

«E asiatica» ribadirono Leon ed Emil.

Alfred sbracciò sia verso l’ombrellone sia verso i suoi compagni di squadra. «Mi avete visto, eh, eh, mi avete visto? Sono stato io ad alzare la palla! Se non l’alzavo io non facevamo punto! È tutto merito mio!»

Anche Matthew batté le mani, meno rumorosamente di Tino ma con lo stesso dolce sorriso a rallegrarlo. «Bravissimo, Al!»

Arthur tracciò la stanghetta nella sabbia spianata, sotto il nome della Squadra Nordica. «Vedi di non esagerare al tuo solito solo per metterti in mostra.» Si diede una spolverata alle mani. «Matthew, di’ qualcosa a tuo fratello prima che si rompa la testa.»

Matthew rise, sciolse le gambe incrociate e affondò i piedi nudi nel calore della sabbia, dondolando avanti e indietro con le spalle. «Sono sicuro che a te darebbe più retta.»

«Non badarci, mon petit.» Francis accostò una mano al viso di Matthew e gli scostò una ciocca ribelle dalla guancia, facendogli il solletico dietro l’orecchio. «Io ti darò sempre retta.»

Matthew rise – una risata soffice come la sua voce – e arrossì. Raccolse anche lui un boccolo di capelli biondi e lo rigirò attorno all’indice, celando gli occhi così belli che però lui teneva sempre bassi e nascosti dai riflessi delle lenti.

Pesanti passi di piombo attraversarono la spiaggia, raggiunsero l’ombrellone portandosi dietro un’aura scura e nebulosa che parve congelare i raggi di sole, e dilatarono un’ombra nera che inghiottì Francis e Arthur, spingendoli a guardare in alto.

Gilbert si lasciò cadere sul secondo telo da mare steso accanto al frigorifero portatile. Non disse una parola. Raccolse un ginocchio al petto, tenne lo sguardo distante, celato dall’ombra che gli gravava addosso come una nuvola di pioggia, e si massaggiò la guancia rossa e gonfia all’altezza dello zigomo.

Arthur sollevò le sopracciglia. «Oh, ma guarda un po’ chi si è degnato di graziarci con la sua presenza.»

Gilbert strinse la mano sulla guancia arrossata, ignorò il suo commento, e increspò le labbra in un tremolante principio di ringhio. Pescò un ghiacciolo all’anguria dal frigorifero, gli strappò la plastica di dosso, e affondò un primo morso, continuando a tenere gli occhi distanti e rimanendo chiuso in quella sua nera bolla di malumore.

Francis si spremette contro il fianco di Arthur e si sporse a squadrare la guancia gonfia e rossa di Gilbert. «Che hai fatto alla faccia? Hai attaccato briga e ti hanno gonfiato di cazzotti?»

Gilbert strinse i denti sul ghiacciolo, spaccò un altro doloroso morso al sapore di anguria, e incise lo stampo degli incisivi sullo stecco, sollevando uno scricchiolio del legno. Sbranò la pasta di ghiaccio – un rivolo rosso gli colò dall’angolo delle labbra – e lasciò che la botta di gelo salita alla testa dolesse contro le tempie, distraendolo dal dolore che pulsava in fondo al suo petto, straziandogli il cuore.

Francis scavalcò le gambe di Arthur, s’infilò fra lui e Gilbert, e lo punzecchiò con una gomitata sul braccio. «Allora, alla fine come ti è andata?» Chiocciò una risatina. «Ti hanno scaricato tutti e due?»

Un tremore attraversò il corpo di Gilbert e gli rese i muscoli di pietra, la faccia di sasso. Le sue dita strinsero lo stecco di legno, sbiancarono, e s’impiastricciarono con la colata di sciroppo rosso sciolto dall’avanzo di ghiacciolo. Gilbert azzannò gli ultimi morsi al sapore d’anguria, sputò lo stecco, si ripulì dal succo rimasto fra le labbra, tuffò la mano nel piccolo frigo e pescò un ghiacciolo al limone. Scartò anche quello e lo divorò con la stessa ferocia. L’aspro sapore di limone gli graffiò la gola come se avesse ingoiato una sorsata di puntine da disegno. Quel freddo bruciore risalì le guance, lacrimò agli angoli delle palpebre, e gli appannò la vista.

Francis perse il sorriso. La freddezza degli occhi di Gilbert e la rabbia scagliata dai suoi gesti gli strinse il cuore in un piccolo singhiozzo di timore. «Ehi, Gil, tutto bene? Guarda che scherzavo.»

Matthew si strinse le ginocchia al petto e si sporse dal bordo della sdraio. Anche lui rivolse a Gilbert uno sguardo silenzioso ma apprensivo.

Un ultimo schiaffo di mano dato alla palla da beach volley fischiò attraverso l’aria. La sfrecciata terminò con un tonfo sordo, con gli schizzi di sabbia esplosi dal piccolo cratere, e con il profilo di Alfred che si slanciò innalzando le braccia al cielo. «Ultimo punto!»

«Trenta raggiunti!» Mathias tambureggiò i pugni sul petto e scagliò un ruggito di vittoria. «Vincono i nordiciii!» Raccolse Tino da terra, se lo caricò sulla spalla, e gli fece fare il giro del campo, esultando assieme. «Vi-chin-ghi! Vi-chin-ghi! Vi-chin-ghi!»

Arthur tracciò con l’indice l’ultima stanghetta sotto il nome della squadra, e spianò la tabella dalla sabbia, cancellandone le tracce. «Fine partita» annunciò. «Vince la squadra di Alfred.»

Mathias arrestò la corsa, si strinse la mano sul fianco – la mano libera che non reggeva Tino sulla spalla – e s’impuntò in una posa da galletto. «È la Squadra di Mathias, prego. È la Squadra Nordica!»

Alfred s’indicò il petto. «Con acquisizione americana» ripeté.

A fondocampo, anche Leon alzò la mano e aggiunse per l’ennesima volta: «E asiatica.»

Dall’altra parte del campo, oltre la rete, Lovino riprese fiato a rauche boccate, si asciugò la fronte madida di sudore, e fece schioccare la lingua. «Colpa della luce» si giustificò. «Avevamo il sole contro.»

Kiku chinò lo sguardo e si strofinò la nuca. «Spero non sia stata colpa del mio ultimo passaggio.»

Feliciano volò con un balzo a battere pacche di consolazione sulla spalla di Ludwig. «Ma ci siamo divertiti, vero?» Il suo sorrisone tenne viva la luce del sole, non permise alla sconfitta di ombreggiarne il calore. «È stata una bella partita.»

Lovino sbuffò e annodò le braccia al petto. «Aspetta che ci procuriamo un pallone da calcio e poi vedrai che rivincita che ci prendiamo. Gli faremo il culo a strisce.»

«Lovi, non dire le parolacce.»

Tino balzò giù dalla spalla di Mathias e corse verso il loro ombrellone facendo sventolare il braccio sopra la testa. «Berwald, Lukas, abbiamo vinto! Ci avete visti, eh, ci avete visti? Siamo stati fortissimi!»

Berwald estrasse la crema solare dalla borsa che aveva appena sistemato, lo raggiunse, e si affrettò a spalmargliene un ciuffo sulle spalle che si stavano già arrossando.

Feliciano si asciugò la fronte come aveva fatto Lovino poco prima e sventolò la mano davanti al viso accaldato. «Ora però sono tutto sudato.» Il sole gli batté fra le ciocche castane, fece splendere le ciglia raccogliendosi in sfumature d’ambra fra le iridi, e brillò attraverso le goccioline di sudore rotolate sulle guance rosee. «Avrei una gola matta di farmi un bagno.»

Ludwig richiuse la bottiglietta d’acqua da cui aveva appena preso un sorso e gli scoccò uno sguardo di rimprovero. «Non andare subito in acqua, o ti verrà un colpo. Almeno asciugati il sudore.»

«Oh, e se mi porti a cavalluccio tu? Così non tocco l’acqua.» Feliciano giunse le mani in preghiera e gli rimbalzò davanti. «Dai, dai, ti prego, ti prego, ti preeego

Anche Kiku rivolse al mare un’occhiata restia, immaginandosi la scena. «Forse non è prudente, potreste cadere sugli scogli.»

«Ludwig non mi lascerebbe mai cadere.»

Antonio sollevò una mano sventolante. «Anche io porto Lovi a cavalluccio.»

Alfred corse verso la fontana, ma anche i suoi occhi si lasciarono catturare dallo splendore del sole, dal chiarore dei suoi raggi che si sbriciolavano sulla superficie calma e piatta color turchese. «Se andate in acqua vengo anch’io!» Aprì il getto della fontana, si diede una sciacquata ai piedi incrostati di sabbia, e si passò una mano fra i capelli sudati. «Phew, però prima devo bere. Mi è venuta una sete atroce.» Si attaccò al sifone e ingollò avide boccate. Un rivolo trasparente gli scivolò all’angolo delle labbra e gocciolò dal mento.

Arthur trasalì e si rialzò dal telo da mare. «Alfred» gli sbraitò contro. «Non bere direttamente dalla fontana!»

«Mhf?» Alfred sollevò la testa dal getto, «Cosha?», e sbrodolò un sorso d’acqua.

Arthur fece roteare lo sguardo, pescò una bottiglietta d’acqua dal ghiaccio del frigo portatile, e gliela portò. «L’acqua, scemo.» Svitò il tappo di plastica. «Non berla direttamente dalla fontana. Hai idea di quanta gente ci ha messo la bocca sopra? Poi ti viene l’epatite.»

«Non mi viene l’epatite.»

Un altro sospiro da parte di Arthur. «Su.» Gli passò la bottiglietta già stappata. «E bevi piano, ché è ghiacciata.»

Alfred gettò il capo all’indietro, tracannò due sorsate, staccò la bottiglietta dalle labbra con uno schiocco, e la ridiede ad Arthur. «Me ne versi un po’ sulle mani? Così mi sciacquo la faccia.» Mise le mani a coppa e lasciò che Arthur gliene rovesciasse un po’ fra le dita. Si strofinò la fronte, le palpebre sotto gli occhiali, e ne chiese ancora. Aspettò che i palmi giunti a coppa si riempissero e spruzzò uno schizzo in faccia ad Arthur.

«Gha! Alfred!»

Alfred scoppiò a ridere e scappò verso il mare.

Arthur si diede una strofinata alla faccia, tenne il braccio accostato al viso e vi nascose dietro un piccolo ghigno di sfida. «Se ti prendo...» Gli corse dietro fino al bagnasciuga. «Torna qui, maledetto!»

Alfred lo prese fra le braccia per evitare che finisse con le gambe in mare dove non si toccava, gli sbaciucchiò il collo, e continuò a ridere anche quando Arthur prese a tempestargli le spalle di pugnetti vendicativi.

Accucciato nel suo angolino di ombra e solitudine, Gilbert strinse le braccia attorno alle gambe raccolte al petto, stritolò lo stecco del ghiacciolo fra le dita appiccicose di sciroppo sciolto, e soppresse in fondo allo stomaco un gorgoglio di rabbia e invidia. Rosicchiò quel che rimaneva del ghiacciolo e spostò lo sguardo altrove.

Feliciano strinse le gambe che aveva appena allacciato attorno al torso di Ludwig, si aggrappò alle sue spalle e distese un braccio verso il mare, «Vai, Ludwig! Verso il mare!», come un condottiero che brandisce la sua spada verso la landa conquistata.

Kiku zampettò loro dietro. «Ludwig-san, forse non è prudente correre, la sabbia è troppo cedevole.»

Gilbert grugnì di nuovo e distaccò lo sguardo dal mare, girandosi verso gli altri ombrelloni.

Mathias si massaggiò le spalle, si strofinò le mani arrossate dopo tutte le schiacciate e le battute scagliate sulla palla, e si passò l’asciugamano sul viso sudato. Abbassò il panno e strizzò l’occhiolino a Lukas. «Lukie, ti porto anch’io a cavalluccio?»

«Scordatelo.» Lukas sfogliò un’altra pagina del libro e accavallò le gambe.

Mathias si accovacciò accanto alla sua sdraio, gli avvolse i fianchi fra le braccia, e lasciò riposare il capo sul suo grembo. Abbassò le palpebre, l’espressione serena come se si fosse assopito, e gli strofinò una serie di carezze lungo la schiena. «O mi vuoi portare tu a cavalluccio?»

Lukas fece roteare lo sguardo. Si sfilò gli occhiali da sole dalla fronte e glieli fece indossare. «Mettiti questi.» Gli passò anche lui una morbida carezza fra le ciocche bionde e gli diede un colpetto alla fronte. «Con tutto questo sole va a finire che ti bruci gli occhi.»

Tino aspettò che Berwald finisse di spalmargli la crema solare sulla schiena, lo prese per mano e lo tirò verso il mare. «Andiamo anche noi a fare il bagno! Oh, aspetta, aspetta...» Diede una frenata affondando i piedi nella sabbia, estrasse il cellulare dalla tasca dei pantaloncini e si mise a digitare. «Avverto anche Ed e gli altri così ci raggiungono.»

Berwald spremette un altro ciuffo di crema solare dal tubetto e glielo spalmò sul viso, attorno alla radice del naso e sugli zigomi, dove il candore della pelle si stava già abbrustolendo come sulle spalle.

Tino ridacchiò continuando a digitare il messaggio. «Mi fai il solletico.»

Emil annodò le braccia al petto, immusonì un’espressione scura e scocciata, e guardò altrove. «Chiama anche gli altri» commentò. «Grandioso. Ora la spiaggia si riempirà di gente e sarà un casino fino a stasera.»

Leon s’infilò le mani nelle tasche dei pantaloncini. Diede un piccolo calcetto alla sabbia, gli si approcciò con tono vago e indifferente. «Ehi, ti va di venire in camera nostra? Yao ha portato il kit per i tatuaggi all’henné, possiamo farcene un paio. Tanto per starcene in pace se adesso arrivano anche gli altri a occupare la spiaggia.»

«Uhm.» Emil fece spallucce. «Come vuoi.» Lo seguì verso la stradina di pietra che conduceva alla via per l’ostello e lanciò un fischio agli altri. «Ehi, io vado in camera con Leon! Ci vediamo a cena.»

Mathias sventolò un saluto senza sollevare il capo dal grembo di Lukas, senza sottrarsi al soffice tocco delle sue dita fra i capelli. «Non scopate troppo! Ci hanno appena messo le lenzuola pulite, facciamole durare almeno fino a metà settimana.»

Emil divenne paonazzo. «Mathias!»

Leon lasciò che quella battuta rimbalzasse contro la sua aura di indifferenza. Prese Emil per mano, raccolse uno dei pugni che pulsavano di rabbia e vergogna, e lo guidò attraverso il vialetto. Sparirono assieme dietro le file di ombrelloni.

Antonio riemerse dalla superficie del mare e infranse un’onda che gli schiumò contro la schiena. Gettò il capo all’indietro, spruzzò una fontanella d’acqua, e intrecciò le dita alle ciocche bagnate, scostandosele da davanti gli occhi. Agitò il braccio verso Francis. «Venite anche voi a fare il bagno?» Si diede una spinta all’indietro e tornò a tuffarsi in acqua, spalancando una doppia ala di schizzi turchesi. «L’acqua è fantastica!»

Francis ricambiò lo sventolio di mano. «Arriviamo.» Si rialzò dal telo da mare e si chinò a porgere il palmo a Matthew. «Mi concede l’onore di un bagno?»

Matthew arrossì e accettò la mano. «Volentieri.»

Francis lanciò un’occhiata anche a Gilbert. «Ehi, Gilbert, vieni anche tu a...» Lo trovò ancora rinchiuso nella sua scura bolla di silenzio e malumore che nemmeno i raggi del sole pomeridiano riuscivano a sciogliere e scaldare. Inarcò un sopracciglio. «Si può sapere che ti prende?»

Gilbert non lo degnò nemmeno di un’occhiata di striscio. Lasciò cadere lo stecco spolpato fino all’osso, pescò un altro ghiacciolo al limone, addentò solo un morso, e fece sciogliere il boccone fra i denti, abbandonandosi alla sensazione fredda, aspra e bruciante che gli stava rodendo sia la bocca che l’anima.

Nella sua testa turbinarono le parole che Francis e Antonio gli avevano rivolto solo poche ore prima, rimbombarono come una serie di mazzate sul cranio, dandogli la nausea.

“Come ci si sente a sapere che tuo fratello minore ha perso la verginità prima di te?”

“Non si può arrivare alla fine delle superiori ed essere ancora vergini, è tipo la sacra morale di American Pie!”

“Lo sai che è scientificamente provato che quelli che finiscono la scuola da vergini rimangono soli a vita?”

Soli a vita...

Il ghiacciolo al limone si sciolse fra le sue dita. Il succo s’infoiò fra le falangi contratte, appiccicandosi a lui come quelle frasi che non riusciva a scollarsi di dosso.

Il ricordo delle parole di Elizaveta invece arrivò secco, freddo e aspro come il boccone di ghiacciolo che aveva appena masticato. “Non siamo consorti, non c’è nessun patto, non c’è nessuna alleanza, e non c’è nessun obbligo.” L’immagine della sua figura che si voltava tenendo le buste della spesa fu più dura del pugno che gli aveva sganciato sulla guancia e che ancora pulsava attraverso il gonfiore della pelle. “Per una volta non si tratta di te e di quello che vuoi tu, ma di quello che voglio io. È questo che Roderich ha di diverso rispetto a te. Lui non ha paura di crescere, di affrontare le sue responsabilità e tutto quello che comportano.”

Gilbert strinse i denti e soppresse un guaito di frustrazione, soggiogato dal pensiero di aver perso i suoi migliori amici e di essere stato scaricato per ben due volte in un solo pomeriggio.

Chinò la fronte contro le ginocchia, rabbrividì, scosso da uno spasmo, e le prime amare lacrime di rabbia gocciolarono dagli occhi strizzati, bruciando come il resto del ghiacciolo che stava continuando a sciogliersi fra le sue dita.

Una scossa di allarme punse Francis lungo la nuca, gli fece sbatacchiare gli occhi in un’espressione di stupore. «Gilbert?»

Matthew si sporse a guardare, altrettanto preoccupato, e rivolse un sussurro a Francis. «Sta bene?» domandò. «Gli è successo qualcosa?»

Gilbert si strofinò il braccio contro gli occhi, scivolò all’indietro per nascondersi all’ombra, e tornò a cadere con la fronte sulle ginocchia, a far stridere i singhiozzi fra i denti e a tremolare lungo la schiena ricurva.

Matthew finì trafitto da una frecciata di dolore e compassione. Compì un passo indietro per lasciare da soli Gilbert e Francis. «Ehm, io vado...» Raccolse la borsa di tela, si mise la tracolla alla spalla, e indicò il viottolo di pietre che conduceva all’ostello. «Vado a prendere altri ghiaccioli. Voi...» Si avviò e rivolse a Francis un dolce sorriso d’intesa. «Voi fate con calma.»

Francis annuì, aspettò che il profilo di Matthew scomparisse fra i tralicci degli ombrelloni e tornò su Gilbert.

Stava ancora frignando. Il ghiacciolo al limone continuava a colargli fra le dita e il succo aveva aperto una chiazza scura sul telo da mare.

Francis si prese la fronte, sospirò a fondo, e lasciò che un debole sorriso di compassione gli toccasse le labbra. «Aah, Gilbert.» Raccolse la felpa di cotone leggero che aveva indossato durante il viaggio in treno e che si era portato in spiaggia per ripararsi dalle raffiche di vento. Si mise seduto affianco a Gilbert, gli stese la felpa sopra la testa china in modo che nessuno si accorgesse che stava piangendo guardando o dal mare o dagli altri ombrelloni, e gli batté soffici pacche sulla schiena.

Consolato da quel gesto di solidarietà, Gilbert finì di piangere all’interno della sua bolla di solitudine, fredda e aspra proprio come l’indigesto ghiacciolo al limone che gli era rimasto sullo stomaco.

 

 

Gilbert si strofinò il viso imbronciato, ancora scuro e stropicciato di rabbia dopo aver tenuto il muso per tutta la notte, dopo non aver rivolto nemmeno uno sguardo a Roderich ed Elizaveta, e dopo non essere nemmeno uscito a cena con gli altri la sera prima, nonostante avessero prenotato i tavoli alla pizzeria che lui aveva adorato tre estati prima. Rimboccò il cuscino sotto la guancia, rannicchiò le ginocchia strusciando i piedi nudi sul copriletto, e sfiorò lo schermo del telefono tenuto in orizzontale, alzando il volume del video.

Missy entrò nell’inquadratura, le spalle strette in una posa impacciata e lo sguardo distante. «Ciao, Andrew.»

Andrew si affrettò a scendere dalla sedia con un balzo. «Ciao, Missy.» Non le diede tempo di continuare, sollevò l’indice per richiamare la conversazione precedente. «Ehm, ascolta, riguardo quello che ho detto nella cabina delle fototessere, facciamo finta che non sia successo.»

«Oh, ma è successo. Dobbiamo affrontarlo.» Missy trovò la forza di posare gli occhi nocciola su di lui. «Andrew, tu sei come lo zucchero per me.» Accennò un sorrisetto. «Mi piaci, ma ogni volta che sto con te perdo il controllo, e – odio doverlo dire – ma finisco per pentirmene.»

«Ma Missy...»

Gilbert, attraverso quelle parole di giustificazione e quello sguardo di rifiuto, percepì l’eco del dolore che aveva subito lui stesso solo il giorno prima e per ben due volte di seguito. Pescò dal pavimento la bottiglia di Corona già stappata e tracannò una sorsata di consolazione. Lasciò che la dolce e calda nuvoletta di alcol gli riempisse la testa, che appannasse i ricordi, e che lo isolasse da quel dolore che voleva solo dimenticare.

Nello schermo del telefono, Missy distolse di nuovo lo sguardo da Andrew. «I miei genitori hanno ragione. Dobbiamo lasciarci.» Aggravò il tono. «Sul serio, questa volta.»

Maurice comparve nell’inquadratura e si prese la testa fra le zampe, strizzando gli artigli nella zazzera di pelliccia. «No, non dirlo, possiamo sistemare tutto.» Si rivolse a Connie, giunse le zampe in preghiera, e i suoi occhi luccicarono, imploranti. «Connie, ti prego.»

Connie non poté fare altro che dargli la schiena tenendo la zampa sul fianco inarcato. «L’ho persa, amore, almeno per i prossimi anni.» Si abbandonò a un’espressione amareggiata tanto quanto la sua. «È arrivata a tutta velocità ma si è bruciata in fretta.»

Gilbert strizzò la mano libera sul cuscino, soppresse un gorgoglio nell’imbottitura. «Quante scuse del cazzo» brontolò. Tracannò un altro sorso di birra e rivolse il collo della bottiglia allo schermo, come sperando che i personaggi lo sentissero. «Dille di continuare a stare assieme al ragazzino e piantatela lì, no?» Tornò ad accucciarsi contro il cuscino. Le gambe rannicchiate nel suo bozzolo di solitudine da cui non avrebbe più voluto uscire. «A te darebbe retta, dannazione.»

Due colpi alla porta della camera lo fecero sobbalzare, «Gilbert!», accompagnati dalla voce allarmata di Francis.

Gilbert mise in pausa il video, e rivolse lo sguardo alla porta, senza però rispondere o sollevare la guancia dal tepore consolatorio del cuscino.

Altri colpi ovattati picchiettarono sull’anta. «Gilbert, sei in camera? Dai, apri la porta.»

La voce di Francis scivolò attraverso la pelle di Gilbert come una scossa elettrica, fece esplodere la tiepida bolla di intontimento gonfiata dalle sorsate di birra, e gli scaricò una frustata di rabbia dietro la nuca. Pensare che tutto era nato solo dalla stupida scommessa sollevata da quei due... «Vattene.» Gilbert risucchiò un altro sorso di birra e fece per far ripartire il video.

Un’altra bussata più insistente picchiò sulla porta e frenò il suo pollice a una piuma dallo schermo. «Gilbert!» Era Antonio. La sua voce più alta e spaventata scavalcò quella di Francis. «Gilbert, Francis mi ha detto che ieri ti sei messo a piangere! Apri la porta e non fare niente di avventato, ti scongiuro!»

Un violento bruciore di vergogna fumò dalle orecchie di Gilbert. «Non ho pianto!» Tuffò il viso nel cuscino, nel profumo della crema solare che si era spalmato il giorno prima e che era rimasto sulla stoffa, e ne strizzò l’imbottitura. «Andate fuori dalle palle e lasciatemi in pace!»

«Gilbert, dai» disse ancora Antonio. «Ci dispiace per quello che abbiamo detto ieri! Giuro che era solo uno scherzo, non è vero che ti prenderemo in giro a vita. Non tenerci il muso, ti prego, possiamo parlarne!»

Gilbert tirò su la faccia e gli sbraitò contro. «Andate a farvi fottere!» Sollevò il mento e spinse il petto all’infuori, sforzandosi di fare il solito pomposo, anche se non potevano vederlo. «Guardate che non me la sono presa per niente, voglio solo starmene per i fatti miei.»

«Gilbert...»

Gilbert si rotolò sull’altro fianco, diede la schiena alla porta, e spinse il pollice sull’insegna Play stampata sul viso di Andrew.

«Missy» disse lui, «andiamo, non... non devo essere lo zucchero.» Socchiuse le palpebre, ammiccante. «Posso essere l’uvetta.»

«Ooh, Andrew.» Missy gli si avvicinò, compassionevole. «L’uvetta è piena zeppa di zucchero naturale.» Il suo sorriso cadde e lei scosse la testa. «Mi dispiace. Non si può evitare. Sei troppo dolce per me.» Strappò a metà il nastro stampato dalla cabina e diede due delle fototessere ad Andrew come regalo d’addio. Poi se ne andò.

Gilbert si aggrappò di nuovo al cuscino per non sentirsi sprofondare nel suo oscuro abisso di disperazione. Lo strap! della carta da fototessera rimbombò nel suo petto, simile a quello emesso dalla sua anima nel momento in cui Elizaveta gli aveva confessato di essersi messa assieme a Roderich. Lo strap! delle loro vite che si separavano, dei loro ricordi che venivano cancellati, delle immagini di tutti gli anni trascorsi assieme che si sarebbero lentamente affievolite, come fotografie lasciate ingiallire in un album.

Davanti al video che proseguiva, l’ondata di tristezza e sconforto tornò a inondarlo, a schiacciarlo sotto la sua massa pesante e ghiacciata. Non posso credere che dei tredicenni rimorchino più di me. Bevve ancora, risucchiando gli ultimi grappoli di schiuma dal fondo della bottiglia.

L’inquadratura si allargò dal viso in lacrime di Andrew al profilo di Maurice che teneva la zampa avvolta attorno alle spalle del suo protetto. Lo sguardo di accusa rivolto a Connie. «Con tutto il rispetto, Connie, questa ragazza è una stronzetta del cazzo. E io e il ragazzo ci suicideremo, stasera.»

Connie tenne la zampa sul fianco, «Sì, lo capisco», sempre dandogli le spalle. «Fa’ quel che vuoi, Maury.» Levò i palmi al cielo con fare impotente. «Fa’ quel che vuoi.»

Passi affrettati attraversarono la veranda, al di là della doppia porta vetrata che Gilbert aveva tappato con le tende. La porta scorrevole si aprì con un rullio, due braccia scostarono le tende, e il viso ammiccante di Francis sbucò fra i lembi di stoffa che reggeva fra le mani. «Bonjour

Antonio gli sbucò affianco, si aggrappò alla spalla di Francis e sollevò gli occhi verso il soffitto della camera da letto. «Ooh» esclamò. «Ma voi avete anche il ventilatore. Nella nostra non c’è.»

Gilbert scattò a sedere, rimbalzando sul materasso, e abbandonò il cellulare sul cuscino. «Che dia...» Rimase a bocca aperta. Le palpebre socchiuse in un’espressione perplessa. «Come siete entrati?»

Francis valicò la soglia fra la veranda e la camera e indicò alle sue spalle. «Avete lasciato la porta della veranda aperta. Dovreste stare più attenti, potrebbero anche girare malintenzionati.»

Antonio lo superò e si mise in punta di piedi per scavalcare una delle bottiglie vuote di Corona che giacevano sul pavimento, rovesciate sul fianco. «Ti sei scolato tutte le birre!» Si chinò a raccoglierne due e le sventolò verso Gilbert. «Queste dovevamo farcele bastare per tutta la vacanza» frignò. «Dovevamo berle assieme!»

Gilbert strinse un pugno sul ginocchio e soffiò uno sbuffo scocciato e indisponente. «Be’, abituatevi all’idea di organizzare i vostri piani senza di me, da ora in poi.» Riprese il cellulare, si tuffò con la faccia nel cuscino, e rotolò sull’altro fianco, dando le spalle a entrambi.

Francis e Antonio incrociarono uno sguardo sconsolato.

Francis sospirò, lasciando che la sua espressione si velasse di un’amara colpevolezza, e si passò una mano fra i capelli. Andò a sedersi sull’orlo del letto, fece rimbalzare il materasso, e le sue mani scivolarono sulla trapunta, senza però sfiorare Gilbert. «Gli altri sono già in spiaggia a preparare i falò. Hanno pensato di fare una gara a gruppi a chi lo farà più grande e a chi preparerà la cena migliore, quindi ci servono adulti per monitorare la situazione e assicurarci che nessuno finisca carbonizzato.» Chinò il capo per raggiungere lo sguardo di Gilbert, gli rivolse uno di quei sorrisini accattivanti di cui solo lui era capace. «Vieni a darci una mano?»

Gilbert non distolse gli occhi dallo schermo del telefono – le luci del cartone animato si specchiarono sulle sue guance e sulla sua fronte corrugata – e si tenne abbracciato al cuscino. «Io passo.» Sventolò una mano, come a scacciare due insetti fastidiosi. «Arrangiatevi da soli.»

Antonio strabuzzò lo sguardo, incredulo. «Cosa?» Raggiunse anche lui il letto e si tuffò a pancia ingiù, le gambe piegate e i gomiti incrociati, facendo traballare il materasso. «Non vieni al falò?» Si trascinò più vicino a Gilbert. «Ma se è da tutto l’anno che non aspettiamo altro.»

«Ho detto che non vengo.» Gilbert affogò il grugno nel cuscino. «Me ne starò qua in camera. In pace. Con l’unica persona che a quanto pare gradisce la mia presenza.» Si posò la mano sul petto. «Me stesso.»

Francis buttò un’occhiata sul cellulare messo in orizzontale e sorretto dalla mano di Gilbert. La scena era cambiata. Andrew e Maurice si tenevano abbracciati e frignavano standosene rannicchiati sul letto del ragazzo, «Sapevo che sarebbe finita male», «Lo sapevi?», «Certo, sei un cazzo d’imbranato!», circondati da fazzoletti appallottolati che per una volta erano fradici di lacrime invece che di qualcos’altro.

Francis inarcò un sopracciglio. «E cosa intenderesti fare?» Indicò lo schermo con un cenno del mento. «Startene tutta la sera a guardare Big Mouth

«Anche per tutto il resto della vacanza.»

Francis sospirò, sconfortato, e rivolse di nuovo lo sguardo ad Antonio, in cerca di supporto. Antonio sollevò le sopracciglia in un cenno d’intesa e flesse il capo indicando più volte Gilbert.

Francis annuì, afferrando al volo, e scivolò a sedere più vicino a Gilbert. Si rivolse a lui armandosi di un’aria paterna. «Roderich ed Eliza ci hanno detto quello che è successo.»

Gilbert sbarrò le palpebre, le sbatté un paio di volte, colto da una scossetta di piacevole stupore, e fece volare lo sguardo su Francis. Inarcò un sopracciglio, ancora scettico, ancora diffidente.

Francis incrociò le braccia al petto e alzò gli occhi al soffitto. «Se la sono presa con noi e hanno detto che è colpa nostra se ti sono venute in mente strane idee riguardo loro due e il vostro rapporto.»

Antonio annuì, fece dondolare le gambe piegate. «E che è colpa nostra se hai accettato la scommessa di andare a letto con qualcuno entro la fine della vacanza. Ma guarda che noi scherzavamo, Gil!» Gli diede un colpetto alla spalla e ridacchiò. «Non ti prenderemmo mai in giro a vita per una cosa del genere. Mica siamo così bastardi.»

Francis ammiccò. «Lo faremmo solo per un paio di anni.»

Gilbert arricciò un angolo della bocca, tenne nascosto quel lieve tepore di sollievo che gli spolverò le guance di rosa. Roddie e Liz se la sono davvero presa con loro? Allora è un po’ come se mi avessero difeso. Lasciò di nuovo cadere il capo sul cuscino, schiacciato da una botta di sconforto. Ma questo non vuole comunque dire che tutto tornerà come prima. «Ma è comunque colpa vostra se si è sollevato tutto questo casino!» Rimbalzò a sedere, il cellulare scivolò sul copriletto e cadde dimenticato. «Perché dovrei continuare a starmene con voi fingendo che non sia successo niente? Tanto fra qualche settimana vi sarete tutti sbarazzati di me e allora non avrà più senso rimanere amici, no? Quindi tanto vale farla finita qui in ogni senso, sia fra me e loro due e sia fra noi tre.»

Francis scosse il capo, si strinse la fronte fra le dita e si massaggiò le tempie. «Mon Dieu» sospirò. «Mi sembri Arthur.»

Antonio se la rise di gusto e gli diede un’altra spintarella sulla spalla. «Dai, Gil, non posso credere che tu te la sia presa tanto per una stupida scommessa. Guarda che noi ti vogliamo bene lo stesso, anche se non vogliamo venire a letto con te.»

«Questo non cambia il fatto che sono incazzato!»

«Allora dovresti focalizzare meglio il tuo dolore per poterlo sradicare definitivamente.» Francis accavallò le gambe, si pettinò una ciocca dietro l’orecchio, e fece dondolare il piede. «Cosa ti ha fatto più male in tutto questo? L’essere scaricato, o il fatto che loro due ti abbiano scaricato?»

Gilbert rivolse lo sguardo al ventilatore, accigliandosi. «Cos’ha fatto più male?» La guancia sinistra, ancora rossa e gonfia dopo il pugno che Elizaveta gli aveva stampato sul muso davanti alla gelateria, pulsò di dolore. Gilbert si diede una strofinata al viso e rabbrividì. «Il cazzotto di Liz, direi.»

Anche Antonio si posò una mano sulla guancia, scosso da un tremore elettrico simile a una frustata sulla pelle. «Uuh, Liz ti ha sganciato un pugno?»

«Già.» Gilbert annodò le braccia al petto, si strinse nelle spalle, e si morse il labbro, ingoiando un altro acido fiotto di rabbia. «Non è giusto, merda. Perché diavolo è dovuta finire proprio in questo modo? E non solo il fatto di essere stato scaricato e tutto, ma anche...» Spalancò un braccio verso la porta finestra. «Anche il fatto che quei due si siano messi assieme. Traditori.» Schiacciò il pugno sul ginocchio, bruciò di rabbia e invidia. Il suo sguardo ridivenne nero come pece. «Stavamo così bene noi tre assieme, e loro hanno rovinato tutto.»

Francis sospirò. «Esattamente, cosa ti aspettavi quando hai deciso di andare da loro a chiedergli di venire a letto con te?»

«Che almeno uno dei due avrebbe accettato. È solo...» Gilbert si strinse nelle spalle e volse i palmi al soffitto, ancora incredulo davanti a quel doppio rifiuto. «Sarebbe stato solo sesso, dannazione, e fra di noi non sarebbe comunque cambiato nulla.»

«E credi davvero che sarebbe stato facile andare fino in fondo e poi comportarsi come se non fosse successo nulla?»

«Ovvio! Se persino uno come Ludwig ha fatto centro al primo colpo, allora perché io non...»

Antonio si spinse sui gomiti e gli si piazzò col viso davanti. «Non puoi paragonarti a tuo fratello e alla sua storia con Feliciano» esclamò. «Nessuno potrebbe mai pretendere di paragonarsi a quei due.»

Gilbert tirò la faccia all’indietro. «E perché no?»

Francis ridacchiò, intenerito, e fece di nuovo dondolare la gamba accavallata. «Perché Ludwig e Feliciano sono due scherzi della natura, Gilbert. Non è facile entrare in simbiosi con una persona, capire le sue necessità, rispettare i limiti, e allo stesso tempo continuare a piacersi nonostante tutti i difetti. Sono Feliciano e Ludwig che lo fanno sembrare semplice, ma la realtà fra persone normali è ben diversa.»

Antonio annuì e si posò la mano sul petto, sollevando una posa fiera. «Tranne per me e Lovino, ovvio.»

«Quello che stiamo cercando di dirti...» Francis fece scivolare i piedi sul materasso, si mise anche lui a gambe incrociate sul copriletto, sfiorando il ginocchio di Gilbert, e lo squadrò con un’espressione più seria, la stessa di quando imbastiva una delle sue paternali. «Trovare la persona giusta per la prima volta non è mai facile, Gilbert. È quasi impossibile. E probabilmente è a questo che Roderich ed Eliza hanno pensato quando ti hanno scaricato. Non volevano sprecare la loro prima volta per una stupida scommessa, tantomeno con qualcuno che la prende così alla leggera come te.»

Antonio fece roteare lo sguardo. «E chi mai lo vorrebbe?»

Gilbert si massaggiò la fronte che ancora pulsava per tutta la tensione che lo aveva stritolato e preso a cazzotti il giorno prima, si diede una strofinata ai capelli e sospirò a fondo. «Che gran casino.» Si lasciò ricadere sul letto, la nuca spremuta sul cuscino, lo sguardo rivolto al ventilatore fermo, e le braccia spalancate. «Forse...» Strinse le dita sulla trapunta e girò la guancia, borbottando. «Forse c’è solo una cosa positiva in tutto questo macello.»

Francis e Antonio incrociarono un’occhiata scettica, tornarono su Gilbert. «E quale?» domandarono in coro.

«Che effettivamente...» Gilbert si rotolò su un fianco, abbracciò l’imbottitura del cuscino, e fece spallucce. «Non avrei saputo scegliere fra i due. Entrambi...» Corrugò un sopracciglio, pensando a come esprimere a parole il gomitolo di emozioni appallottolato in fondo al petto. «È strano, non so nemmeno io come buttarla, ma...» Distese le mani, i palmi rivolti verso l’alto, e ne bilanciò il peso, come a soppesare le due scelte. «Entrambi mi danno qualcosa che l’altro non mi dà e di cui allo stesso tempo non riesco a fare a meno.»

Francis si massaggiò il mento. «Affascinante.» Gli occhi luccicanti e trasportati dal discorso.

Antonio si dovette coprire la bocca per soffocare una risata di scherno. «Certo che essere scaricato due volte in una giornata sola è davvero...» Una scossa d’illuminazione gli folgorò il cervello, gli fece schioccare le dita. «Oh, Gilbert, ho trovato!»

«Eh?» Gilbert sollevò la tempia dal letto e lo squadrò con un’occhiata sbieca. «Cos’hai trovato?»

Antonio gli rivolse entrambi gli indici e sollevò i pollici, mimando un doppio colpo di pistola. «Sai com’è che si dice in italiano quando uno viene scaricato? Si dice: “Gli hanno dato un due di picche”. Me l’ha spiegato Lovino.»

«E allora?»

«Be’, dato che tu ne hai ricevuti due, è come se avessi preso un quattro, no?» Impennò quattro dita e gli sventolò la mano davanti al naso. «Un quattro di picche!»

Gilbert finì risucchiato in un baratro oscuro che gli fece diventare il viso ancora più buio e gli occhi ancora più freddi. Forzò un ghigno sbilenco, ridacchiò contro il cuscino. «Esilarante.»

«Vero, no?»

«Tanto non m’importa già più.» Gilbert mollò il cuscino, tornò a rotolare sulla schiena, accavallò le gambe, e intrecciò le mani dietro la nuca. Fece dondolare il piede mostrando un’aria indifferente. «Dovreste conoscermi, no? Io alla fine sto bene da solo, non ho bisogno di nessuna relazione e non ho bisogno di nessuno che mi completi.» Si batté la mano sul petto e mantenne quel sorriso tirato ma ancora un po’ tremolante. «Io faccio già per quattro. Si è solo trattato di perdere una stupida scommessa e ormai mi è già passata.»

Francis sollevò un sopracciglio, tastò il fine ma pungente odore di bugia, e accostò le nocche alla guancia per flettere il capo di lato e squadrare Gilbert con occhi inquisitori. «E con loro due come farai?»

«Pft, cosa vuoi che faccia?» Gilbert sventolò le mani come a dissolvere una nuvoletta di fumo. «Se vogliono starsene da soli a fare pucci-pucci per il resto della loro vita allora di certo non mi metterò a piangere. Peggio per loro, hanno perso l’occasione di cedersi a uno come me.» Tagliò l’aria con un gesto netto. «E un’occasione del genere non gli ricapiterà mai più nella vita.»

Anche Antonio ricambiò l’occhiata scettica di Francis, ma sorvolò. «E il falò?»

Gilbert fece schioccare la lingua e tirò su il mento per non far cadere il nuovo sorriso carico d’ottimismo. «Non lascerò di certo che sia questa stupida idiozia a rovinarmi la serata.» Saltò giù dal letto, diede una sistemata ai vestiti che si erano sgualciti dopo essere rimasto per mezza giornata sdraiato sul fianco, e guadagnò un profondo respiro per ricaricarsi l’animo. «Andiamo a costruire il più immenso e magnifico falò che si sia mai visto sulla faccia di questa spiaggia!» Tirò le tende, spalancò la porta finestra, e si lasciò inondare dai raggi del sole, dal venticello pomeridiano che profumava di polline, di erbe aromatiche, di mare, e della pizza che vendevano al di là della strada.

Gilbert tese una mano davanti alla fronte per ripararsi dai raggi. Il sole splendeva tondo e bianco, appeso sulla cima di un cielo terso in cui avrebbe potuto annegare. Non riuscì comunque a rallegrarsi, nonostante quella splendida giornata d’estate si sarebbe trasformata in una notte altrettanto meravigliosa, senza nuvole, e carica di sciami di stelle che si sarebbero specchiati fra le calme acque del mare come una gettata di diamanti. Dentro di lui persisteva quel bozzolo di buio, incastrato nel petto come un boccone andato di traverso, che gli impediva di sorridere come avrebbe voluto, di essere felice quanto avrebbe desiderato, e di fremere di impazienza ed eccitazione per la serata che li attendeva.

Abbassò le palpebre, e le uniche immagini che gli passarono attraverso la mente furono quelle di Roderich ed Elizaveta da soli, mano nella mano, con espressioni serene appagate e gli occhi che si guardavano con trasporto. Con l’arrivo dell’autunno avrebbero trascorso le loro giornate senza di lui, a sbaciucchiarsi, a starsene accoccolati sotto le coperte davanti a un film, a passeggiare la sera lungo il vialetto dopo una cena al ristorante o dopo un gelato alla pasticceria, imboccandosi a vicenda con i cucchiaini di plastica. Si sarebbero dati appuntamento davanti al negozio di dischi – il loro solito punto d’incontro – ma Gilbert non sarebbe più stato assieme a loro. Avrebbero portato i tappetini nel parco e si sarebbero sdraiati sul prato, a guardare il cielo, a chiacchierare, a spennacchiare margherite, a contare le nuvole, e a lanciare sassolini nel laghetto. Avrebbero visitato assieme le fiere di stagione scambiandosi stupidi regalini, biglietti a forma di cuore, bracciali di stoffa, chincaglieria da bancarella che però a Elizaveta era sempre piaciuta e di cui aveva i portagioie zeppi. Tutte cose che avevano sempre fatto assieme, ma che ora sarebbero appartenute solo a loro due.

Roderich ed Elizaveta si sarebbero costruiti un futuro nuovo, un futuro di cui Gilbert non avrebbe più fatto parte. E non avrebbero sentito la sua mancanza.

 

 

Ludwig strinse le pinze da grigliata su uno degli hamburger che stavano rosolando sulla piastra da campeggio, lo ribaltò sull’altro lato, sollevando una vampata di fumo rovente e profumato di carne cotta, e diede un’aggiustata anche alla fila di wurstel striati di nero che gli stavano cuocendo affianco. Raccolse uno degli hamburger già pronti, quello prenotato da Alfred che lo voleva “tanto al sangue da sentirlo ancora muggire”, e glielo adagiò nel panino aperto e già spalmato di ketchup e maionese.

Alfred richiuse il panino – già il secondo della serata – e ringraziò Ludwig con un sorrisone. «Grazie!» Lasciò il posto a Matthew, anche lui in fila per la sua cena, passò in mezzo ai fumi spanti dalla postazione delle griglie e raggiunse Arthur che lo aspettava seduto sotto le luci oscillanti del loro falò, davanti alle pietre che avevano disposto attorno alle fiamme per contenere gli spruzzi delle scintille incandescenti.

Feliciano aprì la nuova busta di pagnotte da hamburger e passò i fagottini già tagliati a Ludwig. «Ecco, metti a cuocere anche il pane, così sarà croccante e non si infradicerà con il sugo di carne.»

Kiku passò in mezzo a loro reggendo il distributore di fazzoletti fra le mani e il rotolo di sacchetti di plastica sottobraccio. «Io mi occupo di distribuire i fazzoletti e i sacchi della spazzatura per raccogliere l’immondizia.»

Antonio impennò il suo bicchiere vuoto di Coca-Cola e lo sventolò sotto le luci del falò che splendevano attraverso il suo sorriso già euforico come se avesse tracannato un’intera caraffa di birra. «Ancora Coca, qui!» Diede un’altra agitata al bicchiere di carta e andò al tavolo delle bibite, affianco a Lovino che si stava servendo con la Pepsi. «Chi mi mescola un po’ di aranciata nella Coca?»

A Lovino andò la Pepsi di traverso. Fulminò Antonio con un’occhiataccia disgustata che avrebbe potuto incenerirlo. «Fai cagare.»

«Sono creativo!»

Lovino scosse il capo, prese un altro sorso di Pepsi e raggiunse il tavolo dei dolci dove avevano disposto le scodelle colorate che traboccavano di caramelle e cioccolatini. Pescò una manciata di M&M’s, si riempì la guancia come un cricetino, e tese l’orecchio verso la musica che avevano agganciato alle casse portatili. Le note di Riders on the Storm si diffondevano lente attraverso la spiaggia, sovrapponendosi in un flusso morbido simile a quello delle onde che schiumavano sul bagnasciuga sommerso dall’oscurità della notte. Lovino diede una masticata alle M&M’s e sbuffò. «Chi diavolo ha messo ‘sta musica?» Buttò giù i cioccolatini con una sorsata di Pepsi. «Siamo a un falò sulla spiaggia o a una rievocazione storica?»

Arthur, accoccolato fra le gambe di Alfred che si era seduto assieme a lui sul telo da spiaggia davanti al falò, annuì a malincuore. «Per una volta sono d’accordo.» Pescò una Cheetos dal suo bicchiere di carta ripieno di patatine, la sgranocchiò, si succhiò l’indice, e tese anche lui l’orecchio sopra il chiacchiericcio proveniente dagli altri gruppi, oltre lo scoppiettare della legna dei falò, lasciandosi catturare dalla musica spanta dalle loro casse. La canzone finì, la sostituì Paint it, black. Arthur aggrottò un sopracciglio. «Come diavolo si chiama questa playlist? “Viaggio in elicottero attraverso le paludi del Vietnam con il mio commilitone mutilato che parla di sua moglie di sua figlia prima di morire fra le mie braccia macchiate del sangue dei Vietcong”?»

Alfred rise, gli avvolse un braccio attorno ai fianchi reggendo il panino rosicchiato con la mano libera, e gli accostò alla guancia le labbra profumate di ketchup e maionese. «Quanto mi piace quando diventi biblico.»

«Non ero biblico» precisò Arthur. «Ero catastrofista.»

«Volevo citare South Park

Arthur gli diede un pizzicotto alla punta del naso, gli strinse la catenina a cui era appesa la targhetta militare, attirando Alfred a sé, e si accostò alla mano che reggeva il panino, all’invitante e solleticante profumo di carne grigliata. «Dammi un morso di hamburger.»

Alfred glielo portò davanti alle labbra. «Di’ “Aaah”.»

«Aaah.» Arthur addentò un morso e si leccò le labbra per raccogliere uno schizzo di ketchup e le briciole di pane tiepido che gli era scricchiolato fra i denti. Pescò una Cheetos dal suo bicchiere di carta e la accostò alle labbra di Alfred. «Patatina?»

«Yes, Sir.» Alfred la divorò, succhiò le dita di Arthur sporche di polvere di formaggio color arancio, e tornò a sbranare il suo panino, non ancora sazio.

Anche Paint it, black terminò. Le casse attaccarono San Francisco, di Scott McKenzie, e dal falò di Ivan e Yao si elevò l’esulto di Yong Soo. «Yee, musica da fricchettoni!»

Dal Falò Vichingo invece s’innalzò un’esclamazione contrariata di Mathias. «Levate ‘sta merda!»

Arthur pescò altre Cheetos dal bicchiere e si mise a sgranocchiarle tenendo la fronte aggrottata. «Okay, ora è davvero la playlist “Viaggio in elicottero attraverso le paludi del Vietnam con il mio commilitone mutilato che parla di sua moglie di sua figlia prima di morire fra le mie braccia macchiate del sangue dei Vietcong”.»

Matthew si avvicinò al falò reggendo il piattino su cui, in un letto di Doritos, era adagiato l’hot dog che si era appena fatto cuocere da Ludwig. Pescò una Doritos e ne rosicchiò la punta. Sorrise. «A me piace.» Lo sguardo rivolto alle casse da cui strimpellava la musica tutta chitarra e sonagli. «Sono canzoni dolci.»

Alfred si leccò le dita sporche di ketchup e di semi di sesamo e si batté la mano sul petto sporto all’infuori. «Se le cantassi io sono sicuro che ti piacerebbero di più!» Si schiarì la voce e attese il ritornello. «For those who cooome to Saaan Fraaanciscooo, summertime will be a love-in there...»

Arthur lasciò ciondolare il capo in avanti, abbandonandosi a un sospiro di disperazione. «Alfred, non cantare.»

Alfred strinse l’abbraccio attorno ad Arthur e spremette la guancia sulla sua. «In the streets of Saaan Fraaanciscooo, gentle people with flowers in their hair.»

Arthur gli spremette una mano sulla faccia per allontanarlo, ma anche lui dovette trattenersi dal ridere. «Piantala!»

La sagoma scura di Mathias si piantò davanti alle fiamme del Falò Vichingo. Mathias si strinse le mani sui fianchi, divaricò i piedi nella sabbia, e di nuovo la sua voce si elevò assieme alle scintille che gli scoppiettavano alle spalle. «Vi facciamo smettere noi!» Si girò verso gli altri e accostò la mano alla bocca per indirizzare la voce. «Ohi, Tino, passami il jack delle casse!»

La voce sconsolata di Lukas si perse come sabbia al vento. «Non mettere una schifezza delle tue.»

Mathias accostò il jack al cellulare e fece uno sbuffo, indicando il terzo falò che bruciava sulla spiaggia. «Mi sbrigo prima che il gruppo dei comunisti laggiù si metta a sparare musica cosacca o musica di propaganda, che ne so. Altrimenti rischiamo di ritrovarci con la spiaggia invasa dall’Armata Rossa che fa sfilare la bara di Lenin in mezzo agli ombrelloni.»

Ivan si voltò da sotto le luci del loro fuoco, catturato da quel commento, e gli rivolse uno sguardo incuriosito. «Vuoi davvero ascoltare musica cosacca?»

Yao scosse il capo, gli avvolse il braccio per farlo girare, e bevve dal suo bicchiere di carta. «Ivan, lasciali perdere.»

Yong Soo saltò davanti al loro falò, e la sabbia schizzata da sotto i suoi piedi bruciacchiò fra le fiamme. «Facciamo una gara a chi spara la musica a volume più alto!»

Yao lo fulminò di traverso. «Scordatelo!»

Mei giunse le mani e trasse un sospiro di meraviglia che le fece brillare gli occhi sfumati dall’ombretto rosa. «E magari la musica diventa così alta da spegnere i falò degli altri!»

Accanto al tavolo su cui avevano disposto ciotole e vassoi, Natalia ghignò, smangiucchiò una forchettata di insalata di riso freddo, e rigirò i pezzetti di peperoni per metterli in disparte. «Gli Hunger Games dei falò. Incantevole, davvero.» Stritolò le dita attorno al manico della forchetta. La luce del fuoco luccicò sulle sue guance, attraverso il sorriso aguzzo, e fra le palpebre, donandole un aspetto demoniaco. «Quelli che perdono li gettiamo fra le fiamme dei vincitori.»

Katyusha finì di distribuire i tramezzini di gamberetti e salsa rosa, scosse il capo con un sospiro, e raccolse la bottiglia di Coca-Cola per versarla a Eduard e Raivis. «Natalia, ti prego.» Ripose la bottiglia sul tavolo e scoperchiò l’insalatiera dove avevano affettato la macedonia di frutta, accanto al vassoio degli spiedini di carne e verdura grigliata, al piatto con la quiche di formaggio, e a quello con le alette di pollo marinate. Lei e Yao avevano sfaccendato tutto il pomeriggio nella cucina dell’ostello per preparare la cena.

Anche le casse del Falò Vichingo attaccarono a pompare la musica dal cellulare di Mathias. Suonarono Pohjola, degli Ensiferum, che cozzò come un pugno sopra la musica dell’altro falò, frantumandone la melodia.

Seduto sugli scogli affacciati alle onde nere, con i piedi nudi a ciondoloni nell’acqua e il piattino della cena fra le gambe, Feliks si tappò le orecchie e si girò a lanciare un’occhiata bruciante da sopra la spalla di Toris che gli sedeva affianco.  «Che cavolo di diavolo state mettendo?» strillò. «Mi spaccate i timpani!»

Mathias gli sventolò il pugno contro e rispose con tono ancora più alto. «E siete fortunati che non vi mettiamo tutta la colonna sonora di Skyrim!»

Tino saltò attorno alle fiamme del loro fuoco, e le sfumature rossicce resero il suo volto ancora più acceso di gioia. «Falò Vichingo! Falò Vichingo! Inchinatevi davanti alla nostra – ooh, arrivano le stelle filanti!» Corse da Emil e Leon che stavano passando da un gruppo all’altro reggendo le scatole di bastoncini incandescenti. Tino sorrise a entrambi e mostrò otto dita. «Ne prendo otto, grazie.»

Emil lo squadrò con espressione scettica. Inarcò un sopracciglio, e il tatuaggio d’henné dipinto sulla sua guancia – una riproduzione del talismano Vegvisir – s’infossò fra le ombre rosse e arancio gettate dall’oscillazione delle fiamme. «Hai almeno un accendino?»

Tino raccolse i bastoncini dalle mani di Leon e li infilò fra gli spazi delle falangi, imitando gli artigli di Wolverine. I suoi occhi splendettero d’entusiasmo. «Le accendo con il sacro Fuoco Vichingo!»

Emil e Leon incrociarono un’occhiata perplessa e passarono anche agli altri. Emil indicò il loro falò con un cenno del capo. «Secondo te quanto tempo resisteranno prima che li caccino dalla spiaggia?»

«Mezz’ora.» Leon si strinse nelle spalle. «Il tempo di dar fuoco anche al bagnasciuga e agli scogli.»

«Puoi dirlo.»

Passarono al gruppo di Ludwig e scossero le scatole di stelle filanti per farsi notare in mezzo alla confusione. «Volete stelle filanti?»

Feliciano adagiò l’hamburger appena cotto nel piatto di Francis e anche il suo viso s’illuminò come quello di Tino. «Ooh, stelle filanti!» Abbandonò la postazione delle piastre di cottura, saltò davanti ai due ragazzi, e sollevò tre dita. «Ne prendo una per me, una per Ludwig, e – ooh, che bei tatuaggi che avete! Li avete fatti con l’inchiostro di china? Ne voglio uno anch’io!»

Emil arrossì, allontanò lo sguardo, e si massaggiò la guancia senza toccare però il talismano islandese. «No, con l’henné.» Ne aveva anche sugli avambracci superiori. Un ricamo di rune nordiche che proseguiva anche sotto le maniche della maglietta.

Anche Arthur li raggiunse, pescò un paio di stelle filanti dalle scatoline di cartone, e si soffermò sui tatuaggi di Leon. Lui si era disegnato un’intricata rete di mandala su entrambe le braccia, dalle spalle ai polsi, con decori floreali e spirali annodate fra cerchi e puntini di diversa grandezza. «Come vi siete combinati?» Corrugò un sopracciglio e lo guardò in volto. Sulla guancia sinistra spiccava una grande bauhinia a cinque petali, la stessa ritratta anche sulla bandiera di Hong Kong. «Avete eseguito rituali alchemici sulla pelle? Che demone cercavate di evocare?»

Feliciano prese i suoi tre bastoncini dalla scatola di Emil. «Io li trovo bellissimi.»

Leon annuì. «Grazie. Li ho disegnati io. A mano libera.»

Arthur rise, «Yao come l’ha presa quando ti ha visto conciato in quel modo?», già immaginandosi la risposta.

Leon alzò lo sguardo al cielo notturno. «Lascia perdere. Ha evitato di fare scenate solo perché siamo in vacanza.»

Emil gli raccolse il braccio e lo condusse lontano dagli altri, a distribuire le stelle filanti anche al resto dei ragazzi che occupavano la spiaggia.

Leon buttò un ultimo sguardo ad Arthur e a Feliciano. «Dopo il nostro gruppo spara i fuochi d’artificio. Non andate via prima di averli visti.»

Feliciano impennò i pollici e compì un saltello sul posto. «Contaci!»

Altra musica, altre risate, altra legna gettata nei falò scoppiettanti e sempre più alti, altre bibite frizzanti rovesciate nei bicchieri di carta, altra carne e altro pane messi a cuocere sulle piastre sfrigolanti, e i primi spruzzi bianchi provenienti dai bastoncini di stelle filanti si accesero fra le mani dei ragazzi, gettando luce su quella notte senza fine.

Gilbert sgusciò in mezzo ai fianchi dei ragazzi che affollavano il loro falò, si portò davanti al tavolo dei dolci, e indugiò fra la scodella degli M&M’s, quella con gli orsetti gommosi, il vassoio dei biscotti integrali e dei marsh-mallows da fondere assieme alle barrette di cioccolata che non avevano ancora scartato. Tuffò il suo bicchiere vuoto nella ciotola di M&M’s e fece lo stesso in quella degli orsetti colorati. Gettò il capo all’indietro e tracannò una sorsata di cioccolatini mescolati a caramelle gommose alla frutta che masticò con avidità.

Ludwig gli si accostò, prese della cioccolata per Feliciano, guardò Gilbert di traverso, e diede un morso al suo panino avvolto da un fazzoletto di carta. «Stai già mangiando i dolci? Almeno prima cena con qualcosa di sostanzioso.»

Gilbert buttò giù il boccone masticato. «Sono in vacanza, non rompere. In vacanza si cena con quello che si vuole.» Pescò un orsetto rosso dal bicchiere e ne strappò la testa fra i molari. «Potrei anche cenare con le barrette di cioccolata e mangiare un hot dog per dessert, guarnendolo di panna montata e ketchup.»

Ludwig rabbrividì e scosse il capo. «Sei disgustoso.»

«Lo so e me ne vanto.»

«Oh, guardate!» esclamò Feliciano. «Il gruppo di Yao e Ivan sta distribuendo il gelato!» Si appese alle braccia di Ludwig e Kiku e li trascinò dietro alla sua corsa. «Io prendo un cono anche con la panna montata sopra!»

In mezzo alla musica, alle risa e agli scoppiettii dei falò, la voce bacchettona di Roderich riuscì comunque a raggiungerlo. «Feliciano, non ti rovinare la cena.»

Elizaveta rise e gli diede una spintarella alla spalla. «Eddai, lascia che si diverta. Siamo in vacanza, no?»

Gilbert piantò i denti sull’orlo del bicchiere di carta da cui aveva appena risucchiato un’altra sorsata di cioccolato e caramelle gommose, vi stritolò le mani sopra, e ruotò la coda dell’occhio verso le loro voci. Incrociò gli occhi di Roderich ed Elizaveta, di sfuggita, e tornò a voltarsi di scatto. Si sottrasse a una sfrecciata di dolore che riuscì comunque a conficcarsi nel petto e a rendergli la bocca amara, nonostante l’overdose di zucchero.

Guadagnò un respiro profondo, si armò di un sorrisone da “Ormai non m’importa più niente e tutto ciò che voglio è godermi la mia vita anche senza quei due”, e corse da Francis e Antonio, sventolando il braccio al cielo. «Ehiii, i miei migliori amici.» Avvolse le braccia attorno alle spalle di entrambi e schiacciò la guancia contro il viso di Francis, accostandosi al suo profumo di rosa selvatica. Ammiccò con le sopracciglia senza far cadere il ghigno dalle labbra. «I miei migliori amici che non mi abbandoneranno mai, vero? E che non si metteranno mai a fare le porcate fra di loro pugnalando il sottoscritto alle spalle, vero?»

Francis fece roteare lo sguardo e raccolse una Cheetos dal suo bicchiere colmo di patatine e di Doritos. «Sei già ubriaco, Gilbert?»

«Sì, di saccarosio.» Gilbert agitò quel che rimaneva nel suo bicchiere, finì di tracannare il resto dei dolcetti, raccolse una manciata di marsh-mallows che si era tuffato nelle tasche dei pantaloncini, e trangugiò tutto gonfiandosi le guance fino a scoppiare. «Ne appvofitto fintanto che possho ancova mangiave quello che voglio quando voglio.» Ingollò il boccone e si strofinò le labbra.

Gli occhi di Antonio si colmarono di una tristezza improvvisa, compresero tutte le conseguenze che si celavano dietro quelle parole. «Oh, Gilbert» sospirò. «Vedrai che...»

Lovino gli scivolò affianco, furtivo. Si alzò sulle punte dei piedi e si nascose le labbra dietro la mano per sussurrargli all’orecchio. I suoi occhi scuri brillarono di malizia.

Il viso di Antonio avvampò come se gli avessero dato fuoco alle guance. Lui sgranò gli occhi, contrasse le dita attorno al suo bicchiere di carta, e si forzò di non rendere ovvio il sorrisetto tremolante comparso fra le labbra. «Ehm, ragazzi, io...» Si lasciò trascinare via dal braccio che Lovino aveva incatenato al suo gomito, rimbalzò su un piede solo per mantenere l’equilibrio, e indicò il confine della spiaggia, dove erano disposte le cabine di legno. «Io vi lascio un attimo. Io e Lovino dobbiamo andare a... a controllare di aver chiuso le porte delle camere e...» Compì un altro rimbalzo rischiando di inciampare nella sabbia. «E magari andiamo a prendere qualcos’altro da bere dato che stanno...» Fissò il suo bicchiere mezzo pieno e rovesciò la cola-aranciata sulla spiaggia. «Stanno finendo le bibite, sapete, e...» Lovino intrecciò la mano alla sua, lo guidò lontano dalle luci dei falò, e Antonio aprì un palmo attorno alla bocca per elevare la voce al di sopra della musica. «E potremmo metterci un po’, quindi voi fate senza di noi!» Corsero via e svanirono nella notte.

Gilbert stritolò la mano attorno al bicchiere di carta vuoto che gli era rimasto fra le dita. Bruciò di rabbia e risentimento. Le fiamme arse nei suoi occhi divorarono le immagini indesiderate che gli si erano proiettate in testa. «Ingrati traditori» gorgogliò. «Spero rimaniate incastrati.» Tornò al tavolo dei dolci assieme a Francis. Pescò due Graham Crackers dal vassoio e ci ficcò in mezzo un pezzetto di cioccolata e due marsh-mallows. Strappò avidi bocconi croccanti e tornò a guardarsi attorno, a scavare fra le sagome dei ragazzi che si spostavano come ombre attorno alle luci dei fuochi.

La sua coda dell’occhio intercettò nuovamente le sagome di Roderich ed Elizaveta. Elizaveta mormorò qualcosa all’orecchio di Roderich, incrociò lo sguardo di Gilbert, e si voltò, evitandolo di nuovo.

Gilbert non badò all’ennesimo conato di amarezza rigettato dalle viscere, nonostante tutti i dolci di cui si stava imbottendo. Finì il suo S’More, leccò le briciole dalle dita, e diede una gomitata a Francis. «Tu almeno non mi abbandoni, no?»

Francis sospirò e si spostò una ciocca di capelli dal viso, pettinandola dietro l’orecchia. «Gilbert, sai che...»

«Francis!» La voce di Arthur lo chiamò dalla postazione delle griglie. «Alfred si è scottato con la griglia degli hot dog, vieni ad aiutarmi a mettergli un po’ di ghiaccio!»

«Non è colpa mia!» protestò Alfred. «È colpa di Ludwig che ha lasciato le pinze vicino alla piastra e non mi ero accorto che erano bollenti.»

«C’era la presina!»

Francis scosse il capo, passò il suo bicchiere di Cheetos a Gilbert, «Reggimi questo», e si diresse in soccorso di Arthur.

«Ma che...» Gilbert diede una scossa alle patatine che gli aveva mollato fra le mani, tornò a ribollire di frustrazione, e gli sventolò un pugno contro. «Bel sostegno, eh!»

Francis levò i palmi al cielo senza però voltarsi. «I grandi devono fare il loro dovere.»

Gilbert sbuffò. Risucchiò le patatine dal bicchiere che Francis gli aveva lasciato, pescò una manciata di M&M’s, si versò della Pepsi, e si annaffiò la bocca con una lunga sorsata. «Maledetti.» Preparò un altro S’More. «Neanche un minimo di sensibilità verso di me che...» Lo divorò in due azzannate. «Che sto trascorrendo le ultime settimane di libertà. Quando mi daranno la licenza non verrò...» Pescò dalla scodella di Cheetos, si riempì la bocca, e prese anche un’altra manciata di orsetti gommosi. «Non verrò a trovarli nemmeno una volta. Li farò pentire di non...» Finì la Pepsi e si picchiò il pugno sul petto per non ingozzarsi. «Di non avermi tenuto stretto quando ne avevano l’occasione. Oh, ci puoi scommettere che qui si sentirà la mancanza di Gilbert Beilschmidt.» Bevve ancora a sorsate più lente e riprese fiato. «Non hanno nemmeno idea di come si sentiranno persi senza di me, piccoli ingrati traditori dei miei stivali.»

Intanto attorno a lui la musica proseguiva, le canzoni si susseguivano una dopo l’altra, come le onde che si sovrapponevano sulla costa, senza che nessuno prestasse loro particolare attenzione.

Qualche idiota del loro gruppo prese comando delle casse e mise Kamikaze, dei Night Argent. Gilbert incassò un pesante tuffo al cuore che gli strinse lo stomaco e gli fece bruciare gli occhi. Quella melodia così straziante, quelle parole così profonde e ironicamente pertinenti con il suo stato d’animo, gli trafissero l’anima come l’affondo di una spada, facendolo sentire ancora peggio.

Gilbert rilassò le dita tremanti attorno al bicchiere di carta, lasciò ciondolare il capo fra le spalle schiacciate dal peso della canzone piovuta su di lui come il freddo scroscio di un diluvio, e sospirò a occhi chiusi. Eppure le mie ultime settimane da uomo libero me le ero immaginate diversamente.

«Gilbert.»

Gilbert raggelò, fulminato da quella voce che gli aveva trafitto il cranio e scaricato una scossa lungo la spina dorsale.

Si girò di scatto. Una manciata di patatine e di orsetti ancora schiacciata fra le dita.

Roderich ed Elizaveta lo fissavano con espressioni serie ma non ostili, toccati di traverso dalla luce dei falò che brillava sui loro volti impassibili.

Roderich si mise a braccia conserte e ripeté: «Gilbert.» Il tono di chi non ammetteva repliche o proteste. «Io ed Elizaveta dovremmo parlarti.»

La guancia di Gilbert pulsò di dolore, memore dello schiaffo e del pugno che aveva incassato solo il giorno prima. Gilbert allontanò lo sguardo e si massaggiò il viso su cui era rimasto un lieve segno rosso stampato delle manate di entrambi. «Vi siete già espressi abbastanza chiaramente.»

Anche Elizaveta indurì lo sguardo e si mise a braccia conserte. Quella sera teneva i capelli sciolti ma sempre pinzati dal fermaglio a forma di fiore sulla tempia. Indossava un paio di shorts di jeans strappati agli orli che mettevano in risalto i muscoli tonici delle gambe, assieme a un’ampia maglietta bianca tenuta ferma da un nodo alla vita con su scritto “Sometimes the king is a woman”. Le si vedeva l’ombelico. «Dobbiamo parlare civilmente di quello che è successo ieri pomeriggio. Per chiarirci una volta per tutte.»

Gilbert si sforzò di ridere. «Perché?» sbuffò. «Pensate che me la sia presa? Pensate che io abbia bisogno di altre giustificazioni?» Divorò i dolci avanzati fra le dita, sventolò la mano con fare indifferente e si versò un altro bicchiere di Pepsi. «Guardate che potete fare quel che volete, non m’interessa un accidenti se vi siete messi assieme.»

«Bene» rispose Roderich. Fece un cenno a Elizaveta e lei rispose annuendo. Tutti e due raccolsero un braccio di Gilbert e lo trascinarono lontano dal tavolo dei dolci, lontano dal falò e lontano dal gruppo di ragazzi. «Allora suppongo che non ti dispiacerà dedicarci due minuti del tuo preziosissimo tempo per poterci spiegare come si deve.»

«Ehi, ehi» protestò Gilbert. «Mettetemi giù, non...» Gettò lo sguardo all’indietro, verso le luci dei fuochi che si stavano lasciando alle spalle assieme alla musica e ai tiepidi fumi della cena cotta alla piastra, diede due frenate affondando i piedi nella sabbia, ma la presa di Elizaveta strinse e lo costrinse a proseguire. Non poté fare altro che lasciarsi trascinare incontro al suo destino.

   
 
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