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Autore: Persej Combe    17/04/2019    3 recensioni
Augustine deve certamente aver pensato di trovarsi dinnanzi a uno spettro, quando Elisio, altrettanto incredulo, ha mosso i primi passi verso di lui e si è inginocchiato ai suoi piedi con le lacrime agli occhi.
[Perfectworldshipping]
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Elisio, Professor Platan
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Videogioco
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1
 
Come Elisio tornò da Augustine
 
 
 
 
   Se Elisio avesse bevuto, potrebbe avere ragione di credere che quelle sculture adagiate sull’elegante portone d’ingresso lo stiano effettivamente squadrando dall’alto coi loro visi mesti e turpi, ma Elisio non ha bevuto – perlomeno non oggi – e questa visione inquietante è soltanto il frutto dell’oscurità della sera. Lungo la strada, i lampioni sono ancora spenti, e sebbene da una parte sia un bene, dall’altra egli fa molta fatica a trovare sul citofono il cognome per cui è venuto senza sbagliarsi. Preme il bottone col dito che un po’ gli trema, e mentre si affretta a riparare la mano nella tasca per scaldarla, dentro di sé prega d’aver spinto il pulsante giusto. Poco dopo gli giunge una voce:
   «Sì, chi è?».
   Di nascosto oltre la sciarpa, Elisio si concede un sospiro sollevato.
   «Pronto?» chiedono ancora: è passato del tempo.
   «Sono io», risponde. Elisio sa che non c’è bisogno di aggiungere altro.
   Dopo un istante di silenzio, infatti, dal citofono provengono dei rumori agitati e sconnessi, ed egli s’immagina un paio di mani nervose che tentano in ogni modo di rimettere velocemente a posto la cornetta. Poi il collegamento salta, e a lui non resta altro da fare che aspettare là sotto.
   Si guarda attorno con circospezione. Abbassa lo sguardo a terra e si accorge delle impronte lasciate sulla neve: le segue, e inevitabilmente conducono ai suoi piedi. Sarebbe bene cancellarle, pensa, ma così facendo, se qualcuno d’improvviso passasse, si renderebbe ancor più sospetto di quanto non sia adesso. Può ancora sperare in un altro nevischio che cada a celare tutto nelle prossime ore.
   Dalla cornice che racchiude la porta, le due statue di un uomo e di una donna paiono continuare a sporgersi per poterlo fissare malignamente. Elisio ne sostiene gli sguardi, studia i loro corpi nudi nel buio, matrici di vita e allegorie di creazione. Quei volti oscuri e freddi lo tormentano ancora e lo ammoniscono senza provarne pietà alcuna, perché, egli ne è convinto, non ci sarebbero testimoni più eloquenti delle sue azioni se soltanto le loro labbra non fossero mute. Di fronte a quello stesso portone, una notte Elisio avrebbe preso commiato per sempre; così sarebbe dovuto essere, nelle sue intenzioni.
   La realtà delle cose, invece, ha preso una piega ben diversa, al di là di ogni singola previsione. Egli socchiude un poco gli occhi, riposa la vista sui graziosi vetri incastrati negli infissi. Raccorda insieme le varie forme e i colori, ritrova quel segno fallico che tanto tempo addietro era stato fonte di diletto condiviso.
   La prima volta in cui era stato invitato in questa casa, non aveva potuto fare a meno di rimanere affascinato da quel tipo di decorazione, ed era stato particolarmente allettato dall’idea che quest’uomo suo ospitante potesse celare un gusto raffinato e fuori dal comune per il simbolico e la ricercatezza. Quando gliel’aveva fatto notare, tuttavia, lo stesso uomo se n’era uscito banalmente con un candidissimo Ma di che fallo parli? e ancora adesso Elisio non sa decidersi se gli abbia risposto così perché volesse scansare in tutti i modi il rischio di gettare la pulce su certi secondi fini più ambigui che in segreto evidentemente da qualche parte doveva covare – quindi per imbarazzo – o piuttosto perché di fatto davvero non se ne fosse mai accorto fin lì – quindi per ingenuità, e in tal caso ad esser sincero non ne sarebbe nemmeno poi troppo sorpreso. In ogni caso, non sente il bisogno di trovare una soluzione. Gli basta il solo ricordo di quella sciocchezza: tutto il resto ormai non c’è più, né vale la pena riportarlo alla mente.
   Mentre continua a scrutare le inferriate che si avvolgono in tanti girali sopraffini, fra le loro venature gli pare finalmente di scorgere qualcosa.
   Eccolo, tutto trafelato mentre scende le scale. Elisio osserva la sagoma distorta di Augustine che incomincia a crescere oltre il vetro smerigliato, man mano che si avvicina: il suo viso è contratto in questa smorfia morbosa, da ossesso, cogl’occhi scavati e inquieti, al punto che in quella mistura di rossi, verdi e gialli della vetrata, Elisio ha l’impressione di trovarsi piuttosto al cospetto di una tela di Kirchner. Quando finalmente ce l’ha davanti, Augustine non lo saluta nemmeno.
   «Cosa diavolo ci fai qui?» chiede anzi, stizzito, afferrandolo bruscamente per una manica del cappotto e tirandolo all’interno dell’androne per poi richiudere la porta con delicatezza, senza fare rumore. «Sali, forza. Prima che arrivi qualcuno e ti veda».
   Si avviano insieme verso la fine del corridoio. Quando le lampade temporizzate sui soffitti si spengono, Augustine non ha intenzione di riaccenderle, così Elisio è costretto ad aggrapparsi alle sue dita per proseguire. Sebbene non veda nulla, riesce ancora a percepire la grandezza di quelle pareti e di quelle colonne che costeggiano il loro percorso, contro cui riecheggiano i passi scomposti e affrettati che muovono uno dopo l’altro: decidono di riassestare l’andatura di modo che nello stesso momento essi risultino quelli di un uomo solo, e questo gli permette di arrivare indenni fino alle scale. Adesso Elisio potrebbe affidarsi alla direzione che gli indica il corrimano, ma Augustine lo sta trattenendo troppo duramente dentro il pugno sudato, e non riesce a svincolarsene. Alza la testa a osservare la spirale sinuosa in cui si dispiega la tromba, quei pochi contorni che riesce a intravedere nella penombra della sera, e improvvisamente viene colto dalle vertigini, non ricorda nemmeno quanti piani li separino dall’appartamento del compagno.
   Continuano ad avanzare un gradino per volta, sempre in allerta, trattenendo il respiro. Ad un tratto, un lampo di luce li acceca, Augustine si gira con scatto repentino, Elisio sente lo strattone con cui egli lo attira a sé e il modo in cui gli preme il viso contro il proprio petto, le sue mani nei capelli sporchi e untuosi. Il cuore di Augustine batte all’impazzata tradendo quel terrore che lo assilla, eppure Elisio non può fare a meno di pensare a quanto sia audace. Si rintana nelle sue braccia, ma presto si rendono conto che quella luce non è altro che il bagliore dei lampioni di fuori, che penetra nell’edificio dalle finestre colorate. Quindi riprendono il cammino, celermente, le loro ombre si stagliano serpeggianti lungo la scalinata, sopra i riflessi variopinti riportati dalle vetrate.
   Giungono al pianerottolo. Augustine ha già preso le chiavi: spalanca la porta, incalza Elisio ad entrare, lo segue. Una volta dentro, quando ha finito di chiudere perfettamente ogni singola serratura, con molta lentezza si gira e lo scruta in silenzio da sotto le folte sopracciglia aggrottate.
   «Sei completamente matto a venire qui, fuori dalla data prestabilita, e per di più in pieno giorno! Non hai nemmeno pensato di avvisarmi!» sibila a denti stretti, ancora ossessionato del timore di poter essere sentiti e scoperti insieme.
   «Oh, andiamo, sono appena le sei del pomeriggio. E fuori, comunque, è già buio da un pezzo», ribatte lui, sollevando la manica per gettare un occhio sul vecchio orologio da polso; il quadrante è scheggiato e le lancette si distinguono a malapena, ma d’altra parte è tutto ciò che ormai può permettersi di portare «Quanto al non averti avvisato, semplicemente non ho potuto. I tuoi assistenti si sono fatti piuttosto scaltri, direi».
   Augustine sussulta. Si porta una mano ad accarezzarsi i capelli, improvvisamente intimidito da quella frecciata, come se di questo ne avesse qualche colpa.
   «Hai ragione. Sina e Dexio sono due ragazzi scrupolosi», dice «Mi spiace che non sia riuscito ad avvicinarti a me per causa loro».
   «Sciocchezze. Gli hai insegnato bene», lo rassicura Elisio, addolcendo il tono della voce.
   «Beh, in ogni caso dovremmo trovare un altro modo per comunicare. Questo evidentemente non funziona poi molto».
   «Concordo».
   «Vieni, adesso, dammi quel cappotto. Ti offro qualcosa per scaldarti».
   Mentre Elisio gli cede l’indumento, Augustine lo invita a sedersi di là nel salone. Una volta solo, rimane a osservare le macchie, i buchi e gli squarci nel tessuto. Ci passa le dita sopra, rimuginando sul modo in cui Elisio possa esserseli procurati. Poi gli viene da pensare al freddo e alla neve che avvolgono Luminopoli da un paio di giorni, che a Luminopoli non nevica mai e a quanto quel cappotto sia vecchio e sfilacciato.
   «Senti, ma non vuoi che te ne compri uno nuovo?» chiede, alzando un po’ la voce per farsi sentire nell’altra stanza.
   «Non pensarci nemmeno», risponde Elisio. Si è tolto le scarpe e si è appena sdraiato sul divano, si sta massaggiando le tempie per alleviare la stanchezza.
   «O almeno che te lo rammendi?».
   «Posso farlo da solo, Augustine».
   Augustine desiste da ogni tentativo. Scuotendo un po’ la testa, appende il cappotto accanto al suo, ritirato la mattina prima dalla lavanderia e profumato di fresco. Ne alliscia leggermente le maniche, poi raggiunge il compagno in salotto, ritrovandoselo disteso tra i cuscini. Quella vista così semplice e familiare pare finalmente tranquillizzarlo. Si sofferma qualche secondo sul suo viso sfiorato dalla luce del caminetto acceso. Lo lascia sonnecchiare mentre si chiude in cucina a preparare del tè. Quando ritorna lascia il vassoio sul tavolo, si china a svegliarlo con una carezza sulla spalla. Mentre è piegato su di lui, gli giunge al naso l’odore forte che emanano i suoi vestiti e la sua pelle. La barba incolta si è tutta annodata lungo lo spigolo di una guancia. Augustine allontana le dita. Un velo grigio incupisce i suoi occhi, intanto che apre la credenza per prendere la scatola dei biscotti.
   «Non ricevo ospiti da molto, altrimenti l’avrei riempita», dice, quando Elisio solleva il coperchio e la scopre quasi vuota «Ecco, almeno non ci ho ancora messo dentro la roba da cucito».
   «Professor Platan, farebbe davvero qualcosa di così abominevole?» ribatte scherzosamente, esaminando il biscotto che ha appena pescato. Augustine sorride divertito, poi gli rivolge un cenno delle dita come a voler cambiare discorso e passare a cose più importanti.
   «Raccontami, piuttosto. Da dove vieni stavolta?».
   «Sono di ritorno dalla Kalos del Sud».
   «Kalos del Sud? Ti sei spinto fino a Batikopoli?».
   «Batikopoli, Borgo Bozzetto... Ho risalito il Rio Acquerello. Sai, mi sono imbattuto in Calem e Serena», nell’udire quei nomi Augustine sussulta, così Elisio si affretta a precisare: «Non mi hanno riconosciuto».
   Mentre egli si porta la tazza alle labbra, l’altro fra sé e sé ringrazia il cielo con una preghiera. Perché in quel mignolo sollevato dal manico e in certi altri gesti, Elisio in realtà conserva ancora l’innegabile natura delle sue nobili origini, quel cipiglio aristocratico, da principe caduto in disgrazia. Troppo spesso Augustine se ne preoccupa, col timore che su un uomo ricoperto di stracci possa dare nell’occhio. Quindi si chiede se davvero Calem e Serena non l’abbiano riconosciuto. Forse avranno preferito negare l’evidenza o magari credere a qualche illusione generata da un Pokémon Spettro.
   Elisio finisce di raccontare i suoi viaggi appena conclusi. Augustine lo ascolta con interesse, non beve neppure un goccio di tè, da quanto è preso da quelle storie. Poi bisogna decidere un modo in cui mettersi in contatto, dopo i numerosi tentativi fallimentari degli ultimi giorni che Elisio di volta in volta gli elenca.
   «Potrei fingermi un vagabondo ubriacone e poi...», inizia a dire, gettandola sul vago.
   Augustine però ha percepito la spontaneità con cui ha incominciato a parlare, fin troppo schietta per poter essere semplicemente uno scenario fasullo. All’improvviso viene turbato da ciò che in effetti quel preambolo potrebbe nascondere tra le righe, e di colpo prorompe a chiedere:
   «Elisio, hai cominciato a bere?».
   Soltanto dopo si rende conto di quanto stupida sia quella domanda. Distoglie lo sguardo, pieno di pudore e rammarico, e vorrebbe non avere in mente quell’immagine a tratti disturbante di un Elisio riverso a terra, all’angolo di un marciapiede, con null’altro che una bottiglia vuota nelle mani e gli occhi spaesati a fissare il vuoto in preda ai fumi dell’alcol. Non ha nemmeno più un Pokémon con sé che lo protegga.
   «Sta’ tranquillo, Augustine», dice, notando la ruga che si è andata a formare sulla sua bella fronte «Non finirò per ammazzarmi, se è questo che tu temi. Dopotutto...».
   Augustine solleva gli occhi. Elisio esita, e rimesta il liquido dentro la tazza, prima di pronunciare distintamente quelle parole:
   «Dopotutto, io sono già stato ucciso, non è così?».
   Un silenzio solenne li avvolge entrambi, mentre riflettono assorti sul significato di quella frase, chiusi in loro stessi e nelle proprie sensazioni. Le orecchie di Augustine colgono il suono delle campane che incede funereo dalla cattedrale, ma è soltanto il rintocco dell’ora.
   «Gradirei fare un bagno, se non ti dispiace. Posso usare la vasca?».
   «Certo. Accendo il camino anche in stanza, così puoi spogliarti al caldo».
   Augustine si alza dal divano per raccogliere un po’ della legna che ha messo da parte, poi va in camera ad accendere il fuoco. Dopo aver gettato via il fiammifero, cerca negli armadi dove abbia riposto l’accappatoio di Elisio, lo lascia appoggiato sul letto. Torna a ravvivare la fiamma, si china a terra, ne approfitta per scaldarsi le mani.
   Quando l’altro lo raggiunge, si volta verso di lui a guardarlo. Elisio ha già iniziato a sbottonarsi i vestiti.
   «Fa ancora freddo. Non vuoi aspettare un altro po’?» chiede Augustine.
   «Saranno almeno due settimane che non mi lavo. Mi pare di aver già aspettato abbastanza», risponde, facendo cadere il gilet sulla sedia accanto al comodino.
   Augustine si sente di nuovo in imbarazzo, ha l’impressione che ogni sua gentilezza risulti sgradevole e fuori luogo, eppure vorrebbe semplicemente mostrare il proprio sostegno. Ha bisogno di tenersi occupato, non riesce a star fermo, e decide che per rendersi utile andrà a preparare la vasca.
   Mentre gli sta passando vicino, Elisio allunga una mano ad afferrarlo per un braccio. Augustine si ferma, alza gli occhi su di lui e si accorge dell’intensità che permea l’espressione del suo viso. Elisio sussurra:
   «Ti ringrazio di tutto. Ma non dovresti scomodarti in questo modo per me».
   Augustine allora vorrebbe dirgli che per lui farebbe qualsiasi cosa, ma, forse perché gli suona melenso, forse perché sarebbe superfluo, non sa bene, alla fine resta in silenzio e si limita a ricambiare il suo sguardo. Poi scivola via dalla sua presa, Elisio allontana le dita senza trattenerlo, e Augustine esce dalla stanza. Dopo qualche minuto rientra, sta parlando degli asciugamani o di qualsiasi altra questione inerente il bagno, tuttavia a un certo punto perde il filo del discorso e si arresta sulla soglia della porta.
   C’è qualcosa di sensuale nel modo in cui la camicia cade via dalle sue spalle, sebbene Elisio non se ne renda conto. Augustine rimane a osservare la sua schiena, crogiolandosi nelle curve sinuose disegnate dalle scapole e dai suoi muscoli leggeri. Nota però anche un’insolita fiacchezza, una stanchezza umana che non aveva mai percepito in precedenza, nel modo in cui essa si piega man mano che i vestiti vengono abbandonati da parte. A quel punto allora si accorge della carne che incomincia a pendere, non più robusta come una volta, e dei capelli spettinati che si riversano senza una forma precisa a toccargli la base del collo. Eppure, persino così, non più apollineo com’è stato un tempo, Augustine lo trova ancora di una bellezza disarmante.
   In alcuni momenti, ha l’impressione di aver accettato di divenire suo protettore per puro e semplice capriccio. Augustine è stato forse l’unico a rendersi conto del valore di quest’uomo, dei pregi fuori dal comune che nascondeva agli occhi disattenti della folla. E forse è soltanto per questo motivo, per bearsi della sua magnificenza, che ha accettato di offrirgli rifugio. Come una cosa preziosa, di cui conosca la pericolosità e che debba occultare con massima cura e riserbo ai comuni mortali, incapaci di comprenderne la natura sublime – nemmeno stesse nascondendo in casa propria il Pokémon più bello del mondo. *
   Vorrebbe correre ad abbracciare quella schiena, baciarla, adorarla. Sprazzi del loro passato insieme gli si dipingono nella mente con una vividezza soave, alla quale a stento riesce ad opporsi, finché Elisio non lo richiama e Augustine si risveglia bruscamente.
   «Ah...» incespica, «Scusami, è che non ti vedevo così da talmente tanto tempo», cerca subito di giustificarsi. Una mano sta già tormentando un ciuffo di capelli tra le dita.
   «Intendi dire nudo?».
   «Sì».
   Come se niente fosse, Elisio procede a slacciare e togliere la cintura. Poi si sfila i pantaloni. Augustine, senza provarne la minima vergogna, continua spudoratamente a esaminare il suo corpo centimetro dopo centimetro, a metà tra l’appagamento più schietto e l’adorazione religiosa. Quando però per un attimo lo ha davanti agli occhi completamente nudo, seppure di spalle, un po’ di vergogna la prova, e allora distoglie lo sguardo.
   «Io ti manco, Augustine?» chiede inaspettatamente Elisio, mentre si avvolge nell’accappatoio. Tuttavia non riceve risposta.
   «Andiamo, l’acqua si fredda», si limita a spronarlo. «Ti aiuto a insaponare la schiena».
   Quando Elisio si spoglia un’altra volta, il suo corpo appare ancor più fragile nella luce asettica del bagno, circondato da quelle piastrelle verdazzurre che ricoprono le pareti. Augustine si siede dietro di lui sul bordo della vasca, afferra la spugna e la intinge nell’acqua. Elisio s’insapona i capelli e acconcia la barba con le dita. Mentre l’altro è impegnato a strofinargli le spalle, lava accuratamente il resto. Augustine vorrebbe fare a meno di contare le cicatrici e i tagli non ancora rimarginati che di volta in volta scopre sulla sua carne. Si domanda quanti di essi risalgano all’incidente con l’Arma Suprema e quanti invece siano successivi a quel giorno, quanti recenti.
   «Elisio, non mi hai ancora detto perché sei venuto. È stato forse per la neve?».
   «Perché tu mi mancavi, Augustine. Per questo sono venuto».
   Elisio sente la spugna smettere di sfregargli la pelle e cadere con un tonfo nell’acqua ricoperta di schiuma. Le mani di lui scivolano sulla sua schiena bagnata, raggiungono le spalle, poi le braccia lo cingono all’altezza del petto. Le dita di Augustine scorrono avidamente tra la peluria dei pettorali, senza badare alle maniche che calano dai gomiti e che s’inzuppano nel sapone. Elisio si ritrova stretto in questa morsa disperata, mentre l’altro si piega a poggiare il viso contro l’incavo del collo per trattenerlo tutto quanto a sé: riesce a percepire i gemiti che egli contiene premendo con forza le labbra sulla sua gola. Lascia andare la testa fra i suoi capelli scuri, ne accarezza distrattamente le punte. Augustine solleva gli occhi a rivelare il suo sguardo commosso, ricolmo di lacrime.
   «Non venire più da me senza avvisarmi, hai capito? Se ti scoprissero, ho paura di quel che potrebbero farti. Hai capito? Non venire più da me senza avvisarmi».
   Nel giro di un’ora, Luminopoli è di nuovo in balia della neve. Elisio resterà a casa per la notte, così Augustine recupera i suoi abiti e gli altri oggetti che ha conservato diligentemente nei propri armadi. È quasi consolante rivedere Elisio con quelle vesti familiari addosso, e ad entrambi sembra come di essere tornati a quei momenti di un tempo, quando le sorti del mondo ancora non si erano capovolte.
   La serata trascorre permeata da quest’atmosfera serena. Dopo cena, Elisio e Augustine si siedono insieme sul divano a riposare. Il tepore del camino compensa al freddo che imperversa di fuori: oltre la finestra continua a nevicare senza sosta.
   «Hai avuto difficoltà ad arrivare a Luminopoli? So che diverse strade nei dintorni sono bloccate», chiede Augustine.
   «No, ero appunto in città già da qualche giorno», risponde Elisio «L’unico problema è stato avvicinarmi al tuo quartiere».
   «Cosa c’è, avevi dimenticato la via di casa?»
   «Spiritoso! Potrei azzardare di conoscere questa casa ancor meglio delle mie tasche. Ma se anche mi fossi perduto, di certo non avrei dimenticato il tuo bizzarro portone».
   «Hai sempre avuto un interesse particolare per quel portone... Ricordi la prima volta in cui sei venuto? Ho provato a sedurti usando quel fallo come pretesto. Ripensandoci, mi sento così sciocco».
   Elisio rimane a osservarlo perplesso. Poi però il sorriso di Augustine cresce fino a scoppiare, ed egli si scopre a contemplare la sua voce allegra, dimenticando le ragioni della propria insicurezza. Il suono di quella risata lo contagia, lo scalda fin nel profondo: mentre ride, Augustine sembra così vivo e rigoglioso. Elisio gli si accosta, lascia scorrere la mano sulle sue dita, intrecciandole una per una tra le proprie. Senza esitare un momento, si china e lo bacia.
   Augustine è colto di sorpresa, la sua bocca trema. Tuttavia, non pare volergli negare quel bacio: si abbandona abbastanza presto contro il suo viso, ed Elisio si ritrova a sentire sotto il palmo la dolcezza con cui egli piega il collo nel concederglisi. Quando si allontanano l’uno dall’altro per riprendere fiato, restano a guardarsi teneramente negli occhi. Elisio viene soggiogato da quel suo sguardo languido, luminoso, dal calore del suo respiro che s’incontra col proprio. Allora gli si avvicina di nuovo, quatto quatto, accucciandosi a sfiorargli un orecchio.
   «Voglio fare l’amore con te, Augustine», sussurra, e la sua voce risuona di una sincerità commossa.
   Si chiede se sia proprio per questa però che Augustine d’improvviso si ritrae. Scruta spaesato la sua reazione, cerca di capirne il motivo. Ma non riesce a cedere, non dopo essere stato ad appena un passo dal raggiungerlo. Ci riprova. Gli accarezza a lungo il dorso di una mano, lo bacia, lo trattiene contro la propria guancia con mollezza disarmante.
   «Ti prego», lo supplica, adagiando la fronte sulla sua spalla. Cerca le sue labbra, tenta di sedurle. Percepisce le sue membra abbandonarsi un po’ alla volta negli abbracci che gli offre. A quel punto si curva su di lui, con delicatezza lo stende sotto di sé.
   «Ti prego», mormora ancora, premendo un bacio contro la gola, e poi un altro, e un altro di nuovo. Augustine sente come che lo stia divorando a poco a poco, ogni punto sopra cui si poggia la sua bocca brucia e duole al pari di una ferita, sono morsi da cui fuoriesce sangue. Perché una parte di lui non vorrebbe, eppure non riesce a fare a meno di lasciarsi andare al piacere, al contatto provocante dei loro corpi schiacciati uno sull’altro. Con le dita risale lungo le braccia e le spalle, vaga sopra quella schiena massiccia che prima ha visto completamente nuda e che per un attimo aveva già desiderato di toccare. Si perde nella massa arruffata dei capelli e della barba che ricade ovunque, e lì decide di rimanere.
   «Dovrei avere qualche preservativo nell’armadio... E del lubrificante... Non so quanto», tentenna, le loro labbra sono troppo impegnate a succhiarsi fra loro perché si possa scandire meglio le parole.
   «Basterà», risponde semplicemente, senza rubare altro tempo ai baci.
   Augustine reclina la testa fino a sfiorare il bracciolo del divano. Allarga leggermente le gambe di modo che l’altro possa incastrarsi meglio contro le proprie forme. Sospira nel sentire la mano di lui scorrere tra le pieghe dei vestiti: dopo tutti quegli anni, Elisio non ha perso la delicatezza del tocco. Una deliziosa vertigine lo accoglie nelle proprie spire, Augustine inizia a perdere la ragione, ad allungare le dita godendo di un certo compiacimento perverso, eppure c’è ancora qualcosa d’inconscio che a tratti lo blocca.
   La coscia di Elisio preme e sfrega in mezzo alle sue gambe. Augustine geme, inavvertitamente agita i fianchi, le loro erezioni vengono a scontrarsi, e allora non c’è più tempo per esitare.
   Elisio inizia ad aprirgli la camicia un bottone alla volta. Respira contro la sua carne nuda e accaldata, su quella pelle che pulsa. Nella gola gli vibra un lamento, mormora e ansima, si crogiola in quel tepore vitale che emana Augustine. Scopre il suo petto, non denuda nient’altro. Si lascia cadere sopra il suo cuore, in quel punto vi poggia l’orecchio e l’ascolta, lo carezza, lo bacia. Si riversa ossessivamente su questo cuore, freme ad ogni battito, e inarca la schiena come scosso dal piacere più vivido mentre vi preme la mano, richiudendo le dita, quasi voglia afferrarlo.
   Incita l’altro a spogliarlo a propria volta, ma Augustine pare sottrarsi continuamente alla tentazione. Elisio ormai non ce la fa più, non ce la fa più, lo desidera tutto e terribilmente, adesso, in questo istante. Allora, grida:
   «La vita, Augustine! Voglio darti la vita».
   Augustine trema – ora ricorda. Ricorda i versi di condanna e la rabbia che una notte son colati giù dalla sua bocca, ricorda il suo sguardo folle, le linee spezzate e gravide d’odio che gli deformavano il viso regale: ricorda che quest’uomo, nel tentativo di dargli la vita, ha in realtà tramato di strapparla, a lui e a molti altri. Non può non pensarci.
   «Però io, Elisio, non so se me la sento», dice infine, liberandosi di quel peso.
   Elisio si arresta all’improvviso. Lo vede ritrarsi e scivolare via da sé, coi capelli spettinati che gli ricadono sulle tempie, le labbra lucenti come rubini, le guance e il collo avvampati, e tutti gli altri segni più o meno evidenti della sua eccitazione. Continua a fissarlo ridotto così, mentre Augustine ripete un’altra volta che non ne ha la voglia. Elisio per un attimo si rifiuta di capire, torna ad avvinghiarglisi addosso, ma Augustine lo respinge con fermezza. Allora il respiro spezzato causato dall’eccitamento comincia a mutare in un’altra natura, in quell’altra natura che Elisio sa non riuscirà mai a vincere. Il tormento lo opprime, perché egli è perfettamente cosciente, in realtà, del motivo per cui Augustine non possa e non voglia amarlo, e ormai non può più negarlo a sé stesso. Gli balena alla mente un ricordo lontano, fra quelli che ha tentato di cancellare, del suo corpo nudo e magro. Gli basta soltanto l’intensità di quell’immagine per provare ribrezzo di ciò che ha appena premuto di fare. Si gira da una parte a nascondere il volto. Tutto quel che Augustine adesso riesce a vedere è soltanto questa schiena, di nuovo la sua schiena, che si scuote tra i singhiozzi troppo forti per poter essere soffocati nel silenzio; e ne prova tanta pena.
   «Perdonami», dice. Non trova altre parole.
   Elisio solleva di colpo il viso dalle mani. Volta la testa con scatto inquieto, spalanca gli occhi bagnati che continuano inarrestabili a rigargli le guance di lacrime.
   «Sta’ zitto!» tuona furioso «Tu non sai quello che dici!».
   Augustine indietreggia di un passo, spaventato da quella sua espressione folle che è tornata a inasprirgli le sembianze.
   «Tu non sai...» mormora ancora, senza voce, prima di richiudersi nel proprio dolore. Allora l’altro lo lascia, si ritira nelle stanze. Rimasto solo, Elisio continua a sfogare quel tormento finché non ne può più. Si tira in piedi, va a nascondersi in camera da letto. Ha bisogno di dormire.
   Tuttavia ormai è troppo difficile anche prendere sonno, e quando Augustine più tardi entra per cambiarsi e indossare il pigiama, Elisio ascolta ogni rumore, i movimenti che egli compie e i suoi passi, mentre gira attorno al letto prima di stendersi e coricarsi. Le coperte tirano e frusciano, Elisio percepisce il suo corpo che si allunga sul materasso, il suo calore disperdersi tutt’attorno, e i suoi sospiri stanchi, affaticati, che scivolano rincorrendosi uno dopo l’altro sul cuscino. Finge d’essersi addormentato, serra ancor più fortemente gli occhi, ma Augustine lo conosce anche troppo, e sa benissimo che Elisio è ancora sveglio: si volta, lo chiama a voce bassa, poi si accuccia lì al suo fianco appoggiando la fronte in mezzo alle sue scapole, e rimane così ad accarezzarlo un poco.
   Elisio non vorrebbe cedere. Fa finta di non sentirlo, lo ignora, però le dita di Augustine sono terribilmente dolci e affettuose. Lascia cadere una mano nella sua, involontariamente ma neanche tanto, Augustine la coglie e la cinge quanto può. Lo bacia sulla nuca, respira contro i suoi capelli. Forse vorrebbe di nuovo chiedergli perdono, e tuttavia sarebbe inutile: Elisio non lo intende perdonare, non c’è niente che gli debba perdonare – ma questo Augustine non lo capisce, né potrebbe farlo.
   Durante la notte, egli lo continua a cercare, e cerca anche il suo corpo al di sotto dei vestiti. Elisio si sorprende nel rendersi conto di come nelle sue carezze, tuttavia, non vi sia il benché minimo impulso sessuale. Augustine esplora con solerzia le sue forme, forse alla ricerca di un mutamento o di un’ennesima cicatrice che fino ad ora gli è sfuggita alla vista. Eppure non c’è desiderio. Dopotutto, che tipo di desiderio si potrebbe mai provare verso colui che di propria sponte ha inscenato il genocidio?
   Di fronte a questo pensiero, non c’è lacrima che tenga, ma lui le ha già versate tutte, e allora non c’è dolore più tangibile di quello che adesso lo appesantisce senza sosta nel petto, in balia di un’acuta nausea e ribrezzo verso sé stesso.
   Augustine sedeva silenzioso su quello stesso letto, la sera in cui si sono visti nudi per la prima volta. La sua pelle bianca virava nelle zone d’ombra in un verde acido, di riflesso contro quelle lenzuola appariscenti che lo circondavano intorno. Elisio ricorda soprattutto il modo in cui sorrideva: malizioso, compiaciuto di averlo finalmente sedotto dopo mesi di timidi corteggiamenti. Lo guardava, in attesa che finisse di spogliarsi, consapevole di quei pensieri che gli stava suscitando semplicemente standosene con le braccia conserte a nascondere le proprie nudità, perché gli era permesso di vedere tutto il resto, ma non ancora quelle.
   Innocenza e perdizione assieme. Questo era stato per lui Augustine, quando più tardi lo aveva accolto teneramente contro le proprie membra. Cullato da quella memoria, Elisio si addormenta.
   L’indomani mattina, al suo risveglio, Augustine l’ha lasciato solo nel letto. Elisio si alza, afferra la vestaglia. Si sporge un poco oltre la porta e vede il compagno seduto sulla poltrona del salotto, tutto chino sulle spalle e concentrato. Sul tavolo ha lasciato la scatola dei biscotti, da cui adesso sbucano un gomitolo e dei nastri. Gli sta rammendando i buchi nel cappotto. Elisio vorrebbe trovare la forza di arrabbiarsi, invece sorride.
   Augustine si accorge della sua presenza. Solleva la testa, per distrazione si punge un dito, ma anche se il sangue inizia a scivolare lungo la punta dell’ago, il suo sguardo si fa bagliore soave, e sopporta il dolore.


 
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   * Per quanto piccolo e banale, ci tenevo davvero tanto a fare un omaggio alla cara Afaneia e alla sua storia Sai cosa vuol dire perfettibile?, tra l'altro consigliatissima nel caso in cui come me foste affezionati alla Prima Generazione e ai suoi toni più cupi. (Ti ringrazio di cuore per tutto il sostegno di questi ultimi mesi).
 
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Ciao a tutti! Come state?
Ammetto che ultimamente sentivo la mancanza di questa coppia (...che stranezza, eh?), così ho pensato di tornarci sopra con una nuova storia divisa in due capitoli. So che in realtà ne avrei già tante altre da aggiornare, in effetti mi sento un po' in colpa, però ho pensato  che il concetto alla base di questa fosse molto interessante da sviluppare, per quanto inquietante, e cioè: cosa sarebbe successo se Elisio fosse sopravvissuto? Spero davvero che possa incuriosirvi! ♥
Il palazzo dove abita Augustine è idealmente ispirato al Palazzo Lavirotte di Parigi: in particolare la facciata e il portone sono considerati tra gli esempi più alti dell'architettura Art Nouveau parigina.
Parlando di Parigi, non potrei fare a meno di spendere qualche parola su quel che è accaduto lo scorso 15 aprile a Notre-Dame. Personalmente ancora non mi sono ripresa dall'angoscia che ho provato nel vedere la cattedrale in fiamme e l'immagine della caduta della guglia, credo sia un sentimento condiviso un po' da tutti in questo momento. Nel mio piccolo posso solo sperare che nonostante le perdite sia possibile restaurarla e riportarla al suo splendore, per quanto i lavori richiederanno inevitabilmente anni.
Un abbraccio a tutti, e visto che ormai ci siamo, buone vacanze pasquali!
A presto,
Persej



 
  
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