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Autore: Sanae77    18/04/2019    9 recensioni
Li abbiamo lasciati con un segreto da custorire e un patto da rispettare.
Saranno in grado di reggere tutto il castello di carte che hanno costruito?
Il tempo passa, i figli crescono e le voci di corridoio si fanno sempre più insistenti.
I ficcanaso sempre più agguerriti.
Tra divorzi, coming out e scoop vedremo come in questi otto anni la Golden Combi vivrà il loro amore nascosto.
Come potranno i nostri campioni arrivare ai mondiali del Quatar nel 2022 e nel Nord America del 2026 senza farsi scoprire?
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(questa storia non può essere letta se prima non è stata letta Russia 2018)
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Daichi Ozora, Genzo Wakabayashi/Benji, Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Taro Misaki/Tom, Tsubasa Ozora/Holly
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La Clessidra dei Mondiali'
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Maggio 2020
 

Le tremavano le mani e ancora non riusciva a credere a quello che il traduttore, malamente, le stava suggerendo. La traduzione dal Tedesco al Giapponese era pessima, ma le foto nelle quali Genzo e Sanae si abbracciavano erano nitide come acqua di ruscello.
Poi il telefono aveva iniziato a squillare all’impazzata, Kumi si era voltata e aveva visto il nome di Genzo lampeggiare sul display. Aveva afferrato l’oggetto infernale e lo aveva gettato nell’angolo del letto tra i cuscini. Era stato quasi un sollievo sentirlo soltanto vibrare, ma era passato pochissimo da che cessasse del tutto e il telefono di casa prendesse a suonare.
Ed era passato un altro secondo da che sua madre la chiamasse urlandole che al telefono c’era Genzo.

Aveva le antenne, quel maledetto traditore!

Per non parlare di Sanae, possibile che fosse riuscita a portarle via anche il portiere oltre al capitano? Vero che con Tsubasa si era presa una cotta madornale non ricambiata; lo sapeva fin dall’inizio che con la prima manager non aveva speranza, ma con Genzo…
Le si riempirono gli occhi di lacrime ancor prima che con voce strozzata riuscisse a rispondere alla madre che non poteva parlarci.
Il cellulare ricominciò a squillare dopo pochi attimi.
Lo osservava come ipnotizzata; come aveva potuto farle questo a soli tre mesi dal matrimonio?
Poi fu una pioggia di suoni intermittenti: le stava mandando messaggi a raffica, le notifiche stavano arrivando a valanga.
Indispettita si buttò sul letto, afferrò il cellulare e lo mise silenziato. Nel primo riquadro iniziarono a scorrere i nomi di chi la stava cercando, e non era solo Genzo… Aggrottò le sopracciglia e con il pollice scorse un paio di messaggi, uno era di Tsubasa.

Tsubasa?

Aprì quello per pura curiosità, visto che il capitano non l’aveva mai cercata in tutti quegli anni, anche se il numero lo aveva dalla chat della nazionale, e se lo aveva fatto forse davvero era qualcosa di urgente.

Kumiko, immagino tu abbia letto il giornale, ti prego chiamami.

Recitavano così le parole del capitano.
Sotto comparve un messaggio di Genzo seguito da uno di Sanae. Sbuffò su entrambi ed esclamò: “Neanche fosse scoppiata al guerra!”

Kumi, rispondimi ti prego, deduco che tu abbia visto le foto. Ti prego, parliamone.

Kumiko, ieri Genzo è passato a trovarmi, avevo appena firmato il divorzio con Tsubasa e quell’abbraccio era solo un gesto d’affetto, sai come sono i giornali…

Quindi che si erano visti era vero, sapeva che il capitano aveva invitato Genzo nella casa nuova, ma lui non le aveva detto che sarebbe passato anche da Sanae.
Sollevò gli occhi al cielo e fece partire la chiamata.
“Kumiko, grazie per avermi chiamato.”
“Capitano…” rispose lei in segno di rispetto, com’era da anni a quella parte.
“Ascoltami, ho sentito sia Sanae, sia Genzo: ieri lui era venuto a casa mia a trovarmi…”
“Sì, questo lo sapevo ma…”
Ozora non la fece finire, l’urgenza di spiegare il più possibile la si sentiva dal tono di voce concitato.
“Quando è andato a prendere l’aereo era ancora presto e siccome aveva sentito Sanae giù di morale ha deciso di passare a trovarla. Sai, abbiamo firmato da poco il nostro divorzio…”
“Lo so e mi dispiace.”
“Ti assicuro che la sua era solo una visita di cortesia. Sanae in questo periodo è molto fragile, ti prego credimi. Genzo non ti tradirebbe mai.”
“…”
“Kumiko, ci sei?”
“Sì.”
“Ascolta, quel giornalista non ce l’ha con te, sono certo che lo ha fatto per punire me. Sono mesi che sta dietro a me e a Taro per un’esclusiva, si era messo in testa strane cose già in passato: aveva ipotizzato che c’incontrassimo per accordarci sui risultati delle partite. Ti assicuro che è un giornalista spietato, un arrivista; ti prego, non credergli, non dargliela vinta… non avevo mai visto il nostro portiere così felice, non farti rovinare la vita da queste menzogne. Ti prego!”
“È lo stesso giornalista che ha parlato di Azumi e del procuratore di Taro?”
“Sì, è lui.”
“Beh, non mi sembra che racconti così tante bugie dopotutto: Azumi esce davvero con quell’uomo, no?”
“Sì, ci esce e stanno anche insieme, ma lui lo ha scritto con cattiveria credendo di colpire Taro. Quando si è reso conto che lui lo sapeva non ne ha più parlato. Ti sei resa conto che non sono più apparsi articoli su Azumi?!”
“Sì, lo avevo visto.”
“Sai perché? Perché quando il giornalista fece vedere lo scoop a Misaki lui gli rispose che era felice per la sua ex moglie. Così non ha più trovato pane per i suoi denti e Taro ha lasciato terreno bruciato intorno al giornalista… Ecco, adesso tocca a me. Quindi, ti prego, facciamo squadra e non facciamoci distruggere la vita che già è abbastanza difficile.”
“Ti ringrazio per la telefonata, ma non sono uno della tua squadra, Tsubasa, e non prendo certo ordini da te.”

Ed era così che aveva concluso la telefonata ed era rimasta a fissare il cellulare che pareva essersi zittito per qualche secondo per poi riprendere con le notifiche sempre più incessanti.
Non aveva resistito e lo aveva chiamato. Genzo non mollava.

“Dimmi!”
“Kumi, sto cercando il primo volo per venire là, ho preso un permesso speciale, ho spiegato quanto accaduto al mister e non so per quale miracolo mi ha capito.”
La ragazza si lasciò cadere sul letto, sbigottita; scosse più volte la testa per capire se avesse davvero udito quelle parole.

Genzo metteva lei prima del calcio.
Non.
Ci.
Poteva.
Credere.

E sul quel pensiero le venne quasi da ridere e rispose con una battuta: “Sarà stato Ozora che ha messo una buona parola per te.”
“Che diavolo c’entra il capitano?” chiese buttando il cappellino sul lato passeggero dell’auto ferma a bordo strada.
“Ho parlato con lui poco fa e mi ha spiegato tutto…”
“Come mai Ozora è sempre un passo avanti? Cavolo!”
“Altrimenti non sarebbe stato il capitano, no?”
“Kumi, davvero, con Sanae non è accaduto nulla, ero solo passato a trovarla perché al telefono l’avevo sentita giù.”
“Ti credo portiere, non è necessario che tu prenda un aereo per venire fin qua. Tu pensa a finire il campionato e io penso al matrimonio, ci vediamo tra poco, ok?”
Wakabayashi si lasciò andare sul sedile dell’auto, la tensione accumulata gli aveva fatto irrigidire tutti i muscoli del collo; mosse la testa a destra e a sinistra, provocando degli sgradevoli rumori mentre con la mano libera si massaggiava la parte indolenzita.
“Che ti amo te l’ho mai detto?”
“Mhmh, più volte ma…”
“Ma?” domandò incuriosito.
“Sentirselo dire dopo quelle foto ha tutto un altro sapore.”
“Kumi, ti avviso che nei prossimi giorni riceveremo molte visite da parte dei giornalisti. Cerchiamo di non dar loro materiale su cui lavorare, ok?”
“Questa raccomandazione falla a te stesso, e di’ a Ozora che non si preoccupasse: farò ‘squadra’…” sorrise sull’ultima parola producendo uno sbuffo rumoroso nella cornetta.
“Farai squadra? Che diavolo vuol dire?”
“Ah, non preoccuparti, è una cosa tra me e il capitano, e siccome so già che lo sentirai a breve, tu digli che anch’io farò squadra, gli ho risposto un po’ alterata alla fine della telefonata, quindi vorrei rassicurarlo.”
“Ok, riferirò, ti amo!”
“Anch’io, a presto.”

Appena riattaccato il telefono, Genzo avviò un'altra chiamata verso il suo amico e, dopo averlo ringraziato e aver scoperto che cosa stesse a significare fare squadra, si mise in viaggio per il campo di allenamento. Doveva riferire al mister che i due giorni che aveva richiesto per fortuna non erano più necessari. Quando arrivò a destinazione un cumulo di reporter e microfoni impazziti erano appostati nel parcheggio della sede dell’Amburgo.
Afferrò il cappellino e se lo calò quasi sull’intero volto. Scese e prese il borsone dal sedile posteriore. Una volta caricato in spalla si avviò verso il cancello tentando di farsi strada a suon di No Comment!
La stessa scena si era ripetuta di fronte all’uscita di casa di Kumi in Giappone il giorno dopo.


E si era ripetuta in Spagna, contemporaneamente in due luoghi: al Camp Nou e di fronte alla scuola dei gemelli dove Sanae era andata a prenderli.
Per lei era stato difficilissimo sottrarre i figli a quegli assalti, le veniva da piangere, oramai erano anni che costantemente finivano sui giornali.
Finora era stato solo un riflesso dovuto alla popolarità di Tsubasa, ma adesso era lei la protagonista della situazione.
Vide i suoi figli fermi sul portone con la dirigente ad accompagnarli. Hayate la cercava smarrito, mentre Daibu era imbronciato e voltato di lato in modo che si vedesse solo metà del viso. Pochi istanti dopo incrociò lo sguardo della responsabile che l’invitò a raggiungerla. Facendosi spazio tra la folla dei genitori, raggiunse la scalinata e prese a salirla sempre più preoccupata.
La donna invitò Sanae ad accomodarsi nel suo studio, seguita dai bambini. Una volta seduti, e inquadrato Daibu, vide quello che era stato celato dall’altro lato del viso: vicino all’occhio il bambino aveva un vistoso ematoma violaceo.
“Signora Ozora – iniziò la direttrice – io so che state attraversando un periodo difficile e che i bambini stanno subendo la situazione degli adulti, ma oggi si è creato un incidente, se così vogliamo chiamarlo, per il quale non posso far finta di niente. Vorrei tranquillizzarla subito che Daibu è stato visitato dal nostro medico e che per fortuna non ha riportato danni all’occhio, ma la invito a prendere provvedimenti visto che a iniziare la rissa è stato proprio suo figlio.”
Sanae guardò incredula il bambino alla sua sinistra, non poteva credere alle parole della direttrice, ma fu Hayate che improvvisamente e alzandosi dalla sedia, di scatto, iniziò a parlare in difesa del fratello: “Non è giusto! Carlos ha dato della puttana a nostra madre!”
“Hayate! Che parole sono queste?” lo rimproverò la donna.
“Ma mamma, non l’ho detta io, è stato Carlos; Daibu ti ha solo difesa, perché noi lo sappiamo che zio Genzo era soltanto passato a trovarti e che tu eri triste per la firma dei documenti con papà. Noi – proseguì guardando anche il fratello che aveva gli occhi lucidi – lo sappiamo che tu sei tanto triste e non vogliamo vederti così e… e…”
“Carlos è uno stronzo!” concluse Daibu, gettandosi tra le braccia della madre seguito pochi istanti dopo dal fratello.

La direttrice rimase immobile e inerme di fronte a quella scena tanto commovente e le tremò il labbro inferiore, quando Sanae abbracciò i propri figli e qualche lacrima le solcò il viso, infrangendosi nei capelli ebano dei bambini. Molto probabilmente simili a quelli del padre per quanto potesse ricordare. Ricordava anche la felicità che aveva provato nell’accogliere i figli di un così importante giocatore, ma aveva scordato quanta notorietà si portassero dietro quegli esserini fragili che erano cresciuti nella sua scuola. Li ricordava bene quando erano arrivati da lei allegri e spensierati e come ora, invece, si fossero incupiti e oscurati. Quando Carlos aveva esternato le sue idee sulla signora Ozora, Daibu non c’aveva visto, stando al racconto della maestra, e si era fiondato addosso al compagno prendendolo a pugni. Pugni che erano volati senza tanti complimenti anche da Carlos e che aveva regalato quello zigomo violacelo al piccolo Ozora.

Quando la maestra, sconvolta e trafelata, le aveva raccontato che cosa fosse successo, la direttrice si era precipitata in infermeria per constatare la salute dei suoi alunni. I genitori di Carlos erano stati avvisati ed era stato suggerito loro di controllare lo zaino del figlio prima di mandarlo a scuola con riviste di discutibile dubbio.
Il gossip a scuola non era gradito.
Quando la maestra aveva raccontato che Carlos aveva iniziato a correre con la foto della signora Ozora per tutta la classe indicandola come una poco di buono, lei aveva deciso di non punire Daibu con una sospensione, ma solo di avvisare la famiglia. Dopotutto aveva tentato di calarsi nei panni di quel bambino, al quale avevano offeso la madre pesantemente, senza considerare che per mesi i genitori erano stati su tutti i giornali più famosi in attesa di questo imminente divorzio. Oramai lo davano per certo, le voci erano incalzanti e i bambini a scuola non avevano mai smentito ma neppure confermato, per quello la direttrice aveva immaginato che a breve la notizia sarebbe divenuta di dominio pubblico.
Certo era che non si aspettava una situazione del genere: il giorno prima era uscita la notizia del divorzio e il giorno dopo lo scandalo della madre. No, non poteva mettersi in mezzo anche lei con una qualsiasi punizione.
“Sono mortificata.” Si scusò Sanae, alzando la testa.
“Non si preoccupi, comprendo il momento delicato che la sua famiglia sta attraversando, se vuole – disse, porgendole un bigliettino – questo è il numero di telefono della psicologa della scuola. Magari ha un buon consiglio su come affrontare il tutto; che ne dice?”
Sanae allungò la mano e afferrò il piccolo pezzo di carta annuendo e tirando su con il naso e, dopo averlo rigirato tra le dita, lo mise nella borsa. I gesti rallentati dai figli addosso fecero sorridere la direttrice. La quale parlò riferendosi proprio a uno di loro: “Daibu, spero che un fatto del genere non si ripeta mai più, ok?”
Il bambino si asciugò le lacrime e fissò la donna: “Se offenderanno di nuovo la mia mamma…”
“Se offenderanno di nuovo la tua mamma, ti garantisco che interverrò in prima persona, ma promettimi che non ti farai mai più giustizia da solo.”
Il bambino annuì prima di tuffarsi nuovamente nell’incavo del collo della madre nel quale parve scomparire. Si vergognava sentendosi orgoglioso allo stesso tempo. Troppi sentimenti tutti insieme erano difficili da gestire, per questo quando Carlos aveva offeso la madre in quel modo lui aveva perso la testa.

“Venga, può uscire dal retro, così i giornalisti che si sono accampati fuori avranno un’amara sorpresa… anzi, se vuole dica pure al signor Ozora che domattina i bambini li può consegnare dall’entrata secondaria, sperando che prima o poi vi diano un po’ di tregua.”
“Grazie” mormorò Sanae alzandosi dopo essersi liberata dei figli.
Prese per mano i bambini e sotto la guida di quella direttrice dagli occhialini calati sul naso riuscì a trovare l’uscita sgombra da scocciatori.
Una volta raggiunta l’auto si chiuse all’interno mentre, guardando nello specchietto retrovisore, notava che qualche giornalista stava indicando la sua direzione. Velocemente uscì dal parcheggio e imboccò la strada di casa. Tramite l’auto avviò una chiamata all’ex marito.
“Tsubasa, dobbiamo parlare” disse appena senti la sua voce dall’altro capo del telefono.
“Ti sento agitata, Sanae, tutto bene? Non ti preoccupare per le foto con Genzo, so perfettamente che sono i giornalisti…”
“Dobbiamo parlare dei bambini, è successo un disastro a scuola; adesso sono in auto con loro, ci vediamo a casa.”
Il capitano percepì subito la gravità della cosa: “Ho capito, ci vediamo lì.”
 
 
I gemelli restavano in rigoroso silenzio nei sedili posteriori. Come al solito fu Hayate a parlare, Daibu era sempre stato di poche parole.
“Mamma, però una cosa devo chiedertela: Azumi esce con un nuovo uomo, non è che anche tu?”
“No, Hayate, non temere, tra me e Genzo non c’è niente eccetto una bellissima amicizia. Questo non esclude che un domani io non possa conoscere qualcun altro e innamorarmi di nuovo, come ho amato papà.”
“Perché non lo ami più papà adesso?” indagò Daibu uscito dal suo mutismo.
“Non si può smettere di amare una persona dall’oggi al domani, e credo che papà resterà sempre in un angolino del mio cuore, ma è anche giusto che tutti noi siamo di nuovo felici.” Puntualizzò la donna per cercare di ammettere delle possibilità per il futuro.
Hayate non sapeva bene dove andare a parare, infatti si girò verso il finestrino e guardò fuori non vedendo niente, aveva bisogno di riflettere. Una cosa gli era chiara, però: gli adulti si stavano rifacendo tutti una vita e sua madre non era esente da questo.
Daibu diceva che era impossibile, ma lui ne aveva visti tanti di loro amici che si erano ritrovati fagocitati da queste fantomatiche famiglie allargate, e se proprio doveva dirla tutta… se fosse stato lo zio Genzo ne sarebbe stato entusiasta, perché almeno lo conosceva e non era un estraneo.
Avevano discusso a fondo sul perché i loro genitori avessero divorziato, erano state tante le nottate in cui avevano sviscerato ipotesi di ogni genere, poi, con il passare dei mesi, erano giunti alla conclusione che in Grecia dovesse essere successo qualcosa. Ignoravano che cosa, ma una cosa era certa, da lì erano iniziati i cambiamenti.
Raramente erano tutti e quattro insieme e spesso papà andava via per qualche giorno, prima non era mai accaduto per quanto lui ricordasse; eccetto i ritiri con la nazionale ovviamente, ma quella era un'altra questione.
Poi era arrivata la prima doccia fredda: Taro e Azumi avevano avviato le pratiche del divorzio, tante volte avevano origliato qualche parola al telefono tra lei e la mamma. Parlavano così piano che non riuscivano a capire niente, ma gli occhi arrossati e le guance rigate dalle lacrime ai gemelli non erano passate inosservate.
 
Arrivati a casa avevano trovato il capitano ad attenderli sulla porta; una volta entrati, la mamma aveva raccontato tutto al padre e dopo i loro genitori avevano tentato di arginare il problema rimproverando Daibu.
Hayate era davvero stufo di quella situazione, quindi aveva preso il fratello per la mano e, trascinandoselo addosso, lo aveva indirizzato verso l’uscita. L’obiettivo come al solito era la loro cameretta, il loro rifugio, la loro serenità, ma un sassolino dalla scarpa aveva comunque dovuto toglierselo e, anche se non avrebbe voluto essere così aspro, quelle parole gli erano uscite d’istinto:
“È inutile che rimproveriate Daibu per la rissa, dopotutto non siamo noi ad aver divorziato!”
I due ex coniugi si guardarono smarriti e incapaci di replicare. Il macigno come genitori consapevoli e responsabili era troppo grande da portare, perché Hayate aveva ragione: la colpa era solo loro.
 
   
 
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