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Autore: ElderClaud    22/07/2009    3 recensioni
Lei si portava le mani al ventre e si torceva la camicetta di seta bianca sgualcendola nell'esasperazione del dolore. Una scena patetica che lui mal comprendeva, ma che in un certo senso voleva capire.
"Voglio dire... Ma ti fanno così male? Trovo ridicolo il fatto che ti lamenti in continuazione!"
"Secondo lei crede che mi diverta? Non ho il pulsante per spegnere i miei lamenti!"
"Già, magari esistesse!"
{Crack Pairing Nnoitra-Rukia, se non amate il genere astenetevi}
Genere: Comico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gin Ichimaru, Kuchiki Rukia, Nnoitra Jilga
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Raining Stones'
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Seconda oneshot con questo crack pairing decisamente “cattivo”.
Purtroppo con il nome (e cognome) di Nnoitra ho avuto alcune difficoltà, dato che questo personaggio ha diverse versioni di scrittura per quanto riguarda queste generalità.
Wikipedia poi, non è stata molto d'aiuto poiché mutava il nome del personaggio in base alle pronunce, bene o male, ufficiali del manga. Qualunque nome o cognome abbia Nnoitra, io non sto lì a cambiare e tengo questa versione che è la prima ad essere stata fornita dal sito ù_ù, perdonate la pigrizia ma per me è una questione di praticità.
Buona lettura e buon divertimento quindi! Fatemi sapere se vi è piaciuta o meno!

Dimostrazioni



Guardava il soffitto sopra la sua testa, e cercava di rimanere sveglia.

Contava le piccole chiazze di umidità che solcavano quella parete perfettamente liscia esattamente come si possono contare le macchie sulla pelliccia di un felino.
Inutilmente, cercava di concentrarsi, ma la fatica spesso le faceva socchiudere gli occhi.
Aveva lavorato tutto il giorno sorbendosi un mucchio di chiacchiere inutili, e la testa le doleva anche per quello. Parole, urla, ordini e quant'altro rimbalzavano nel suo cervello provato procurandole non poco fastidio.
E come se non bastasse, appena credeva di riuscire a rilassarsi, ecco che il dolore lancinante alle ovaie si faceva sentire. Facendole torcere il volto in una smorfia quando non riusciva più a trattenere i crampi.

Dieci minuti prima di staccare definitivamente dal lavoro, Rukia aveva deciso di meritarsi il riposo sul divano in pelle nera posto nell'ufficio del suo principale.
Quello che fino a qualche mese prima era uno schifosissimo stanzino pieno di ciarpame, ora grazie all'aiuto dello stagista venuto prima di lei brillava come uno specchio.
Doveva molto a quel Tesla benché comunque le era toccato lo stesso sgobbare. E tanto anche.
Nnoitra poi non aiutava, dato che le dava costantemente del lavoro da fare per poi rimangiarselo e dargliene dell'altro ancora. E lui di suo oltre a stare al PC e guardare fuori dalle grandi finestre tramite un cannocchiale non faceva molto.
Sì, aveva pure un cannocchiale di quelli che di norma si usano per scrutare le stelle dentro l'ufficio.
Un oggetto assolutamente fuori posto che tuttavia possedeva il suo fascino in quell'ambiente tirato a lucido da poco.
Era la prima cosa che aveva notato una volta entrata lì, ma solo dopo numerosi andar e vieni da quel posto, capì a cosa gli serviva. E il suo utilizzo non era per osservare gli astri.
L'ufficio di Jilga infatti, aveva la panoramica verso il giardino interno della struttura. In un punto che si poteva quasi definire un crocevia tra i laboratori e gli uffici amministrativi. C'era sempre molta gente che gironzolava per quei vialetti fatti in selciato, e ogni elemento che passava era fonte di interesse – anche marginale – per il suo superiore.
Sghignazzava, rideva, borbottava e alle volte lanciava pure delle Madonne verso individui da lui reputati inferiori.
Lei lo osservava in silenzio e con discreta sufficienza, non le andava di litigare apertamente con quell'individuo assurdo. Punto primo perchè aveva le sue “schifosissime cose” come le chiamava il principale, punto due perchè aveva già da lamentarsi a casa per la sorta di giungla in cui viveva.
Unica ragazza in un gruppo di cinque maschi, la sua vita scorreva decisamente impossibile.

Finito di fare quello che doveva fare comunque, disse a chiare lettere a Nnoitra che aveva bisogno di riposo buttandosi su quel divano che l'accolse con un lieve fruscio.
Lui non l'aveva neppure calcolata.
Non aveva neppure fatto caso al suo secco “signore, se non vi dispiace ora mi riposo” che era uscito fluido da quella sua bocca impertinente.
Se ne era rimasto a guardare il soffitto con sguardo vacuo. E seduto sulla sua poltrona d'ufficio in modo decisamente scomposto, guardava le chiazze di umidità “affascinato” come di fronte al manto di un felino.
Le scrutava con calma senza voglia apparente, con la bocca semi aperta da cui spuntava l'ennesima sigaretta della giornata. Dal filtro masticato e inciso dai bianchi incisivi dell'uomo.
Era da quando lo aveva prelevato al mattino dal suo appartamento che non lo aveva ancora visto addentare qualcosa che non fosse una discutibile paglia.
A pranzo aveva giusto trangugiato una birra fredda e tante pillole colorate. Ed era pronta a scommettere che quella roba non era della categoria integratori alimentari.
Non lo comprendeva e la cosa la fece sbuffare di noia e dolore al contempo, dato che il male era tornato alla carica come una folata di vento improvvisa.
Era un uomo che per uno strano motivo sembrava volesse autodistruggersi, ma che per farlo, doveva per forza di cose mostrarlo a tutti. O almeno questo era ciò che percepiva lei, perchè solo un coglione malato mentale poteva volere una cosa del genere.
Con quella sua aria strafottente e autolesionista sembrava dire: “ehi guardatemi coglioni!”
ma poi nessuno, lei compresa, non lo considerava minimamente. E le sue urla cadevano nel vuoto.
Ora il suo solito ghigno pareva scomparso da quel volto magro e ovale, lasciando spazio ad una espressione tanto enigmatica quanto rara. Seria se vogliamo dire.
Rukia avrebbe appreso solo più tardi il perchè di quel volto così concentrato e malinconico se vogliamo descriverlo così, perchè per il primo giorno, aveva solo voglia di tornarsene a casa prima che le saltasse in mente di vomitargli addosso.

Un mugugno più rumoroso degli altri si levò nell'aria nell'esatto momento in cui una fitta si fece sentire più forte delle altre, e con esso, venne finalmente suscitato l'interesse del suo superiore.
Smise di guardare il soffitto e indirizzò l'unico occhio buono verso la fonte di quel suono carico di soffocato dolore.
La smorfia di Kuchiki parlava come di una pugnalata presa in pieno ventre, mentre lo sbuffo seccato susseguito al lamento pareva come di noia per la condizione alla quale era sottoposta.
Erano le sue cose senza ombra di dubbio, la stessa Neliel al tempo che fu ne soffrì in tal modo facendolo incazzare non poco.
Facendo incazzare lei stessa in modo spropositato.
Tuttavia, in quel momento era sotto gli effetti di una decina - o quasi - di pasticche differenti, e di conseguenza era fortemente rimbambito da tutti gli effetti che producevano.
Il soffitto di prima pareva infatti muoversi sotto il suo sguardo stanco, prendendo forma di tante formiche che correvano frenetiche alla ricerca di un formicaio che non esiste. Disperandosi nel vuoto non riuscendo a trovare casa.
Uno spettacolo delizioso rovinato però da quella stronza in miniatura che, non tenendo conto che lui era il suo sensei, si atteggiava da gran donna lamentandosi spesso e volentieri.
Elargendogli consigli che sapevano più di critiche assortite.

Non la comprendeva e la cosa lo annoiava di brutto.
Era una femmina che per una misteriosa ragione doveva mostrarsi intelligente agli occhi di tutti, e soprattutto mostrarsi più in gamba di te.
Facendoti passare per un idiota nonostante la carica elevata che si copriva.
Che avesse un complesso di inferiorità forse dovuto alla scarsa altezza questo lui non poteva saperlo, lui percepiva solo una sorta di “irritazione” che quella pulce mandava.
E poi se aveva dei problemi erano affari suoi, ma questo non voleva dire lamentarsi a ripetizione ogni tre, o due, minuti come una stampante rotta.
Sbuffando e soffocando una specie di gorgoglio in gola, l'allampanato superiore si ricompose dalla scomoda posizione assunta in precedenza e si passò, con garbo, una mano tra i capelli per darsi una svegliata.
Massaggiandosi per giunta con l'indice e il pollice l'attaccatura del naso affilato mentre spegneva la sigaretta nel vicino posacenere di cristallo.
Strisciò poi i piedi su quel candido marmo lucidato ad arte, che ben cozzava con i suoi stivaletti da cowboy dalla pelle pitonata ormai rovinata dal tempo e dagli elementi, per raggiungere lentamente la fonte di quel suono molesto.
Lei si portava le mani al ventre e si torceva la camicetta di seta bianca sgualcendola nell'esasperazione del dolore, come un martire a cui i severi torturatori stavano scorticando la pelle per estrarre le budella.
Una scena patetica che lui mal comprendeva, ma che in un certo senso voleva capire.
Perchè non era possibile che non ci capisse un accidente di donne benché ne fosse circondato.
Arrivando a strisciare i piedi sino a lei, borbottando sottovoce frasi incomprensibili a causa dell'effetto prolungato delle pastiglie. Allungando la sua sottile e sinistra ombra su quel corpicino straziato dal dolore corporeo coprendolo come un sudario.
Facendole quindi ombra e risvegliando curiosità in lei per quella vicinanza improvvisa.
Il suo capo la osservava attentamente senza una reale emozione in volto, l'occhio buono era come spento nonostante brillasse di una fievole scintilla di lucidità.
Pareva uno che avesse assunto una gran dose di sonniferi. Apparentemente inoffensivo ma imprevedibile, per tanto era meglio stare attenti.
Istintivamente infatti, la mano della stagista si allungò oltre la testa per andare a toccare la superficie liscia del comodino posto accanto al bracciolo del divano. In concomitanza con la pesante borsetta di sua proprietà.
Se voleva fare scherzi era pronta a contraccambiare.
“Senti un po' tu... - iniziò finalmente lui dopo un silenzio che pareva eterno - ma si può sapere che accidenti hai?”
“C-come?”
Era rimasta notevolmente sorpresa da quella sua domanda improvvisa che per un breve istante abbassò la guardia, allentando la presa alla borsetta ma comunque tenendo la mano sempre lì.
Aveva gli ormoni impazziti ed era pure lei capace di fare qualcosa di insensato e impulsivo. Si poteva anche ipotizzare che si sarebbero, a breve, ammazzati di botte per come il loro cervello ragionava.
Tuttavia, per sua fortuna, il principale ne uscì con una domanda a dir poco idiota.
“Voglio dire... Ma ti fanno così male? Trovo ridicolo il fatto che ti lamenti in continuazione!”
Si stava lamentando per le sue mestruazioni, ora le era tutto chiaro. Oh, ma dopotutto cosa poteva aspettarsi da un uomo così?
“Secondo lei crede che mi diverta? Non ho il pulsante per spegnere i miei lamenti!”
“Già, magari esistesse!”
Rukia ebbe un colpo al petto e le si spalancarono gli occhi di rabbia. Che cafone.
Stronzo.
Maschilista.
E un'altra serie di epiteti che gli avrebbe volentieri scaricato addosso ma che, però, le era consentito fare solo mentalmente.
Si morse persino il labbro inferiore per contenere l'ira, mentre lui non faceva altro che tenere le braccia incrociate sul petto e guardarla schizzinoso e maligno.
Basta... Non era possibile che si continuasse così. Aveva tenuto botta per tutta la giornata, ma ora che era ormai sera, con il tramonto che bagnava di rosso il cielo, aveva superato ogni limite.
E pertanto, anche se rischiava un probabile licenziamento, era decisa a dare una lezione a quel cialtrone.
Di conseguenza, ingoiò ancora una volta la rabbia e sfoggiò il voto più furbo che attualmente poteva permettersi. Dolore mestruale e mentale permettendo.
In barba all'espressione perplessa di Nnoitra, sorrise, e umettandosi le labbra si preparò a rispondergli per bene.
“Beh signore... Dato che è difficile spiegarlo a parole – lo fissò intensamente e lui per un momento si sentì a disagio – che ne dice se glielo spiego a fatti?!”

Voleva mostrargli com'era il dolore mestruale? Gran bella cazzata. Tanto di cappello alla pulce che aveva ideato il piano.
Toccò a Jilga quindi, muoversi con nervosismo e scommettendo che pure quella volta la tappa avrebbe provato a fargli fare la figura del pezzente.
“E sentiamo zuccherino – calcò con sibilante acidità quella parola e poi continuò – in che modo dovresti mostrarmelo hm?”
Gli stava dando ancora una volta dell'imbecille e la cosa dava alquanto sui nervi. Quella però evitava amabilmente il suo sguardo affilato e continuava con il discorso.
“Con una dimostrazione signore! Ovvio no?”
La stava buttando sul semplice la bimba, e a che gioco stesse giocando non lo capiva.
Se lo capiva in ritardo, era per via dei farmaci che assumeva regolarmente. Ma l'essere impasticcato di brutto non gli impediva di formulare pensieri maliziosi su tutto ciò.
Perchè poi alla fine era quello che gli riusciva meglio purtroppo.
Una dimostrazione...?”
Per sua fortuna però, perchè alla fine doveva esserle grato se non aveva fatto in tempo a formulare pensieri stupidi, la dimostrazione gli arrivò repentina e inattesa.
La mano di Kuchiki infatti, si aggrappò saldamente alla borsetta di pelle lucida e, con una forza che non si aspettava potesse avere, scattò in avanti colpendogli direttamente il cavallo dei pantaloni.
Colpendo i sacri gioielli con la forza di un toro che sfonda, letteralmente, il povero torero.
Avvertì una fitta micidiale, un centinaio di aghi che entravano nella carne e che poi esplodevano nella sua testa. Facendolo letteralmente gridare di dolore.
Ohh!!”
Gridò lui dopo aver strabuzzato l'unico occhio in una espressione di pura sofferenza. Digrignando i denti fino a farsi male alle gengive e gridando ancora e ancora.
Un dolore assurdo e lancinante, una cosa che gli fece piegare le ginocchia in un equilibrio precario e tremante.
E con suo sommo rammarico si ritrovò ad inginocchiarsi a terra, portandosi disperato entrambe le mani ai tesori demoliti da quel colpo assassino.
Bastardo.
Stronzo all'inverosimile.
Quella puttana aveva firmato la sua condanna a morte definitiva!
“Bene signore, quello che ha appena sperimentato sono le cosiddette cose. Il dolore a cui non esiste pulsante per porre fine!”
tracciò con una nota amara quelle parole – chiaro riferimento a prima – mentre lui non faceva altro che ciondolarsi e lamentarsi.
“Tu puttana...- mugugnò ancora in preda alle fitte incessanti -... il mio... uccello! Il mio preziosissimo uccello!”
Rukia vedendo che Jilga non voleva sapere ragioni, roteò gli occhi e si massaggiò le tempie gonfie di quelle urla moleste e di stress giornaliero. Rimanendo comunque sdraiata sulla poltrona.

Ma fu proprio in quel momento.
Fu proprio nell'esatto momento in cui il capo si inginocchiava a terra – cadendo come un frutto maturo – con un tonfo sordo, che la Kuchiki si accorse di un particolare a dir poco singolare.
Se non seccante.
Gin Ichimaru, il viscido braccio destro di Sosuke Aizen, osservava la scena da oltre la porta dell'ufficio aperta per metà.
Spuntato fuori da oltre le spalle di Nnoitra, esattamente come fosse calato il sipario e lui fosse il protagonista inatteso, osservava la scena con la solita tranquillità che lo contraddistingueva.
Spuntato fuori dal nulla come a voler risolvere la situazione, la deus ex machina che arriva lì a risolvere la situazione.
Ma che invece in realtà, a parte avere un sorriso che si estendeva fino ad entrambe le orecchie, non faceva altro che osservare la scena proprio come se si degustasse un buon vino.
Deliziato dalla visione.
Ah... dammela subito... cazzo!”
il suo principale, non accortosi di chi stava alla porta, ancora delirava a causa del dolore, e con mano tremante – più di rabbia che di dolore a momenti - cercava di raggiungere la borsetta che teneva in grembo ma con scarso successo.
Una scena che per il nuovo venuto, quasi sicuramente, era succosa e totalmente equivoca.
Un punto per lui da utilizzare a suo piacimento contro di lei.
Perfetto” pensò Rukia, Gin era la classica ciliegina sulla torta che serviva a valorizzare ancora di più la giornata merdosa appena trascorsa.
Sbuffò seccata e quasi si lasciò scappare un lamento disgustato, mentre si rialzava dalla precedente posizione un po' sofferente. Massaggiandosi i fianchi e evitando il disgraziato a terra che, mentre sai stava lentamente riprendendo, cercava di acciuffarle la gonna e di strattonarla a terra.
Lei lo ignorò come si ignora una mosca e si avviò alla porta raggiungendo in breve tempo il ficcanaso indesiderato.
Superandolo ma fermandosi dietro le sue spalle.

“Uhm... forse era meglio che vi lasciavo soli, non c'era bisogno che ti fiondassi così fuori all'improvviso...”
Il suo tono era così mellifluo che le faceva venire solo quello i crampi allo stomaco, pareva che vivesse solo per sputtanare la gente.
Sospirò esausta e stressata e abbassò persino lo sguardo a terra per marcare ulteriormente quel sentimento. E mentre tra i due regnava il silenzio, dall'ufficio appena abbandonato Nnoitra si lamentava ancora dopo quella dolorosa dimostrazione.
“Senti Gin, pensala come vuoi. Anche se provo a smentire qualsiasi cosa, tu hai visto quello che crede il tuo cervello per cui... - ritornò a camminare per il corridoio con passo spedito e deciso – buona giornata!”
Dopotutto aveva fatto bene ad appioppare quella tappa determinata a quel futuro suicida di Nnoitra.
Aveva persino ottenuto il consenso di Aizen per tutto ciò, e più che far del bene alla ditta, era solo per puro interesse personale.
Un sadico divertimento tanto per rallegrarsi le noiose giornate lavorative.

Un divertimento che si sarebbe protratto a lungo secondo le sue modeste opinioni.
Poiché lei non era donna da mollare facilmente una missione, pena avrebbe sicuramente deluso il severo fratello.



Allora a domani Rukia!”

   
 
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