Seconda oneshot con questo crack pairing decisamente
“cattivo”.
Purtroppo con il nome (e cognome) di Nnoitra ho avuto alcune
difficoltà, dato che questo personaggio ha diverse versioni
di
scrittura per quanto riguarda queste generalità.
Wikipedia poi, non è stata molto d'aiuto poiché
mutava il nome
del personaggio in base alle pronunce, bene o male, ufficiali del
manga. Qualunque nome o cognome abbia Nnoitra, io non sto lì
a
cambiare e tengo questa versione che è la prima ad essere
stata
fornita dal sito ù_ù, perdonate la pigrizia ma
per me è una
questione di praticità.
Buona lettura e buon divertimento quindi! Fatemi sapere se vi
è
piaciuta o meno!
Dimostrazioni
Guardava il soffitto sopra la sua
testa, e cercava di rimanere sveglia.
Contava
le piccole chiazze di umidità
che solcavano quella parete perfettamente liscia esattamente come si
possono contare le macchie sulla pelliccia di un felino.
Inutilmente, cercava di concentrarsi,
ma la fatica spesso le faceva socchiudere gli occhi.
Aveva lavorato tutto il giorno
sorbendosi un mucchio di chiacchiere inutili, e la testa le doleva
anche per quello. Parole, urla, ordini e quant'altro rimbalzavano nel
suo cervello provato procurandole non poco fastidio.
E come se non bastasse, appena credeva
di riuscire a rilassarsi, ecco che il dolore lancinante alle ovaie si
faceva sentire. Facendole torcere il volto in una smorfia quando non
riusciva più a trattenere i crampi.
Dieci
minuti prima di staccare
definitivamente dal lavoro, Rukia aveva deciso di meritarsi il riposo
sul divano in pelle nera posto nell'ufficio del suo principale.
Quello che fino a qualche mese prima
era uno schifosissimo stanzino pieno di ciarpame, ora grazie
all'aiuto dello stagista venuto prima di lei brillava come uno
specchio.
Doveva molto a quel Tesla benché
comunque le era toccato lo stesso sgobbare. E tanto anche.
Nnoitra poi non aiutava, dato che le
dava costantemente del lavoro da fare per poi rimangiarselo e
dargliene dell'altro ancora. E lui di suo oltre a stare al PC e
guardare fuori dalle grandi finestre tramite un cannocchiale non
faceva molto.
Sì, aveva pure un cannocchiale di
quelli che di norma si usano per scrutare le stelle dentro l'ufficio.
Un oggetto assolutamente fuori posto
che tuttavia possedeva il suo fascino in quell'ambiente tirato a
lucido da poco.
Era la prima cosa che aveva notato una
volta entrata lì, ma solo dopo numerosi andar e vieni da
quel posto,
capì a cosa gli serviva. E il suo utilizzo non era per
osservare gli
astri.
L'ufficio di Jilga infatti, aveva la
panoramica verso il giardino interno della struttura. In un punto che
si poteva quasi definire un crocevia tra i laboratori e gli uffici
amministrativi. C'era sempre molta gente che gironzolava per quei
vialetti fatti in selciato, e ogni elemento che passava era fonte di
interesse – anche marginale – per il suo superiore.
Sghignazzava, rideva, borbottava e alle
volte lanciava pure delle Madonne verso individui da lui reputati
inferiori.
Lei lo osservava in silenzio e con
discreta sufficienza, non le andava di litigare apertamente con
quell'individuo assurdo. Punto primo perchè aveva le sue
“schifosissime cose” come le chiamava il
principale, punto due
perchè aveva già da lamentarsi a casa per la
sorta di giungla in
cui viveva.
Unica ragazza in un gruppo di cinque
maschi, la sua vita scorreva decisamente impossibile.
Finito
di fare quello che doveva fare
comunque, disse a chiare lettere a Nnoitra che aveva bisogno di
riposo buttandosi su quel divano che l'accolse con un lieve fruscio.
Lui non l'aveva neppure calcolata.
Non aveva neppure fatto caso al suo
secco “signore, se non vi dispiace ora mi riposo”
che era uscito
fluido da quella sua bocca impertinente.
Se ne era rimasto a guardare il
soffitto con sguardo vacuo. E seduto sulla sua poltrona d'ufficio in
modo decisamente scomposto, guardava le chiazze di umidità
“affascinato” come di fronte al manto di un felino.
Le scrutava con calma senza voglia
apparente, con la bocca semi aperta da cui spuntava l'ennesima
sigaretta della giornata. Dal filtro masticato e inciso dai bianchi
incisivi dell'uomo.
Era da quando lo aveva prelevato al
mattino dal suo appartamento che non lo aveva ancora visto addentare
qualcosa che non fosse una discutibile paglia.
A pranzo aveva giusto trangugiato una
birra fredda e tante pillole colorate. Ed era
pronta a
scommettere che quella roba non era della categoria integratori
alimentari.
Non lo comprendeva e la cosa la fece
sbuffare di noia e dolore al contempo, dato che il male era tornato
alla carica come una folata di vento improvvisa.
Era un uomo che per uno strano motivo
sembrava volesse autodistruggersi, ma che per farlo, doveva per forza
di cose mostrarlo a tutti. O almeno questo era ciò che
percepiva
lei, perchè solo un coglione malato mentale poteva volere
una cosa
del genere.
Con quella sua aria strafottente e
autolesionista sembrava dire: “ehi guardatemi
coglioni!”
ma poi nessuno, lei compresa, non lo
considerava minimamente. E le sue urla cadevano nel vuoto.
Ora il suo solito ghigno pareva
scomparso da quel volto magro e ovale, lasciando spazio ad una
espressione tanto enigmatica quanto rara. Seria se vogliamo dire.
Rukia avrebbe appreso solo più tardi
il perchè di quel volto così concentrato e
malinconico se vogliamo
descriverlo così, perchè per il primo giorno,
aveva solo voglia di
tornarsene a casa prima che le saltasse in mente di vomitargli
addosso.
Un
mugugno più rumoroso degli altri si
levò nell'aria nell'esatto momento in cui una fitta si fece
sentire
più forte delle altre, e con esso, venne finalmente
suscitato
l'interesse del suo superiore.
Smise di guardare il soffitto e
indirizzò l'unico occhio buono verso la fonte di quel suono
carico
di soffocato dolore.
La smorfia di Kuchiki parlava come di
una pugnalata presa in pieno ventre, mentre lo sbuffo seccato
susseguito al lamento pareva come di noia per la condizione alla
quale era sottoposta.
Erano le sue cose senza ombra di
dubbio, la stessa Neliel al tempo che fu ne soffrì in tal
modo
facendolo incazzare non poco.
Facendo incazzare lei stessa in modo
spropositato.
Tuttavia, in quel momento era sotto gli
effetti di una decina - o quasi - di pasticche differenti, e di
conseguenza era fortemente rimbambito da tutti gli effetti che
producevano.
Il soffitto di prima pareva infatti
muoversi sotto il suo sguardo stanco, prendendo forma di tante
formiche che correvano frenetiche alla ricerca di un formicaio che
non esiste. Disperandosi nel vuoto non riuscendo a trovare casa.
Uno spettacolo delizioso rovinato però
da quella stronza in miniatura che, non tenendo conto che lui era il
suo sensei, si atteggiava da gran donna lamentandosi spesso e
volentieri.
Elargendogli consigli che sapevano più
di critiche assortite.
Non
la comprendeva e la cosa lo
annoiava di brutto.
Era una femmina che per una misteriosa
ragione doveva mostrarsi intelligente agli occhi di tutti, e
soprattutto mostrarsi più in gamba di te.
Facendoti passare per un idiota
nonostante la carica elevata che si copriva.
Che avesse un complesso di inferiorità
forse dovuto alla scarsa altezza questo lui non poteva saperlo, lui
percepiva solo una sorta di “irritazione” che
quella pulce
mandava.
E poi se aveva dei problemi erano
affari suoi, ma questo non voleva dire lamentarsi a ripetizione ogni
tre, o due, minuti come una stampante rotta.
Sbuffando e soffocando una specie di
gorgoglio in gola, l'allampanato superiore si ricompose dalla scomoda
posizione assunta in precedenza e si passò, con garbo, una
mano tra
i capelli per darsi una svegliata.
Massaggiandosi per giunta con l'indice
e il pollice l'attaccatura del naso affilato mentre spegneva la
sigaretta nel vicino posacenere di cristallo.
Strisciò poi i piedi su quel candido
marmo lucidato ad arte, che ben cozzava con i suoi stivaletti da
cowboy dalla pelle pitonata ormai rovinata dal tempo e dagli
elementi, per raggiungere lentamente la fonte di quel suono molesto.
Lei si portava le mani al ventre e si
torceva la camicetta di seta bianca sgualcendola nell'esasperazione
del dolore, come un martire a cui i severi torturatori stavano
scorticando la pelle per estrarre le budella.
Una scena patetica che lui mal
comprendeva, ma che in un certo senso voleva capire.
Perchè non era possibile che non ci
capisse un accidente di donne benché ne fosse circondato.
Arrivando a strisciare i piedi sino a
lei, borbottando sottovoce frasi incomprensibili a causa dell'effetto
prolungato delle pastiglie. Allungando la sua sottile e sinistra
ombra su quel corpicino straziato dal dolore corporeo coprendolo come
un sudario.
Facendole quindi ombra e risvegliando
curiosità in lei per quella vicinanza improvvisa.
Il suo capo la osservava attentamente
senza una reale emozione in volto, l'occhio buono era come spento
nonostante brillasse di una fievole scintilla di lucidità.
Pareva uno che avesse assunto una gran
dose di sonniferi. Apparentemente inoffensivo ma imprevedibile, per
tanto era meglio stare attenti.
Istintivamente infatti, la mano della
stagista si allungò oltre la testa per andare a toccare la
superficie liscia del comodino posto accanto al bracciolo del divano.
In concomitanza con la pesante borsetta di sua proprietà.
Se voleva fare scherzi era pronta a
contraccambiare.
“Senti un po' tu... - iniziò
finalmente lui dopo un silenzio che pareva eterno - ma si
può sapere
che accidenti hai?”
“C-come?”
Era rimasta notevolmente sorpresa da
quella sua domanda improvvisa che per un breve istante
abbassò la
guardia, allentando la presa alla borsetta ma comunque tenendo la
mano sempre lì.
Aveva gli ormoni impazziti ed era pure
lei capace di fare qualcosa di insensato e impulsivo. Si poteva anche
ipotizzare che si sarebbero, a breve, ammazzati di botte per come il
loro cervello ragionava.
Tuttavia, per sua fortuna, il
principale ne uscì con una domanda a dir poco idiota.
“Voglio dire... Ma ti fanno così
male? Trovo ridicolo il fatto che ti lamenti in
continuazione!”
Si stava lamentando per le sue
mestruazioni, ora le era tutto chiaro. Oh, ma dopotutto cosa poteva
aspettarsi da un uomo così?
“Secondo lei crede che mi diverta?
Non ho il pulsante per spegnere i miei lamenti!”
“Già, magari esistesse!”
Rukia ebbe un colpo al petto e le si
spalancarono gli occhi di rabbia. Che cafone.
Stronzo.
Maschilista.
E un'altra serie di epiteti che gli
avrebbe volentieri scaricato addosso ma che, però, le era
consentito
fare solo mentalmente.
Si morse persino il labbro inferiore
per contenere l'ira, mentre lui non faceva altro che tenere le
braccia incrociate sul petto e guardarla schizzinoso e maligno.
Basta... Non era possibile che
si continuasse così. Aveva tenuto botta per tutta la
giornata, ma
ora che era ormai sera, con il tramonto che bagnava di rosso il
cielo, aveva superato ogni limite.
E pertanto, anche se rischiava un
probabile licenziamento, era decisa a dare una lezione a quel
cialtrone.
Di conseguenza, ingoiò ancora una
volta la rabbia e sfoggiò il voto più furbo che
attualmente poteva
permettersi. Dolore mestruale e mentale permettendo.
In barba all'espressione perplessa di
Nnoitra, sorrise, e umettandosi le labbra si preparò a
rispondergli
per bene.
“Beh signore... Dato che è difficile
spiegarlo a parole – lo fissò intensamente e lui
per un momento si
sentì a disagio – che ne dice se glielo spiego a
fatti?!”
Voleva
mostrargli com'era il dolore
mestruale? Gran bella cazzata. Tanto di cappello alla pulce che aveva
ideato il piano.
Toccò a Jilga quindi, muoversi con
nervosismo e scommettendo che pure quella volta la tappa avrebbe
provato a fargli fare la figura del pezzente.
“E sentiamo zuccherino –
calcò con sibilante acidità quella parola e poi
continuò – in
che modo dovresti mostrarmelo hm?”
Gli stava dando ancora una volta
dell'imbecille e la cosa dava alquanto sui nervi. Quella
però
evitava amabilmente il suo sguardo affilato e continuava con il
discorso.
“Con una dimostrazione
signore! Ovvio no?”
La stava buttando sul semplice la
bimba, e a che gioco stesse giocando non lo capiva.
Se lo capiva in ritardo, era per via
dei farmaci che assumeva regolarmente. Ma l'essere impasticcato di
brutto non gli impediva di formulare pensieri maliziosi su tutto
ciò.
Perchè poi alla fine era quello che
gli riusciva meglio purtroppo.
“Una dimostrazione...?”
Per sua fortuna
però, perchè alla fine doveva esserle grato se
non aveva fatto in
tempo a formulare pensieri stupidi, la dimostrazione gli
arrivò
repentina e inattesa.
La mano di Kuchiki
infatti, si aggrappò saldamente alla borsetta di pelle
lucida e, con
una forza che non si aspettava potesse avere, scattò in
avanti
colpendogli direttamente il cavallo dei pantaloni.
Colpendo i sacri
gioielli con la forza di un toro che sfonda, letteralmente,
il
povero torero.
Avvertì una fitta
micidiale, un centinaio di aghi che entravano nella carne e che poi
esplodevano nella sua testa. Facendolo letteralmente gridare di
dolore.
“Ohh!!”
Gridò lui dopo
aver strabuzzato l'unico occhio in una espressione di pura
sofferenza. Digrignando i denti fino a farsi male alle gengive e
gridando ancora e ancora.
Un dolore assurdo e
lancinante, una cosa che gli fece piegare le ginocchia in un
equilibrio precario e tremante.
E con suo sommo
rammarico si ritrovò ad inginocchiarsi a terra, portandosi
disperato
entrambe le mani ai tesori demoliti da quel colpo assassino.
Bastardo.
Stronzo
all'inverosimile.
Quella puttana
aveva firmato la sua condanna a morte definitiva!
“Bene signore,
quello che ha appena sperimentato sono le cosiddette cose. Il dolore
a cui non esiste pulsante per porre fine!”
tracciò con una
nota amara quelle parole – chiaro riferimento a prima
– mentre
lui non faceva altro che ciondolarsi e lamentarsi.
“Tu puttana...-
mugugnò ancora in preda alle fitte incessanti -... il mio...
uccello! Il mio preziosissimo
uccello!”
Rukia vedendo che
Jilga non voleva sapere ragioni, roteò gli occhi e si
massaggiò le
tempie gonfie di quelle urla moleste e di stress giornaliero.
Rimanendo comunque sdraiata sulla poltrona.
Ma
fu proprio in
quel momento.
Fu proprio
nell'esatto momento in cui il capo si inginocchiava a terra –
cadendo come un frutto maturo – con un tonfo sordo, che la
Kuchiki
si accorse di un particolare a dir poco singolare.
Se non seccante.
Gin Ichimaru, il
viscido braccio destro di Sosuke Aizen, osservava la scena da oltre
la porta dell'ufficio aperta per metà.
Spuntato fuori da
oltre le spalle di Nnoitra, esattamente come fosse calato il sipario
e lui fosse il protagonista inatteso, osservava la scena con la
solita tranquillità che lo contraddistingueva.
Spuntato fuori dal
nulla come a voler risolvere la situazione, la deus ex machina che
arriva lì a risolvere la situazione.
Ma che invece in
realtà, a parte avere un sorriso che si estendeva fino ad
entrambe
le orecchie, non faceva altro che osservare la scena proprio come se
si degustasse un buon vino.
Deliziato dalla
visione.
“Ah... dammela subito... cazzo!”
il suo principale,
non accortosi di chi stava alla porta, ancora delirava a causa del
dolore, e con mano tremante – più di rabbia che di
dolore a
momenti - cercava di raggiungere la borsetta che teneva in grembo ma
con scarso successo.
Una scena che per
il nuovo venuto, quasi sicuramente, era succosa e totalmente
equivoca.
Un punto per lui da
utilizzare a suo piacimento contro di lei.
“Perfetto”
pensò Rukia, Gin era la classica ciliegina sulla
torta che
serviva a valorizzare ancora di più la giornata merdosa
appena
trascorsa.
Sbuffò seccata e
quasi si lasciò scappare un lamento disgustato, mentre si
rialzava
dalla precedente posizione un po' sofferente. Massaggiandosi i
fianchi e evitando il disgraziato a terra che, mentre sai stava
lentamente riprendendo, cercava di acciuffarle la gonna e di
strattonarla a terra.
Lei lo ignorò come
si ignora una mosca e si avviò alla porta raggiungendo in
breve
tempo il ficcanaso indesiderato.
Superandolo ma
fermandosi dietro le sue spalle.
“Uhm...
forse era
meglio che vi lasciavo soli, non c'era bisogno che ti fiondassi
così
fuori all'improvviso...”
Il suo tono era
così mellifluo che le faceva venire solo quello i crampi
allo
stomaco, pareva che vivesse solo per sputtanare la gente.
Sospirò esausta e
stressata e abbassò persino lo sguardo a terra per marcare
ulteriormente quel sentimento. E mentre tra i due regnava il
silenzio, dall'ufficio appena abbandonato Nnoitra si lamentava ancora
dopo quella dolorosa dimostrazione.
“Senti Gin,
pensala come vuoi. Anche se provo a smentire qualsiasi cosa,
tu hai visto quello che crede il tuo cervello per cui... -
ritornò a
camminare per il corridoio con passo spedito e deciso – buona
giornata!”
Dopotutto aveva
fatto bene ad appioppare quella tappa determinata a quel futuro
suicida di Nnoitra.
Aveva persino
ottenuto il consenso di Aizen per tutto ciò, e
più che far del bene
alla ditta, era solo per puro interesse personale.
Un sadico
divertimento tanto per rallegrarsi le noiose giornate lavorative.
Un
divertimento che
si sarebbe protratto a lungo secondo le sue modeste opinioni.
Poiché lei non era
donna da mollare facilmente una missione, pena avrebbe sicuramente
deluso il severo fratello.
“Allora a domani Rukia!”