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Autore: MonicaX1974    23/04/2019    0 recensioni
Harry e Chloe.
Lui deluso dalla vita, lei con un immenso dolore nel cuore.
Lui pensa solo a divertirsi, lei cerca di ritrovare la speranza.
In un susseguirsi continuo di ammissioni e negazioni, rivelazioni e trascorsi burrascosi, Harry e Chloe riusciranno a trovare un modo per trovare il loro nuovo inizio?
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Spengo il bollitore del tè, ne verso un po' in una tazza, poi metto in infusione la bustina e torno in camera mia, con l'unica cosa che sono riuscita a buttare giù in questi due giorni, per poi nascondermi sotto le coperte.

Non ho fatto altro, da quando sono tornata da Madrid, se non bere tè e passare il tempo a letto.

Mia sorella dovrebbe tornare oggi da Montréal. Ci siamo sentite, ho sentito anche i miei amici, i miei genitori, e mi sono sorpresa di me stessa e della mia capacità di mentire quando ho detto loro di stare bene, quando in realtà sono un cumulo di macerie.

Harry non mi ha più rivolto la parola da quando mi ha detto che tornavamo a Boston. È come se mi avesse cancellata dalla sua vita. Mi ha ignorata per tutte le ore di volo e, una volta atterrati, ha pagato un taxi per portarmi a casa. Lui se n'è andato, non so dove, ma non con me. Non mi ha dato modo di parlare, non ha voluto sentire ragioni, si è semplicemente chiuso in sé stesso tagliandomi fuori.

Dovrei avercela con lui per il suo comportamento, invece, non è così perché riesco a capire come si sia sentito, perché conosco bene la sensazione del perdere qualcuno, quindi resto semplicemente qui, ad aspettare che prima o poi si decida a darmi un'altra possibilità, ma senza smettere di fargli sapere che continuo a pensare a lui.

Prendo il cellulare che ho lasciato poco fa sul comodino, sblocco il display, cerco il suo contatto, e digito il messaggio.

Ho bisogno di parlare con te

È sempre lo stesso messaggio, continuo a scriverlo con la speranza che, prima o poi, mi risponda.

Ieri ho provato a chiamarlo, ma ha chiuso la linea al secondo squillo. Non mi sono arresa, ho riprovato subito dopo, ma solo per avere lo stesso risultato. Non importa. Non importa cosa dovrò sopportare, non importa se vorrà continuare a calpestare ciò che rimane di me per il resto dei miei giorni, quello che mi importa davvero è vederlo tornare a sorridere, fiducioso e pieno di vita.

Un rumore al piano di sotto attira la mia attenzione. «Chloe!?» La voce di mia sorella arriva chiara alle mie orecchie. 

«Sono di sopra, arrivo!», rispondo, poi scosto le coperte e mi metto in piedi, camminando nei miei calzettoni rosa, mentre scendo al piano di sotto portando con me la mia tazza di tè.

La osservo mentre scendo le scale: è chinata, si sta togliendo gli stivaletti, poi sfila il cappotto, la sciarpa, e li attacca al mobile all'ingresso mentre io sono ormai arrivata dietro a lei, che si accorge della mia presenza e mi viene incontro allargando le braccia e stingendomi in un abbraccio che mi riscalda.

Nonostante abbia la tazza in mano, faccio quello che posso per stringerla forte, per riuscire a trarre da lei il conforto di cui ho un estremo bisogno.

«Ehi...», la sento dire appoggiata alla mia spalla. Si allontana un po' per guardarmi negli occhi tenendo le mani sulle mie spalle. «Che succede?» Le sorrido, ma so che ha capito.

«Andiamo in cucina, ho appena fatto il tè, così ti racconto». Lei annuisce e mi segue.

Le preparo una tazza, ci sediamo al tavolo e sento le parole venir fuori da sole. Le parlo di Harry in versione turista, di Harry versione geloso, di Harry in veste professionale, di Harry irriverente, Harry sfrontato, di Harry, e di tutto quello che lo riguarda. Nella mia testa c'è solo lui e quello che potrebbe essere stato se non fossi stata così stupida da deluderlo in quel modo. E potrebbe anche risultare esagerato, ma so che per lui non è stato facile tornare a fidarsi di qualcuno, e io gli ho chiaramente fatto capire che c'è stato un attimo in cui ho pensato di andarmene, ovvio che in quel momento la sua mente si sia annebbiata e non abbia più pensato lucidamente, ma devo trovare il modo per dirgli anche il resto che mi è passato per la testa quella notte.

Ho cercato di spiegare a Reb ogni cosa, anche quelle più personali mie e di Harry, mi fido di lei e so che le terrà per sé. Avevo bisogno di esternare tutto quanto, di tirare fuori ogni cosa con lei, e di essere finalmente sincera con qualcuno.

«Davvero non sei arrabbiata con lui?», mi chiede quasi sorpresa.

«Sì, davvero», le confermo.

«E non trovi esagerata la sua reazione nemmeno un po'?» Le spiego il mio punto di vista sulla sua vita, paragonandovi tutto quello che è successo a me e, alla fine, anche mia sorella concorda sul fatto di dargli altro tempo, anche lei crede che ne abbia bisogno.

Le chiedo poi di mamma e papà, mi racconta di loro, dei miei amici che sono passati a trovarla, della pancia di Emma che cresce e devo ammettere che inizio a sentire nostalgia di casa.

«Chloe... sono così felice di questa chiacchierata...», mi dice mia sorella, dopo quasi due ore che siamo sedute a gambe incrociate sul tavolo della cucina.

«Già, anche io». Non parlavo in questo modo con mia sorella da talmente tanto tempo che nemmeno me lo ricordo, ne avevamo bisogno entrambe e sentire la sua mano che stringe la mia, mi fa sperare cose belle per il mio futuro.

Veniamo poi interrotte dal citofono e sono certa di sapere di chi si tratti.

«È lui!», mi dice mia sorella, con gli occhi che le brillano per la felicità.

Lei e Zach, visti da fuori, sono la coppia peggio assortita che si possa vedere: lei è sempre ordinata, ben vestita, con i capelli perfetti, il trucco impeccabile e quasi mai le ho sentito dire una parolaccia. Zach è... diciamo l'opposto: non l'ho mai visto senza la giacca di pelle, a volte indossa un'orrenda canottiera bianca, e jeans strappati, e anfibi, sono all'ordine del giorno. Probabilmente non ha mai usato un pettine, ma solo le mani per sistemarsi i capelli. Ha sempre quell'aria trasandata, con la barba, e la sigaretta sempre in bocca, ma quando sono insieme, come in questo momento, quando si salutano con un bacio così travolgente, non si può dire che non sembrino fatti per stare insieme, come se uno fosse la parte mancante dell'altro.

Non dovrei guardarli, dovrei lasciare loro un po' di privacy, ma non riesco a smettere, sono così belli che non posso non farlo. Lui si allontana appena, le mani tatuate di Zach sono sul viso candido di Reb e il modo in cui la guarda farebbe innamorare chiunque. "Mi sei mancata"  le dice lui con un filo di voce.  "Mi sei mancato anche tu",  risponde lei, per poi baciarlo di nuovo come se non l'avesse appena fatto e, a quel punto, decido che è arrivato il momento di lasciarli soli.

Accosto la porta della cucina e mi affaccio alla finestra. Ha smesso di nevicare, ma ne è caduta così tanta che il bianco è il colore che prevale, mentre il mio sguardo si perde in un punto indefinito. Mi piaceva la neve quando ero piccola, mi piaceva uscire con mio padre e giocare con lui, mi piaceva giocare con Kurty e Hazel quando uscivamo da scuola, mi piaceva guardarlo  sciare... ora non mi piace più: pensare alla neve porta a galla solo ricordi dolorosi.

«Ehi...» Mi volto non appena sento la sua voce.

Zach è entrato in cucina, cammina tranquillo nella mia direzione e io verso di lui. Lo abbraccio, ne ho bisogno, ho bisogno di qualsiasi tipo di conforto riesca ad avere.

Mi sento persa, avevo ritrovato la strada giusta da percorrere, ma all'improvviso si è aperta una voragine lungo il percorso. Lui è andato avanti, mi ha lasciata indietro, e mi ritrovo da sola a trovare il modo per oltrepassare quel baratro.

«Va tutto bene?», mi domanda, quando mi allontano da lui.

«Chiedilo allo stronzo del tuo amico», dice mia sorella precedendomi nella risposta, e strappandoci un sorriso.

«Che cazzo ha fatto Harry?», mi chiede Zach sciogliendo l'abbraccio.

«Non è colpa di Harry... è colpa mia...», gli dico.

«Non so se devo crederti... Harry di solito è un disastro», sorrido con Zach alle sue parole, e ci sediamo intorno al tavolo mentre Reb sta prendendo una birra dal frigo.

«Davvero Zach, è colpa mia, lui non ha fatto niente», continuo a difenderlo, perché credo davvero che sia così.

Non sarebbe successo nulla se io non avessi avuto quello stupido incubo, seguito da quell'ancora più stupido dubbio. E continuo a ripetere che non importa se la sua reazione è stata esagerata, io so per certo che è più che comprensibile e che abbia bisogno di tempo.

«Beh... sarebbe la prima volta», scuoto la testa con un mezzo sorriso che fatica a formarsi.

Gli racconto a grandi linee ciò che è successo mentre mia sorella interviene a spada tratta in mia difesa, ma io cerco di minimizzare le sue parole, e anche Zach comprende bene i motivi della sua reazione, pur non condividendola del tutto.

Mi ha raccontato di ogni volta che ha dovuto aiutarlo a rialzarsi, di ogni volta che l'ha visto distrutto e che l'ha aiutato a ricomporsi pezzo per pezzo. Non è stato facile per nessuno arrivare dove siamo, e ora è lui quello che sta soffrendo più di tutti, quello che non vede una via d'uscita, e vorrei tanto essere per lui quello che lui è stato per me, ma sembra che non abbia intenzione di darmene la possibilità.

«Vedrai che gli passerà, è solo questione di tempo... più tardi passerò da lui», mi dice Zach, quando il mio racconto è ormai arrivato al termine.

«Non devi farlo per forza...», non voglio che anche lui si senta in obbligo nei miei confronti.

«Ti assicuro che non lo faccio per forza. Per due giorni è stato un'enorme rottura di coglioni e adesso capisco il perché. Stevens è una testa di cazzo, ma posso garantirti che non ne trovi un altro così in giro». Sento l'affetto nelle sue parole, sento una grande amicizia quando l'uno parla dell'altro, e posso solo sperare che Zach abbia maggiore influenza su di lui di quanta ne abbia io. 

«Ora possiamo smettere di parlare del mio simpaticissimo capo, che tra l'altro dovrò sorbirmi domani, e ordinare le pizze?» Mia sorella Reb si è intrufolata nel discorso e la ringrazio mentalmente per questo. Credo che passare una serata con loro non può farmi altro che bene.

****************

Harry

La mano sinistra completamente aperta sulla seduta del divano accanto a me, la destra stretta intorno alla bottiglia di birra. Ignoro le immagini che scorrono davanti a me sullo schermo del televisore mentre il mio unico pensiero è lei, lei, e ancora lei.

Era qui, e ora non c'è più, non c'è più niente.

Chloe se n'è andata, come fanno tutti, e ho iniziato a pensare che il problema potrei essere io. Forse mia madre se n'è andata perché ero un figlio insopportabile, magari mio padre non mi tollera perché sono davvero stronzo, e probabilmente Winter ha trovato di meglio che un cretino come me. Sì, dev'essere così.

Ma se così non fosse? Se non fossi davvero io il problema? Perché anche lei ha pensato di lasciarmi?

Gliel'avevo espressamente chiesto, l'avevo implorata di non farlo, ma l'ha fatto lo stesso.

E allora mi chiedo: non le ho dato abbastanza? Non sono stato in grado di tenere stretta la sua mano per tirarla fuori dal buio?

Per non parlare di tutta la storia di Dylan e del suo fottutissimo padre, perché quando anche questa storia verrà a galla, perderò anche un amico. Anche lui mi volterà le spalle, mi odierà per aver agito a sua insaputa, per aver tenuto nascosta la verità quando avrei potuto dirgli tutto quanto.

«Vaffanculo!» Impreco ad alta voce al pensiero che continuo a perdere pezzi della mia vita.

Tutto mi sta sfuggendo di mano un'altra volta, non riesco ad allontanarmi da questo circolo vizioso dal quale non vedo via d'uscita. Mi ero ripromesso che non avrei più dato a nessuno la possibilità di spezzarmi il cuore, e invece eccomi ancora qui, a piangermi addosso, come una fottuta femminuccia. Speravo di potermi distrarre un po' in questo fine settimana, ma Zach è stato uno scassa palle di prima categoria.

Stasera uscirò da solo, succeda quel che succeda.

Il campanello suona e sospiro pesantemente, sperando che chiunque sia, non sentendo risposte, rinunci e se ne vada. «Stevens apri questa cazzo di porta!»  Mason, mi tocca alzarmi e aprire, non se ne andrà. Non se ne va mai.

Per fortuna...

Mi trascino stancamente fino all'ingresso, faccio girare le chiavi nella serratura, e apro, lasciando al mio amico lo spazio per entrare.

«Hai un aspetto di merda», mi dice superandomi, per andare dritto in cucina. Non gli rispondo, non ne ho nessuna voglia.

Lo raggiungo e mi appoggio con la schiena al ripiano della cucina mentre lo osservo frugare nel mio frigo. Ne esce fuori con una bottiglietta uguale alla mia, la stappa e si appoggia con un fianco allo sportello dell'elettrodomestico, ne beve un sorso e si mette a fissarmi, aspettando che sia io a dire qualcosa, ma sta aspettando inutilmente. La mia intenzione è che si rompa così tanto di stare qui da mandarmi a fare in culo e lasciarmi da solo. Solo... come è giusto che stia.

«Quando pensavi di dirmelo?», mi chiede all'improvviso, rompendo quel meraviglioso silenzio.

«Di dirti che cosa, esattamente?» Incrocio le braccia al petto dopo aver posato accanto a me la bottiglia.

«Andiamo, Stevens, sai benissimo cosa intendo, ma posso farti un nome se non ci arrivi... o forse gli zombie ti hanno mangiato il cervello?» Alzo gli occhi al cielo alle sue parole, sbuffando in maniera evidente. «Allora? Quando pensavi di dirmelo?» Zach insiste.

«Domani... pensavo di dirtelo domani...», gli dico, ma senza crederci veramente.

«Domani?», mi chiede lui, alzando entrambe le sopracciglia con aria interrogativa, perché è ovvio che ha capito che sto dicendo una stronzata.

«O forse mai». Stavolta rispondo con sincerità, perché non so se avrei mai affrontato questo argomento di mia spontanea volontà.

«Harry, ho parlato con Chloe... perché non le permetti di spiegarti?» Al suono del suo nome sento una lama conficcarsi al centro del petto e girare su sé stessa, dapprima lentamente, poi sempre più veloce fino ad allargare il buco che la sua assenza mi ha provocato, e so che è tornato il momento in cui devo spegnere il cervello.

«Scusa, ma non riesco a sentirti». Riprendo la mia bottiglia e mi allontano da lui, tornando in salotto.

«Non fare l'idiota», risponde lui, seguendomi come un'ombra.

Mi lascio andare all'indietro sul divano e alzo il volume della tv. «No davvero», gli dico, «sono stato dal medico perché non riuscivo a sentire bene e mi ha detto che ho la... aspetta, non mi ricordo bene come si chiama...» Il mio tono è serio. Zach mi guarda aggrottando le sopracciglia, poi si siede sulla poltrona e posa la sua birra sul tavolino.

«Otite?», mi chiede incerto.

«No, era un'altra...» Mi prendo il labbro inferiore tra le dita, facendogli vedere che mi sto concentrando.

«Parotite?» Riprova lui, poi appoggia i gomiti sulle ginocchia guardandomi serio.

«No... aveva un nome più strano...» Alzo le gambe poggiando i piedi sul tavolino di fronte a me.

«Acufene?» Ritenta ancora, e vorrei tanto scoppiare a ridere per il suo impegno. Non mi aspettavo tanto da parte sua, credevo che a quest'ora mi avrebbe già mandato a quel paese, e invece è ancora qui, a fare domande su domande. Ma non si stanca mai di me?

«No... aspetta, ora ricordo perché non riesco a sentirti. Ho una malattia che si chiama nonmenefregauncazzo», Come minimo mi aspettavo un vaffanculo, o qualcosa del genere, invece lui sorride, abbassa per un attimo gli occhi, poi torna a guardarmi con l'aria di qualcuno che si è rassegnato alle mie stronzate.

«E io che credevo fossi un coglione qualunque... invece sei il coglione dei coglioni». Non riesco a ridere della sua battuta, perché è esattamente come mi sono auto definito durante quella sera, mentre urlavo contro Chloe.

L'azzeramento del mio cervello deve andare avanti.

«Grazie del tuo parere non richiesto, adesso appoggialo pure lì da qualche parte, magari gli darò un'occhiata». Non mi piace trattarlo così, lui non lo merita, ma voglio che se ne vada, così come fanno tutti.

«Sai...», continua lui con l'aria più tranquilla che gli abbia mai visto, «c'è una frase di Jack Sparrow che ti descrive perfettamente in questo momento...» Lascia la frase in sospeso, aspettando che io gli chieda di continuare.

«Spara la tua stronzata e sparisci, Mason». Lo guardo con attenzione e la sua espressione è ancora completamente rilassata.

«Jack Sparrow dice "il problema non è il problema. Il problema è il tuo atteggiamento nei confronti del problema. Comprendi?"» Lo guardo con aria confusa, come se fosse diventato biondo all'improvviso.

«Che cazzo vuol dire?», gli domando, con un tono di voce palesemente annoiato.

«Vuol dire che smetterebbe di essere un problema se smettessi di vederlo come tale e se le dessi la possibilità di parlarti». Lo dice come se avesse risolto il problema del buco dell'ozono.

Non è così semplice come lo fa sembrare lui, o forse ha ragione e il problema non è il problema, ma non ho più voglia di parlare di Chloe, di Jack Sparrow, e del perché sia la terra che gira intorno al sole e non viceversa.

«Zach perché non vai a casa tua, ti metti a letto e fai un bel sonno? Tipo un coma…» Il mio amico non se la prende, ma ride, ride di gusto, ride di me, e non sono nemmeno infastidito dal suo atteggiamento, voglio solo che se ne vada.

«Essere tuo amico mi fa pensare a quanto abbia fatto bene a non prendere il porto d'armi...», si ferma, ma non lo interrompo perché so che sta per dire qualcos'altro, «perché non la smetti con queste risposte del cazzo?» Beve un sorso della sua birra, con tutta la tranquillità che lo contraddistingue.

«Se non vuoi risposte del cazzo, non farmi domande del cazzo...» Poso la bottiglietta sul tavolino, accanto ai miei piedi, poi torno con la schiena all'indietro piegando le braccia dietro la testa mentre continuo a guardare - ma senza vederle veramente - le immagini che si alternano sullo schermo del televisore acceso.

Continuo con il mio atteggiamento da stronzo, nella vana speranza che se ne vada. Non voglio parlare con lui, non voglio parlare e basta, voglio solo fare tabula rasa di tutto quello che mi passa per la testa, perché sta diventando insopportabile pensare a lei, molto più di quanto immaginassi.

Ho sofferto abbastanza, ma stavo meglio, stavo davvero bene, come non mi sentivo da tempo, mi sono fidato, e alla fine è successo ancora. Sono di nuovo qui, sul mio divano, a raccogliere pezzi di me.

«Smettila di piangerti addosso come una femminuccia, ne ho pieni i coglioni di sentire le tue lamentele», mi dice lui, senza essere realmente arrabbiato. Non lo è mai stato con me, a parte una volta.

«Se non vuoi sentire le mie lamentele, quella è la porta, Mason, perché io non ho ancora finito con la mia autocommiserazione, anzi potrei restare qui a farlo per il resto dei miei giorni», gli rispondo, senza distogliere lo sguardo dal televisore.

Ad un tratto si alza, posa il suo anfibio sui miei piedi e li butta giù dal tavolino, poi prende il telecomando e spegne il televisore.

«Perché cazzo l'hai fatto?», gli domando, col tono più infastidito di quanto non sia in realtà.

«Perché adesso alzi il tuo culo moscio da lì e vieni con me», afferma sicuro del fatto suo.

«Non vengo da nessuna parte con te», gli dico, tornando a mettere i piedi sul tavolino.

Probabilmente vuole attirarmi in qualche trappola per poi farmi trovare casualmente  Chloe nei paraggi. Non voglio vederla, non voglio parlare con lei, non voglio sapere niente di lei. La ferita che si è riaperta nel mio cuore, nel momento in cui ha praticamente ammesso di volersene andare, fa ancora troppo male, e non sono pronto ad affrontarla.

Lei continua a scrivermi, mi ha anche chiamato, ma sono un vigliacco, so di esserlo, e non voglio sapere nulla che la riguardi in questo momento.

Per tutta risposta Zach alza di nuovo il suo piede, chiuso nel suo anfibio, e spinge di nuovo sul pavimento i miei piedi incrociati. Sbuffo e compio ancora lo stesso movimento per rimettermi nella stessa posizione, ma anche lui lo fa. Anfibio, spinta, e i miei piedi sul pavimento, sbuffo e tutto si ripete... anfibio, spinta, e i miei piedi sul pavimento, e così per troppe volte, fino all'ennesima. Anfibio, spinta, e i miei piedi finiscono sul pavimento, ma stavolta lui resta con il suo scarpone appoggiato al bordo del tavolino, mette il gomito sul ginocchio e resta a guardarmi. Lo guardo anche io, ma mentre io cerco di rimanere serio, lui ha sul viso quel sorriso strafottente che vorrei riempire di schiaffi.

«Vaffanculo, Mason!» Mi alzo e mi muovo con movimenti bruschi. «E il mio culo non è affatto moscio!» Zach ride ancora, mentre resta a guardarmi entrare in camera mia.

Sbatto la porta con forza, per fare più rumore possibile, per fargli capire quanto mi dia sui nervi il suo atteggiamento, anche se so che non gli importerà nulla e continuerà imperterrito ad insistere con la sua idea di voler andare chissà dove, a fare chissà cosa.

Mi cambio, infilo un paio di jeans e una camicia, mentre penso al fatto che il mio amico non mi farebbe mai cadere in una trappola, ne sono certo, ed è per questo che mi sono deciso ad alzarmi e unirmi a lui. Forse uscire da questa casa potrebbe avere dei vantaggi, forse potrei svagarmi, magari potrei... potrei... potrei essere più stronzo di lei.

Potrei.

Esco dalla mia stanza non appena sono pronto e noto Zach digitare qualcosa sul cellulare. Alza lo sguardo solo quando mi sente alle sue spalle. «Ho avvisato gli altri che ci vediamo al solito posto» Gli altri... non so se si riferisca a tutti gli altri o no, ma non voglio chiederglielo.

«Sono pronto», gli dico, con il tono più scocciato che riesco a fare.

Usciamo da casa mia diretti al solito pub. L'ultima volta ci sono stato con lei e vorrei tanto riuscire a togliermela dalla testa, ma ho solo due metodi per resettare il cervello. Il primo è bere, il secondo... il secondo non vorrei doverlo mettere in pratica. Dicono che chiodo scaccia chiodo ed è un tarlo che continua a girarmi in testa. Non che abbia funzionato ogni volta che ho messo in pratica quel pensiero da quando Winter mi ha lasciato, ma... ma non so nemmeno io che cazzo fare.

«Zach non si può abbassare la temperatura qui dentro?», gli chiedo, mentre cerco di manovrare le manopole del riscaldamento della sua macchina. È vero che siamo in pieno inverno, ma qui dentro sembra di essere in mezzo al deserto del Sahara nel momento in cui il sole è più alto.

«No, adesso stai zitto e fermo che siamo quasi arrivati», risponde lui. Sbuffo e mi sistemo di nuovo sul sedile del passeggero sperando di arrivare prima possibile, o almeno prima che mi tolga la camicia.

La camicia. Ricordo perfettamente le sue dita su ogni bottone, sulle mie spalle, la sensazione del suo corpo contro il mio, del mio corpo nel suo... D'improvviso ho ancora più caldo e vorrei poter smettere di pensare a lei, a quella sera, a tutto quanto, ma non ci riesco.

«Adesso ti togli quel muso lungo. Per stasera non c'è niente nella tua testa di cazzo, capito? Voglio che non pensi assolutamente a niente...», mi dice Zach, non appena ferma la macchina davanti al pub.

Forse ha ragione, forse dovrei fare davvero come dice lui, e magari potrei calmarmi, potrei smettere di soffrire.

Scendo dall'auto senza dargli una risposta e, insieme, entriamo nel locale dove ci sono già gli altri ad aspettarci, e con gli altri, intendo tutti gli altri, Dylan compreso. Ero riuscito ad evitarlo in questi due giorni e so che non avrei potuto evitarlo per sempre, ma non ero psicologicamente pronto a vederlo stasera, lo ero per domani, visto che devo rientrare in ufficio, ma non stasera.

Ci avviciniamo al tavolo e mi concentro solo su di lui, sulla sua espressione serena, dalla quale deduco che Kelly non gli abbia ancora parlato. Dylan è ancora all'oscuro di tutto e, in questo momento, non posso che esserne contento. Non sarei riuscito a gestire anche questo.

***

Ridiamo, scherziamo e beviamo mentre guardiamo la partita che stanno trasmettendo, e sto meglio, sì sto meglio. Zach aveva ragione, come sempre: avevo bisogno dei miei amici. Di Nate e dei racconti delle sue conquiste, di Lawson e delle sue pacche sulla spalla, di Larry e delle sue stupide battute, e anche di Dylan, perché vederlo sorridente e sereno mi fa illudere che tutto possa andare bene.

Zach e Larry sono appena andati fuori a fumare una sigaretta, Lawson è in bagno e Nate sta chattando con qualcuno, o qualcuna, al telefono. È il momento dell'intervallo della partita e ognuno di noi si prende una piccola pausa, ma speravo di non rimanere praticamente solo con Dylan.

«Allora... non mi hai fatto sapere niente... com'è andata a Madrid?», mi chiede esattamente quello che mi aspettavo mi chiedesse.

Bevo un lungo sorso della mia birra, poi poso il bicchiere sul tavolo, tenendolo stretto tra le mani, sentendo di nuovo lei sotto le dita - e sotto la mia camicia.

«Me la sono cavata, mio padre stranamente è stato contento del mio lavoro. Non ha avuto da ridire nemmeno una volta». Ripenso a quando abbiamo fatto quella videochiamata in cui abbiamo parlato civilmente di lavoro e siamo riusciti a metterci d'accordo senza saltarci alla gola come due cani rabbiosi. E dire che non vedevo l'ora di finirla quella chiamata, ma nonostante tutto, quando mi sono accorto che mi stava trattando come se fossi uno in gamba, non ho potuto fare lo stronzo.

«E chi ti hanno mandato come traduttrice?», mi domanda curioso.

Il solo pensiero di lei è come avere di nuovo quella lama che gira e rigira nel mio cuore, e sto per rispondergli, ma il mio telefono vibra. «Scusa un attimo», gli dico, per prendere tempo.

È un messaggio.

È il solito messaggio.

È il suo solito messaggio.

Ho bisogno di parlare con te

Vorrei farlo, vorrei parlare con lei, ma ho troppa paura. Le avevo detto che non avrei sopportato un'altra assenza, non la sua, ma ha continuato a pensare a sé stessa, ai suoi fantasmi e ha pensato di potermi comprare con due cioccolatini del cazzo.

Sento di nuovo la rabbia entrare in circolo, la sento partire dalla mia testa ed espandersi come una macchia d'olio a tutto il mio corpo. Se fosse qui in questo preciso momento vorrei che soffrisse come sto soffrendo io, vorrei che si sentisse come mi sento io, vorrei essere io a ferirla, vorrei vendicarmi...

«Ciao ragazzi!» Una voce femminile attira la mia attenzione e quella dei miei amici.

Ci voltiamo tutti a guardarla, compreso Lawson che è appena tornato dal bagno. Beh chi non la guarderebbe, è impossibile non farlo, dato che indossa praticamente... niente.

«Ciao Jessica!» Nate è l'unico che sembra essere entusiasta di vederla.

«Ciao...», risponde lei, per poi sedersi accanto a me, mentre mi fa spostare un po' più in là sulla panca, «non c'è la tua ragazza?», mi sussurra infine all'orecchio.

Le immagini, le parole, e le espressioni di Chloe durante la serata che abbiamo passato proprio qui, insieme a Larry ed Eloise, tornano prepotenti alla mia mente. Era tutto così diverso...

«Jessica, senti...» Mi interrompo subito quando sento la sua mano risalire lungo la mia gamba.

«Perché non mi fai sentire qualcosa tu?» La sua voce continua ad essere udibile solo da me perché bisbiglia ancora una volta vicino al mio orecchio.

Dovrei mandarla via? Sì, dovrei.

Dovrei andare con lei? No, non dovrei.

Sono fuori di me? Sì, lo sono.

Sono arrabbiato? Da morire e con il mondo intero.

Mi farebbe dimenticare? Forse sì, forse per poco.

Potrei farlo? Sì, potrei.

«Allora... andiamo?», mi domanda ancora, mentre la sua mano esercita un po' più di pressione sulla mia coscia.

Chiudo gli occhi, inspiro una grande quantità d'aria, stringo con forza il bicchiere, espiro lentamente ed è quello il momento in cui so quello che devo fare.

«Ragazzi, io vado!», dico ai presenti, allontanandomi in fretta da lì. 

   
 
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