Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: SusyCherry    25/04/2019    6 recensioni
«Devi assolutamente imparare a nuotare, è assurdo che un ragazzo della tua età non sia in grado di farlo.»
Così era iniziato tutto, con sua madre che lo ossessionava per convincerlo a iscriversi in piscina e Sherlock che l’aveva ignorata fino a che non era sopraggiunto Mycroft.
[...]
Ed ecco perché si trovava lì, in accappatoio e ciabatte, sul bordo di una piscina invasa da bambini urlanti, con cuffia e occhialini in una mano e nessunissima intenzione di entrare in acqua.
-
Storia già terminata.
-
[Storia scritta per l’evento "Merry Christmas!" del gruppo facebook "Johnlock is the way... and Freebatch of course!"]
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Salve! Sono imperdonabile, lo so!! Purtroppo ci sono una serie di cose che mi stanno tenendo impegnata e mi impediscono di correggere il capitolo in tempi accettabili e questo mi spinge a far slittare ogni volta la pubblicazione. Ma ora siamo qui, spero che il capitolo valga l'attesa. Ci tengo a ringraziare le meravigliose ragazze che stanno recensendo la storia, mi riempite ogni volta di gioia. Non mi aspettavo la storia potesse essere tanto apprezzata e davvero non so come ringraziarvi per il calore che mi dimostrate. Tra l'altro ho scoperto che alcune di voi fanno parte del nostro gruppo "Johnlock is the way... and Freebatch of course!" e questo mi fa ancora più piacere. Un abbraccione virtuale a tutte voi, bellezze! Risponderò quanto prima a tutte le recensioni! Ovviamente ringrazio anche chi ha inserito la storia nei preferiti/ricordati/seguiti. Spero davvero che il capitolo piaccia a tutti voi. Ci rivediamo, per la prima volta, nelle note a fine capitolo! Un bacione a tutti!



A dispetto di tutto non fu Sherlock ad ammalarsi qualche giorno più tardi, ma John che non si era presentato al solito appuntamento in piscina. Sherlock si preoccupò molto, l’amico non gli aveva detto nulla, e passò tutto il tempo in acqua a eseguire distrattamente i suoi esercizi, con la testa occupata ad immaginarsi le peggiori catastrofi e un occhio sempre rivolto verso l’entrata, nella speranza che l’amico arrivasse da un momento all’altro. Ma John non si presentò e Sherlock, terminato il suo allenamento, si incamminò mogio verso lo spogliatoio. Odiava nuotare da solo. Prima di infilarsi sotto la doccia sbloccò il suo armadietto per dare un’occhiata al cellulare, senza troppe speranze. Tuttavia c’era un messaggio non letto e aprendolo scoprì che si trattava di John.
 

Sherlock oggi non sono potuto venire in piscina, scusa se ti avviso solo ora, ma mi sono addormentato. JW

Stavi dormendo a quest’ora? Quindi sei malato. SH

 
Aspettò qualche minuto una risposta, ma non ricevendone una e iniziando a sentire in primi brividi di freddo si portò sotto il getto caldo, abbandonando nuovamente il cellulare nel suo armadietto.

 
Non ti chiederò nemmeno come tu abbia fatto a capirlo, ma sì. Ho la febbre. JW

Che schifo essere ammalati, sto morendo di noia. JW

A te come è andato l’allenamento? JW

Oggi mi è mancata la piscina :( JW

 
Sherlock lesse i vari messaggi mentre si preparava per tornare a casa, indispettendosi leggermente per l’ultimo. Era solo la piscina ad essergli mancata?
 

Semplice, non sei un tipo che dorme molto e soprattutto non dormi mai di pomeriggio altrimenti soffriresti di insonnia notturna. Il fatto che tu non ti sia svegliato in tempo implica che stavi dormendo da un po’, non ti eri appena addormentato, questo perché non ti saresti mai messo a letto sapendo che così facendo avresti rischiato di perdere la lezione, cosa che poi difatti è accaduta. Quindi sospetto che le cose siano andate così: tornato da scuola hai iniziato a studiare, ma non sentendoti bene ti sei messo a letto, calcolando che se anche ti fossi addormentato ti saresti comunque svegliato in tempo per l’appuntamento di stasera. Ma nel sonno la febbre deve essere salita rendendoti letargico, quindi hai dormito per molto più di quanto preventivato. In ogni caso se anche ti fossi svegliato in tempo non saresti potuto uscire di casa, figuriamoci mettere piede in acqua. SH

Straordinario! Mi lasci ogni volta senza parole. JW

Era una deduzione piuttosto semplice. SH

Sì, forse per te. Per noi esseri comuni resta un qualcosa di fantastico. JW

Per rispondere alla tua domanda, l’allenamento è andato bene. SH

Non ti sei sentito solo? JW

 
Stupido di un John Watson, ovvio che si era sentito solo! E si era anche terribilmente preoccupato.
 

Se mi stai velatamente chiedendo se mi sei mancato vorrei farti notare che a quanto pare io non sono mancato a te, quindi perché tu avresti dovuto farlo? SH

E chi ha detto che non mi sei mancato? JW

Hai detto che ti è mancata la piscina, non io. SH

Una cosa non esclude l’altra. JW

Ti sono mancato? SH

Mi manchi sempre quando non sei con me. JW

 
Sherlock tremò nel leggere quella risposta. Era normale scriversi cose simili tra amici? O questo implicava altro? La verità era che non lo sapeva, non aveva la minima esperienza in materia. Inoltre da quanto aveva capito ogni caso era a sé, magari per altri non era normale, ma loro erano due ragazzini soli che si erano trovati, era possibile che questo li portasse ad essere maggiormente affettuosi in certi momenti, anche se nessuno dei due era particolarmente espansivo di natura, senza che questo implicasse qualcosa di più sentimentale. John gli voleva bene, questo era chiaro, ma tutto ciò aveva a che fare con l’amore? O con un senso di protezione che aveva sviluppato nei suoi confronti? Sherlock proprio non lo sapeva. Non sapeva nemmeno a chi rivolgersi, avrebbe potuto consultare Mycroft, ma non voleva farlo. La volta precedente era stata un’eccezione, Sherlock si era sentito totalmente sopraffatto da una situazione che aveva avvertito come più grande di sé e irrisolvibile, arrecandogli molto dolore. Ammetteva a se stesso che la presenza del fratello era stata un sollievo, ma in questo caso poteva gestirla da solo, erano cose che ogni essere umano si trovava a dover vivere e lui avrebbe affrontato la situazione esattamente come chiunque altro. Poteva venirne a capo da solo.
 

Posso venirti a trovare? SH

Non hai paura di contagiarti? JW

Sono malanni stagionali, rischio di contagiarmi con qualunque persona io incontri. SH

Ma in quel caso il rischio è ipotetico. Questo è reale. JW

Che devo dirti…sono un amante del pericolo. SH

Oh sì certo…ricordo ancora quel povero bordo vasca che stavi cercando di fare a pezzi per quanto forte ti tenevi! JW

Sai che ti dico? Ci ho ripensato. Stammi bene. SH

Dai, ti stavo solo prendendo in giro. JW

Una delle cose che più ami fare, a quanto pare. SH

Se ti dà fastidio la smetto. JW

Allora posso venire o no? Io starei ancora attendendo una risposta. SH

Mi farebbe tanto tanto piacere. JW

Bene. Vedrò di venire domani pomeriggio dopo la scuola, se per te va bene. SH

È perfetto. JW

A domani allora. SH

Aspetta! JW

Sei arrivato a casa? JW

Sì mamma, sono appena entrato in camera mia. SH

Sì, sì sfotti pure, non mi importa. Ma almeno so che sei a casa al sicuro. JW

Ancora paura delle vecchiette? SH

Le vecchiette, i cacciatori…i pericoli sono tanti. JW

In tutta questa storia c’è ancora una cosa che non mi è chiara. SH

Sarebbe? JW

Ma tu che nano sei? SH

Uno che domani ti prenderà a calci in culo. Ricorda che il più basso dei due sei tu, Cucciolo. JW

Sono confuso, non ero Biancaneve? SH

Se continui a lamentarti diventerai Brontolo. JW

E comunque io non sottovaluterei lo sviluppo. Secondo la mia genetica dovrei crescere ancora molto. SH

Vedremo. Per il momento sei più basso di me, oltre che più piccolo. Vedi di portarmi rispetto. Dovresti chiamarmi “Sir”. JW

E tu dovresti proprio metterti a dormire. È evidente che la febbre ti sta facendo delirare. Ogni tanto mandami un messaggio, giusto per farmi sapere che sei ancora in vita. SH

E ora chi è la mamma chioccia tra i due? JW

Quello che mi fa mandare un messaggio ogni santa volta che devo tornare a casa. A volte mi chiedo se vivo a Londra o in una zona di guerra altamente pericolosa. SH

Se ti dà tanto fastidio, come ti ho già detto, posso sempre smetterla. JW

Ora sei tu che brontoli però. Vai a dormire su. E ricordati di mandarmi qualche messaggio. A domani. SH

Buonanotte mammina. Il bacio della buonanotte non me lo mandi? JW

Sei serio John? Alla tua età ancora il bacio della buonanotte dalla mamma? Non so se esserne inorridito o intenerito. SH

Ma sono malato! Me lo sono guadagnato. JW

Essere malati è un merito? SH

È sicuramente una sfiga. Dovresti essere più dolce con me. JW

Disse colui che beve la cioccolata calda più amara che io abbia mai assaggiato. SH

Appunto, manco di zucchero, dovresti aggiungerne tu, visto quanto ne metti nella tua cioccolata. JW

Essere malato ti rende davvero strano. Attribuirò la cosa ai deliri della febbre alta. Riguardati. SH

Uffa, va bene. Quanto sei noioso. Tutto è noioso. JW

Benvenuto nel mio mondo. SH

Avrei fatto anche a meno. Seguirò il tuo consiglio e cercherò di riposare. JW

Bravo. Buonanotte Sir. SH

(Guarda un po’ le cose che mi fai dire. Ringrazia il fatto di essere malato.) SH

Buonanotte Kid :) JW [1]

 
Il giorno seguente Sherlock si trovò all’ora concordata sulla porta di casa Watson. Era la prima volta che ci andava e si sentiva leggermente nervoso al pensiero. Suonò con un misto di apprensione ed aspettativa ed attese mentre ascoltava dei passi che rapidamente si facevano più vicini. La porta fu aperta da quella che doveva essere la signora Watson, come dedusse con facilità Sherlock. Nei suoi occhi c’era qualcosa che urlava inconfondibilmente John.

«Sì?»

«Ehm, buonasera, sono un amico di John.»

«Oh sì, giusto! Tu devi essere Sherlock. John ci ha parlato così tanto di te!»

«Sì, sono Sherlock Holmes» rispose con una punta di imbarazzo all’idea che John parlasse tanto di lui «lieto di conoscerla.»

«Vieni entra pure, non restare sulla soglia. Fa così freddo e ci basta un malato.»

«Sei ancora a casa mamma?» Sherlock udì domandare in lontananza da una voce familiare, osservando poco dopo l’amico avanzare imbacuccato in una grande coperta in pile. «Oh ciao Sherlock, sei arrivato!»

Il moro rispose con un timido saluto, non volendo interrompere la conversazione tra madre e figlio.

«Sì tesoro, pensavo di chiamare per avvisare che oggi non vado a lavoro. Piuttosto che ci fai in piedi? Dovresti essere a letto.»

«Mamma non ce n’è bisogno. Te l’ho detto, sto bene.»

«Ma hai ancora la febbre alta. Non mi va di lasciarti solo per tutta la notte!»

«C’è Sherlock con me e quando se ne andrà mi metterò subito a dormire.»

La donna continuò a guardarlo dubbiosa, non gli andava proprio di lasciare il figlio in quello stato senza nessuno che gli fosse vicino in caso di necessità.

«Mamma i tuoi pazienti hanno bisogno di te. Lo so io e lo sai tu» aggiunse il ragazzo con voce dolce.

Se lo era meritato un ragazzo così buono e gentile? La signora Watson se lo chiedeva ogni giorno. Questo in ogni caso otteneva il risultato di farla sentire ancora più in colpa per ogni volta che non poteva essere fisicamente presente per i suoi figli.

«Perché devi rimanere solo?» si intromise flebilmente Sherlock.

Entrambi rivolsero l’attenzione verso lui, ricordandosi immediatamente della sua presenza.

«Mamma ha il turno di notte e mio padre è fuori per lavoro. Harry è andata a dormire da un’amica» spiegò velocemente il biondo.

«Oh. Se il problema è questo potrei fermarmi io per la notte. Semmai John avesse bisogno di qualcosa. Tanto domani non ho scuola» propose con un po’ di timore. Magari la sua presenza non era gradita.

«Davvero?» chiese con un pizzico di speranza l’amico.

«Sarebbe meraviglioso Sherlock, ci risolveresti senza dubbio un problema. Sarei molto più tranquilla sapendo che c’è qualcuno con John.»

«Nessun problema, chiamo casa ed avviso» annunciò semplicemente con una scrollata di spalle.

La mamma attese che il ragazzo si allontanasse un po’ per rivolgersi nuovamente al figlio.

«Sembra proprio un bravo ragazzo.»

«Lo è» rispose con un sorriso John.

La donna non aveva dubbi su questo. John era un ragazzo assennato e responsabile, sebbene un po’ solitario. L’aver stretto amicizia con questa persona significava che era degna di fiducia e anche un po’ speciale. Ecco perché non la preoccupava l’idea di lasciarli soli a casa. Era così felice che il figlio avesse stretto finalmente amicizia con qualcuno e che questa persona gli piacesse tanto da invitarla a casa.

«Comportatevi bene.»

«Non preoccuparti. Fidati di me.»

«Lo faccio. Sempre. Sei il mio ometto» sussurrò mentre gli lasciava un bacio sulla fronte.

«Ora va, non voglio che arrivi in ritardo al lavoro.»

«Ah sì? Sicuro che tu non abbia paura che inizi a fare domande indiscrete al tuo amico? Ti vergogni della tua mamma?» lo squadrò con un ghigno.

John rise apertamente, in fondo era un po’ vero.

«Anche. Ma penso soprattutto al bene dei tuoi pazienti. Ti voglio fuori da casa in due minuti, su.»

«Va bene, va bene, vado. Se hai bisogno di qualcosa chiamami. Le medicine sai già dove sono, non affaticarti. E resta idratato. E…»

«Mamma so già tutto!» si lamentò il ragazzo mentre osservava il ritorno dell’amico.

«Ho avvisato, nessun problema. Non si preoccupi signora Watson, lo terrò io d’occhio.»

«Grazie Sherlock caro. In cucina ci sono dei soldi se volete ordinarvi qualcosa da mangiare e ti lascio anche il mio numero in caso di necessità. In bagno ci sono degli spazzolini nuovi e per il pigiama puoi usare uno di quelli di mio figlio. Se hai bisogno di altro chiedi pure, fa come se fossi a casa tua. Divertitevi e tu John cerca di riposare.»

John la salutò con un bacio mentre Sherlock lo osservava curioso, dopo di che salutò la donna a sua volta con un sorriso aperto.

Quando furono finalmente soli il moro iniziò a guardarsi attorno attentamente deducendo quante più cose possibili sulla famiglia Watson.

«Alla fine mi farai una relazione completa sulle tue deduzioni. Chissà magari scopri qualcosa che ancora non so nemmeno io» pronunciò scherzando l’amico.

«Ammetto che ero un po’ preoccupato. Sai guardando i tuoi maglioni e il tuo abbigliamento temevo che l’orrido gusto fosse ereditario, ma devo ammettere che non è così. Hai una bella casa.»

«Ehi!! I miei maglioni sono bellissimi!»

“Indossati da te lo sono” pensò Sherlock, senza però avere il coraggio di ammetterlo a voce alta e limitandosi a sorridere divertito.

«Andiamo in camera mia, così avrai qualcosa da criticare.»

Salirono le scale con lentezza, era evidente che John fosse spossato e Sherlock lo guardò con un misto di preoccupazione e affetto. In fondo l’amico si era preso cura di lui fin dal primo giorno in cui gli aveva rivolto la parola, era felice di poter finalmente ricambiare.

John fece strada verso camera sua e una volta entrato si affrettò a chiudere la finestra.

«Ho aperto per far arieggiare l’ambiente, avevo paura fosse ormai pieno di microbi. Anche se dormendo qui rischi proprio di contagiarti.»

L’espressione un po’ corrucciata e il vago senso di colpa con il quale John aveva pronunciato quelle parole fecero sciogliere il cuore di Sherlock. Anche in un momento simile si preoccupava per lui. Quanto amava quel ragazzo.

«Ti ho già detto che non è un problema. Al massimo mi salterò qualche giorno di scuola, poco male.»

«Ma tra un po’ inizieranno le vacanze di Natale. E se ti rovinassi il Natale?»

«La smetti di fare il bambino lagnoso? La febbre ti rende irritante. Ho detto che va bene e non voglio ripeterlo più. Piuttosto non hai freddo?»

«Sai Sherlock non è mia abitudine girare con una coperta stile mantello di Batman. Quindi sì, se sono così imbacuccato è perché ho freddo. Ma non eri un genio?»

«E torniamo in salotto allora idiota! Potrei prepararti…un tè?»

John lo guardò con diffidenza. Non era da lui tutta quella gentilezza.

«Che ci vuoi mettere dentro?»

«Sono offeso dalla tua mancanza di fiducia nei miei confronti. Sto solo cercando di prendermi cura di te.»

«È vagamente inquietante.»

Sherlock gli scoccò uno sguardo omicida.

«Ok, ok. E tè sia. Grazie Sherlock» aggiunse con vocetta canzonatoria mentre si dirigevano nuovamente al piano sottostante.

«Non appena ti sarai ripreso ti affogherò.»

«Impossibile, nuoto molto meglio di te, ranocchio.»

«Abbiamo cambiato favola?»

John scoppiò a ridere voltandosi verso di lui.

«Ti giuro che per una volta hai fatto tutto tu. Non mi era minimamente passata per la mente una cosa del genere. Quindi se ti bacio ti trasformerai in un principe?»

«Ti sei appena dato della principessa, John?» rispose con un’alzata di sopracciglio.

«Con un mantello del genere? Dai sono chiaramente un principe.»

«Un principe che bacia un ranocchio che si trasforma in un principe? Ma che razza di favola hai letto?»

«Ehi e chi dice che non possa andare così? A me piace questa versione. È molto più originale no?»

Sherlock lo fissò di nascosto. John lo lasciava sempre così confuso. Cos’era quello che facevano? Stavano scherzando? Flirtando?

«Comunque qui c’è il bollitore e lì la teiera.»

La voce di John lo riscosse dai suoi pensieri. Per il momento non voleva pensarci e preferiva godersi la giornata. Afferrò in silenzio il bollitore iniziando a riempirlo d’acqua, sotto lo sguardo critico dell’amico.

«Ma almeno hai mai fatto un tè in vita tua?»

«John contrariamente a ciò che pensi non sono cresciuto nella bambagia circondato da camerieri e governanti. Quindi sì, sono abbastanza autosufficiente. Siediti sul divano e aspettami.»

«D’accordo. Oh, dai un’occhiata in giro, devono esserci dei biscotti. Anzi controlla in frigo se è avanzata della torta.»

Dopo una decina di minuti Sherlock tornò in salotto reggendo un vassoio con due tazze di tè, un piattino con dentro dei biscotti e due generose fette di torta. John stava male e si meritava una merenda sostanziosa.

«Grazie Cenerentola.»

«Prego matrigna.»

«Cioè io sarei la matrigna?» replicò scandalizzato.

«Chi vuoi essere? Una delle sorellastre?»

«Sempre e solo il principe. In fondo sei nel mio castello, no?»

«Ed è così che tratti tua moglie? Come una serva? Bell’affare che ha fatto Cenerentola sposandoti. Dove sono i cuochi e i camerieri?»

«Non ne abbiamo bisogno perché sono un principe moderno. Mi occupo della casa tanto quanto mia moglie. Sono per la parità dei diritti io. Ma sai, oggi sono malato…» lo rimirò con occhioni da cucciolo.

«Smettila di fare il cretino e mangia. Hai perso qualche chilo dall’ultima volta.»

John sorrise e afferrò la forchettina con la quale si portò un pezzo di torta alla bocca. Adorava quei botta e risposta con l’amico, amava il fatto di poter scherzare così liberamente con lui.

Il pomeriggio passò veloce, tra chiacchiere e risate, Sherlock gli aveva raccontato di qualche caso che aveva già risolto e John ne era rimasto stupito e affascinato. Purtroppo vista la giovane età del ragazzo non in molti erano disposti a dargli credito, ma John non dubitava che col tempo tutti si sarebbero resi conto di quanto brillante fosse. Forse non l’avrebbero amato, Sherlock aveva pur sempre un carattere molto difficile, ma non si poteva sfuggire alla sua intelligenza. John sperava di continuare ad esserci nella sua vita, almeno per proseguire a ricordargli quanto meraviglioso fosse e che se gli altri non lo capivano era solo perché erano tutti irrimediabilmente idioti. Sentiva che nella sua seppur giovane vita Sherlock aveva già sofferto parecchio, non voleva immaginare cosa sarebbe potuto succedere se si fosse trovato ad affrontare da solo l’adolescenza e gli anni a venire. Un brivido l’attraversò per tutto il corpo. No, lui ci sarebbe stato per Sherlock, sempre, ad ogni costo.

Sherlock dal canto suo aveva notato che qualcosa non andava, non lasciandosi sfuggire il fatto che John si era fatto più vicino a lui ed un brivido l’aveva scosso. Preoccupato che la febbre fosse risalita gli portò senza troppe cerimonie una mano sulla fronte. In effetti era caldo.

«John che ne dici se ci spostiamo in camera tua? Ormai dovrebbe essere calda, la finestra l’hai chiusa da un po’.»

Ancora distratto dalla scia dei brutti pensieri che aveva fatto poco prima John si limitò ad annuire e a seguirlo su per le scale. Una volta giunti in camera Sherlock tentò di metterlo subito a letto, ma l’altro si rifiutò insistendo per dare prima all’amico tutto l’occorrente per la notte. Aveva paura di collassare una volta messo piede sotto le coperte e non voleva che si trovasse costretto a dormire con abiti scomodi.

Dopo aver sistemato la questione si rifugiò sotto l’invitante piumone acconsentendo alla richiesta di Sherlock di misurargli la temperatura. Il forte mal di testa che stava provando era già una prova sufficiente che la febbre era tornata prepotente.

Sherlock approfittò dell’attesa che il termometro facesse il suo lavoro per indossare il pigiama di John. Era un po’ largo, ma tutto sommato andava bene. Non pensò nemmeno di cambiare stanza per spogliarsi, l’avevano fatto così tante volte nello spogliatoio della piscina che ormai non aveva davvero più senso, entrambi avevano visto tutto quello che c’era da vedere. Eppure si voltò timidamente a guardare la reazione di John a quello spettacolino e si trovò di fronte all’amico che ridacchiava: evidentemente doveva avere un aspetto buffo. Sbuffò fintamente infastidito e si avvicinò al malato dandogli una leggera gomitata.

«Dammi il termometro. E ricorda che fino ai vent’anni almeno non puoi cantare vittoria. Lo sviluppo John.»

«Ma io sono certo che tu diventerai più alto di me. Ecco perché mi godo il momento adesso!»

«Mi vendicherò.»

«Sono sicuro anche di questo.»

«John la temperatura è molto alta» esclamò preoccupato mordicchiandosi un labbro «che devo fare?»

«Non preoccuparti, non è nulla di grave. Passami quelle pillole sul comodino e un bicchiere d’acqua per favore. Tra mezz’ora starò meglio, non temere.»

Sherlock eseguì tutto quello che gli era stato detto e tornò a guardarlo preoccupato. Che poteva fare per l’amico?

«È quasi ora di cena. Vuoi che ordini qualcosa?»

«Mi andrebbe tantissimo di mangiare dei noodles con pollo e verdure. A te vanno? Possiamo ordinarli da un locale qui vicino, ne fanno di buonissimi.»

«Certo, quello che vuoi. Non ti facevo un tipo da noodles.»

«Quelli già pronti che trovi al supermercato sono orrendi. Ma questi vedrai che li adorerai! Anche quelli al maiale e verdure sono deliziosi.»

«Ok, come desidera. Chiamo e torno.»

«Il numero è vicino al frigo!» gli urlò mentre l’altro già si apprestava a lasciare la stanza.

Circa un’ora più tardi entrambi sedevano sul letto di John cercando di non rovesciare nulla. Il cibo era caldo e il profumo invitante, ma John si sentiva troppo debole per tornare di sotto in sala da pranzo. Mangiava a piccoli bocconi e di tanto in tanto sorrideva verso Sherlock, nell’evidente tentativo di non farlo preoccupare troppo per le sue condizioni. Sherlock dal canto suo non smetteva di osservarlo, attento a non farsi sfuggire nemmeno un piccolo dettaglio che potesse metterlo in allarme. Aveva dato la sua parola alla madre dell’amico che si sarebbe preso cura di lui e non voleva venir meno a quella promessa in nessun modo.

«Avanti ammettilo. Sono deliziosi.» 

«Effettivamente…» concesse l’amico sollevando l’angolo delle labbra.

«Tutto qua? Andiamo!»

«Ti entusiasmi troppo per il cibo John. Di questo passo nemmeno il nuoto ti salverà.»

«Simpatico. E io che volevo farti assaggiare i miei con il pollo. Ma non te lo meriti, criticone!»

«Fammi provare questa prelibatezza, su.»

«Stai alla larga dal mio cibo.»

«Non essere ingordo. Condividi!»

«Sciò!»

«Ho detto dammeno un po’!»

«E io ho detto no. Sei sordo?»

Sherlock face l’espressione più arrabbiata di cui era capace, considerando che gli veniva da ridere. Appoggiò il contenitore da cui stava mangiando sul comodino e lo scrutò minaccioso, alzandosi sulle ginocchia.

«John Watson tu ora mi darai un po’ di quello che stai mangiando.»

«Giammai! Dovrai passare sul mio cadavere!»

«Come vuoi» esclamò con tono basso prima di lanciarsi su di lui.

John si trovò ben presto in difficoltà, cercava di tenere a bada con una mano l’amico, aiutandosi anche con le gambe, mentre aveva l’altra impegnata nell’arduo compito di difendere i suoi noodles. In tutto questo le risate gli toglievano le già poche forze che aveva. Sherlock gli era quasi completamente sdraiato su e stava allungando un braccio per raggiungere la sua meta, quando con un rapido gesto l’amico riuscì inaspettatamente a ribaltare la situazione.

«Vergognati Sherlock. Sono debole e febbricitante e ti ho comunque battuto con una mano!» proclamò mentre lo immobilizzava portando le ginocchia intorno ai suoi fianchi, sedendosi su di lui. In realtà sapeva benissimo che Sherlock, conscio delle sue condizioni, c’era andato molto piano con lui.

Sherlock dal canto suo restava immobile, quella posizione gli evocava scenari molto meno casti e non poteva permettersi che la sua mente vagasse verso quella direzione.

«Devi decretare la mia vittoria. Devi dire ‘John è il mio unico signore’.»

«Cosa? Sei pazzo! Lasciami andare.»

John, insoddisfatto della risposta, appoggiò il proprio cibo accanto a quello di Sherlock e tornò a rivolgere tutta la sua attenzione verso l’amico.

«Vediamo come posso convincerti. Forse è il momento di scoprire se soffri il solletico.»

«John! Non osare!»

I tentativi di Sherlock di scacciare l’amico furono velocemente interrotti da John che gli immobilizzava le braccia sulla testa, bloccandogli i polsi con una mano. Non indugiare verso quella direzione diventava sempre più difficile.

«Allora? Qualcosa da dichiarare?»

«Non mi piegherò mai a questo subdolo ricatto!»

«Come vuoi. Propongo di iniziare dai fianchi.»

Non fece in tempo a portare una mano a sfiorargli la vita che Sherlock iniziò a dimenarsi sotto di lui.

«Ma allora lo soffri il solletico. Un sacco direi!» esclamò John ridendo a sua volta.

«Ok, ok mi arrendo.»

«Wow, che grandissima forza di volontà. Ho appena iniziato.»

«Mi basta così, grazie. Non voglio essere torturato.»

«Allora dillo.»

«Devo proprio?»

«Sì.»

«John è il mio unico signore.»

John sorrise divertito e gli si avvicinò per scoccagli un bacio sulla guancia che portò via a Sherlock tutta l’aria nei polmoni.

«Bravo ragazzo. Ora come premio avrai un po’ del mio cibo. Apri la bocca.»

Sherlock ancora scioccato dal gesto di poco prima ubbidì in silenzio, rendendosi conto subito dopo che John aveva recuperato il contenitore con i noodles e in pratica lo stava imboccando. Trovò il gesto molto tenero.

Dopo poco John lo liberò e ripresero a mangiare allegramente, Sherlock aveva imitato il gesto dell’amico imboccandolo per fargli assaggiare i suoi noodles al maiale e verdure e si scoprì felice di condividere con qualcuno tutta quell’intimità.

Una volta terminato Sherlock si preoccupò di pulire tutto e buttare i contenitori ormai vuoti di cibo. Se solo sua madre l’avesse visto si sarebbe chiesta che fine avesse fatto suo figlio. Tornò sul letto con l’amico ancora in vena di prenderlo in giro.

«E comunque ringrazia di essere malato. Avrei potuto liberarmi in qualunque momento, ma ho avuto pietà di te.»

«Oh sì? Davvero?»

«Proprio così.»

«Allora vediamo un po’.»

Prima che Sherlock avesse la possibilità di dire o fare niente l’amico gli si risistemò su, nella stessa posizione di poco prima.

«Su, fammi vedere, liberati.»

Sherlock cercò di divincolarsi, ma John lo teneva stretto con le gambe e quando aveva provato a aiutarsi con le braccia l’altro gli aveva bloccato anche quelle. Niente da fare, la differenza di altezza e di peso si facevano sentire. John si era perso a guardare la faccia rossa e affaticata dell’amico, giudicandola deliziosa, quando l’altro sbottò.

«Ora basta John. Non è più divertente.»

Il ragazzo rilasciò immediatamente la presa, facendo per alzarsi spaventato di aver fatto qualcosa di inopportuno che avesse fatto arrabbiare l’amico, quando si sentì rovesciare sulla schiena e prima che potesse realizzare ciò che era successo Sherlock gli era sopra bloccandogli ogni movimento.

«John, John, John. Caro, vecchio e leale John. Il tuo punto debole è sicuramente il tuo buon cuore, troppo allettante per non approfittarne.»

«Ma quanto sei stronzo! Io credevo di averti fatto male o di averti offeso in qualche modo.»

«In guerra tutto è valido, non lo sai?»

«Beh non solo in guerra secondo il detto…» sussurrò tra i denti il biondo.

«Che?»

«Niente. Beh hai vinto, ora lasciami andare.»

«Ti piacerebbe. Com’era? “Devi decretare la mia vittoria”» imitò con vocetta canzonatoria.

«Te lo scordi, hai vinto con l’inganno!»

«Non c’è scritto da nessuna parte che non sia un’opzione valida.»

«Sherlock Holmes sei un essere infido.»

«Ma pur sempre un vincitore.»

«Ok, cosa devo dire?»

«Fammi pensare, qualcosa che esprima tutta la mia magnificenza e importanza.»

«Addirittura.»

«Già. E poi devi aggiungere che sei il mio scendiletto[2]» terminò ridendo.

«E questa come ti è venuta?» rispose ridendo a sua volta

«Non saprei, devo averla sentita da qualche parte.»

«E va bene Sherlock Holmes, facciamo come vuoi tu. Qualcosa che esprima la tua magnificenza e importanza hai detto» si zittì per qualche secondo pensieroso per poi riprendere subito dopo «ok ci sono.»

«Sono tutto orecchie.»

John attese un attimo prima di parlare, prendendo un lungo respiro e guardandolo fisso negli occhi. C’era qualcosa che non andava in lui, ma Sherlock non ci fece caso troppo distratto da quelle iridi del colore del mare.

«Credo che tu sia diventato la persona più importante per me. Il che ha dell’assurdo visto che non lascio mai entrare nessuno nella mia vita.»

Sherlock arrossì immediatamente, sentendo il cuore battergli forte. Non era preparato a qualcosa del genere, come ci erano arrivati? Un attimo prima stavano scherzando e quello dopo John gli diceva qualcosa di così bello. Incapace di proferir parola Sherlock si limitò a osservarlo in silenzio, mentre John gli concedeva tutto il tempo di cui necessitava per metabolizzare la cosa. Quando finalmente il volto del moro si aprì in un sorriso notò una rapida espressione di fastidio sul volto di John.

«Che ti prende?»

«A che ti riferisci?»

«Non far finta di niente, cos’hai? Ti fa male qualcosa?»

«Non è niente Sherlock.»

«John!»

«Ho solo un po’ di mal di stomaco, niente di cui preoccuparsi davvero.»

 «Sicuro che è solo questo?»

«Te lo giuro.»

«Ok. Solo un po’ di mal di stomaco?» chiese ancora in modo un po' infantile per avere un’ulteriore conferma sulle condizioni dell’amico.

«Più come se avessi ricevuto un pugno nello stomaco o me lo stessero torcendo con forza, ma sì, solo un po’ di mal di stomaco.»

«Aspetta mi alzo, sono seduto proprio su di te…»

«Non ti muovere» esclamò portando entrambe le mani sulle sue cosce per bloccarlo in quella posizione «non mi dai fastidio.»

«Sicuro?»

«Sicuro.»

«Ehi! Ma non hai detto tutto quello che ti ho chiesto! Non è che è una scusa per farmene dimenticare?»

«Oh no! Mi hai scoperto!»

«Avanti John Watson, sei biondo come un Lannister, vedi di pagare i tuoi debiti.»

«Io un Lannister?? Al massimo uno Stark! Mi ritengo gravemente offeso.»

«Sì, sì, come vuoi. Io starei ancora aspettando.»

«Ok, ok. Sono il tuo scendiletto, contento?»

«Molto!»

Entrambi scoppiarono a ridere divertiti e solo dopo qualche minuto furono di nuovo in grado di parlare, seppur ancora tra i risolini.

«E poi Game of Thrones? Sei serio? Tu?»

«Che posso dirti? Tu sei un patito di serie tv e non facevi che parlarne, mi avrai trascinato sulla cattiva strada.»

«Non c’è di che!»

Rimasero un altro po’ così, a ridacchiare e riprendere fiato, godendo della serenità lasciata dall’euforia e dalla gioia. Era bello passare questi momenti con John, Sherlock si sentiva bene come non mai. Fu sulla scia di quel buon umore che Sherlock avvertì un cambio d’atmosfera. Vide John farsi più serio e guardarlo con occhi diversi, febbrili e sognanti. Semplicemente gli sembrò il momento giusto, sentiva di dover far qualcosa. Così si appoggiò per bene alle braccia che lo sostenevano ai lati della testa dell’amico e iniziò ad abbassarsi lentamente per raggiungere quelle labbra che gli risultavano invitanti come non mai. John lo guardava con occhi spalancati e Sherlock non volle chiudere i propri per cercare di scorgere ogni minima esitazione o rifiuto. Mancavano ormai pochi centimetri quando John gli negò il contatto visivo serrando forte le palpebre e assumendo un’espressione di dolore. Sherlock si allarmò subito cercando di capire cosa non andasse, quando lo vide portarsi una mano sullo stomaco.

«Sherlock, scusa io…»

Non ci fu nemmeno bisogno di spiegare la situazione che Sherlock era già in piedi, pronto a seguire John in bagno sorreggendolo mentre rimetteva l’intera cena. John appariva completamente senza forze, con un’espressione tremendamente colpevole sul viso.

«Sherlock mi dispiace così tanto.»

«Shhh. Non dirlo nemmeno, piuttosto ora ti senti meglio?»

«Io…credo che tutti quei volteggi sul letto e ridere così forte…non so…ma Sherlock io non volevo…» Sherlock osservò che l’amico era quasi sull’orlo delle lacrime e gli si strinse il cuore. Come poteva pensare che fosse arrabbiato con lui? Gli si fece più vicino e lo attirò a sé, stringendolo in un abbraccio.

«Ehi, va tutto bene. A me interessa solo che tu stia bene.»

Lo tenne stretto finché l’amico non smise di tremare e rispose al suo abbraccio.

«Che ne dici se ci rimettiamo a letto? Hai bisogno di riposare. Ti starò accanto finché non ti addormenti.»

No, non era proprio da lui tutta quella tenerezza, il tono dolce con cui si stava rivolgendo all’altro. Ma John sembrava così tanto perso in quel momento, così spaurito e in difficoltà che Sherlock aveva solo voglia di prendersi cura di lui. Non erano in molti ad affidarsi in quel modo a lui, anzi a dirla tutta non lo faceva nessuno, nessuno riponeva così tanta fiducia in lui.

«Va bene, però prima fammi lavare i denti, ho un saporaccio in bocca.»

«Ti aspetto in camera.»
 

John lo raggiunse poco dopo, mentre Sherlock prese il suo posto in bagno per lavarsi a sua volta i denti e prepararsi per la notte. Quando tornò nella stanza di John temeva di trovarlo già addormentato, invece l’amico l’attendeva seduto a bordo letto.

«Perché non ti sei messo sotto le coperte?»

«Ti aspettavo.»

«Ma così prenderai freddo.»

«Non importa. Sherlock io…ti volevo ringraziare. Per tutto. Mai nessuno al di fuori della mia famiglia si era interessato così a me. Tu ti stai prendendo cura di me e io te ne sono grato.»

«John tu lo fai da quando ci siamo conosciuti, mi sembra il minimo. Ora fila sotto le coperte e non farmi arrabbiare.»

«Agli ordini. Tu dove preferisci dormire? Il mio letto è grande, ma capirei se non volessi stare tutta la notte vicino ad un portatore di germi. Volendo puoi dormire in camera di Harry.»

«Se tu sei d’accordo a me va benissimo dormire con te» rispose timidamente il bruno.

Evidentemente John doveva esserlo perché si esibì in un sorriso bellissimo.

«Certo, vieni qua» indicò scostando il caldo piumone.

Sherlock non se lo fece ripetere due volte e si infilò a letto vicino a John, molto più vicino di quanto una normale amicizia prevedrebbe, ma senza abbarbicarglisi addosso. A questo ci pensarono entrambi una volta addormentati, non a caso Sherlock si svegliò in piena notte con l’amico stretto contro di lui mentre a sua volta gli passava le braccia intorno alle spalle con fare protettivo. Evidentemente nell’incoscienza del sonno si erano entrambi mossi l’uno verso l’altro fino a diventare un irriconoscibile guazzabuglio di arti.

Sherlock strizzò gli occhi cercando di riprendere coscienza di ciò che lo circondava, cosa lo aveva svegliato? Aveva sentito un rumore, qualcosa. Si strinse ancora più forte l’amico contro il petto attento a captare ogni eventuale pericolo. Ma poco dopo si rese conto che ciò che l’aveva ridestato erano i lamenti dell’amico, che evidentemente stava avendo un incubo. Cominciò ad accarezzargli lentamente un braccio e la schiena, chiamandolo con dolcezza. John aprì gli occhi poco dopo, ancora inquieto per ciò che l’aveva scosso nel sonno, si guardò intorno con fare allarmato realizzando solo dopo qualche secondo dove si trovava e con chi.

«Ehi. Va tutto bene, era solo un sogno.»

«Sherlock.»

«Sì sono io, sono qui.»

John non pronunciò altre parole limitandosi a seppellire il volto contro il petto dell’altro, respirando l’odore dell’amico mischiato al proprio, proveniente dal suo pigiama. Gli piaceva quella combinazione. Sherlock profumava di buono, di fresco e di pulito e il calore che proveniva dal suo corpo era estremamente confortante. Il bruno lo coccolò per qualche altro minuto, permettendogli di tornare pienamente in sé, prima di far sentire nuovamente la sua voce.

«Ne vuoi parlare?»

«No.»

«Va bene» concesse, passandogli una mano tra i capelli. Probabilmente non avrebbe mai più indugiato in simili gesti, ma era come se l’oscurità della notte permettesse molto più di quanto fosse normalmente accettabile. Si azzardò anche a portare le proprie labbra sulla fronte dell’amico, un po’ per sentirgli la temperatura, un po’ per lasciargli un piccolo bacio.

«Ti è salita di nuovo la febbre. Prendiamo le medicine?»

John si limitò ad annuire, ma senza alcuna intenzione di staccarsi dall’amico, cosa che provocò qualche difficoltà a Sherlock che cercava di fare tutto senza sballottare troppo l’altro. Fortunatamente era stato previdente e aveva preparato ogni cosa prima di mettersi a letto, lasciando il necessario a portata di mano. John fece tutto quello che l’amico gli diceva, stranamente ubbidiente, prima di risistemarsi ancora più appiccicato a lui. Non voleva in nessun modo sciogliere quell’abbraccio. E Sherlock la pensava uguale, visto che gli fece sistemare la testa vicino al suo collo, passandogli le braccia intorno alla schiena in un gesto possessivo. Cullato dalle sue carezze e con la febbre che gli appannava la mente John impiegò davvero poco tempo per riaddormentarsi, mentre Sherlock preferì godersi ancora un po’ quel momento che probabilmente non sarebbe mai più ricapitato. John era debole e indifeso, ma cosa sarebbe successo una volta che si fosse rimesso in forze? Probabilmente avrebbero ignorato la cosa non parlandone mai più, fingendo che nulla fosse successo. Eppure John non sembrava intenzionato a tirarsi indietro quando Sherlock aveva provato a baciarlo. Che non avesse capito le reali intenzioni del moro? Ma poi valeva la pena rischiare la loro amicizia per una minuscola possibilità? Certo rispetto al principio le probabilità che John potesse ricambiarlo erano sicuramente salite, ma statisticamente parlando di che percentuale si trattava? Era sufficiente per rischiare? E se anche fossero diventati una coppia quante possibilità ci sarebbero state, visto la loro giovane età, che la cosa funzionasse a lungo termine? Non era molto più probabile che un amicizia avesse una data di scadenza più lontana di un amore?

Sherlock lo sapeva, non era uno stupido, era conscio che era troppo piccolo per poter parlare di amori che duravano tutta una vita. Cosa si conosce del mondo a nemmeno quindici anni? Ma Sherlock sapeva anche di non essere una persona come tutte le altre, sentiva che non avrebbe mai provato le stesse cose per nessun altro. Che non si sarebbe mai potuto innamorare di qualcuno che non fosse John Watson. Lui era la sua persona. E poco importava che probabilmente qualsiasi ragazzino della sua età la pensasse allo stesso modo, per lui non c’era mai stato nessun altro se non John. Ma poteva dire lo stesso dell’amico? Se anche avesse ricambiato i suoi sentimenti (e questo era ancora tutto da vedere), quanto a lungo sarebbe durata? Quanto prima che gli spezzasse il cuore, da amico o da qualcosa di più?

«Mi farai a pezzi, lo so» sussurrò a bassa voce, immergendo il naso nei suoi morbidi capelli e inalandone il profumo. Era pronto a rischiare, voleva esserlo, perché avere John nella sua vita, in qualunque modo questo volesse esserci, era ciò che più desiderava al mondo.

«Sei l’amore della mia vita» bisbigliò flebile depositando un bacio tra i capelli. John sorrise soddisfatto, ancora immerso in un sonno profondo. Sherlock lo strinse impercettibilmente e l’altro rispose sfregando leggermente il naso contro il suo collo. La tenerezza di quel gesto, il respiro caldo dell’amico sul suo collo e il tepore del suo corpo lo accompagnarono poco dopo in un sonno sereno.
 




Note:
Vi avevo preparato delle note lunghissime. Non scherzo sono davvero, davvero lunghe. Erano principalmente su due argomenti, la mamma di John e un eventuale OOC dei protagonisti (lo so, lo percepisco che mi odiate per questo! Ma credetemi ho le mie ragioni, nella mia testa tutto questo funziona ed ha un senso, non è OOC. Nella mia testa). Ma io odio spiegare queste cose, vorrei davvero che emergessero dal testo, quindi facciamo così: per il momento non dico nulla, aspetto le vostre reazioni al capitolo, dopodiché se dovesse essercene bisogno le aggiungerò in seguito. Vediamo un po' quanto sensibili siete voi e quanto schifo faccio io ad esprimermi! A presto!!



 

[1] Martin Freeman ha detto che una delle prime volte che ha visto Ben recitare ha pensato “Chi è questo bimbo?” usando proprio la parola “kid”. La tentazione di usarlo era troppo forte, è una cosa troppo tenera!
[2] È una cosa ripresa da Scrubs, un gioco tra JD e Turk.
   
 
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: SusyCherry