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Autore: Saruwatari_Asuka    27/04/2019    1 recensioni
La vita è una maschera, tu dici, e questo per te è fonte inesauribile di divertimento, e sei così abile che ancora non è riuscito a nessuno di smascherarti: poiché ogni manifestazione tua è sempre un inganno; solo in questo modo tu puoi respirare e far sì che la gente non si serri intorno a te e ostacoli la tua respirazione. In questo sta la tua attività, nel mantenere il tuo nascondiglio, e questo ti riesce, perché la tua maschera è la più misteriosa di tutte; infatti non sei nulla, e sei sempre soltanto in relazione con gli altri, e ciò che tu sei, lo sei per questa relazione. (...)
Non sai che arriverà la mezzanotte in cui ognuno dovrà smascherarsi? Credi che si possa sempre scherzare con la vita? Credi che si possa di nascosto sgattaiolar via un po’ prima della mezzanotte per sfuggirla?
(Søren Kierkegaard)
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aries Mu, Gold Saints, Leo Aiolia
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 5

 

 

 

Grecia. Santuario di Atene. 23 Febbraio 1979.

 

Quando era tornato quella sera, Leo aveva subito notato la luce accesa nel Tempio dell'Anfora Dorata, ma non era comunque salito ad accertarsi che il suo Custode fosse effettivamente tornato.

Aiolia ormai non sapeva più come interpretare il comportamento del Custode dell'Undicesima, ma dopotutto non aveva mai avuto un gran rapporto con lui. Era il migliore amico di Milo, anche se sembrava strano conoscendoli, e Milo era un suo prezioso compagno, ma nonostante questo le loro conversazioni erano sempre state intermediate dallo Scorpione e da bambino Camus era sempre stato molto sulle sue.

Quindi, il fatto che non l'avesse salutato prima di andarsene o che non si fosse fatto rivedere al suo rientro non implicava che lo credesse davvero un traditore.

Ma il sesto senso di Aiolia, che non era infallibile ma di cui si fidava ciecamente, gli diceva che Camus sapeva. Aveva capito e non aveva intenzione di fare nulla.

Perché era sempre stato così, Aquarius. Se non lo colpiva direttamente, o non colpiva direttamente Milo, non era un problema suo. E, visto come stava andando il Santuario, seppur nelle mani di un impostore, che senso avrebbe avuto intervenire e creare quella che si sarebbe poi rivelata una vera e propria guerra interna?

No, dal punto di vista del glaciale francese la decisione di ignorare i segnali doveva essere la scelta migliore da fare.

E Aiolia, per questo, lo odiò, appuntando il suo nome sulla sua lunga, infinita lista nera.

Lui, e tutte quelle malelingue e quei traditori,  i veri traditori, che continuavano ad infangare e disprezzare la memoria di suo fratello. Una memoria che Aiolia stava solo aspettando di poter rispolverare, lucidare. Per sputare in faccia a tutti quanti, per prendere tutti a pugni.

Tutti.

L'impostore, quei tre traditori, Camus, che si voltava dall'altra parte.

E si chiese se anche Milo aveva capito, o avrebbe creduto. Milo che non era ancora tornato.

E Aldebaran, che sapeva?

Quella volta, Aldebaran aveva ascoltato in silenzio, tutto quanto. E non aveva giudicato, non aveva accusato, puntato il dito. Gli aveva messo una mano sulla spalla e aveva stretto, forte, quasi a fargli male. Non aveva detto niente, se ne era solo andato. Lasciandolo lì, muto, solo, tradito...abbandonato. Anche da lui, che forse poteva essere il suo unico alleato.

E poi era tornato il giorno successivo, di corsa e pallido. Aiolia l'aveva guardato di sotto in su, furioso.

"Il Sommo mi ha convocato," gli aveva detto Toro, concitato.

Aiolia aveva assottigliato gli occhi, "E allora? Fai pure, denunciami...ammazzami, portagli direttamente il mio cadavere, se pensi di riuscire a battermi. Non ritirerò una sola parola di quello che ho detto!"

"No, che hai capito, Lia?" fu la risposta di Aldebaran, svelto, quasi avesse paura ancora che qualcuno li spiasse, anche se non sapeva chi, "Ieri ho incontrato Shaka, è partito per l'India, per l'allenamento. Anche Milo se ne va. Se manda via anche me? Rimani solo, Aiolia!"

E allora Aiolia aveva capito, aveva capito che se Aldebaran non gli aveva risposto era stato perché doveva elaborare il concetto. Perché era una notizia grande, enorme, e credere significava mentire, infrangere tutte le leggi del Santuario, rischiare una condanna a morte o, peggio, la rinuncia all'armatura. Ma non aveva neanche fatto in tempo a decidere, che il Sommo l'aveva davvero mandato via, anche lui come Shaka prima e Milo dopo, e forse il prossimo sarebbe stato Camus, l'ultimo di loro ad essere stato investito ancora a metà dell'addestramento. A parte Mu, ovvio, ma la voce che Mu fosse stato il primo a partire si era già sparsa, anche se non era così. E Aiolia stesso, ma Aiolia non poteva lasciare il Santuario, perché era lì che si era allenato fin da principio.

"Io ti conosco, Aiolia, lo so che se rimani da solo farai qualche cavolata! Hai tutti gli occhi addosso, non te lo devi scordare!"

Commosso da tutta quella preoccupazione, Aiolia aveva abbozzato il primo sorriso da quella famosa Notte degli Inganni. "Sta tranquillo, Al. L'ho promesso anche a Mu. Niente colpi di testa, niente sparate. Non è ancora ora."

"Devi aspettare che torno! Aspetta, capito? Se torno e sei morto, ti disseppellisco e ti do il resto!"

Aiolia aveva riso, a quella frase, senza aggiungere altro. Almeno, finché la grossa schiena del Toro non era uscita dal colonnato della Quinta Casa.

"Mi credi, allora?"

"Non so in cosa credere, Lia. Ma so che né tu, né MuAiolos fareste mai una cosa simile, e questo mi porta a pensare. Quindi non farti ammazzare, Aiolia."

Ed era partito davvero il giorno dopo, Aldebaran, proprio come avevano temuto. Lo stesso giorno se ne era andato anche Camus, salutandolo appena con un cenno del capo.

"Aiolia, posso superare la tua Casa?" la voce di Shaka lo riportò alla realtà, e Leo abbassò appena il capo.

Stava ancora fissando l'Undicesima Casa, perso in ricordi e pensieri, e non se ne era neanche accorto. Ma Shaka adesso era lì, davanti a lui. Più alto, non tanto da superarlo ancora però. Ma era l'unico cambiamento evidente che riuscì a notare, insieme ai lunghi capelli biondi che adesso arrivavano a metà schiena, ricadendo morbidi su spalle che sembravano ancora troppo strette, ad Aiolia, per reggere il peso di un'armatura d'oro. Eppure, Shaka era uno dei cavalieri più potenti che conosceva.

"Bentornato, Shaka. Passa pure."

"Ti ringrazio," fece l'altro, prima di superarlo.

Aiolia non notò nemmeno un piccolo movimento di sopracciglia, quando gli passò accanto per raggiungere la Casa successiva, la sua. Eppure, Shaka fece solo pochi passi, nonostante non sembrasse voler effettivamente parlare, prima di fermarsi di nuovo.

Dandogli questa volta le spalle, gli occhi rigorosamente serrati sul mondo fissi verso il Tredicesimo Tempio. Quello dov'era il Gran Sacerdote. L'impostore, secondo Mu.

Shaka, invece, un'idea definitiva non era riuscito a farsela. Aveva fiducia in Mu, ma si sentiva confuso, perché non poteva non credere anche a quello che aveva visto a sua volta. Innumerevoli volte, in quegli anni di lontananza, aveva provato a confessare i suoi timori al Buddha e a chiedere i suoi consigli ma lui, seppur rispondendo sempre alle sue chiamate, non si era mai esposto.

Quella decisione, che poteva rivelarsi fatale, doveva prenderla da solo. L'unico consiglio che gli aveva dato era di non lasciarsi ingannare dalle apparenze. Ma quali apparenze? Quelle fisiche, quelle che l'avevano portato a credere a Mu e a diffidare persino della più alta Carica del Santuario? O quelle mentali, quelle che lo portavano a credere che, impostore o meno, c'era qualcosa di buono, in quell'uomo, che urlava e chiedeva di essere salvato, seppur inconsciamente?

Doveva accettare la furia di Aiolia, e far fuori l'impostore insieme a lui e Mu? O doveva star fermo, e aspettare, per non commettere il grave errore di uccidere qualcuno che, forse, poteva ancora essere aitato? L'anima che aveva scorto in quell'uomo era  candida e fedele alla Dea Athena, non era macchiata od oscura. Ma se non era Shion, come poteva essere possibile?

Come poteva prendere una decisione simile? Quale delle due facce doveva guardare? Il bene del Santuario, e quindi la giustizia, o la verità, anche se solo apparente?

Non riusciva a capirlo. E lui, da solo, che seppur così vicino agli Dei era solo un uomo, come poteva?

Non stava a lui, quella decisione, forse era questo che voleva dirgli il Buddha. Il suo unico compito era aspettare, guardare con gli occhi della Ragione e della Giustizia, e intervenire solo se necessario.

Quando necessario.

Per l'una o per l'altra fazione, solo in quel modo avrebbe potuto prendere la Giusta decisione.

"C'è qualche cosa che non va?"

"No, Leo. Mi stavo solo chiedendo come fossero andate le cose qui al Grande Tempio, in questi anni."

"Tutto come al solito, Virgo. Schifosamente e pateticamente falso."

"Farò finta di non aver sentito."

"Fa un po' come ti pare."

E nel frattempo, forse, sarebbe stato il caso di gettare un occhio anche al fiero e focoso Leone, suo vicino di Casa. Per rispetto a Mu, e anche ad Aiolos, che tanto stimava.

Per essere certo che non intralciasse il giusto cammino del Fato mettendosi in qualche guaio o facendosi uccidere.

 

Milo era tornato al Santuario per ultimo e aveva volutamente e attentamente evitato Aiolia.

Non voleva parlargli, non aveva niente da dirgli. Non al momento, non ancora, almeno.

C'era altro, invece, che doveva fare: schiarirsi le idee. Scacciare i dubbi.

Lui, da solo, non ce l'aveva fatta in quegli anni. Perché se con la mente non poteva minimamente pensare di tradire le ideologie del Santuario e l'alta carica che era il Sacerdote, dall'altra il suo animo lo spingeva a credere all'amico, a quel bambino solare e gioioso con cui era cresciuto.

Aiolia era stato il primo con cui Milo avesse mai parlato, quand'era arrivato, troppo piccolo anche solo per capire che cosa stesse succedendo ma euforico all'idea di conoscere nuove persone. Aiolia era nato lì, e suo fratello era diventato Cavaliere giovanissimo, quindi già sapeva tutto. Era stato un po' la sua guida, un aiuto immenso per quel bambino che si era ritrovato solo all'improvviso.

Fino all'arrivo di Camus, Aiolia era stato il suo unico compagno, quello con cui ridere e scherzare, quello con cui divertirsi ad ideare scherzi su scherzi ai danni degli altri, senza un preciso motivo.

Poi era arrivato Camus, che da vittima preferita del pestifero Milo era diventato in fretta il suo migliore amico. Era un legame diverso, non più profondo ma più complice e serio di quello che lo univa al Leone. Milo ci si era aggrappato, perché Camus era l'altra metà della mela, e lo teneva in equilibrio. Se da una parte c'era l'irascibilità dello scorpione, dall'altra arrivava la fredda compostezza dell'acquario.

Aiolia invece era persino più focoso di Milo e in quei giorni Scorpio aveva quasi paura di sapere che cosa potesse star pensando.

Ma teneva all'amico, e non voleva essere costretto a litigare con lui, né che Aiolia fraintendesse.

Perché Milo credeva, ma allo stesso tempo temeva.

Temeva che credere potesse portare solo guai. E altre morti inutili.

E lui ci teneva ad evitarle, le morti inutili.

Per questo ignorò Aiolia, non andò a salutarlo, lo lasciò invece alle cure di Aldebaran, che era sempre stato gentile con tutti e riusciva a strapparti un po' di serenità anche nei momento più bui.

Milo era certo, in fondo, che Aldebaran, in assenza di Mu, fosse la soluzione ideale per il Leone. Che lo tenesse buono, nel frattempo.

Lui aveva altro a cui pensare.

Camus era all'Undicesima, come sempre. Da quando aveva preso l'armatura, non scendeva mai in Arena nei momenti più caotici. In verità, Milo ce lo aveva intravisto solo di sera, o in piena notte. Da solo, soprattutto in inverno, quando il gelo e il freddo, e a volte la neve, forse lo facevano sentire a casa. Per l'altra parte della giornata Camus leggeva; studiava le stelle, studiava la storia, studiava le lingue.

A Camus piaceva studiare, forse persino troppo, per i gusti di Milo, ma ormai ci si era abituato.

E lo trovò lì anche quel giorno, il libro sulle ginocchia e i capelli, più lunghi, legati strettamente.

"Non sei cambiato di una virgola!" esclamò subito dopo aver varcato la soglia dell'Undicesima.

Camus alzò di scatto il capo, chiudendo il libro; Milo non riuscì neanche a leggerne il titolo, in francese, tant'era stato veloce. "Milo, sei tornato! Tu, invece, un po' sei cambiato," fece, un sorriso appena accennato, un sorriso alla Camus che racchiudeva in niente un intero mondo.

Milo scrollò le spalle, scompigliandosi la zazzera bionda: crescendo, aveva fatto allungare i capelli scoprendo che la forza di gravità era utile anche per il suo caso disperato e adesso erano meno arruffati e crespi, più ricci e, in un certo modo contorto, più ordinati. Gli arrivavano ancora solo a metà schiena, ma piuttosto che ritrovarsi di nuovo con quel cespuglio in cui la tiara dell'armatura si reggeva appena non li avrebbe mai più tagliati.

"La natura è un ottimo parrucchiere. Posso sedermi qui?"

"Certo," concesse subito l'altro, passandogli il cuscino rosso. Il preferito di Milo.

A Milo piaceva sdraiarsi a terra, rotolarsi e cambiare posizione in continuazione anche nei discorsi più seri. Soprattutto nei discorsi più seri.

Quello che era venuto ad intraprendere lo era, o non avrebbe indicato il pavimento, visto che c'era posto sul divanetto a due accanto a Camus stesso.

Milo afferrò il cuscino e lo gettò a terra, fiondandocisi sopra, "Come stai? Com'è andato l'allenamento?"

Camus scrollò le spalle, "Normale, direi."

"Ma che risposta è?"

"La più logica, no? E' andata normale, come doveva andare. O tu hai qualcosa da raccontare?"

"No...no, niente."

"Visto? Normale," ripeté, poi lo guardò più attentamente. Se ne stava lì, col cuscino sotto la pancia, a prendersi piccole ciocche di capelli fra le mani, spezzarsi le punte e gettarle a terra. Gli avrebbe riempito il pavimento. "A cosa stai pensando?"

"A niente."

"Milo..."

"Te lo giuro. Non posso venire a trovare il mio migliore amico che non vedo da sei anni e più?"

"Certo. A patto che non decidi di diventare calvo e lasciare a me l'incombenza di liberarmi del tuo pelame. Che è parecchio, e mi scoccerebbe."

Milo lo guardò da sotto in su, stupito, "Cos'era, ironia?" fece, praticamente a bocca spalancata.

Camus non faceva mai ironia. A malapena parlava, di solito, era quasi sempre lui a farlo per entrambi.

"Pazzesco, allora sei cambiato, altro che!"

Camus scosse il capo, "Allora?"

"Allora niente. Sono tornato stamattina, in verità, e in Arena ho incontrato Aldebaran e Aiolia...ma non mi sono avvicinato."

"E perché? E dove sei stato per più di tre ore?"

"In giro. A non fare niente. A pensare."

"A che cosa pensi, Milo?"

"A un sacco di cose," sospirò, "A un sacco di cose che non mi piacciono, Cam. Proprio un sacco."

Camus lo fissò ancora un po', ma le mani di Milo stavolta erano ferme, una sull'altra, a terra. Si sentiva più tranquillo, forse perché stava parlando con lui.

"Spiegati."

"Davvero devo dirtelo io, Cam? Tu sei più intelligente di me, se l'ho capito io, di certo tu hai già in testa tutto il quadro completo!"

"Non ti sottovaluti un po' troppo? Tu dimmi lo stesso, anche se pensi che io sappia già."

Milo sospirò, "Va bene. Ma siediti comodo, perché ti giuro...se iniziamo questo discorso non arriveremo ad una fino molto presto!"

"Sono comodo. Coraggio, ti ascolto!"

Milo si alzò a sedere in maniera più composta, schiena dritta e gambe incrociate. Il cuscino rosso sulle ginocchia, le mani a giocare con i lembi.

"Il fatto è che mi sento confuso, capisci? So che non bisogna fare questi discorsi, che è un po' illegale tipo, ma non riesco a fare a meno di pensare che da quella notte...da quando Aiolos...insomma, hai capito, le cose sono andate davvero male. C'è aria di complotto da tutte le parti, qui, ovunque mi giro la gente borbotta. Ma non dovrebbe essere tutto risolto, visto che il traditore è stato fermato e Athena è di nuovo qui al sicuro? E invece non pare per niente sistemato! Mu è sparito nel nulla, e anche se la gente dice che è ad allenarsi ormai non ci credo più. Il Sommo aveva chiesto di trovarlo per parlargli, prima di mandarci via, e già quella volta avevo avuto una strana sensazione: mi è partito un brivido proprio lungo la schiena, come se presagissi un guaio. E poi c'è Aiolia, ed un po' è ovvio che ce l'abbia con tutti no? Però se Aiolos era davvero un traditore, allora non dovrebbe fare così, perché rischia di passare per un pazzo. E adesso Aldebaran gli da corda! E se il Sommo...Cam, che rimanga fra di noi, ma se il Sommo non fosse chi dovrebbe essere? Che cosa facciamo? Io non voglio stare contro Aiolia, è mio amico, e anche Al. Mi dispiacerebbe combattere anche contro Mu, ucciderlo ancora di più."

Milo tacque, riprendendo fiato, e anche Camus tacque.

Perché sì, tutti quei dubbi il Custode dell'Undicesima li aveva già avuti, anni prima, giorni prima della partenza. Aveva notato qualcosa, qualcosa di diverso nel Sommo. E adesso, tornando, anche in Aphrodite e Deathmask. Nello sguardo di Aiolia, a cui era sfuggito, ma che aveva intravisto.

Perché, come diceva Milo, il Sommo non era chi diceva di essere.

Shion, il buon Shion che anche con la maschera sapeva essere gentile e caritatevole, era sparito.

Se fisicamente, perché era davvero morto, o solo spiritualmente, troppo deluso da ciò che era accaduto, Camus non lo sapeva, perché aveva avuto modo di vederlo troppo poco per farsi un'idea davvero precisa.

Eppure era così. Le cose lì al Grande Tempio erano cambiate, stavano cambiando e avrebbero continuato a cambiare, temeva. E non in meglio.

E adesso anche Milo aveva intuito, Milo che come unico dilemma fino a quel momento si era posto solo l'amicizia di Aiolia. Ma Milo era pericoloso almeno quanto lo era il Leone, perché lì dove il Leone tendeva a sbranare le sue prede appena ne aveva la possibilità, lo Scorpione pungeva senza pensare che le conseguenze potevano causare anche la sua morte, come nella favola della rana e dello scorpione.

E Camus temeva davvero che quello in cui si sarebbe infilato Milo avrebbe portato solo alla sua morte. O anche alla sua.  Comunque non sarebbe finita bene.

"Mu è un traditore."

"Lo pensi anche tu? Però Mu...Mu, come Aiolos, perché avrebbero dovuto fare una cosa simile? A che pro  arrivare a tanto? Che cosa ci guadagnano?  Aiolos è morto e Mu, se non torna, sarà bandito e ricercato!"

"Aiolos voleva uccidere Athena, Milo, lo hai scordato? E per quanto riguarda Mu...puoi davvero dire di averlo conosciuto bene?"

"Ma Aiolos alla fine non ha ucciso nessuno e...e Mu è sempre stato gentile con tutti!"

"Certo, anche Aiolos era gentile e buono. Ma se non ci fosse stato Shura, cosa sarebbe successo quella notte?"

"Stai davvero dicendo che credi a questa storia? Che Mu e Aiolos abbiano tradito, è questo che credi? Se vedessi Mu lo uccideresti?"

"Se fosse un ordine del Sommo, sì."

"Del Sommo, Camus? Di quale Sommo?"

"Del Gran Sacerdote, Milo, la più alta carica che il Grande Tempio conosca! E abbassa la voce!" berciò, intimandogli con un'occhiata la compostezza che le mura dell'Undicesima meritavano. "Il Sommo, chiunque sia, resta il Sommo. Ascolta, Milo, capisco il tuo punto di vista, ma con che prove affermi che è qualcun altro?"

"Con quelle mi hai dato tu, ti ricordi, Cam? Sei stato tu a chiedermi se il comportamento del Sommo potesse essere stato influenzato dal tradimento di Aiolos! Tu mi hai fatto notare che era strano, che era diverso!"

"Certo, è vero, e insieme abbiamo appurato che è possibile che quello che è successo quella notte gli abbia fatto perdere fiducia in noi e che per questo è più freddo e distaccato, e forse ci ha mandati via tutti proprio per farci maturare, per sperare che l'errore che ha commesso nell'investirci dell'armatura così giovani non gli si ritorca di nuovo contro!" a Camus dispiaceva dover dire quelle cose, puntare il dito contro Mu, contro Aiolos. Ma non c'era alternativa. Mu, per ora, era lontano e al sicuro e Aiolos era morto, e se per impedire a Milo di fare qualche sciocchezze il prezzo da pagare era infangare quei due che non potevano difendersi, allora andava bene.

Sì. Andava bene.

"Sì, certo, è vero. Però..."

"Però niente, Milo. Niente. E' il Gran Sacerdote, e nonostante questo fino ad ora ci ha dato più di quello che doveva, una confidenza che nessun altro Gran Sacerdote aveva mai dato prima ai suoi Gold. E noi abbiamo rotto quel legame di fiducia, lo abbiamo tradito. Tutti. Perché lo tradiamo tutti i giorni coi nostri dubbi. Io non voglio avere niente a che fare con questa storia, con Aiolia e Mu: sono qui per difendere Athena, darò la mia vita per lei e il suo ideale, è questo che ho giurato. Tutto il resto non è affar mio. Ed è la stessa promessa che hai fatto anche tu, Milo."

Milo abbassò il capo, sconfitto.

Quello che diceva Camus aveva senso, aveva sempre senso. Ma quel discorso stava ancora in piedi se il Gran sacerdote non era chi doveva? E Camus ci credeva davvero?

Si alzò, il cuscino rosso fra le mani, "Quindi tu pensi che dovremmo farci gli affari nostri? Evitare di impicciarsi? Anche se Aiolia è mio amico?"

"Per ora sta bene, no? Non è successo niente, né a lui né a Mu, e nessuno ti ha ordinato di uccidere nessuno. La nostra vita sarà già breve così, senza crearci problemi che l'accorcino ancora di più," rispose, ma non lo guardava più in faccia, e stringeva i lembi del libro che aveva in mano, "Io non farò niente, perché non è un mio problema. Per mio conto, tutto quello che farò sarà al servizio della mia Dea: solo di questo mi importa."

"E' un discorso egoista."

"Sono un Saint di Athena, non un buon samaritano. Non sempre l'altruismo porta a qualcosa."

"Come posso guardare negli occhi Aiolia, sapendo di star ignorando qualcosa di così grande?"

"Tecnicamente non stai ignorando, poiché non sai."

"Sospetto, però."

"E ne vale la pena? Vale la vita?"

"I miei amici valgono la vita. Tu la vali e, per quel che conta, anche Aiolia!"

Camus sospirò, "Lo so. Ed è proprio perché gli amici la valgono che vorrei tu non facessi nulla. Ti farai ammazzare, Milo, e per niente. Niente, perché il potere che ha il Gran Sacerdote è troppo grande."

E Milo lo sapeva. Non solo come ex Cavaliere, o chiunque adesso fosse, ma anche solo per il potere che aveva dentro il Grande Tempio. Perché tutti pendevano dalle sue labbra.

E anche se erano Gold Saint, c'era un limite a quello che potevano e non potevano.

Che per il momento Camus avesse ragione? Forse era meglio, ora, stare al proprio posto, senza agire. Guardare, studiare la situazione. Vegliare, se voleva. In silenzio, in un angolo.

Ma lui non era bravo, in queste cose. Non lo era mai stato.

E sapeva che, anche se l'ordine fosse partito dal Sommo in persona, non avrebbe ucciso Aiolia, né Mu. No. Forse, se fosse successo, avrebbe finito per schierarsi dalla loro parte, e poteva solo sperare che Camus, allora, non si sarebbe messo anche contro di lui.

 

*

 

Aphrodite aveva guardato a lungo Shura, quando gli era ricomparso davanti dopo l'incontro avuto con il sommo -con Saga- qualche sera prima.

Ancora adesso, se ripensava alla faccia che aveva Capricorn, gli venivano i brividi.

Quel giorno, la prima  cosa che aveva notato erano stati gli occhi dell'altro.

Erano rossi, sgranati verso il vuoto. Ma non erano le sclere ad essere rosse, no, non come dopo un pianto o svariate notti insonni.  Non il rossore che li aveva cerchiati vagamente per giorni, dopo aver ucciso Aiolos, dopo quella dannata notte.

Era un rosso che faceva paura questo. Erano iridi rosse, come illuminate da un lampo. Non costante, ma spaventoso, che portava un brivido in tutto quello che gli era a tiro. Cose e persone.

E lo sapeva, Aphrodite, che si sarebbe trovato davanti un altro, quando lo aveva visto salire per parlare con il Sommo, ma quello andava oltre i suoi timori e a tutto quello che poteva aspettarsi.

"Shura, stai bene?" glielo aveva chiesto così, un po' per caso, distrattamente, mentre se ne stava ancora appoggiato alla colonna. Non aveva motivo di bloccare il suo passaggio, in fin dei conti.

E anche se avesse voluto fermarlo, il modo in cui Shura l'aveva guardato gli aveva fatto immediatamente cambiare idea. Non avrebbe mai potuto fermarlo senza essere poi fatto a pezzi da Excalibur, e lui non ci teneva per nulla ad essere trasformato in uno spiedino di pesce.

"Non dovrei, Pisces?"

E anche questo ad Aphrodite era parso strano, perché per quanto distaccato Shura si fosse fatto in quegli anni, per quanto distanze avesse preso anche da lui e Deathmask, per quanto si fosse isolato da tutto, richiudendosi in se stesso e nei suoi sensi di colpa, mai lo aveva appellato solo con la sua Costellazione guida.

Non era mai stato semplicemente Pisces, per Shura. Persino quando era irritato e voleva mandarti via, Shura sapeva come essere tagliente solamente chiamandoti per nome.

Era quando usava i loro veri nomi che Aphrodite e Deathmask sapevano di dover girare alla larga. E per parecchio tempo.

In quegli anni era successo svariate volte. Da quando aveva ucciso Aiolos, Shura aveva mandato al diavolo tutto quel poco costruito in anni di amicizia, e ormai mal sopportava persino la loro presenza. Ed aveva sempre i loro nomi -i loro veri nomi- sulle labbra, pronto a far sapere che era meglio girare a largo perché, davvero, di stare in compagnia non ne voleva sapere nulla.

Ma Pisces non ce lo aveva mai chiamato.

"Chiedevo," aveva risposto, una scrollata di spalle e la maschera dell'indifferenza stampata in volto.

Gli veniva ancora bene, recitare. Anzi, forse più che mai. Se non fosse stato destinato ad indossare un'armatura, magari avrebbe avuto successo in teatro, chi poteva dirlo?

"Che voleva il Sommo?"

Aphrodite lo sapeva bene, cosa voleva Saga, o almeno lui e Deathmask lo avevano supposto svariate volte. Ma sapeva che non era certo la scusa che aveva usato con Shura, per parlare con lui. Anche se a guardarlo, Aphrodite quel giorno si era detto che, tutto sommato, forse Saga non aveva neanche avuto bisogno di trovare una scusa o mentire: aveva scagliato direttamente il Genro Maoken, imprigionando la mente di Shura nei suoi più infimi desideri e assoggettandolo ai suoi scopi.

Proprio Shura, così retto e fiero.

Aphrodite non aveva niente in contrario sul seguire il più forte, poiché questo poteva aiutarlo a raggiungere il suo obiettivo, il loro obiettivo: dovevano proteggere gli indifesi e i deboli, erano Santi di Athena, e di certo la potenza di Saga avrebbe portato a questo; certo, forse sarebbe stato un equilibrio dettato da tirannia e paura, ma era pur sempre pace.

E quale dimostrazione di bellezza maggiore se non quella che Saga dava di sé ogni giorno?  Per lui non c'era niente di meglio e mai aveva pensato di denunciare il suo operato -a chi, poi? Era lui il Gran Sacerdote, adesso. Eppure, nonostante questo, non poteva evitare di avercela un po' con lui per quello che aveva fatto a Shura.

Avrebbe potuto trovare un'altra soluzione, una qualunque.

La cosa peggiore era la consapevolezza che, tutto sommato, gli era anche andata bene. A tutti e tre.

Avrebbe potuto ucciderli all'istante.

"Perché lo vuoi sapere?"

"Lo sai che sono curioso."

Shura aveva schioccato la lingua, a quelle parole, e Aphrodite allora aveva rilassato un po' le spalle. Quello era un tic tipico di Shura, dunque qualcosa c'era ancora, lì da qualche parte.

"Solo una missione. Partirò dopodomani."

"Capisco."

Non aveva aggiunto altro, nessuno dei due l'aveva fatto, lasciandolo andare così com'era arrivato: sguardo perso, dritto davanti a sé.

Aphrodite non aveva più fatto cenno a niente di quello, nei due giorni successivi, né ad altro. Né aveva avuto motivo di lasciare granché volte la protezione della sua Casa e del suo Giardino, a dover essere onesti.

Era stato infatti Deathmask a salire, quella mattina poco dopo l'alba. Niente armatura, solo un paio di jeans e una maglietta fin troppo leggera per l'inverno greco. Quando gli aveva sentito chiedergli il permesso nella solita maniera rozza, Aphrodite aveva alzato gli occhi al cielo, esasperato.

"Sono in giardino, scimmione. Non calpestare le aiuole, altrimenti il tè te lo verso in testa!" lo accolse.

Deathmask sbuffò, raggiungendolo in un lampo e buttandosi a peso morto e gambe divaricate sulla sedia in ferro battuto, bianca come il latte, che Aphrodite aveva piazzato anni prima in mezzo al giardino.

"Hai un po' rotto il cazzo, lasciatelo dire!"

"Nessuno ti ha chiesto di venire a trovarmi, se proprio vogliamo essere pignoli," ribatté l'altro, sorseggiando il liquido bollente, "E non accendere quella roba nel mio giardino! Così rozzo! A vent'anni avrai i denti gialli e la pelle di un vecchio!"

Deathmask scoppiò a ridere di gusto, a quelle parole, con quella risata roca e spezzata che sembrava più il latrato di un cane. O il respiro di un asmatico, a ben vedere.

"Perché, sei convinto di arrivare ai vent'anni comunque tutto intero?"

"Chi può dirlo? In caso avvenga, gradirei essere in forma smagliante, grazie."

"A me invece non frega un bel niente, tanto con questi dannati capelli ho l'aspetto di un vecchio da quando sono nato! Benjamin Button mi fa una pippa!"

"Chi?"

"Un...tizio che nasce vecchio. Un libro di Shura, l'ho letto di sfuggita mentre lo aspettavo qualche tempo fa."

Aphrodite alzò entrambe le sopracciglia, ma non aggiunse altro. In fondo, quello era un vizio che Cancer non si sarebbe mai tolto: arrivava, afferrare le cose che lo incuriosivano e sbirciava. A volte capitava persino leggesse, anche se molti dei libri di Shura erano in spagnolo o in inglese e dubitava, Pisces, che Deathmask fosse diventato improvvisamente così portato per le lingue.

Di sicuro gliene aveva parlato Shura quando aveva capito che Deathmask non aveva capito nulla di ciò che aveva appena letto. Come sempre.

"Comunque, che sei venuto a fare così presto?"

Deathmask sogghignò, "Il caprone mi ha svegliato, non riuscivo a tornare a dormire e allora ho pensato di venire a romperti un po' le palle!"

"Carino, come sempre."

"Squisito è il mio secondo nome," ghignò.

"Sì, in un mondo parallelo inverso a questo!" sbottò, "Comunque, hai visto Shura, giusto? Lo ha fatto, vero?"

"Mi pare ovvio. Te l'avevo detto, no? Saga ottiene sempre quello che vuole."

Aphrodite storse le labbra, "Saga è un pazzo, ecco cos'è."

"Può essere, le due cose non si escludono,"  affermò Deathmask, mordicchiando il filtro della sigaretta che teneva ancora fra i denti, "Ma se lo pensi, perché sei qui?"

"E dove dovrei essere? Saga è folle, ma è anche forte, e adesso la sua forza è quello di cui il Santuario ha bisogno, e di cui anche noi abbiamo bisogno. E poi...beh, ci ha praticamente salvati! Il Santuario nelle mani di quel fesso di Aiolos sarebbe andato alla rovina!"

Deathmask rise di gusto, battendo la mano sul tavolo. Ma Aphrodite, nonostante la battuta, non rideva.
Non sorrideva neanche. Era serio, serio come poche volte Deathmask l'aveva visto, tutto sommato.

Teneva fermamente la tazza, la punta delle dita ormai bianche, le belle labbra lucide strette tra loro.

Deathmask sospirò, perdendo di botto tutta l'ilarità che aveva, stravaccandosi maggiormente sulla sedia e passandosi una mano fra i capelli bianchi.

Sapeva a cosa stava pensando l'altro e, tutto sommato, era una cosa che anche lui si era chiesto più volte, in quei brevi attimi.

Ad occhi non esperti, Shura sembrava più o meno se stesso, quasi normale. Parlava come al solito, si muoveva come al solito. La mimica facciale era ancora quasi inesistente.

Però, chi lo conosceva davvero bene -e Deathmask osava infilarsi nel poco assortito gruppo di persone che potevano vantare un tale privilegio- avrebbe capito facilmente che qualcosa era diverso. Sbagliato, osava dire.

Gli occhi, innanzitutto, quasi sempre persi nel vuoto e spenti. O i movimenti, usuali ma scattosi.

Aveva paura di vedere se fosse cambiato anche il suo modo di pensare, prendere decisioni. Di certo, se prima aveva dei sospetti sul Sommo, adesso questi erano spariti. A conti fatti, era appena diventato il più sicuro degli alleati, per Saga, visto che non lo avrebbe mai tradito.

Perché per quanto la coscienza di Shura fosse forte, Deathmask non era certo che si potesse opporre resistenza al Genro Maoken. O se Shura avesse la determinazione di farlo davvero.

Intanto, il piano di Saga era andato a buon fine.

Come si aspettava.

Ma la domanda che sorgeva spontanea a loro, a lui e ad Aphrodite, era se sarebbe mai tornato normale, se fosse tornato lo Shura che avevano conosciuto da bambini.

O se, piuttosto, avrebbero dovuto abituarsi a questo.

"Meglio così che morto," sentenziò alla fine, alzandosi.

Aphrodite non lo seguì, né lo accompagnò alla porta come un buon padrone di casa.

Lui, che Shura avrebbe preferito questo alla morte, non ne era tanto sicuro. A ben vedere, era quasi certo del contrario.

 

 

Angolino Autrice:

E con questo spero si siano chiarite le perplessità che un sacco di voi avevano sul povero Milo xD In verità, la cosa che non si capisse bene cosa volesse a me ha fatto piacere, perché rientrava nei miei intenti. Milo era diviso fra il voler aiutare un amico e il voler fare quello che deve. Semplicemente non sa da che parte battere la testa, come dice a Camus.
Camus e Shaka, alla fine, hanno preso la stessa decisione: restare a guardare, osservare in silenzio. Almeno per il momento.
Cam ho sempre avuto la sensazione fosse un po’ egoista, e credo di aver ribadito il concetto. Anche se qui, lo fa per Milo, essenzialmente.
Shaka, invece, da bravo verginello quale è, se non ha le idee precise entra nel pallone. Come adesso.
E infine Saga, che ha davvero usato il Genro Maoken sul povero Shura. E qua ho preso spunto da Episode G!
Lo userà anche su qualcun altro? Shaka? Vedremo :D
Un bacione,
Asu

   
 
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