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Autore: Roscoe24    02/05/2019    5 recensioni
"Per come la vedeva Alec, stava salvando il mondo. Tutto ciò che contasse davvero. Magnus veniva prima di tutto: prima di se stesso, prima della propria felicità, prima del proprio amore. Niente di tutto questo contava, se Magnus era infelice."
Accenni agli episodi: 3x16, 3x17 e 3x18
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                                                                        When we first met I never thought that I would fall
                                                                                                                         I never thought that I'd find myself  lying in your arms
                                                                                                                                                        
(I’ll never love again, Lady Gaga)


                                                                                  ◊


Erano state tante piccole cose. E lui, come spesso accade con le cose minuscole, non le aveva notate.
Nessuno nota un granello di polvere, fino a quando non ci finisce in un occhio e allora abbiamo la sensazione di avere una trave di legno che trancia la nostra sclera.  
Per Alec era stato così.
Un granello di polvere si era trasformato improvvisamente in una trave di legno.
Se solo avesse guardato prima, guardato meglio, si sarebbe reso conto del granello di polvere e sarebbe riuscito a prendere in tempo le giuste precauzioni.
Era stato egoista, questo ormai l’aveva appurato. Si era lasciato cullare dall’idea che avrebbero potuto invecchiare insieme, lui e Magnus. Aveva dato per scontato che lui gli bastasse. Che l’assenza di magia fosse una cosa a cui, prima o poi, Magnus si sarebbe abituato.
Non era così.
Era stato cieco, Alec. Aveva ignorato il granello di polvere e aveva lasciato che si depositasse all’interno del suo occhio. All’inizio era stato innocuo. Si era semplicemente depositato ed era rimasto immobile, senza procurare danni. E Alec di conseguenza aveva pensato che tutto potesse andare per il verso giusto. Magnus aveva sì perso la sua magia, ma diceva di stare bene.
Il secondo granello era arrivato poco dopo, quando Magnus era giunto all’Istituto agitando le mani da cui fuoriusciva di nuovo la magia. Non era la sua. Lorenzo gli aveva fatto una concessione: in cambio del suo loft, gli avrebbe fatto una trasfusione di magia.
Magnus sembrava estremamente felice. Era tornato in sé, aveva ripreso quella forza d’animo che l’aveva sempre caratterizzato. In definitiva, aveva ritrovato la sua identità. Era di nuovo Magnus Bane, Stregone e non solo Magnus Bane.
Come se essere ‘solo’ Magnus Bane non fosse sufficiente. Per Alec, ovviamente, lo era perché amava ogni parte di Magnus.
Ma per Magnus… lui non amava Magnus e basta, lui amava troppo Magnus lo Stregone. E Alec l’aveva capito nel momento esatto in cui gli aveva fatto quell’unica, fatidica, domanda.
 «Vale davvero la pena morire per la tua magia?»
«Può darsi».
Era stata la risposta, lapidaria e fatale, di Magnus.
Nell’attimo esatto successivo a quella frase, Alec aveva sentito il suo cuore andare in frantumi. Era stato quello il momento in cui aveva capito quanto avesse sottovalutato la questione, quanto l’avesse persino ignorata. Non si era fermato sufficientemente a pensare quanto quella situazione facesse soffrire Magnus perché aveva lasciato che gli bastasse il fatto che lui dicesse di stare bene. E anche se una parte di sé sapeva che poteva mentire, Alec aveva fatto prevalere l’egoismo e aveva deciso di credere a quella bugia. Aveva fatto prevalere quella parte di sé che guardava al fatto che, adesso, senza magia, erano entrambi mortali e, di conseguenza, avrebbero potuto vivere gli ultimi cinquanta, sessant’anni della loro vita insieme. Invecchiare insieme. Morire insieme. Come le coppie Mondane. Alec si era sentito tremendamente in colpa, per essere stato così cieco ed egoista.
«Non puoi dire una cosa del genere.» Gli aveva risposto, sentendo un magone che saliva alla gola fino ad otturargliela. Perché l’idea di perderlo, l’idea che preferisse rischiare di morire, piuttosto che rimanere senza magia lo spaventava a morte. Gli faceva scorrere il panico freddo nel sangue, invadendo crudele ogni parte del suo corpo: braccia, gambe, organi interni, cervello. Rendeva i suoi arti rigidi, incapaci anche dei movimenti più semplici, e il suo cervello incapace di formulare altri pensieri che non fossero la perdita insopportabile dell’uomo che amava. Il suo cuore aveva reagito a quell’affermazione agitandosi, favorendo in questo modo la dispersione del panico. Alec, per un irrazionale attimo, aveva lasciato che la sua mente venisse invasa dallo schema della circolazione umana che aveva studiato da bambino. Il cuore pompa il sangue ad un ritmo più o meno regolare. Se il cuore si agita, il sangue viene pompato più velocemente. E quando si ha il panico in circolo, forse, più il cuore pompa velocemente, più il panico fa presto a raggiungere ogni parte del corpo umano. Era una supposizione, quella di Alec. Una supposizione irrazionale provocata dalla paura di perdere Magnus.
«Non sono niente senza la mia magia.» La voce di Magnus era uscita sottile, ma non per questo titubante. Si era guardato nel riflesso del vetro in cui si stava specchiando, mentre finiva di abbottonarsi la camicia. Alec avrebbe ricordato ogni dettaglio di quel momento per il resto dei suoi giorni. Avrebbe ricordato l’odore di disinfettante presente in quella stanza dell’ospedale dell’Istituto; il rumore metallico delle macchine a cui solo pochi istanti prima Magnus era attaccato, combattendo tra la vita e la morte perché il suo corpo rigettava la magia di Lorenzo, come succede con un trapianto d’organi finito male; avrebbe ricordato la sensazione impotente che l’aveva pervaso, mentre guardava Magnus disteso su quel letto, gli occhi chiusi e il respiro troppo rilassato perché fosse naturale. L’aveva guardato dormire così tante volte, quando ancora condividevano il letto nel loft, che sapeva distinguere anche i suoi respiri. E sapeva che quello non era naturale: Catarina gli aveva indotto un coma farmacologico. Erano le medicine a farlo respirare in quel modo. E Alec avrebbe preferito strapparsi il cuore e farlo masticare alle tre teste di Cerbero, piuttosto che vedere Magnus in quelle condizioni.
«Tu ti sei innamorato di Magnus Bane, Sommo Stregone di Brooklyn. Sii onesto, davvero non hai cambiato idea su di me?» Magnus si era voltato, fronteggiando Alec, alzando la voce. Disperazione grondava da essa e si impregnava nel suo sguardo. «Guardami! Vuoi dire che ti piaccio così?»
Credeva davvero di non valere niente senza la sua magia e Alec, istintivamente, aveva provato un moto d’odio per chiunque gli avesse inculcato quella convinzione. Il suo pensiero si era diretto immediatamente ad Asmodeus. Non gli veniva difficile supporre che fosse stato proprio il Principe dell’Inferno a far credere a Magnus, quando ancora era un bambino, che il suo valore si misurasse solo tramite la sua magia.
Come se Magnus non fosse molto più di questo. Era molto più di semplici incantesimi e portali e lampi di luce magica improvvisi.
Magnus era gentilezza e premura, altruismo e bontà. Era vita allo stato puro, una moltitudine di qualità che lo rendevano unico nel suo genere, speciale. Un regalo raro che Alec aveva avuto la fortuna di ricevere. Aveva avuto la possibilità di amare quell’uomo e  di farsi amare a sua volta, nonostante tutti i suoi difetti, nonostante il suo carattere scontroso e schivo.
Magnus era ciò che c’era di bello nella vita. Era un uomo buono, nonostante tutte le cattiverie che aveva ricevuto. Sarebbe stato più facile per lui cedere all’oscurità, lasciarsi dominare dal rancore e usare i suoi poteri per vendicarsi di coloro che erano stati meschini con lui. Ma non l’aveva fatto. Magnus aveva scelto la via della bontà, perché era quello che era. Un uomo buono, qualcuno disposto a prendersi cura dei Nascosti smarriti, offrendo loro un rifugio, protezione e una guida. Un uomo altruista. Qualcuno che non aveva mai titubato un attimo a mettersi a disposizione di chiunque gli chiedesse aiuto.
Per questo Alec non titubò un attimo a rispondere: «Sì!» L’avrebbe persino gridato a pieni polmoni, perché era vero, perché l’avrebbe amato sempre, con tutto se stesso e in ogni circostanza. L’avrebbe amato così tanto che anche Magnus avrebbe finito per amarsi nello stesso modo intenso, viscerale e incontrollabile in cui lo amava Alec, con o senza poteri. «I tuoi poteri erano incredibili, ma io mi sono innamorato di te non della tua magia! Perché sei saggio, generoso, coraggioso e sei incredibile! Io…» Aveva fatto una pausa, ma non certo perché titubava delle parole che stavano uscendo dalla sua bocca come un fiume in piena. No. Aveva solo timore che non fossero abbastanza, che non fosse in grado di esprimere a parole ciò che abitava nel suo cuore, lo stesso che adesso stava battendo furioso come se pretendesse che la bocca di Alec riuscisse a dar voce a quei pensieri nel modo più preciso possibile. «Quando entri in una stanza, c’è una scintilla in te, magia o no, che illumina tutto e tutti intorno a te, e sei…»
Magnus si era voltato, forse non credendosi degno di quelle parole, quasi come se Alec stesse descrivendo qualcun altro. Forse non ci credeva nemmeno a ciò che stava uscendo dalla bocca di Alec, troppo convinto del contrario. Troppo convinto che fossero semplici parole e non l’assoluta, pura verità. Per questo Alec l’aveva afferrato per un braccio, quasi costringendolo ad ascoltare. «Non ti perderò. Non posso.»
Si era concesso un ulteriore atto di egoismo.
Non poteva perderlo. Non voleva, ma soprattutto non poteva. Non sarebbe stato in grado di sopportare la sua assenza. O almeno, questo era quello che credeva fino a quando non era arrivato il granello numero tre.
Alec aveva pensato di dimostrare a Magnus che non era necessaria la sua magia affinché qualcuno lo amasse, affinché lui lo amasse. Voleva dimostrargli il suo amore e, soprattutto, dopo averlo visto sdraiato su quel letto d’ospedale, si era reso conto che ogni attimo poteva essere l’ultimo, e Alec non aveva intenzione di perdere altro tempo. Gli avrebbe chiesto di sposarlo. Perché lo amava e quello era il primo passo affinché Magnus riuscisse a rendersi conto di quanto fossero forti i sentimenti di Alec. E forse, in quel modo, Magnus avrebbe smesso di sminuire la sua persona solo perché adesso era un Mondano.
Aveva organizzato tutto. La cena, le rose – che erano diventate un simbolo per loro, senza che nemmeno se ne rendessero conto. Erano sempre stati presenti, i fiori che per eccellenza sono il simbolo dell’amore, durante ogni piccolo passo della loro relazione. E Alec voleva che fossero presenti anche in quell’occasione speciale. A dozzine.
Aveva fatto le cose per bene, andando da sua madre e chiedendole l’anello di famiglia, quello con la L circondata dalle fiamme.
Ma poi Magnus si era presentato alla cena in ritardo e ubriaco. Alec non l’aveva mai visto così.
«Sai, adoro questa architettura pre-bellica!» Aveva esclamato, entrando dalla porta dell’ufficio di Alec e agitando le mani, indicando vagamente la stanza intorno a sé. Aveva ciondolato fino a raggiungere Alec, che era in piedi sulla terrazza. «È bellissima, proprio come te!» Gli aveva accarezzato un guancia, ma Alec non aveva avuto nemmeno il tempo di godersi quel contatto perché era stato fulmineo e fugace. Magnus poi si era mosso precariamente verso il piano bar, dondolando come un ubriaco.
«Hai bevuto, per caso?» Aveva chiesto Alec, preoccupato di ricevere conferma dei suoi pensieri.
«A quanto pare, non reggo più l’alcol come quando ero uno Stregone.» Magnus aveva estratto dall’interno della sua giacca ricamata una fiaschetta e l’aveva posizionata a testa in giù, come se avesse voluto effettivamente essere sicuro che fosse vuota. Una volta appurato che aveva bevuto tutto il suo contenuto, Magnus si era concentrato sul tavolino del piano bar, dove Alec aveva fatto sistemare varie bottiglie di liquori.
«Quanto hai bevuto?»
«Tanto.»
Era stata la sua risposta, mentre analizzava una bottiglia di scotch che aveva preso in mano. L’aveva guardata per qualche istante, prima di portare di nuovo i suoi occhi in direzione di Alec. «Perché? Vuoi farmi la predica?»
«No. Sono solo… preoccupato. Non ti ho mai visto così.»
Voleva andarci cauto. Misurare le parole per fare in modo che Magnus non fraintendesse le cose, perché davvero Alec era preoccupato in quel momento. Aveva sempre saputo che a Magnus piaceva bere, diamine i loro primi appuntamenti dentro al loft erano stati più che altro incontri alcolici da cui erano partire poi le varie conversazioni in cui si erano trovati immersi, ma… non aveva mai visto Magnus bere tanto da arrivare ad ubriacarsi. Era quasi come se avesse voluto zittire la sua mente, o annegare qualche dispiacere che non riusciva ad eliminare da solo. Aveva avvelenato i pensieri che lo tormentavano con quantità di alcol che il suo corpo, ormai solo umano, non riusciva più a reggere.
«Oh, neanch’io, credimi!» Magnus aveva cominciato a versarsi un po’ di scotch in un bicchiere alto ed elegante, fino a raggiungerne il bordo. Aveva fatto sembrare la cosa naturale, come se non avesse molta importanza. Un nonnulla. Ma tutto quel dimostrare, quel fare finta che tutto fosse normale, non faceva altro che far aumentare i sospetti di Alec.
«C’è qualcosa che non va?»
E finalmente, quella domanda aveva fatto scattare qualcosa, in Magnus. Aveva innalzato un muro di sarcasmo, che comunque era sempre meglio di vederlo fingere che tutto fosse a posto. «Non te l’hanno detto? Ho perso la mia magia! Due volte! E comincio a capire quanto sono inutile, senza.»
«Magnus, tu non sei inutile…»
Aveva tentato Alec, ma Magnus l’aveva interrotto.
«Oh, per te è facile dirlo,» il sarcasmo adesso andava a mischiarsi ad un tono pungente, «Sei al top della tua carriera! Hai un Istituto pieno di Shadowhunter ai tuoi piedi e io… io sono solo un ex Stregone capace di far ridere e… di bere.» Aveva guardato il suo bicchiere pieno con soddisfazione, come se fosse l’unica cosa in grado di fargli provare quell’emozione, ormai. Aveva bevuto un sorso di scotch e poi si era rivolto di nuovo ad Alec, che era rimasto in silenzio per lasciarlo sfogare – perché era la prima volta, da quando aveva perso la sua magia, che si lasciava andare, che mostrava veramente ciò che provava, quanta sofferenza albergasse nel suo cuore. «Ma ehi, sono un Mondano, adesso. Come tu hai sempre voluto!» Non si era nemmeno premurato di celare un tono d’accusa e quello aveva fatto male. Aveva ferito Alec nel profondo, se non altro perché il Cacciatore ricordava bene la loro lite riguardante l’immortalità di Magnus. Alec non aveva sopportato l’idea di poter diventare un peso per lui, una volta diventato vecchio, e sarebbe ipocrita se non ammettesse di aver provato una sorta di smarrimento al pensiero che Magnus, da immortale, sarebbe andato oltre, una volta che Alec fosse morto. Aveva avuto paura di finire in quella scatola, un ricordo uguale a tutti gli altri, certo, ma non aveva mai voluto che la felicità di Magnus venisse meno.
«Ho solo voluto sempre la felicità, per te.» Aveva sentito il bisogno di dirglielo, mentre Magnus si allontanava da lui e gli dava la schiena, perché il solo pensiero che lo ritenesse meschino al punto da guardare solo ed esclusivamente i suoi desideri lo feriva nell’anima. Sapeva, in cuor suo, che Magnus non lo pensava, ma la sofferenza, quando arriva a toccare picchi così profondi, riesce a far dubitare anche delle certezze più recondite.
«Non sono felice!» Aveva esclamato Magnus, rinunciando a qualsiasi barriera emotiva protettiva, fosse essa il sarcasmo, o l’accusa, o quant’altro. Era riuscito finalmente ad ammettere ciò che provava davvero e Alec, in quell’istante, si era reso conto di quanto avesse sbagliato a pensare che una proposta di matrimonio avrebbe risolto tutto quel caos in cui si trovavano adesso. Magnus non aveva bisogno di Alec, o del suo amore, o di una dannatissima proposta di matrimonio che dimostrasse quell’amore, aveva solo bisogno della sua magia.
E Alec ne aveva avuto conferma solo quando, poco dopo essersi scusato per quel comportamento, Magnus aveva sussurrato, con un’ineluttabilità che pesava sulle loro teste come la più crudele spada di Damocle: «Non fingiamo che sia solo un periodo, Alexander, ti prego. Perché non è così. Quello che provo ora, non passerà mai. Finché resterò in vita…» Aveva lasciato la frase in sospeso e aveva accennato ad andarsene. Voleva che Alec lo lasciasse solo, ma Alec questo non poteva accettarlo, ne tanto meno permetterlo.
Una volta Magnus gli aveva detto che nei suoi momenti di debolezza, aveva la sua roccia. E Alec in quel momento voleva essere quella roccia, voleva sostenerlo nello stesso modo in cui aveva sempre fatto Magnus da quando si erano conosciuti ed era stato lui quello ad avere momenti di debolezza.
All’inizio, Magnus si era ribellato a quel contatto, l’aveva quasi supplicato di lasciarlo andare e più Magnus lo spingeva via, più Alec lo stringeva a sé con tutte le sue forze. Non l’avrebbe lasciato solo, non in un momento simile.
Quando Alec era riuscito ad inglobarlo in un abbraccio, Magnus si era finalmente lasciato andare. Si era appoggiato ad Alec, come non aveva mai fatto con nessun altro prima di lui, e si era abbandonato ad un pianto che celava tutta la sua sofferenza. E per ogni lacrima che Magnus aveva versato, Alec era riuscito a percepire ogni granello che si era infilato nei propri occhi e che aveva ignorato fino a quel momento, fino a che non si erano trasformati in puro dolore a discapito di una delle persone che amava di più al mondo, la persona che era il suo mondo.
Alec, in quel momento, aveva deciso che non sarebbe più stato egoista. Lo era stato per troppo tempo. Era giunto il momento di cambiare.

Erano questi i ricordi che gli vorticavano nel cervello mentre si incamminava verso il negozio di sua madre, dove sapeva avrebbe trovato Magnus. Erano stati quei ricordi a spingerlo ad evocare Asmodeus in persona, solo qualche ora prima.
Che gli piacesse o meno, il Principe dell’Inferno era l’unico che potesse effettivamente risolvere tutti i problemi di Magnus, perché era colui che aveva la sua magia. Alec era letteralmente sceso a patti con il Diavolo, pur di rendere Magnus di nuovo felice. E Asmodeus, da buon demonio quale era, aveva accettato la sua richiesta di restituire la magia a Magnus a patto che Alec lo lasciasse.
Spezzagli il cuore, salvagli la vita.
Erano state quelle le parole di Asmodeus, che si era inculcate nel cervello di Alec quasi il demone fosse stato in grado di scolpirgliele dentro la mente. Salvagli la vita. Era questo a cui Alec non riusciva a smettere di pensare. Salvare la vita di Magnus era l’unica cosa che contava davvero, per lui. Di conseguenza, Alec aveva accettato quel patto col Diavolo. Non importava quanto quella soluzione lo facesse soffrire, se il dolore che si portava dentro gli lacerava il cuore in un modo così profondo che aveva l’impressione di percepirlo sanguinare, perché Alec aveva deciso che non sarebbe più stato egoista. Magnus avrebbe riavuto la sua magia e sarebbe stato di nuovo felice.
Mentre continuava a ripetersi quella frase in testa, Alec si fermò davanti al negozio di sua madre. Fissò quella porta come se avesse dovuto dargli delle risposte o suggerirgli una soluzione meno drastica e dolorosa. Ma non aveva altro, se non un patto con un Demone Superiore e la certezza che in quel modo avrebbe salvato l’uomo che amava. Per come la vedeva Alec, stava salvando il mondo. Perché, come aveva detto in precedenza a Lorenzo, Magnus era il suo mondo. Tutto ciò che contasse davvero. Magnus veniva prima di tutto: prima di se stesso, prima della propria felicità, prima del proprio amore. Niente di tutto questo contava, se Magnus era infelice.
Fece un profondo respiro per farsi coraggio e bussò.
Magnus gli aprì immediatamente e Alec sentì il suo cuore andare in frantumi. Era l’ultima volta che lo guardava, l’ultima volta che avrebbero parlato. L’ultima volta che avrebbe udito il suono della sua voce e percepito il suo profumo.
“Oh, pensavo fosse Maryse, ma tu sei una sorpresa decisamente più gradita!” Magnus gli sorrise e si fece da parte per farlo passare. Alec varcò la soglia e si fermò al centro della libreria che sua madre aveva acquistato. C’era odore di carta vecchia, mischiato a quello dei libri nuovi, odore di inchiostro e zucchero bruciato – perché i residui della magia di Eliott, lo Stregone che era stato il proprietario precedente, prima che Jonathan lo uccidesse, erano ancora presenti.
Alec continuò a dare le spalle a Magnus, tenendo gli occhi fissi sugli scaffali pieni di libri. Non aveva il coraggio di guardarlo.
“Dov’è mia madre?” Chiese, per prendere tempo. Ancora, non si era voltato a guardare Magnus. Stava cercando di racimolare tutto il coraggio dentro di sé per farlo. E aveva ancora bisogno di tempo.
“Oh, è andata via. Ha finito per oggi. Ma mi ha lasciato le chiavi perché io ho ancora del lavoro da fare.” Magnus si avvicinò a lui e gli posizionò le mani sulle spalle. Alec riuscì a percepire la sua presenza dietro di sé. “Sono un perfezionista, lo sai.” Concluse. Davanti al silenzio di Alec, tuttavia, l’uomo si trovò a domandargli: “Va tutto bene? Sembri… stressato.” Cominciò a massaggiarlo e Alec capì che non poteva più rimandare. Ogni contatto con Magnus era una ferita che andava ad aggiungersi al suo cuore sanguinante.
“Infatti.” Disse, e finalmente trovò il coraggio per voltarsi e guardarlo in viso. Quando i suoi occhi incontrarono quelli di Magnus, tuttavia, sentì quel coraggio venirgli meno. Gli bastò ricordarsi le parole di Asmodeus per ritrovarlo, comunque. Salvagli la vita. “Sono venuto a parlarti di questo. Io… mi sento un po’ sopraffatto e, devo dirtelo, mi serve una pausa.” Parlò in fretta e coinciso, come lo strappo deciso di un cerotto. Prendere ulteriore tempo, avrebbe solo prolungato quell’agonia.
Ma Magnus, in un primo momento, fraintese le sue parole: “Che idea meravigliosa! Dove vuoi andare? Alle Hawaii? In Jamaica? Non ho mai preso un aereo, ma…”
Alec lo interruppe subito. “Una pausa da noi, Magnus.”
Lo sguardo ferito negli occhi di Magnus fu peggio di una pugnalata in pieno petto. “È per ieri sera? Perché voglio smettere di bere!”
Chissà come doveva sentirsi adesso, Magnus. Lui che non si mostrava mai debole, fragile, che era sempre la roccia su cui tutti facevano affidamento, quell’unica volta in cui si era concesso di appoggiarsi a qualcuno, quel qualcuno il giorno dopo lo abbandonava. Alec si sentì peggio di quanto già non stesse, ma si costrinse a rimanere risoluto nella sua decisione.
“Non è perché bevi. È per ciò che hai detto, che senza la tua magia non sarai mai felice.”
Magnus sembrò smarrito e confuso. “Facevo il melodrammatico…”
“No,” Lo interruppe di nuovo Alec, “Tu eri sincero. So riconoscere la differenza.”
Magnus deglutì, consapevole che non poteva negare quell’affermazione. “Va bene, sto soffrendo,” Ammise, quindi. “Ma lasciarci? Questo come può sistemare le cose tra noi?”
Può, perché è l’unica clausola richiesta da tuo padre per ridarti ciò che vuoi, ciò che ti rende completo. Pensò Alec, ma questo non poteva dirlo. 
“Non si possono sistemare.” Affermò Alec, concedendosi di abbassare lo sguardo solo per un attimo, solo per prendersi una pausa da quel dolore che lo stava lacerando. Poi tornò a guardarlo, quasi avesse voluto punirsi per essere stato cieco fino a quel punto, fino a ridursi ad avere come unica soluzione l’aiuto di Asmodeus. “Hai detto che io non posso sistemare le cose…”
“Non spetta a te sistemarle!” Fu Magnus ad interromperlo, questa volta, alzando la voce in un moto di rabbia disperata, quasi volesse alzare il volume della propria voce per sovrastare quella di Alec e non udire quelle parole, che tanto lo ferivano.
“E allora cosa dovrei fare?” La voce di Alec uscì arrendevole, come mai lo era stata in vita sua. “Dovrei guardarti soffrire per il resto delle nostre vite?” Un groppo salì ad otturargli la gola, mentre combatteva con delle lacrime che cominciarono a velargli gli occhi. Non le fece scendere. Non era giusto piangere, concedersi della sofferenza dopo tutta quella che aveva dovuto sopportare Magnus.
“Tu non sei così!” Esclamò Magnus, “Tu non sei un egoista!” Puntualizzò, di nuovo con quel tono alterato che non voleva credere a ciò che le sue orecchie stavano udendo. “Giorni fa mi hai detto che non sopportavi l’idea di perdermi!”
Alec non seppe cosa ribattere. Rimase a guardarlo per un istante, concedendosi un ultimo sguardo, un’ultima occasione per imprimersi nella memoria i dettagli di quel viso che amava tanto.
Spezzagli il cuore.
E così fece. Gli spezzò il cuore, formulò delle parole che non pensava minimamente, ma che era consapevole avrebbero colpito Magnus dove faceva più male.
“Giorni fa, non sapevo che la scintilla che ho visto in te, quella di cui mi sono innamorato, si è spenta per sempre. Non la vedo più, Magnus. È svanita.” Alec aspettò che le parole si posizionassero dove dovevano: nella parte più profonda del cuore di Magnus, quella dove si celano le insicurezze e i dubbi – la stessa parte di cuore che era riuscito a toccare Asmodeus quando aveva detto ad Alec che lui era la fonte di tutte le sofferenze di Magnus, che sarebbe persino stato la causa della sua morte, se non avesse accettato quel patto –  e poi si incamminò verso l’uscita, superandolo. Non avrebbe sopportato di vedere il suo viso trasformato dal dolore per un secondo di più. Ma Magnus lo afferrò per un braccio, costringendolo a fermarsi, e lo fece voltare.
“No, aspetta, ti prego!” La sua rabbia, carica di negazione, adesso era sciamata. C’era solo dolore e l’inevitabile consapevolezza che tutte le parole che fino ad ora aveva negato, avevano preso una forma reale, da cui non si torna indietro. Magnus aveva realizzato che Alec stava facendo sul serio e adesso lo stava supplicando. Era la cosa che più fece male ad Alec. E forse, realizzò, Asmodeus aveva ragione quando diceva che lo rendeva debole. Magnus non aveva mai supplicato nessuno e adesso supplicava Alec di non lasciarlo. “Ho perso tutto! La mia casa, la mia magia, la mia identità! Non posso perdere anche te, non posso!” Magnus gli appoggiò le mani sulle guance e avvicinò il proprio viso al suo. “Non posso perderti,” sussurrò, “Resta con me, Alexander. Ti prego, resta con me.”
Alec chiuse gli occhi. Non poteva più sopportare di vederlo così e ancora di meno riusciva a sopportare di essere la causa di quella sofferenza. Ma era un male necessario. Gli sarebbe passato. Magnus aveva superato altre rotture, altre storie d’amore finite, avrebbe superato anche quella.
Nella sua testa riecheggiò la voce di Isabelle che gli domandava: «E tu, Alec? Tu la supererai?»
Le labbra di Magnus lo riportarono alla dolorosa realtà, scacciando il ricordo della conversazione con Izzy. Alec sentì la bocca di Magnus sulla propria. Lo stava baciando e Alec, per la prima volta da quando si erano conosciuti, non stava ricambiando quel bacio. Avrebbe voluto farlo. Avrebbe voluto stringere Magnus a sé e baciarlo, amarlo con tutto se stesso, rimanere al suo fianco fino a farsi consumare la vita, fino a quando la vecchiaia e il tempo non se lo sarebbero portati via e lui altro non sarebbe diventato che un mucchio di cenere. Cenere siamo e cenere torneremo.
Ma non sarebbe stato giusto. Ricambiare quel bacio sarebbe stato un atto egoistico e Alec aveva smesso di essere egoista. Aspettò che Magnus capisse che non stava ricambiando e poi gentilmente lo allontanò da sé.
“Non posso.” Sussurrò con così poca convinzione che per un attimo temette di aver mandato in fumo tutti i suoi precedenti sforzi. “Non posso.” Affermò, quindi, dando più enfasi alle sue parole. Non lo guardò. Non ci riuscì. Guardare l’effetto che quell’affermazione avrebbe avuto su Magnus l’avrebbe distrutto definitivamente, in un modo irreparabile. Avrebbe fatto più danni al suo cuore di quanto quella situazione non avesse già fatto.
Di conseguenza, uscì quasi di corsa da quel negozio, lasciandosi Magnus alle spalle per sempre. Avrebbe voluto dirgli che lo amava un’ultima volta, ma sarebbe stato inutile e ingiusto. Così aveva taciuto.
Fuori dalla libreria, mentre camminava a passo svelto per mettere sempre più distanza tra sé e Magnus, pensò che non aveva risposto alla domanda postagli da sua sorella. Con lei, aveva semplicemente lasciato che quelle parole rimanessero sospese nell’aria, ma rispose adesso, al buio della sera, al silenzio di quella strada deserta, allo sconforto e alla disperazione che sentì nascere dentro di sé.
“No, non la supererò.” Si concesse un’unica lacrima, la sentì scorrere calda lungo il suo viso. “Io non amerò più.”
 





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Ciao a tutti!
Prima di tutto mi scuso con LadyKiller125 e babydevil per il ritardo, ma volevo finire il capitolo di una long che era tantissimo che non aggiornavo!
Questa OS nasce su loro richiesta, che si sono chieste quali potessero essere più o meno i pensieri di Alec durante la 3x16 e le sensazioni di Magnus in quei momenti.
Ora, dal momento che ci ho messo più tempo a scriverla, ho esteso la cosa anche agli episodi successivi, in particolare 3x17 e 3x18. Spero che la OS vi sia piaciuta comunque, anche se era un po’ diversa da come era partita inizialmente!
Tengo a precisare che i dialoghi non mi appartengono: ho ascoltato i pezzi degli episodi in cui si svolgevano queste scene e ho riscritto tutto quasi alla lettera!
Ringrazio chiunque abbia deciso di aprire questa storia e sia arrivato fino in fondo! Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate, a me farebbe piacere!
Un abbraccio, a presto! <3




 
   
 
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