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Autore: Carmaux_95    03/05/2019    10 recensioni
[Maylor + accenni Freddie/Jim]
-Ti ricordi l'anno scorso quando abbiamo suonato per quella festa hawaiana? Abbiamo indossato degli assurdi gonnellini di paglia e dei finti orecchini!- e mentre parlava Freddie mimò una sorta di balletto ondeggiando i fianchi e le braccia. -Basterebbero due belle parrucche e un paio di quei seni finti che si gonfiano!-
Roger lo osservò senza dire una parola, le braccia incrociate sul petto e lo sguardo indecifrabile, fino a quando fu John Reid, che non aveva ascoltato una parola ma aveva visto il pianista esibirsi in quella sottospecie di danza, a rompere il silenzio:
-Cos'ha il suo amico? Si sente male?-
-Lo spero.- rispose il biondo senza staccare gli occhi dal coinquilino.
-Ma Rog, sono tre settimane in Florida!-
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian May, Freddie Mercury, Jim Hutton, John Deacon, Roger Taylor
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO DIECI

Gli era capitato più di una volta, ascoltando una canzone alla radio ma anche nei momenti in cui componeva insieme a Freddie: ascoltava un pezzo e lo trovava interessante, solo interessante; gli capitava poi di riascoltare quello stesso identico pezzo in un altro momento e, pur conoscendolo già, improvvisamente qualcosa lo colpiva – non avrebbe saputo definire cosa nello specifico – facendogli desiderare di ripetere quelle note, quel ritmo, quelle parole ancora una volta... e un'altra ancora. Come se improvvisamente non ci fosse altra canzone al mondo che avesse voglia di ascoltare.

La prima volta che aveva parlato con Brian, sorvolando il trauma iniziale e la paura di essere scoperto, lo aveva trovato interessante: aveva trovato piacevole la sua compagnia e coinvolgente la sua passione per il proprio lavoro. Brian si era rivelato quel genere di persona che parlava e non si poteva fare a meno di ascoltare. Questi erano stati i suoi pensieri quando era tornato in albergo quella sera. Niente più.
Il suo giudizio a proposito non era cambiato durante quella telefonata in tarda serata. L'unica differenza era stata che in quel momento era stravolto e, per quanto il professore sapesse catalizzare l'attenzione, allo stesso tempo la sua voce sortiva lo stesso effetto di un bicchiere di latte caldo: complice il letto su cui si era malauguratamente sdraiato, dopo un po' aveva ceduto alla stanchezza.

Seduto su quel divano, invece, nel momento in cui Brian si era sporto per recuperare il proprio quaderno, qualcosa era cambiato: la prima volta che aveva allontanato le mani per impedirgli di sottrargli quelle pagine gli era venuto da sorridere, divertito o forse intenerito da quell'improvviso imbarazzo, ma si era trattenuto.

In quel preciso momento aveva capito che forse Freddie aveva dato un'interpretazione dei fatti poi non così lontana dalla realtà, che forse aveva visto lungo.

Aveva capito che non trovava quella compagnia solo interessante: gli piaceva. Aveva capito che Brian gli piaceva.

Al secondo tentativo da parte di quest'ultimo di togliergli dalle mani il quaderno, Roger lo aveva scostato, innervosito non tanto dalla sua insistenza quanto dalla vicinanza. E di nuovo non lo aveva guardato, rendendosi conto che gli aveva dato del “tu”.

La mano ancora appoggiata contro il suo petto, attraverso la camicia aveva percepito il suo cuore battere più rapidamente e solo allora si era girato e aveva alzato gli occhi, come a voler controllare che non fosse solo frutto della sua immaginazione.

E di colpo Brian gli si era avvicinato ancora di più e lo aveva baciato, cogliendolo di sorpresa e imbambolato.

Dopo qualche istante diede di matto.

La mano che lo aveva allontanato agì di nuovo spingendolo indietro; la bocca aperta, gli occhi sgranati e il respiro improvvisamente corto, si alzò di scatto dal divano, allontanandosi di qualche passo, senza rendersi conto che Brian avrebbe potuto interpretare quel gesto negativamente.

Non fu quella la sua intenzione nemmeno quando, senza fiato, come se quel semplice bacio – nonostante fosse stato il più innocente che avesse mai ricevuto, a dire il vero – gli avesse svuotato completamente i polmoni, si rivolse a Brian che si stava a sua volta alzando per venirgli incontro: -Hai qualcosa da bere? Qualunque cosa: basta che sia alcolico.-

Il riccio annuì, leggermente deluso, e tornò poco dopo con un bicchiere di vino: Roger quasi lo strappò dalle sue mani e cominciò a bere a grandi sorsi.

Non voleva sconfortarlo ma, colto alla sprovvista e da così poco tempo davvero consapevole dell'interesse che nutriva nei suoi confronti, si era agitato.
Perché in fondo Fred glielo aveva rinfacciato fin dal primo giorno... da quella mattina in cui lo aveva scaraventato giù dal letto per vendicarsi di essere stato piantato in asso.
“Come lo hai trovato?”
“Intelligente, immagino.”
“Ci hai parlato per delle ore e questo è tutto quello che hai da dire?”
“Cosa ti aspettavi che dicessi, scusa?”

Si aspettava che dicesse esattamente quello a cui, adesso, non riusciva a smettere di pensare. Roger, tuttavia, in quel momento non gli aveva mentito... semplicemente non se ne era reso conto. Il sorriso che gli era nato vedendo Brian così imprevedibilmente imbarazzato, aveva fatto scattare una campanella d'allarme che, in quel preciso momento, gli stava gridando che si trovava in una situazione nuova e che non aveva idea di come gestire.

Il chitarrista approfittò del momento in cui Roger si portò il vino alle labbra per parlare con voce sommessa: -Non volevo metterti a disagio...-

Quasi non aspettò di deglutire per rispondere con una palese bugia che venne gorgogliata ad un'ottava più alta del normale: -Non sono a disagio.-

-Roger...- proseguì Brian paziente.

-Non sono a disagio. Sono... sorpreso.-

-Quando sei così irrequieto, non hai fiato e parli in falsetto non sei sorpreso: sei nel panico.-

-Non sono impanicato.- dichiarò. -Non sto... sclerando. Non sto sclerando!-

Brian avrebbe sorriso di quel suo parlare colloquiale, ma in quel momento annuì: -Un pochino...-

Quasi senza rendersene conto Roger imitò il suo gesto e crollò: -Un pochino... un po' tanto...-

-Scusami...-

-No.-

-No?-

Roger scosse la testa, mentre finiva il vino, sotto gli occhi indecifrabili di Brian. Abbassò lo sguardo sulle proprie mani: già faceva fatica a riflettere, se poi si aggiungeva il chitarrista guardandolo in quel modo non riusciva più nemmeno a seguire un filo di pensiero.

-Solo...- sussurrò, tenendo lo sguardo basso.
Gli era piaciuto, quel bacio. Nonostante lo avesse respinto immediatamente, quel semplice contatto gli aveva generato una scossa elettrica lungo la spina dorsale. E ora Brian era lì di fronte a lui: sarebbe bastato un passo. Un passo che si rendeva conto di aver il terrore di fare. Per la seconda volta Freddie si insinuò prepotentemente nella sua mente: “Quando hai paura non riesci a ragionare”.
Eppure... non c'era molto su cui ragionare... perché in fondo non era il tipo di paura a cui era abituato... era qualcosa di irrazionale che, però, non gli faceva muovere un muscolo. Capì che lui non si sarebbe mosso ma che, al contempo, forse aveva bisogno solo di una spinta...

-Solo... potresti... farlo ancora?-

Imbarazzato, non si azzardò a sollevare la testa e stritolò il povero calice, mettendo a dura prova la sua resistenza fino a quando Brian non glielo sfilò delicatamente dalle mani, appoggiandolo sul tavolino vicino per poi avvicinarsi e accarezzargli lentamente le guance lisce.

Le sue mani erano fresche e quando le dita gli accarezzarono il labbro inferiore Roger non riuscì a trattenere un sibilo, sollevando finalmente lo sguardo.

Brian allora si chinò su di lui e lo baciò di nuovo. Fu esattamente come la prima volta: delicato, calmo, breve... studiato. Si sollevò poco dopo, riuscendo finalmente a guardarlo negli occhi:

-Ancora?-

Roger annuì con la testa e, leggermente insicuro, seguì di nuovo i lenti movimenti dettati da Brian. Si rese conto che non voleva spaventarlo, che temeva che se avesse... esagerato, lui avrebbe dato di matto di nuovo, spingendolo via.

Si sentì uno stupido ragazzino, un goffo scolaretto alla sua prima cotta, indeciso su cosa fare, impacciato nei movimenti: sollevando le braccia, non seppe subito come comportarsi... sapeva solo che non aveva alcuna intenzione di allontanarlo, così alla fine appoggiò le mani sui suoi fianchi, stringendo il tessuto della camicia fra le dita.

In risposta le dita di Brian scivolarono sulla nuca, stringendogli i capelli biondi e facendolo sospirare mentre glieli tirava leggermente per sollevarsi da lui. Sorrise appena nel vedere che rimase lì, con le labbra appena schiuse, senza aprire gli occhi: -Anco...-

Non fece in tempo a concludere la domanda: trovando finalmente un filo di sicurezza, Roger trasformò quell'imbarazzata presa sui fianchi in un abbraccio, premendo il corpo contro il suo con tanta irruenza che Brian indietreggiò di un paio di passi.

Capendo che non lo avrebbe più respinto, il professore strinse ancora la presa nei suoi capelli e si girò, trascinando il ragazzo con sé verso il divano.


 


 

-Ma... io non sono un amministratore.- sussurrò John, tormentandosi le mani. Dopo diversi secondi di silenzio si decise ad alzare lo sguardo: dall'altra parte della scrivania, l'uomo era sdraiato sulla sua poltrona e teneva i piedi incrociati sul tavolo; il viso nascosto dietro alle pagine di un voluminoso giornale fitto di articoli. -Signore...- provò a dire di nuovo John.

Con un fruscio, le pagine si abbassarono: -Hai forse detto qualcosa?-

Il messaggio era chiaro: non aveva alcuna intenzione di discutere.

Ma doveva almeno provarci: -Non credo di essere la persona adatta...-

-Sei silenzioso e passi inosservato.-

-Ma non me ne intendo di... amministrazione... o di economia. Io... io suono il basso...-

L'uomo dietro la scrivania sbuffò e chiuse definitivamente il giornale: -Non mi importa. Serve un amministratore quindi farai l'amministratore.-

-Ma signore...-

-Non è una conversazione che ammette repliche, Deacon: che sia chiaro.-

-È solo che... non so in che modo potrei esservi d'aiuto.-

-In questo momento non ho nessun altro. E per di più, nessuno si interesserà a te: l'uomo che detta le regole spesso è un uomo a cui si vuole stare alla larga. Dico bene?- John abbassò lo sguardo sulle proprie mani e non rispose, capendo la frecciatina. -Quando arriverai a Miami ti telefonerò e ti aggiornerò sui tuoi compiti.-

John provò di nuovo: -Tre settimane... tre settimane sono lunghe.-

-Dieci anni sono più lunghi.-

Si morse le labbra ma non riuscì a trattenersi: -Intendo dire che forse... dopo...-

L'uomo distolse lo sguardo e rifletté, o forse finse di riflettere: -Sì... forse dopo...- e con un gesto della mano lo dileguò.

John si alzò dalla seggiola e si avviò mestamente verso la porta dell'ufficio, ma quando fu sul punto di andarsene parlò di nuovo: -Che genere di compiti?-

In risposta l'uomo gli lanciò un opuscolo che John fu costretto a raccogliere da terra. Lo lesse silenziosamente, corrugando la fronte: “Decimo congresso degli amici dell'Opera italiana”.


 


 

Non sapeva bene come fosse finito in quella situazione. Non che gli dispiacesse, chiaro, ma un attimo prima stringeva un calice di vino vuoto... e un attimo dopo una scia di baci gli inumidiva il collo, da sotto le orecchie fino alle clavicole; il corpo sovrastato da quello di Brian.

Le sue mani stavano annegando nei ricci castani del chitarrista, come a volerlo dirigere: ma Brian non aveva bisogno di una guida, sapeva esattamente cosa stava facendo e, come se lo conoscesse da sempre, sapeva esattamente anche dove sfiorarlo e in che modo. Gli baciò il mento e subito dopo tornò a dedicarsi al collo, invogliato dai sospiri che Roger non provava nemmeno a frenare. La sua lingua trovò un punto che ancora non aveva saggiato e i denti lo marchiarono voracemente. Il gemito che sfuggì dalle labbra del biondo gli fece sollevare la testa per osservarlo: per osservare le labbra gonfie, arrossate da tutti quei baci, frementi per il respiro affannato... per studiare il groviglio dei suoi capelli dispersi disordinatamente sul divano... per ammirare i grandi occhi liquidi che, non appena il caldo abbraccio delle sue labbra sul collo venne meno, si aprirono come a chiedere una spiegazione... o almeno, immaginò che Roger li avesse aperti, perché in quel momento non li vedeva nemmeno. Sorrise intenerito e gli sfilò delicatamente gli occhiali le cui lenti, completamente appannate, mascheravano quelle gemme azzurre.

Facendo scendere le mani dai capelli alla schiena, Roger lo abbracciò e sollevando il capo, ricambiò il gesto, baciandolo come aveva fatto lui, lambendogli golosamente l'incavo tra il collo e la spalla fino a quando Brian non si abbassò nuovamente.

In amore, Roger aveva sempre avuto il controllo della situazione: voleva avere il controllo. Sapeva come e quando lasciarsi andare, che gemiti trattenere e che sospiri concedersi, e, in parole povere, se la godeva.
Ma in quel momento, con Brian, non stava capendo assolutamente niente. Ogni volta che lo accarezzava sentiva dei brividi partire dalla nuca e scivolare fino alla punta delle dita; brividi che mandavano in corto circuito la sua mente, facendo agire i muscoli per conto loro, senza aver ricevuto ordini: quando le dita di Brian aprirono i primi bottoni della sua camicia – e la giacca? Quando gliela aveva sfilata? - e sfiorarono quel nuovo lembo di pelle scoperta con una carezza sostituita subito dopo da un'altra serie di baci, inarcò automaticamente la schiena. Percepì chiaramente un sorriso compiaciuto incurvare le labbra di Brian mentre, tirandogli i capelli, Roger lo indirizzava nuovamente sulle sue labbra. Ma non gli importò. Non gli importava di niente che non fosse i caldi sospiri di Brian contro la sua pelle. Lasciò che le loro lingue si incontrassero, che i respiri si confondessero ancora una volta in una eccitante e umida melodia.

Un'inaspettata interferenza distolse Brian da quella danza, portandolo a sollevare la testa indirizzando lo sguardo verso il telefono che squillava in un angolo del salone.

Roteò gli occhi, piegando le labbra verso l'interno quando sentì Roger cercarlo di nuovo, mordendogli leggermente il lobo.

-Rog... devo rispondere.-

Il biondo lo squadrò, sgranando gli occhioni azzurri: -Cazzo, stai scherzando?!-

-No: potrebbe essere importante.-

-Se è importante richiameranno.- lo trascinò di nuovo sulle proprie labbra impedendogli, per qualche secondo, di rispondere.

Solo per qualche secondo: -Potrebbe essere una telefonata transoceanica.- farfugliò, per quanto gli fu possibile.

-E 'sti cazzi?-

Brian rise contro le sue labbra, e si sollevò di nuovo, traducendo per Roger il significato di quella frase: -Potrebbe essere la mia famiglia.-

Il batterista sbuffò, ma alla fine annuì comprensivo: dopotutto, se avesse avuto l'opportunità di parlare con sua madre o con Clare, l'avrebbe colta anche lui. A malincuore vide Brian alzarsi da lui, dopo avergli lasciato un ultimo bacio sulla fronte.

Roger lo osservò allontanarsi, il respiro ancora affannato. Si passò una mano sulla fronte, e sospirò rumorosamente mettendosi a sedere. Doveva avere un aspetto particolarmente buffo dato che Brian, dopo aver sollevato la cornetta per rispondere, si era girato e gli aveva sorriso. Probabilmente aveva i capelli spettinati in maniera indescrivibile... per non parlare delle guance e delle labbra arrossate...
Da un certo punto di vista si vergognava un po' di essersi lasciato trasportare in quel modo. Ma era tanto tempo che non si sentiva così... bene. Nemmeno quando passava la notte con Dominique riusciva a dimenticare i problemi che lo assillavano tutti i giorni. Certo, se la spassava, ma una parte di lui ricordava comunque i debiti o l'affitto non ancora pagato...
In quel momento invece non riusciva a pensare a niente. Gli veniva solo da sorridere e da ripercorrere mentalmente il tragitto di ogni singolo bacio.
Stava bene...
Se non fosse stato che pensava di meritare almeno un filo di quella felicità, si sarebbe davvero vergognato. Vergognato del modo in cui stava guardando quell'astrofisico alto quasi due metri; vergognato del gesto che continuava a ripetere passandosi la lingua sulle labbra, come a voler assaporare gli ultimi rimasugli di quei baci; vergognato del fatto che, se dall'altro capo del telefono non ci fosse stata la sua famiglia, gli sarebbe tranquillamente saltato addosso di nuovo in quel preciso momento.

Cazzo... Freddie lo avrebbe sfottuto a vita... riusciva già a sentire la sua voce sibillina e fastidiosa mentre, con un sorrisetto soddisfatto, gli rinfacciava che “glielo aveva detto!”.

Cercando di distrarsi, allungò una mano e prese il giornale, appoggiato sul tavolino di fronte al divano. Non era particolarmente interessato ad alcuna notizia, ma doveva distogliere lo sguardo da Brian prima di rendersi ridicolo. Sfogliò le prime pagine con noncuranza fino a quando la realtà decise di riportarlo con i piedi per terra con la sua consueta brutalità.

Osservando la fotografia che occupava mezza pagina e leggendo il titolo in stampatello, si sentì mancare il fiato. Lanciò uno sguardo preoccupato a Brian, trovandolo, fortunatamente girato da un'altra parte. Con un gesto secco strappò la pagina, la ripiegò più volte su sé stessa e la nascose nella tasca dei pantaloni. Richiuse il giornale e lo lanciò sul tavolino appena prima che Brian si voltasse nuovamente e, prendendo il corpo del telefono in mano, si avvicinasse al divano, tornando a sedervisi.
Per dissimulare, Roger prese un'altra delle riviste e, senza rifletterci, si sdraiò, appoggiando la testa sulle sue gambe mentre lui continuava a parlare.

Brian gli sorrise dall'alto mentre il biondo soffocava l'ennesimo sbadiglio in una rivista di animali.


 


 

Freddie chiuse la porta della camera dietro le proprie spalle con un gesto fulmineo impedendo a Veronica di entrare:

-Scusa, ma Clare non si sente ancora bene... adesso sta... dormendo.- dichiarò sperando di convincere la brunetta a lasciar perdere.

-Mi dispiace tanto...- sussurrò quest'ultima. -Credi che riuscirà a suonare dopo cena?-

In tutta onestà, Fred non ne aveva la più pallida idea. Cosa gli aveva detto quello stronzetto? “Vado, recupero i nostri appunti e torno”.

Certo!

In cuor suo sapeva che non avrebbe rispettato i piani, che si sarebbe trattenuto più a lungo. Ma non pensava così tanto!

Quando John, all'ora di cena, era venuto a bussare alla loro porta per richiamarle ai loro doveri, Fred si era dovuto inventare una scusa che convincesse l'amministratore e, soprattutto, che gli impedisse di entrare in camera a confutare la bugia. Per quanto semplice, l'aver raccontato che Clare si fosse sentita male dopo pranzo, fu efficace e, per una sera, il signor Deacon aveva concesso di portare avanti uno spettacolo senza la batteria.

Tuttavia Fred non era sicuro che sarebbe stato così cortese anche con l'ultimo spettacolo del giorno, a meno che Clare non fosse proprio ad un passo dalla tomba... ma in quel caso avrebbe probabilmente fatto chiamare un dottore...

E come se non bastasse, si era aggiunta pure Veronica che, preoccupata per l'amica, avrebbe voluto vederla o assisterla. Con un giro di parole Freddie era riuscito ad allontanare pure lei ma ora cominciava a temere per la serata.

Sedendosi sul proprio letto con le braccia incrociate sul petto, giurò che se Roger non fosse tornato per l'ultimo spettacolo della giornata, la mattina dopo gli avrebbe fatto rimpiangere di essere nato... sempre che ci arrivasse, al mattino: l'idea di strangolarlo nel sonno cominciava ad presentarsi in tutte le sue allettanti sfumature.


 


 

Brian accarezzava quelle morbide ciocche bionde, pettinandole lontane dagli occhi chiusi di Roger e gustandosi ogni singolo secondo di quel silenzio interrotto solo dai respiri profondi del più giovane. La testa ancora appoggiata sulle sue gambe, Roger dormiva già da un bel po', ma a Brian non dispiaceva, al contrario.

Quando aveva concluso la telefonata con la propria famiglia, aveva passato una mano fra i suoi capelli, facendo sollevare lo sguardo a Roger che, alzando il naso dalla rivista, gli aveva regalato un sorriso.

Avevano candidamente chiacchierato, sentendosi perfettamente a loro agio così, semplicemente parlando e prendendosi in giro a vicenda.

Fino a quando Brian, immerso nel racconto di un interessante convegno al quale aveva partecipato qualche mese prima, non ottenne più risposta. Evitò di ridere, pensando che si era appena ripetuta la stessa scena della sera prima, per non svegliarlo.

Avrebbe potuto continuare a coccolarlo per ore.
Vederlo così tranquillo e rilassato lo faceva sorridere e finalmente riuscì ad immaginarlo con il naso immerso fra le pagine di un libro. Si guardò intorno, cercando con lo sguardo la trilogia che aveva catturato la sua attenzione qualche ora prima. Si chinò lentamente, evitando movimenti bruschi e la prese in mano girando le pagine che raccontavano la storia del suo primo semestre universitario.

La pendola rovinò i suoi tentativi di preservare il sonno del giovane dentista. In quel momento si maledì per averla programmata di modo che suonasse un'ora prima dell'ultimo spettacolo di John. O meglio, si maledì di non averla disinserita prima che Roger si addormentasse... non che potesse immaginare che si sarebbe addormentato, ma comunque...
Quando era arrivato a Miami aveva predisposto che suonasse tutti i giorni a quell'ora: conoscendosi, nei lunghi pomeriggi trascorsi in barca avrebbe portato avanti i propri studi, con il risultato di perdere la concezione del tempo; aveva tuttavia promesso a John che avrebbe assistito alle serate dell'orchestra e una semplice sveglia era stata un buon compromesso per rispettare promesse e passioni.

Controllò Roger ma, con sorpresa, si accorse che stava ancora dormendo...
Doveva essere davvero stravolto se continuava a dormire così profondamente nonostante il rintocco della pendola.

Lo accarezzò di nuovo, grattando delicatamente il cuoio capelluto.
A quel punto però – ora che si rendeva conto di che ore fossero – non sapeva se svegliarlo o meno... da un certo punto di vista lo avrebbe lasciato dormire lì sulle sua gambe anche tutta la notte; dall'altro non voleva sentirsi in colpa nei confronti di John che, ora più che mai, sembrava aver bisogno di qualcuno vicino.

Aspettò ancora qualche minuto prima di appoggiare una mano sulla sua spalla, stringendola appena. Roger farfugliò qualcosa e si stropicciò gli occhi con il dorso della mano. Quando schiuse gli occhi ruotò il polso per leggere l'ora. Brian lo vide stringere gli occhi per mettere a fuoco più facilmente.

-Cristo...- biascicò. -Oh porca puttana!- e di colpo si sbracciò per cercare un appiglio a cui aggrapparsi per tirarsi su: per poco non colpì Brian in piena faccia nell'afferrare lo schienale per mettersi a sedere. In meno di un secondo era in piedi e, dopo un piccolo giramento dovuto all'improvviso cambio di pressione che per poco non gli fece perdere l'equilibrio, si stava affaccendando in giro per il salone: -Dov'è la giacca?-

Questa volta non riuscì ad impedirselo: Brian scoppiò a ridere per via di quell'improvviso ribaltamento della situazione. Da quel religioso silenzio cadenzato dal lento respirare del biondo alle imprecazioni appena sveglio nel tentativo di rimettersi in piedi nonostante la stanchezza.

-Non c'è niente da ridere! Dove cazzo è la giacca?-

Brian la individuò e la raccolse da terra, alzandosi e aiutandolo ad indossarla quando, nella fretta, mancò di infilare una delle maniche.

-Che succede?-

Roger infilò la mano in una delle tasche e ne tirò fuori un barattolino. Lo osservò e scosse la testa arrabbiato: -Analgesici di merda!- sibilò fra i denti.

-Rog, ma che succede?- il sorriso ancora sulle labbra.

-Avevo un...- nascose di nuovo le pillole nella giacca. -appuntamento di lavoro...-

-Quando?-

-Circa cinque ore fa.-

-Uno di quei pazienti che non si adattano all'orario d'ufficio?-

Roger, dopo qualche istante, annuì: -Sì... più o meno... e adesso il mio capo mi sgriderà! Già ho le pezze al culo... se poi perdo anche le giornate di paga...-

-Temi... temi che possano licenziarti?- domandò Brian, tornando improvvisamente serio, cominciando a capire il motivo di tanta agitazione.

-No... non credo... lo spero cazzo... ma devo tornare subito a terra, devo cercare di salvare il salvabile.-

Brian gli sistemò la giacca sulle spalle, notando che era di almeno una taglia troppo grande. Un'altra domanda gli sorse spontanea: -A cosa ti servono gli analgesici?-

-Mi fa male un dente.- rispose Roger sistemandosi la camicia nei pantaloni.

-Ironico.-

-Come?-

-È ironico che un dentista abbia mal di denti.- spiegò semplicemente. -Perché non ti fai vedere da uno dei tuoi colleghi?-

Alla domanda Roger abbassò la testa e la scosse rapidamente, improvvisamente a disagio: -Io non... noi... non... non andiamo d'accordo.-

-Oh, mi dispiace... come mai?-

-Non è niente.- tagliò corto scrollando le spalle. -È un periodo un po' particolare... ed è da un po' che ho un rapporto... strano... con le persone.-

-Strano in che senso?-

-Tipo che loro respirano e io mi incazzo.-

Brian strinse fra le mani il colletto della giacca: -D'accordo, non ne vuoi parlare. Lo capisco...- sorridendogli lo attirò a sé per un ultimo bacio. -Ti riporto a riva.-


 


 

Chiuso nella cabina telefonica, John aveva incrociato le braccia sul petto e reclinato la testa, appoggiandola contro il vetro. Teneva gli occhi chiusi, aspettando.

La chiamata sarebbe dovuta arrivare proprio a quella cabina.
L'appuntamento telefonico era già passato da dieci minuti, ma in fondo il suo datore di lavoro non era mai stato un uomo puntuale.

Non poteva fare altro che aspettare.

Sussultò, quando, con un rumore secco, la porta della cabina si aprì, per richiudersi subito dietro le spalle di Veronica.

-Mi scusi ma... io...- bofonchiò colto di sorpresa.

-È chiuso qui dentro da minuti interi... si sente bene? Sembra triste...-

-Io... sì, cioè no: sto solo aspettando una chiamata di lavoro.-

Veronica gli si avvicinò, stringendolo in un abbraccio. John rimase immobile per un momento, ma quando la ragazza appoggiò la testa contro il suo petto... pensò che forse si stava punendo più del necessario: forse, in fondo, negarsi anche quel piccolo gesto di attenzione dei suoi confronti era troppo. Le avvolse la schiena, appoggiando la guancia sulla sua testa.

-Perché sei così triste?- gli sussurrò la ragazza, alzando il viso per guardarlo negli occhi. -Te lo leggo negli occhi...- aggiunse quando John tentò di negare scuotendo la testa.

Le sorrise, accarezzandogli la guancia con due dita.

Veronica rispose al sorriso avvicinandosi ancora di più e sfiorando la punta del naso di John con il proprio.

Il musicista chiuse gli occhi, lasciandosi coccolare da quell'amorevolezza inaspettata.
Fino a quando decise che forse... poteva concedersi qualcosina in più. Che voleva qualcosa in più.

Sfiorò appena le sue labbra, non in un vero bacio ma in una sorta di muta richiesta di permesso. Con un sospiro sorridente fu Veronica ad avvolgere le braccia attorno al suo collo, sollevandosi sulle punte.

Il telefono squillò tre volte prima che John cercasse di sollevarsi dalle sue labbra. Sollevò la cornetta lasciando un ultimo bacio sul naso della brunetta ma non rispose. Con gli occhi pregò Veronica di uscire: non voleva che ascoltasse quella telefonata...

La ragazza sembrò leggergli nella mente e, sciogliendo – lentamente, troppo... – l'abbraccio e uscendo dalla cabina. John la osservò allontanarsi con il sorriso sulle labbra e quasi non sentì la voce del suo datore di lavoro:

-Come? Ah, sì, sì, pronto... sì, signore... no, signore... il salone è grosso, con una sola entrata e uscita... sì, signore: c'è un'altra sala e la usano solo per i convegni... hanno montato oggi gli striscioni e i cartelloni che pubblicizzano il “Decimo congresso per gli amanti dell'opera italiana”... esatto: useranno proprio quella sala. Stavo pensando che...-

Si fermò, interrotto brutalmente dall'uomo dall'altra parte del telefono; rimase in silenzio, ascoltando. E di colpo alzò le sopracciglia: -Cosa? Lei-lei viene qui?- rifletté in fretta ma non appena aprì bocca l'uomo lo interruppe di nuovo, zittendolo.

Forse se lei è qui non è necessario portare avanti questa messa in scena per un'altra settimana!
Forse me ne posso andare... no? Il mio lavoro l'ho fatto...

Questo avrebbe voluto chiedere, ma non ne ebbe il tempo: la telefonata si concluse brutalmente come era cominciata. Appoggiando la cornetta si morse le labbra e, già che c'era, appoggiò la fronte contro il telefono, dandosi dell'idiota: perché bastava così poco per metterlo in soggezione? Se non fosse stato così maledettamente timoroso avrebbe alzato la voce e si sarebbe fatto sentire.

Scosse la testa, aprendo la porta della cabina e uscendo: lui non era così. O meglio, lo sarebbe anche potuto essere, qualora si fosse trovato a suo agio con chi aveva davanti. Ma anche se in un'altra città, quell'uomo maledetto riusciva a metterlo talmente a disagio da portarlo ad annuire con sottomissione.

Cercò il lato positivo della situazione: forse l'aver tenuto a freno la lingua si sarebbe rivelato un bene; la sua collaborazione senza lamentele avrebbe segnato punti in suo favore...

Alzò la testa appena in tempo per accorgersi della figura che gli stava venendo incontro a tutta velocità: si fermò di colpo e una bicicletta gli sfrecciò a pochi centimetri di distanza. Forse quel piccolo “lato positivo” non gli aveva alleggerito il cuore come sperava se attraversava la strada senza nemmeno guardarsi intorno per precauzione. Storse le labbra e incassò il meritato insulto per poi rientrare in albergo.


 


 


 


 

Angolino autrice:

Buongiorno my lovies! ^^

Ecco qui il capitolo che molti di voi stavano aspettando! Un capitolo importante non solo per gli sviluppi maylor :-P

Per quanto riguarda questi ultimi – facendo sempre riferimento al film a cui questa storia si ispira – ho voluto mantenere il dettaglio degli occhiali che si appannano ^^ e l'idea che Roger chieda a Brian di baciarlo, incoraggiandolo a farlo più volte... cercando di ricalcare, anche se in chiave chiaramente diversa, la scena in cui Joe finge di essere frigido e disinteressato, spronando Sugar a baciarlo per avvalorare la propria tesi.

Chi conosce il film a cui questa storia si ispira... beh, forse avrà cominciato ad intuire in che modo John potrebbe essere coinvolto in tutta questa faccenda ^^
Per chi invece non lo conosce, beh, ci saranno alcune sorprese nei prossimi capitoli! ^^

A questo giro non ho molto altro da aggiungere, per cui non vi disturbo ^^ Anzi, sì, vi disturbo per un'ultima piccola cosa: vorrei chiedere scusa a tutti voi che avete recensito! Purtroppo non sono proprio riuscita a rispondere alle vostre bellissime parole! Rimedierò appena potrò! Scusatemi!

Spero davvero che il capitolo sia stato di vostro gradimento!

E come sempre, grazie mille a tutti quanti voi che leggete, recensite, ricordate, seguite e preferite questa storia! <3 Davvero, grazie! *.*

Vi mando un bacione!

A presto!

Carmaux

  
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