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Autore: lady lina 77    05/05/2019    3 recensioni
Una nuova fanfiction, una AU (che sarà molto lunga), che parte dal tradimento di Ross della S2. Cosa sarebbe successo se Elizabeth si fosse accorta prima di sposare George, della gravidanza del piccolo Valentine? Cosa sarebbe successo se avesse obbligato Ross a prendersi le sue responsabilità?
Una storia dove Ross dovrà dolorosamente fare i conti con le conseguenze dei propri errori e con la necessità di dover prendere decisioni difficili e dolorose che porteranno una Demelza (già incinta di Clowance) e il piccolo Jeremy lontano...
Una storia che, partendo dalla S2, abbraccerà persone e luoghi presenti nelle S3 e 4, pur in contesti e in modalità differenti.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Demelza Carne, Elizabeth Chynoweth, Nuovo personaggio, Ross Poldark, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La mano di Valentine, stretta nella sua mentre passeggiavano sulla riva del Tamigi, gli dava un senso di pace. In realtà era come se vivesse su una nuvoletta privilegiata da dieci giorni, da quando il mancato duello con Adderly aveva cambiato la sua vita e cancellato le previsioni fosche del suo futuro e da allora era come se ogni cosa riuscisse a dargli piacere. Forse era diventato un dannato ottimista sognatore, pensò ironicamente! Tutto era cambiato da allora e gli rodeva un pò ammettere a se stesso che forse, beffardamente, avrebbe dovuto ringraziare proprio quell'idiota di Monk per tutto questo. Oh, lo avrebbe fatto e lo avrebbe fatto tramazzare a terra se questo non fosse stato un atto infantile e soprattutto, poco rispettoso di Demelza... Ma aveva scelto di essere uomo, quel giorno, e questo proponimento aveva intenzione di portarlo avanti per sempre.

E se quella mattina il dono era stato amare ripetutamente Demelza, il lunedì dopo era stato pura passione, due ore di assoluta armonia, desiderio e amore fisico e spirituale. Aveva atteso quel giorno come un bambino che aspetta di scartare i doni di Natale la mattina del 25 dicembre, con la stessa impazienza e trepidazione. Due ore alla settimana erano poche ma conferivano a quegli incontri donati e concessogli da Demelza, eccitanti, speciali ed emozionanti.

Si erano ritrovati nel cottage al mattino, all'ora prestabilita, e appena avevano chiuso la porta dietro di loro non si erano detti parola ma si erano limitati a baciarsi furiosamente mentre le loro mani lottavano con gli abiti dell'altro e i loro corpi si eccitavano al pensiero di quanto sarebbe accaduto di lì a breve. Era l'attesa, il desiderio, il sogno a rendere tutto più speciale ed eccitante. L'aspettarsi, il volersi, il sognarsi... Erano solo loro, amanti clandestini nascosti al mondo, che si ritagliavano il loro spazio solo per se stessi all'interno di vite lontane, diverse, piene e costellate di responsabilità. Solo loro, l'essere uomo e donna che per tanto si erano preclusi, la passione, il desiderio bruciante, il fare l'amore instancabilmente dal primo all'ultimo minuto che si erano concessi.

Quel lunedì erano bastati pochi minuti per spogliarsi mentre si baciavano furiosamente e disseminavano il pavimento dei loro indumenti, per raggiungere il letto. E da lì in poi, nient'altro era più esistito. Solo loro, unione di corpi e anima, il piacere, i sospiri e il resto del mondo che per due ore perdeva consistenza e andava avanti per i fatti suoi.

Non si erano parlati, se non per poche fugaci parole strappate alla passione. Non era ancora il momento per discorsi seri, anche dolorosi, profondi e difficili. Inconsciamente, senza mettersi nemmeno d'accordo, avevano scelto di ricominciare da lì, dal lato del loro rapporto che mai aveva avuto problemi: la passione e l'attrazione reciproca che da sempre era esistita fra loro. E forse da quel punto, quando il desiderio del corpo avrebbe lasciato spazio anche a quelli della mente, avrebbero potuto iniziare un altro percorso insieme, forse meno piacevole ma necessario e che avrebbe portato i suoi frutti.

Ma per ora, in quel momento, avevano scelto di ritrovarsi così, come novelli amanti quasi estranei ma che conoscevano ogni centimetro del corpo dell'altro. Questo erano... Prima di sentirsi pronti per essere altro.

Anche se in quel momento mentre Ross passeggiava lungo il fiume alla luce del tramonto con Valentine, sognando il lunedì successivo ma anche proiettato al giorno prima di quel nuovo incontro con Demelza, alla domenica dove tutti si sarebbero ritrovati alla festa nel parco dei Duchi Thompson, era arrivato al pettine uno dei nodi più difficili da sciogliere e che non poteva più aspettare di essere affrontato: dire la verità a Valentine.

Ci aveva rimuginato su a lungo, su cosa dire e come dirlo. Demelza sicuramente coi suoi quattro bimbi era stata più brava di lui con le parole per spiegare quella situazione difficile e forse avrebbe potuto chiederle aiuto, ma si rendeva conto che doveva farcela da solo. Valentine era suo figlio, in teoria era colui che lo conosceva meglio di tutti e se voleva essere un buon padre per tutti i suoi bambini, da lui doveva cominciare prima di pensare a Jeremy e Clowance. "Sai perché ti ho portato fuori stasera?".

Valentine, che gli saltellava di fianco tenendo il guinzaglio di Tannen che trotterellava accanto a lui, si imbronciò. "Noooo!".

"No cosa?".

"Mi vuoi portare ancora al parco a correre?".

A Ross venne da ridere. Se le gambe di suo figlio erano migliorate, lo stesso non poteva dirsi della sua pigrizia. "Non sarebbe una cattiva idea ma no, non siamo usciti per questo".

Valentine tirò un sospiro di sollievo. "Ohh... Meno male! E allora perché?".

Ross guardò il cielo terso e rosato che li sovrastava. C'era un clima piacevole e un via vai calmo di persone che andavano verso casa dopo una giornata di lavoro sicuramente dura e faticosa per i più. "Dovevo parlarti di una cosa importante e volevo essere da solo con te".

"Una cosa importante? Quale, papà?".

Ross si fermò, lo prese in braccio e con lui scavalcò una staccionata che divideva la strada dal fiume, invitandolo poi a sedersi nell'erba. "Della festa di domani dai Thompson".

Valentine si imbronciò, di nuovo. "Hai cambiato idea e non posso venire?".

Ross gli diede un buffetto sulla testa. "No, che ti salta in mente? E' un'altra la cosa che ti devo dire, una cosa del passato che mi riguarda, che non sai ma che per domani dovrai conoscere per forza".

Valentine parve eccitato dalla cosa. "Oh, un segreto? Un segreto segretissimo?".

Ross prese un profondo respiro. Ci voleva coraggio e soprattutto capacità di parlare. E di quest'ultima non era molto provvisto... Con le parole non era mai stato molto bravo e soprattutto non aveva mai affrontato un dicorso davvero complesso con Valentine. "Ecco... Devo dirti che tu... tu...". Deglutì, grattandosi la nuca in cerca delle paroline magiche adatte a spiegare a un bambino di appena sette anni una situazione complicatissima che nemmeno lui che era adulto, era stato capace ancora di districare del tutto. Si sentiva vagamente idiota in quel momento. "Tu... Valentine...".

"Sì, papà?".

"Ecco, non sei figlio unico! E' giusto che tu lo sappia" – esclamò, con aria solenne.

Valentine lo guardò come se fosse impazzito, chiedendosi probabilmente se lo stesse prendendo in giro. Poi scoppiò a ridere. "Ma papà, lo so!".

Ross spalancò gli occhi. "Come, lo sai?".

"C'è Jeoffrey Charles! E' mio fratello, ti sei dimenticato?" - chiese il piccolo, col candore dell'infanzia.

E Ross si sentì idiota sul serio. Come aveva fatto a non pensarci? Certo, c'era Jeoffrey Charles anche se di fatto era come se non ci fosse perché i rapporti fra loro erano molto radi e tesi e le poche volte che era tornato a casa in Cornovaglia, aveva preferito alloggiare da zia Agatha a Trenwith finché era stata in vita e poi a casa di Verity. Erano stati radi i contatti fra Valentine e Jeoffrey Charles e sapeva anche che suo figlio soffriva di questa assenza e dell'astio del fratello maggiore verso di lui, astio che non riusciva ovviamente a capire... Mai gli aveva spiegato cosa ci fosse sotto, perché Jeoffrey Charles fosse tanto arrabbiato e perché non tornasse mai per stare con loro a Nampara. Inizialmente perché Valentine era troppo piccolo per capire e successivamente perché non voleva aprire capitoli troppo dolorosi e magari inutili, che avrebbero potuto turbare il suo figlio. Si sentiva ancora in colpa per quanto successo anni prima con Jeoffrey Charles, per le liti fra lui ed Elizabeth alle quali aveva assistito spaventato e in lacrime e per il dolore che aveva provato alla morte di sua madre quando aveva partorito. Aveva addebitato a lui ogni colpa per quanto succeso e Ross in cuor suo sapeva anche che aveva ragione. Da allora MAI i rapporti fra loro si erano ricuciti e ora Jeoffrey Charles era un giovanotto a cui lui pagava gli studi e l'addestramento nell'esercito e a parte questo, non esisteva altro tipo di rapporto. Con Valentine, nelle poche volte che si erano visti, era stato gentile e cordiale come lo si è coi bambini piccoli, ma per il resto, era forse stupito che in quel momento suo figlio avesse pensato a quel fratello lontano e quasi sconosciuto di cui raramente si discuteva. "Non parlavo di Jeoffrey Charles ma in realtà hai ragione, non sei figlio unico e lui è tuo fratello" – sussurrò accarezzandogli i capelli, sentendosi in colpa verso Francis e la promessa mancata di prendersi cura della sua famiglia.

"E allora di chi parlavi?" - chiese Valentine, curioso.

Ecco, ora arrivava la parte difficile. Come spiegare a un bambino, l'inspiegabile? "Ti ricordi di Lady Boscawen?".

Valentine annuì, sorridendo. "Certo! E anche della sua festa di Natale magica!".

Lo sguardo di Ross si addolcì, era magica davvero Demelza e di certo nella sua situazione sarebbe stata meno impacciata di lui. Aveva fatto molto per Valentine da quando si erano incontrati a Londra e forse non l'aveva mai davvero ringraziata abbastanza per questo. Non era tenuta ad essere gentile con suo figlio e di certo non era stato facile averli a casa loro la notte di Natale. "Ecco, io la conoscevo da molto prima di incontrarla a Londra. Prima di sposare tua madre ed avere te, ero sposato con lei". Poche, semplici parole. Non c'era modo di girarci attorno, non c'era strada migliore per dire la verità a Valentine. Diretto, veloce, senza giri di parole inutili per entrambi.

Il piccolo spalancò gli occhi. "Cosa?".

Cercò di spiegargli, per quanto riuscisse. "Lei era mia moglie e io l'amavo moltissimo. Ma ho commesso tanti errori e l'ho persa... E lei è venuta quì con i nostri due bambini per iniziare una nuova vita mentre io, a Nampara, aspettavo che tua madre desse la vita a te. Lady Boscawen, Demelza, ha sofferto molto a causa mia perché...".

Valentine lo bloccò, improvvisamente serio. "Mamma, la MIA mamma, la conosceva, Lady Boscawen?".

Ross si stupì di quella domanda che forse non aveva attinenza con quel discorso o forse sì... Forse i bambini non avevano bisogno di spiegazioni troppo ampie per capire il complicato mondo degli adulti e Valentine aveva intuito ciò che lui non riusciva ad esprimere chiaramente a voce. "Sì, la conosceva. Sapeva che io l'amavo e il guaio era che lei amava me. Quando un uomo è sposato, non può amare ed essere amato da due donne, succede un macello quando ci si trova in una situazione così. Ho fatto molti errori Valentine, con entrambe. Con tua madre di certo e soprattutto, con Lady Boscawen e i nostri bambini. Perché io pur amando Demelza, ammiravo anche tua madre e ho tradito il mio matrimonio, facendo del male a chi non lo meritava... E ho perso tutto ciò che amavo...".

Valentine per un attimo rimase in silenzio, poi prese un sassolino da terra e lo lanciò nel Tamigi. "E io?".

"E tu sei nato da tutta quella complicatissima confusione. Dopo aver annullato il matrimonio con Lady Boscawen e aver sposato tua madre".

"Allora eri triste, quando sono nato?" - chiese Valentine, con una naturalezza disarmante.

Ross si sentì in colpa per quella domanda perché era vero, a suo figlio non aveva donato la gioia e il diritto di un padre emozionato di tenere fra le braccia il suo bambino appena venuto al mondo. "Era un giorno difficile, tua madre era morta e io ero a pezzi. Ma ti ho preso in braccio e ti ho avvolto in una coperta, appena ti ho visto... E ti ho portato con me, a Nampara, come figlio e come mio tesoro più grande".

Valentine abbassò il capo e poi si rannicchiò fra le sue braccia, pensieroso. "E lady Boscawen? Lei è andata via per colpa mia allora?".

"No, per colpa mia. Non tua..." - cercò di tranquillizzarlo.

Valentine lo guardò, timoroso. "Non è arrabbiata con me?".

"No, certo che no... Lei è magica, come hai detto tu. E non potrebbe mai essere arrabbiata con un bambino innocente. Hai visto no, com'era contenta quando ti ha invitato a casa sua per Natale?".

"Sì, lo era. Ma per davvero?".

Ross annuì. "Certo! Non vi abbiamo detto la verità per non preoccuparvi, ma non è mai stata arrabbiata con te. Lo era con me, ma ora va molto meglio".

Valentine sospirò sollevato, poi si ritirò su, sedendosi composto. "Ma prima, di che parlavi? Io ho altri fratelli allora?". Spalancò gli occhi, guardandolo mentre le mani gli tremavano, facendo il ragionamento più logico alla conclusione di quel lungo discorso. "I bambini di Lady Boscawen? Sono miei fratelli? Ho QUATTRO fratelli?".

Santo cielo, non si era mai accorto di quanto fosse intelligente! Di quanto i bambini, TUTTI i bambini, fossero perspicaci... Gliel'aveva insegnato Jeremy quella sera nella casetta sull'albero, glielo aveva ribadito in più occasioni la piccola Daisy e Valentine gliene stava dando la conferma ulteriore. "Jeremy e Clowance, lo sono... Sono figli miei e di Demelza. I gemellini, sono i figli nati dal matrimonio di Lady Boscawen col suo secondo marito, Hugh Armitage. Loro sanno la verità su me e te e ora ne sei a conoscenza pure tu".

Valentine, che pensava turbato da questa scoperta, spalancò la bocca e poi rise. "Ho dei fratelli della mia età? E posso giocare con loro?". Era eccitato, non più spaventato adesso.

Lo sguardo di Ross si incupì, non era tutto così facile per Jeremy e Clowance e suo figlio per ora aveva ben poco di cui gioire. Non era semplice per loro, non era come per Valentine... Erano stati abbandonati e di avere un altro fratello non erano certo entusiasti. "Sì, li vedrai domani alla festa dove andremo".

"Dai Duchi Thompson? Ci saranno pure loro?".

Ross annuì, accarezzandogli nuovamente i capelli. "Sì, loro e Lady Boscawen... Però Valentine ecco, loro a differenza di te, ora che sanno la verità... Ecco, potrebbero non essere molto amichevoli con te come lo sono stati a Natale e allo zoo, quando ancora non sapevano".

"Perché? Se sono miei fratelli, dovrebbero essere miei amici!".

Ross si rese conto che era difficile da capire, che era la parte più complicata di tutte questa, per Valentine. "Vedi, Jeremy e Clowance sono arrabbiati con me perché per rimanere con te e tua madre, ho abbandonato loro... Sono scomparso dalle loro vite e li ho lasciati a lungo da soli e hanno trovato un altro padre nel frattempo, che li ha amati e protetti al mio posto" – ammise, con tanta amarezza nel cuore e una punta di rabbia verso se stesso e le sue mille mancanze come padre.

"Ohhh". Valentine si imbronciò, forse rendendosi conto, quanto meno a spanne, dell'entità di quanto stava sentendo. "E saranno arrabbiati per sempre?".

"Spero di no... Ma magari domani non vorranno giocare con te e tu non dovrai rimanerci male".

"Posso almeno chiederglielo?".

Ross annuì. "Puoi, certo! Puoi chiedere loro di giocare come a Natale ma quello che ti ho appena detto, è un segreto fra noi e basta. Non devi dirlo a nessuno, lo sappiamo solo tu, io, Lady Boscawen, Jeremy, Clowance e i gemellini. Per ora nessuno deve saperlo all'infuori di noi e spero che tu, come loro, saprai mantenere il silenzio. In questo dobbiamo essere una squadra unita".

Valentine parve emozionarsi dall'idea di un segreto comune fra loro, come succede spesso in una famiglia unita. "Solo noi? Noi? Noi? Noi e basta? Neanche a Jane e John Gimlet devo dirlo?".

"Neanche a loro. Saprai farlo?" - chiese Ross.

"Sì, ma poi? Poi un giorno vorranno essere miei fratelli?".

Non si sentì di spezzare quella speranza di Valentine che, si rendeva conto, era anche la sua. "Ci sto lavorando... Con Lady Boscawen! Ma abbiamo bisogno di tempo per sistemare le tante cose brutte successe fra noi una volta".

Valentine ridacchiò. "Speriamo che ce la fai! Lady Boscawen è bella!".

"Lo so, lo so..." - sussurrò, rendendosi conto che era andata meglio del previsto.


...


Demelza chiamò i quattro figli in camera sua, prima che andassero a letto. Il giorno dopo ci sarebbe stato il party all'aperto dai Thompson ed era ora che mettesse le cose in chiaro con i piccoli. Sapeva che Ross avrebbe fatto altrettanto con Valentine ed era anche angosciata dal risultato di quella conversazione che, avendola vissuta coi suoi bambini alcuni mesi prima, sapeva essere difficilissima. Ma non era il momento di pensarci troppo, non ora che non poteva farci nulla.

Guardò i suoi figli, accanto a lei sul letto. Clowance e Daisy avevano già indosso la camicia da notte mentre Jeremy era ancora vestito e probabilmente aveva in mente di uscire a giocare un pò nella casetta sull'albero prima di andare a dormire. Demian invece, già a suo agio sotto le coperte, aspettava impaziente che lei parlasse. "Devo dirvi di domani!".

Jeremy sospirò. "Tranquilla mamma, giuro che impedirò ai gemelli di lanciare il fango a Catherine".

Demelza gli lanciò un'occhiataccia. "Non era ciò di cui volevo parlare ma mi fa piacere sentirtelo dire! Ma meglio ricordarvi che, niente fango, niente arrampicate, niente litigi, niente spintoni, niente parolacce! Capito?" - chiese, guardando in cagnesco tutti e quattro.

"Capito!" - risposero i bimbi, in coro.

"E allora, cosa dovevi dirci?" - chiese Clowance.

Demelza prese un profondo respiro, arrivavano le note dolenti, ora. Da molto non parlavano di Ross e non aveva idea di come avrebbero potuto reagire i bimbi adesso. "Domani ci saranno anche il signor Poldark e Valentine, al party. E vorrei che voi vi comportaste bene".

Daisy si illuminò in viso e poi, eccitata, prese a saltare sul letto. "Davvero? Evviva, evviva! Ci viene davvero?".

"Certo amore" - le rispose, divertita da quella reazione. Era così inusuale che la piccola orsa dimostrasse attaccamento per qualcuno e con Ross era pura magia, quando erano vicini. Cominciava ad essere un pò gelosa...

Meno entusiasti, Jeremy e Clowance si guardarono in viso. "Davvero?" - chiesero, in tono meno gioioso della sorellina.

"Davvero?" - chiese pure Demian, indeciso se parteggiare per la gemella o per i fratelli più grandi.

Garrick, accanto a loro, si stiracchiò mentre Demelza prendeva un profondo respiro. "Davvero! E vorrei ricordaste il nostro patto. E cosa mi avevate promesso".

"Cosa?" - chiese Jeremy, duramente.

Demelza lo guardò fissa e seria negli occhi, non aveva voglia di apparire morbida in quel momento. "Di essere educati e gentili con tutti. Dovete salutare se lo incontrate e vorrei che trattaste Valentine in modo amichevole, come avete fatto a Natale".

"Ci saranno tanti bambini, perché Valentine deve giocare per forza con noi?" - sbottò Jeremy, in modo diretto e provocatorio.

Demelza sostenne il suo sguardo. "Non ho detto che dovrà giocare per forza con voi, ma se ve lo chiederà, vorrei non lo mandaste via. E vorrei che non gli facciate dispetti. Puoi giurarmi che sarai un bravo bambino come sempre?".

Jeremy sbuffò, giocando con la coperta con le mani. "Lo prometto. Saluterò e sarò amichevole. Tu però ti ricordi cosa hai detto a noi?".

"Di che parli?".

Anche Jeremy divenne serio mentre Clowance si stringeva a lui, pronta a sostenerlo in qualunque sua scelta. "Che non eravamo obbligati ad avere rapporti col signor Poldark. Che oltre al saluto, non siamo obbligati a dirgli niente se non vogliamo".

Demelza impallidì. Era accaduto tanto da allora, da quando aveva dato ai suoi figli quella rassicurazione... Era ancora indecisa su quale fosse la cosa migliore da fare e non voleva che quanto stava succedendo fra lei e Ross offuscasse in maniera egoista le scelte fatte per il bene dei bambini, ma... Ma la situazione andava sbloccata prima o poi, per il bene di tutti. "Lo ricordo e non voglio obbligarvi a nulla. Voglio solo che siate educati e buoni... E che ci pensiate un pò... A Ross Poldark, intendo".

"A cosa dovremmo pensare?" - chiese Jeremy.

Demelza sorrise dolcemente, accarezzando le testoline dei due bimbi più grandi. "Al fatto che forse dovreste dargli... DARVI una possibilità. Un padre è un bene prezioso, anche se ha fatto tanti errori. Ora lui è quì e non volete parlargli ma magari un giorno non potrà più esserci e voi vi potreste pentire di non averlo voluto ascoltare nemmeno una volta".

"Non credo..." - esclamò Clowance, a testa bassa.

"Ma ci penserai?" - insistette Demelza.

"Un pò, se vuoi" – rispose la bimba, lasciandole uno strano senso di amaro in bocca.

Demian a quel punto si sollevò dal suo comodo cuscino, guardò Daisy e poi lei e poi i fratelli più grandi e infine disse ciò che nessuno aveva ancora osato affermare a voce alta. "Ma se... Se tu mamma sei la mamma di Jeremy e Clowance e il signor Poldark è il loro papà ma è anche il papà di Valentine... Allora Valentine è nostro fratello?".

Jeremy impallidì, Clowance entrò in panico e Daisy la fissò un pò sconcertata. E Demelza annuì, anche se quel pensiero fin'ora taciuto ma che ben conosceva, sapeva ancora farle male. "Sì, lo è. Di Jeremy e Clowance". Lo disse, rendendosi conto di quanto quella realtà le apparisse strana e allo stesso tempo ormai famigliare, come se si fosse pian piano sedimentata in lei silenziosamente, in quei mesi.

"E noi? Io e Demian?" - chiese Daisy. "Anche io voglio essere di qualcuno!".

Jeremy la guardò storto, alzandosi dal materasso e mettendosi in piedi. "Tu sei di qualcuno! Sei del padre migliore! E sei fortunata a non dover vivere tutto questo!".

"Jeremy...". Demelza avrebbe voluto alzarsi ed abbracciarlo perché sapeva leggere il dolore di Jeremy nascosto dietro alla durezza di quelle parole, ma conosceva suo figlio e sapeva che in quel momento voleva rimanere solo. "Non è così e lo sai bene che di fortuna, i gemellini ne hanno avuta anche meno di te. Appartenere a qualcuno è una grande cosa e vorrei che anche tu, come Daisy, lo capissi".

Jeremy sospirò, le si avvicinò e le diede un bacio frettoloso sulla guancia, desideroso di uscire dalla stanza per rimanere solo. "Ci penserò, mamma. Forse un giorno come Clowance, ci penserò. Adesso non voglio".

Demelza si chiese se fosse sincero o se lo stesse dicendo solo per farla contenta, ma in quel momento non se la sentì di insistere. Jeremy e Clowance erano ancora molto turbati dalla presenza di Ross e quando si parlava di lui si chiudevano a riccio. Avevano promesso di essere educati e gentili e questo per ora bastava, per il resto ci voleva tempo e gliene avrebbe dato quanto necessario. "Va bene...".

"Posso andare?" - chiese Jeremy.

"Certo".

"E io?".

Demelza sorrise anche a Clowance. "Certo! Hai scelto il vestitino per domani?".

La piccola, a quel tema che tanto amava, sorrise un pò più serena. "Ovviamente! Con la nonna!".

"Sarai bellissima...".

Anche Jeremy parve tornare scherzoso a quelle parole. "Bellissima e smorfiosa...".

"Forza, filate via!". Demelza li spinse scherzosamente lontani dal letto per cercare di rasserenare il clima, sollevata dal fatto che nonostante tutto sapessero anche combattere le situazioni difficili che stavano vivendo, con un sorriso. Poi, una volta rimasta sola coi gemelli, osservò incuriosita Daisy. "Tu? Resti con noi? Ci dai l'onore della tua presenza stanotte?".

La piccolina la prese per mano, costringendola ad alzarsi. "Mamma, mi insegni a ballare?".

"Cosa?".

"Sì, a ballare" – insistette Daisy, saltellando.

Demelza le si inginocchiò davanti mentre Demian, sul letto, rideva. "Vuoi ballare con un bimbo che ti piace, domani?".

Daisy la guardò, serissima. "Non è un bimbo, è grande. Mi voglio mettere un vestito bellissimo come quello di Clowance. Giuro che non mi sporco e faccio la brava".

Demelza le strizzò l'occhio, stando al gioco. Era per Ross che voleva essere bella? Voleva ballare con lui? Quel modo di fare di Daisy la intenerì, chi lo avrebbe mai detto che fra i suoi figli, sarebbe stata la prima a prendersi una cotta per qualcuno? O forse era altro...? E se Daisy avesse scelto come desiderio, di appartenere a Ross, come Jeremy e Clowance? Se volesse piacergli come dovevano piacergli i suoi figli? Forse era normale che lo desiderasse, che sognasse qualcuno che la proteggesse e la facesse sentire figlia e basta, come sembrava riuscire a fare Ross. Era strano, ironico e forse avrebbe dovuto spiegarle che a Ross lei piaceva già, che era pazzo di lei e che era la sua vera rivale. Già, quella piccola biondissima bambina era la rivale più temibile che avesse mai avuto. E non ne era gelosa! "Vuoi il vestitino rosa? Quello col nastro dello stesso colore da mettere fra i capelli?".

"Sì".

"O quello bianco, da principessa?".

Daisy ci pensò su, poi rise senza darle una risposta, lasciando la scelta definitiva al giorno successivo. E Demelza le prese le manine, invitandola a mettere i piedini sui suoi. "Coraggio, impariamo a ballare come una vera lady" – esclamò, mentre sul letto Demian continuava a ridere.

  
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