Cap.2
An un-perfect day
Vetrunks
si sedette sul ramo accanto a suo nonno e piegò di lato il
capo.
“Dormi?”
chiese. Il cielo era andato annuvolandosi sopra di loro.
“Tsk.
Riflettevo” mentì Vegeta. Ingoiò uno
sbadiglio e socchiuse gli occhi
arrossati. “Hai finito i compiti?” chiese.
“Umphf.
Mi hai preso per un terrestre. Ci ho messo un attimo” rispose
offeso Vetrunks, incrociando le braccia al petto.
“Vuoi
allenarti?” chiese Vegeta. L’osservò di
sottecchi e sorrise.
<
Mi assomiglia ogni giorno di più > si disse.
“Certo”
disse Vetrunks, guardando suo nonno alzarsi in piedi.
“Non
facciamoci beccare, però…” disse
Vegeta, dimenando la coda.
“Quest’aura…
è papà?” domandò Vetrunks,
battendo le palpebre.
Vegeta
corrugò la fronte, vedendo dei fulmini splendere in
lontananza.
“Tu
aspettami qui, vado a vedere” disse, spiccando il volo.
Vetrunks
sbuffò, guardandolo levitare via.
<
Voglio andare a vedere cosa succede! > pensò.
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“Pistaaaa!”
gridò Goten, il cappellino bianco e rosso che teneva in
testa,
con un logo inciso sopra, rischiava di cadere spinto dalle ampie
ciocche dei
suoi capelli mori. La maglietta bianca senza maniche che indossava era
umida di
sudore e all’altezza dell’addome si era rialzata,
lasciando scoperti i muscoli
prosperosi. La giacca blu legata alla sua cintola con un nodo delle
maniche gli
ricadeva storta sui jeans.
Una
ciocca larga tre dita, della sua capigliatura a cespuglio, gli era
finita davanti al viso.
La
soffiò via, tenendo ritte in bilico una decina di pizze, gli
scatoli di cartone erano messi in bilico.
<
Solitamente sono felice di ricevere tutte queste ordinazioni, ma
proprio oggi si è rotto il furgoncino. Se non riesco a
consegnarle in tempo,
perderò tantissimi clienti! > pensò,
ansante.
Schivò
un motorino e fece lo slalom tra i passanti sul marciapiede. Gli
arrivarono delle urla alle orecchie, si voltò e vide delle
persone scomparire
inghiottite dalla strada. Grandi gorghi oscuri si stavano aprendo uno
dopo
l’altro.
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“Quanto
ci mette ad arrivare?” si chiese Jonh. Si passò la
mano tra i
capelli a fiamma neri che gli ricadevano da un lato e
sospirò, giocherellando
con il cofanetto viola che teneva in tasca. Si appoggiò con
la schiena alla
panchina del parco, osservando gli schizzi d’acqua della
grande fontana.
Sentì
dei passi rapidi e alzò lo sguardo, Kamhara stava correndo
verso di
lui trafelata, ansimando. La tuta di combattimento strappata in
più punti e la
giacca viola slacciata.
“Scusami
amore, mi stavo allenando e…”. Cominciò
a scusarsi la saiyan dai
capelli rossi, raggiungendolo.
John
le lanciò un’occhiata torva e si alzò
in piedi. “Ti devo parlare” la
interruppe con tono serio.
“Qualcosa
non va?” chiese Kamy con un filo di voce.
“Tsk”
borbottò John, arrossendo, e si mise in ginocchio per terra,
le aprì
davanti un cofanetto. Al suo interno c’era un anello dalla
pietra sfavillante.
“Mi
vuoi sposare?” domandò, chiudendo gli occhi. Il
battito cardiaco
accelerato gli fischiava nelle orecchie.
“Sì,
sì, sì!” gridò Kamy. Si mise
a saltellare sul posto, dimenando
furiosamente la coda in un eccitato scodinzolio. “Mille volte
sì!” rimarcò il
concetto, euforica.
Prese
l’anello e lo indossò, John si rimise in piedi.
Lei lo abbracciò con
trasporto, il demone saiyan rischiò di cadere a terra e si
mise sulle punte dei
piedi per rimanere ritto.
Kamhara
gli cingeva il collo con le braccia, sommergendolo di baci.
“Scusate
se vi disturbo, ma abbiamo un problema.
Kamy,
ci serve che tu apra un portale per il mondo demoniaco”.
John
si staccò dalla fidanzata e si voltò, vedendo che
la voce apparteneva
a Junior. Goku, Vegeta ed Elly erano atterrati dopo il namecciano.
“Perché?”
chiese Kamhara, vedendo che atterravano anche Yamcha e Salva.