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Autore: SherlokidAddicted    10/05/2019    5 recensioni
|| AU Destiel ||
Nell'anno 2258 l'aria sulla Terra è ormai irrespirabile, nessuno vive più come decenni fa. La casa del genere umano è un grande bunker sotterraneo, dove i sopravvissuti a una bomba nucleare tossica cercano di andare avanti dopo il disastro che li ha confinati dove la luce del sole non è in grado di raggiungerli.
Castiel e Gabriel Novak sono due fratelli e due elementi di lustro dell'esercito americano, due dei pochi che hanno ancora il permesso di uscire in superficie per le loro missioni.
Un giorno rilevano un'esplosione in un vecchio edificio all'esterno del bunker, a qualche ora di distanza. Lì, sotto le macerie, ci trovano Dean Winchester, ferito, con un'amnesia provocata da un trauma cranico e soprattutto l'unico umano sulla faccia del pianeta senza un tatuaggio identificativo.
Secondo i registri, Dean Winchester non è mai esistito.
Genere: Azione, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro Personaggio, Castiel, Dean Winchester, Gabriel
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Dean Winchester

- Mancano pochi metri. Il radar dice che c’è stata un’esplosione. - Gabriel tenne le mani ben salde sul volante della jeep. Continuava a guidare assottigliando lo sguardo per riuscire a vedere meglio attraverso l’improvvisa nube di polveri che gli si parò davanti agli occhi, segno che si stavano avvicinando al loro obiettivo. Castiel si sistemò meglio il caschetto sulla testa, stringendo il fucile con l’altra mano e controllando attentamente dal finestrino e dagli specchietti retrovisori. C’era il via libera, non poteva capitargli una situazione diversa dopotutto, ma con un’esplosione nei paraggi non era mai un male guardarsi le spalle.

- Come può esserci stata un’esplosione? - Chiese Castiel confuso.

- Non lo so, è per questo che Shurley ci ha mandati a controllare, non pensi? - Il moro emise un sospiro profondo, ma più Gabe si inoltrava nella nebbia di ceneri, più era impossibile riuscire a vedere dove fossero diretti. - Cazzo, Cassie, devo fermarmi qui, non riesco a vedere a un palmo dal mio naso. - Il motore della jeep si spense e Gabriel sospirò esasperato, ringraziando il cielo e qualunque cosa esistesse di superiore per il fatto che quella vettura fosse stata fatta appositamente per mantenere aria respirabile all’interno.

- Allora scendiamo, dove sono le maschere? - Gabriel indicò i sedili posteriori con il pollice mentre recuperava il suo fucile e si allacciava il caschetto sotto al mento. Castiel si allungò e le afferrò. Ne passò una al fratello maggiore, poi indossò la sua e nello stesso preciso istante i due attivarono i microfoni all’interno, così da poter comunicare senza dover urlare. - Mi senti? -

- Forte e chiaro. - Castiel fece un cenno all’altro, poi entrambi scesero dalla vettura. Gabe non si risparmiò una smorfia disgustata e scettica allo stesso tempo. - Non si vede nulla. - La nube di fumo era fitta e se non avessero avuto le maschere antigas probabilmente sarebbero morti soffocati in pochi secondi. Si riuscivano a vedere perfino i piccoli granelli di cenere. Erano le tre del pomeriggio, ma immersi in quella nube sembrava stesse già calando il buio. - Attento a dove metti i piedi, Cassie. - Iniziarono a camminare lentamente, le armi tese e in allerta mentre cercavano di non inciampare contro un qualunque ostacolo sul terreno.

- Sembra un po’ lo scenario del tuo bagno quando fai la doccia. - Scherzò Castiel, sentendo il fratello fare uno sbuffo esasperato.

- L’acqua calda mi rilassa. -

- Sicuro sia acqua e non lava? - La risata di Castiel spezzò il silenzio di Gabe, che come sempre si ritrovò a dover inveire contro le battute che il più piccolo era solito rivolgergli quando cercava di smorzare la tensione durante una missione, quando non sapevano cosa si sarebbero trovati davanti. Erano in pochi quelli che potevano uscire in superficie, dopotutto. Le missioni all’esterno erano pericolose, il generale Chuck Shurley le assegnava solo a quelli che riteneva abbastanza forti e coraggiosi. E i fratelli Novak rientravano in quegli standard.

- Smetti di fare il coglione e dimmi se vedi qualcosa, piuttosto. - Castiel non poté trattenere un’ultima risata, poi osservò davanti a sé, l’arma tesa e un occhio a osservare nel mirino in attesa di qualcosa, finché non notò delle ombre più scure sul terreno man mano che si facevano più vicini.

- Hai visto anche tu? - Chiese Castiel, per chiedere conferma di ciò che aveva notato e per assicurarsi che non fosse solo un miraggio. Gabe abbassò il fucile per un attimo e cercò di osservare con i suoi stessi occhi.

- Sembrano delle macerie. - I due accelerarono il passo finché i resti di quell’edificio non si fecero più evidenti. - Se non ricordo male questo era un bar ai suoi tempi. Ti ricordi? C’era un bar qui una volta. - Castiel annuì, poi si ricordò della nebbia attorno a lui e che probabilmente Gabriel non lo avrebbe visto, quindi decise di rispondergli a voce alta.

- Mi ricordo. - Aveva affrontato tante spedizioni all’esterno con Gabriel e con altri colleghi, ma mai era stato mandato da quelle parti. Si ricordava però di essere passato davanti a quel bar mentre percorreva la strada con la loro jeep, di aver intravisto quell’insegna colorata che ora giaceva accanto ai suoi piedi completamente distrutta. - Ma come diavolo ha fatto a esplodere? - Sentì il fratello maggiore sospirare.

- Provo a vedere quello che è rimasto all’interno, tu controlla fuori. -

- Ricevuto. - Sentì i passi di Gabriel farsi più lontani e meno rumorosi. Solo dopo Castiel si accovacciò accanto all’insegna per rimuovere un po’ di cenere dall’enorme scritta che la denominava. Immagini nitide dell’edificio ancora intatto riaffiorarono nella sua mente. Rimase abbassato e cominciò a guardarsi intorno. Le macerie lo circondavano, alcune erano ancora ricoperte dalle fiamme, ma non abbastanza da farlo diradare in tutta la costruzione. Si sollevò e cominciò a percorrere il perimetro visibile, cercando un possibile indizio che potesse suggerirgli cosa fosse successo qualche ora prima. Rischiò di inciampare diverse volte mentre si arrampicava letteralmente sui resti delle pareti distrutte, ma di tracce non sembrava essercene l’ombra, o perlomeno non era possibile trovarne con quel fumo soffocante.

Come poteva essere successa una cosa del genere? La Terra non era più vivibile già da qualche decennio ormai. Non era possibile stare fuori senza le maschere, l’aria tossica avrebbe ucciso chiunque nel giro di pochi minuti. La gente rimasta nella loro area geografica viveva tutta nello stesso bunker dalle dimensioni adatte per ospitare gli inquilini di un grande grattacielo di New York. In pochi avevano l’autorizzazione di uscire e i radar potevano rivelare attività sospette all’esterno che poi loro stessi avrebbero dovuto verificare di persona. Molte volte si era trattato di falsi allarmi, ma quell’esplosione era inspiegabile. Chi poteva essere stato a provocarla se in superficie non c’era più nessuno?

- Mi senti, Gabe? -

- Sì, ti sento. -

- Non vedo nulla di strano, ma questa cenere non mi aiuta, dovremmo ripassare domani quando si sarà dispersa. Tu hai trovato qualcosa? - Chiese mentre continuava a dare uno sguardo in giro, seppure fosse del tutto inutile.

- Solo macerie e macerie, qualche tazzina rotta, un bancone distrutto, tante sedie accese come fiammiferi e… dannazione! -

- Gabe? -

- Sono quasi inciampato su un vecchio frigorifero. - Gli rispose il maggiore con uno sbuffo spazientito. Il moro scosse esasperato la testa.

- Niente di strano? -

- Niente che non sia solo un bar che è esploso. - Castiel sospirò pesantemente.

- Va bene, torna indietro. Diremo a Shurley che torneremo domani e… -

- Porca puttana! - Esclamò a un tratto Gabriel, facendo quasi sobbalzare il fratello minore per l’enfasi con cui lo aveva detto.

- Cosa è successo? - Ci fu silenzio per un momento, si sentì solo il rumore delle macerie che venivano spostate e degli sforzi di Gabe che probabilmente stavano compiendo quella determinata azione. - Gabriel! -

- Devi venire subito qui, Cassie. - Castiel esitò. Non aveva idea di cosa suo fratello avesse potuto trovare lì dentro, e lui era sempre stato un tipo curioso, soprattutto se si trattava di fatti inspiegabili. Non rispose, si limitò a girarsi verso quello che rimaneva dell’edificio e a incamminarsi. Superò delle pareti diroccate, fondamenta scoperte e pezzi di soffitto crollati, immergendosi sempre di più nella cenere e cominciando a scovare con lo sguardo gli elementi che poco prima aveva descritto Gabiel, finché non lo vide accovacciato e ancora intento a spostare qualcosa. Castiel non si chiese del perché ma si affrettò a raggiungerlo per aiutarlo. Quando con un ultimo sforzo quel masso fu ribaltato lontano da ciò che Gabriel aveva trovato, rimase completamente senza parole, non riusciva a credere ai suoi occhi.

Un uomo era steso lì a terra, la mascherina ben salda sul volto e del copioso sangue che usciva dalle sue ferite.

- Ma cosa… - Come poteva esserci qualcuno lì?

- Probabilmente abbiamo trovato chi ha provocato l’esplosione. - Disse Gabriel, poi portò due dita sul collo dello sconosciuto. - Il povero bastardo è ancora vivo. -

- Portiamolo fuori di qui, dobbiamo capire chi è e come ha fatto a uscire dal bunker. - Gabe storse le labbra, Castiel riusciva a vedere il disappunto da dietro la sua maschera, ma poi lo sentì sospirare contro il microfono, rischiando di farlo diventare sordo dall’orecchio in cui teneva l’auricolare.

- Agli ordini… - Mormorò il maggiore dei due, e poco dopo stavano già facendo di tutto per spostare il malcapitato senza peggiorare le sue condizioni, per portarlo fuori dall’edificio. Fu abbastanza complicato. I loro fucili erano ingombranti, così come lo erano alcune macerie sparse per il tragitto verso la jeep. Arrivarono alla vettura, sudati e completamente alla cieca. Lo sistemarono sui sedili posteriori e Castiel si sfilò il caschetto per posizionarsi accanto all’uomo e valutare le sue condizioni. Gabriel rimase fuori dalla macchina e tutta la sua attenzione sembrava rivolta al viso del “nuovo arrivato”. - A me questo qui sembra una faccia nuova. - Disse infatti poco dopo, mentre Castiel si premurava di pulire la sua ferita alla testa con il kit d’emergenza.

- Siamo in tanti, Gabe. Forse non lo hai mai visto. - Rispose l’altro facendo storcere il naso al fratello. - Mi dai una mano o resti lì impalato? - Gabriel alla fine sbuffò e lasciò andare il fucile per aiutare Castiel a rimettere superficialmente in sesto il malcapitato. In fondo loro erano soldati, non dottori, conoscevano solo le basi in caso d’emergenza, quelle che insegnavano solitamente in addestramento. - Mi chiedo da quale area provenga, di che categoria sia. - Disse Gabriel a un certo punto mentre gli fasciava la testa. Castiel controllò che non ci fossero altre ferite evidenti. Sapeva per certo che avesse qualche osso rotto, probabilmente qualche slogatura, poi si rese conto grazie a Gabriel che se avessero saputo la sua categoria sarebbe stato più facile capire la situazione.

Tutti quanti, dopo la maggiore età, venivano “marchiati” con un tatuaggio identificativo sul braccio destro, all’altezza del polso, composto da un numero e due lettere. Il numero indicava l’area di provenienza del bunker, ed essendo il bunker più grande mai costruito nella storia, di aree ce n’erano anche parecchie. Le lettere indicavano invece la categoria.

La prima lettera che seguiva il numero indicava l’iniziale del cognome della famiglia, mentre la seconda lettera veniva tatuata in seguito, quando quella persona veniva indirizzata dal Consiglio alle mansioni che erano destinati a compiere. Non era però una scelta casuale, il Presidente sottoponeva tutti gli “appena maggiorenni” a delle prove fisiche e mentali, poi affidava loro dei compiti di diverso tipo da svolgere. Il risultato di quelle prove definiva il futuro di un uomo o di una donna.

Castiel ricordava ancora l’intera settimana delle sue prove. Era il quarto della fila, si era preparato per mesi e mesi a quel giorno. Il suo obiettivo era ben prefissato nella sua mente, sapeva esattamente in cosa doveva essere assolutamente perfetto e in cosa doveva dare invece il peggio di sé. Fallire in qualche prova era fondamentale se si voleva finire in una determinata categoria. Se non avesse avuto la sua forza e la sua infallibile mira e precisione nell’utilizzo delle armi, probabilmente adesso non sarebbe dove avrebbe voluto essere da sempre: l’esercito. Voleva farne parte fin da piccolo, ed ebbe una spinta in più quando anche Gabriel prima di lui aveva deciso di intraprendere quella strada.

Era come una specie di smistamento. Le prove che andavano meglio erano quelle che alla fine ti classificavano nel tuo futuro. C’era chi veniva ritenuto adatto per lavorare nei campi sotterranei, c’era chi veniva smistato nel settore operaio che si occupava dell’ampliamento del bunker, o degli scavi alla ricerca di acqua da poter riutilizzare e rendere potabile, c’era chi veniva ritenuto più adatto a intraprendere la carriera medica, o chi sembrava più adatto all’insegnamento, e molto altro ancora.

Ma c’era chi non era idoneo a nessuno di questi compiti, come i criminali, i disabili e chi purtroppo scarseggiava in qualunque prova. E in quel caso il loro tatuaggio identificativo restava incompleto.

14NS era il codice che Gabe e Castiel condividevano sul polso destro.

14, l’area dove Castiel era nato e cresciuto, N come Novak, e poi S, la lettera che indicava la categoria di coloro che difendevano il Paese… o gli abitanti del bunker, nel loro caso.

Gabriel era nato in superficie, era troppo piccolo quando il caos era accaduto e l’aria della Terra era diventata tossica, non si ricordava nulla del momento in cui il Consiglio e l’allora Generale dell’esercito avevano ordinato il trasferimento permanente e definitivo di ciò che era rimasto del genere umano negli Stati Uniti, e seppure sembrassero tanti all’interno di quella struttura, paragonata alle milioni di persone nel Paese, quelli che erano sopravvissuti erano solo una manciata, un granello di sabbia in un vasto deserto.

Lo sconosciuto sdraiato sui sedili posteriori della jeep indossava una maglietta a maniche lunghe, Castiel faticò a tirare su la manica del braccio destro per via della cenere. Il braccio era ricoperto di fuliggine, ma riuscì comunque a ripulirlo per bene con le dita. Fu lì che si accorse di ciò che lo lasciò ancora più sconcertato del previsto.

- Quella è una faccia che non mi piace, Cassie. - Gli disse Gabriel, piegando leggermente la testa da un lato. Castiel però non rispose, o almeno non lo fece sul momento. Era troppo scosso da ciò che i suoi occhi increduli avevano appena notato. - Castiel! - Quando richiamò la sua attenzione, il minore si limitò a mantenere gli occhi sbarrati e a fare un cenno a Gabriel per dirgli di avvicinarsi e controllare lui stesso, e a quel punto non poté biasimare la reazione di Castiel.

- È uno scherzo? - Il moro scosse la testa in risposta e Gabe esitò per un momento prima di cercare una spiegazione che avesse avuto un nesso logico. - Forse non hai pulito bene la cenere e… -

- Gabe, non neghiamo l’evidenza adesso. Lo hai visto anche tu! - Quello sconosciuto malconcio e ferito, trovato nelle macerie di un vecchio bar in superficie, svenuto e che probabilmente aveva provocato un’esplosione, non aveva alcun tatuaggio identificativo.

- Prova l’altro polso. - Il minore fece come gli era stato detto, ma nemmeno lì riuscì a vedere l’ombra di un marchio, di qualcosa che lo avrebbe classificato come qualunque essere umano ancora in vita dopo il disastro.

- Non c’è niente… - Castiel non ebbe il tempo di dire altro perché fu distratto dai movimenti della testa dello sconosciuto e dai suoi versi di dolore. Il moro sollevò subito le mani per evitare di toccarlo ancora, mentre Gabriel non esitò a puntargli contro il fucile come se all’improvviso, da quell’ammasso di dolore e di ossa rotte, quello potesse alzarsi per attaccarli da un momento all’altro. - Mi sembra eccessivo puntargli il fucile contro, sai? In queste condizioni non potrebbe fare niente. - Disse Castiel, ma Gabe non abbassò il fucile, si limitò ad aspettare che quello aprisse gli occhi. L’uomo sbatté le palpebre un paio di volte prima di mettere a fuoco, poi corrugò appena la fronte e non appena vide il fucile di Gabriel puntato verso di lui, si sollevò di scatto con il busto e cercò inutilmente di allontanarsi dalla traiettoria che avrebbe fatto il proiettile nel caso in cui avesse sparato. - Ehi, ehi, calmati! Gabriel non ha intenzione di spararti. - Disse Castiel, poi lanciò un’occhiataccia al fratello che sbuffò e abbassò subito dopo l’arma. Nel vederlo abbassare la guardia, l’uomo si lasciò andare contro i sedili con una smorfia di dolore.

- Che cavolo... - Lo sconosciuto si agitò ancora, tanto che fece per togliersi la maschera dal volto, ma Castiel fece in tempo a fermarlo per impedirgli di morire soffocato.

- Ma sei pazzo, amico? L'aria è tossica, dovresti saperlo. - Disse Gabe, guardandolo come se quello disteso nella sua jeep fosse un alieno. Lui parve sorpreso, ma lasciò comunque andare la maschera e si fece sfuggire un gemito di dolore per un movimento troppo repentino. Si portò una mano alla spalla e strinse i denti, e per Castiel fu abbastanza per spingerlo a controllare le sue condizioni in quel preciso punto dolorante. Iniziò a tastare la sua spalla con attenzione. - Eri sommerso dalle macerie di un edificio, come mai? Lo hai fatto esplodere tu? - L'uomo guardò Gabe con aria smarrita e confusa, tanto che il soldato si ritrovò costretto a ripetere la domanda.

- Io non... Non lo so. -

- D'accordo, trauma cranico, comprensibile. - Commentò Gabriel. - Perché non hai un tatuaggio identificativo? - Il soldato si sorbì per l'ennesima volta quell'occhiata smarrita, tanto che alla fine gettò l'arma all'interno del veicolo e si sollevò la manica della divisa, scoprendo il lembo di pelle marchiato dall'inchiostro. Lo sconosciuto osservò quell'elemento come se non avesse mai visto nulla del genere. - Come questo, hai presente? - Ma quello scosse la testa, turbato, causando in Gabriel un sospiro spazientito. - Fantastico... - Mormorò mentre si tirava giù la manica.

- Come ti chiami? - Stavolta fu Castiel a parlare, ma perfino a lui lo sconosciuto riservò quegli occhi confusi.

- Un trauma cranico coi fiocchi. - Commentò Gabe. Castiel cominciò a frugare nelle tasche del tizio, e quello sembrò talmente paralizzato dalla situazione che non reagì, forse perché si stava rendendo conto che in effetti non ricordava nulla. Castiel tirò fuori dalla tasca dell'uomo una striscia di plastica bianca. Sembrava uno di quei braccialetti che i dottori mettevano ai neonati dopo la nascita. Con una calligrafia nervosa vi era scritto un nome.

- Dean Winchester. È il tuo nome? - Gabriel si avvicinò curioso e strappò letteralmente dalle mani del fratello quel nuovo reperto, forse per capire se lo avesse riconosciuto.

- Credo di sì, non lo so... - Castiel sospirò.

- Finché non ricorderai qualcosa ti chiameremo così. - Dean deglutì ma non disse nulla. - Hai una spalla lussata, Dean. Devo metterla a posto. - Gli comunicò con voce calma e pacata. Gabe nel frattempo conservò il braccialetto di plastica in tasca. - Farà male, ma conterò fino a tre, d'accordo? - Dean non rispose, ancora sconvolto. - Hai capito, Dean? - Lui parve risvegliarsi da un sonno profondo e annuì velocemente. Castiel portò entrambe le mani sulla sua spalla e attese un suo cenno per andare avanti, che non tardò ad arrivare. Gabriel nel frattempo aveva preso dai posti anteriori il suo palmare e aveva iniziato a far scorrere le dita sullo schermo, alla ricerca di chissà che cosa. - Bene, uno... - Castiel iniziò a contare, ma ancora prima di arrivare al due, con un gesto repentino fece tornare l'osso di Dean al suo posto. Quest'ultimo urlò di dolore.

- Cazzo! -

- Le parolacce se le ricorda. - Castiel fulminò il fratello per quella sua battuta inappropriata, ma in risposta ebbe solo un'alzata di spalle.

- Avevi detto che avresti contato fino a tre! - Si lamentò lui, reggendosi la spalla malandata con una mano. Castiel non rispose e Gabriel lo osservò per un attimo come se ritenesse che suo fratello fosse all’improvviso impazzito.

- Non ti ricordi nemmeno da dove vieni, vero? - Gli chiese invece il minore dei Novak. Dean scosse la testa e guardò i due con curiosità, forse per cercare di capire cosa ne avrebbero fatto di lui. Castiel puntò lo sguardo verso suo fratello. I suoi occhi azzurri e cristallini gli stavano chiedendo in silenzio cosa avrebbero dovuto fare. Gabriel in risposta emise un sospiro. Probabilmente stava pensando a tutte le possibilità.

Non potevano lasciarlo lì, Dean sarebbe morto nel giro di qualche ora. L’aria sarebbe diventata troppo tossica perfino con le maschera sul viso. Ma se lo avessero portato con loro, cosa avrebbe detto l’impaziente e severo generale Shurley? Lo avrebbe fatto uccidere? In fondo era uno sconosciuto, senza tatuaggio identificativo, senza alcuna memoria, che poteva probabilmente rivelarsi un pericolo. Non era facile fidarsi se Dean possedeva tutte quelle caratteristiche. Oppure Shurley avrebbe cercato di capire semplicemente cosa ci facesse uno come lui in superficie, uscito dal bunker senza alcuna autorizzazione. Non potevano di certo mentire all’autorità più alta lì dentro. Dovevano anche raccontare dell’edifico esploso, e del fatto che forse Dean era coinvolto. Non avevano altra scelta, di certo. Nasconderlo avrebbe portato a una punizione severa per entrambi, e loro erano dei soldati modello, avevano sempre rispettato gli ordini e le regole. Dovevano portarlo al bunker con loro e doveva ricevere delle cure mediche decenti, quello che aveva fatto Castiel non sarebbe bastato. E che dire della sua memoria? Aveva davvero quell’amnesia retrograda totale o stava solo fingendo?

- Dobbiamo portarlo al bunker. - Disse il maggiore, poi passò a Castiel il palmare. Lui lo afferrò e la schermata bianca con su scritto “Nessun risultato trovato” gli fece sollevare confuso un sopracciglio. - Non esiste nessun Dean Winchester sui registri. Questo qui non è mai stato nel bunker. - Gabe poté vedere perfettamente la gola di Castiel andare su e giù nervosamente.

- Allora da dove diavolo… -

- Già, bella domanda. - Castiel passò nuovamente il palmare a suo fratello, poi lanciò uno sguardo a Dean. La sua espressione era delle più confuse che avesse mai visto nella sua vita. Se volevano davvero sapere cosa era successo in quell’edificio, dovevano tenerlo costantemente sotto controllo, sperando che prima o poi avrebbe ricordato il suo passato.

- Bene, sali e metti in moto. - Gabe annuì, poi si accomodò sul sedile anteriore e si assicurò che le portiere fossero chiuse ermeticamente prima di premere il pulsante accanto al volante. Le ventole cominciarono ad azionarsi e Dean sobbalzò, osservando quel processo come un cerbiatto abbagliato. Fecero un rumore assordante finché, dopo qualche secondo, finalmente si fermarono. - Potete toglierle. - E detto ciò, Gabriel si sfilò la maschera, e lo stesso fece Castiel. Dean li imitò titubante, usando il braccio ancora sano. Tirò su con il naso un paio di volte. L’aria era pulita e rinfrescante per i suoi polmoni.

Il veicolo partì con uno scossone, che causò una smorfia di dolore al nuovo arrivato. Castiel sapeva lo avesse fatto apposta, conosceva troppo bene suo fratello.

- Gabe! -

- Oh, andiamo! - Disse lui ridendo, mettendosi a guidare con più attenzione, senza distogliere gli occhi dall’esterno. - Era uno scossone di benvenuto. - Castiel scosse esasperato la testa mentre guardava gli occhi del più grande riflessi nello specchietto retrovisore. Poi passò a osservare Dean, se almeno quello fosse davvero il suo nome. Stringeva i denti come se mille coltellate lo stessero colpendo all’altezza del petto. Quelle ferite dovevano fare davvero male.

- La dottoressa Masters ti rimetterà in sesto. - Gli disse, Dean però si limitò a incrociare il suo sguardo, come se fosse scettico, ma Castiel fu sicuro di vedere anche un briciolo di gratitudine. - Te lo prometto. -


Note autrice:
SOOOOO, e ci siamo con una storia completamente nuova.
Come avete visto dalla trama, è ambientata in un lontano futuro e la Terra è inabitabile.
Tutti gli esseri umani vivono in un bunker sotterraneo e nessun altro essere vivente esiste all'infuori di esso. Quindi questo Dean è proprio un mistero, o sbaglio?
Cosa accadrà quando Dean conoscerà Shurley?
Io spero che questo incipit possa piacervi, è un esperimento che, se andrà bene, sarò felice di continuare.
Per quanto riguarda gli aggiornamenti, li farò in base agli orari delle mie lezioni, quindi vi chiedo di avere pazienza.
Baci grandi, ci vediamo presto per il prossimo capitolo!

  
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