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Autore: dreamlikeview    13/05/2019    4 recensioni
Nel momento in cui Arthur Pendragon tradisce la fiducia di Merlin, questi viene corroso dall'oscurità e medita vendetta contro Camelot e contro l'uomo che diceva d'amare. Riuscirà l'amore a superare una tale prova? O i due finiranno per distruggersi a vicenda?
[Merthur, dark!Merlin, king!Arthur, canon-verse]
Genere: Angst, Dark, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Più stagioni
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Disclaimer: I personaggi non mi appartengono in alcun modo, io da tutto ciò non guadagno nulla (al massimo ci perdo la faccia) e la storia non mira ad offendere nessuno. 

Avviso: OS abbastanza lunga, non potevo dividerla per ragioni di trama, perdonatemi.
Enjoy!


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Everybody's got a dark side
Do you love me? Can you love mine?
Nobody's a picture perfect, but we're worth it
You know that we're worth it. 
Will you love me? Even with my dark side?

 

 
Il tradimento bruciava il suo nobile animo puro che lo aveva sempre contraddistinto da quelli come lui, dagli stregoni. Il suo potere premeva dall’interno del suo corpo per esplodere e liberarsi in tutta la sua forza per ottenere la sua vendetta. Voleva distruggere ogni cosa, bramava la distruzione di tutto ciò che aveva aiutato a costruire. Sentiva l’oscurità crescere nel suo cuore senza che lui potesse far nulla per evitarla, nonostante si sforzasse di contrastarla con i suoi buoni sentimenti, ma essi erano stati risucchiati fuori dal suo animo da qualcosa di più grande. Cos’era che lo logorava dentro? Cosa l’aveva distrutto tanto? Cosa l’aveva sconvolto a tal punto da risvegliare il suo lato oscuro?
Oh lo sapeva bene, era stato il traditore, ecco chi. Non cosa, ma chi. E il mago aveva un nome per costui: Arthur Pendragon. Il nobile, coraggioso, traditore re di Camelot. Colui a cui aveva giurato fedeltà e amore eterno; colui che mai avrebbe dovuto farlo sentire così. La persona a cui si era affidato totalmente: mente, corpo e anima; aveva messo la propria vita nelle sue mani e lui aveva distrutto tutto con poche e semplici parole. Lui lo aveva tradito nel modo peggiore, aveva giurato che l’avrebbe amato e protetto per tutta la vita, che avrebbe dato la vita per la sua e invece aveva spezzato il suo cuore colmo d’amore, rendendolo una poltiglia fatta d’odio e di risentimento. Merlin gli aveva donato tutto sé stesso, mettendosi totalmente nelle sue mani, si era prostrato ai suoi piedi e gli aveva donato il suo cuore e i suoi poteri. Lui li aveva accettati di buon grado fino a che gli erano serviti, poi lo aveva gettato via come un oggetto usato, una spada spuntata, troppo vecchia per essere usata. Lo aveva tradito in ogni modo in cui una persona potesse essere tradita, lo aveva distrutto nel cuore e nel fisico e adesso tutto di lui bramava vendetta.
L’ira invase il suo cuore e il suo corpo pensando a quel giorno, a quando la sua vita era cambiata totalmente. Non era stato un cambiamento radicale, oh no, era stato un lento logoramento, uno stillicidio perpetuo, protrattosi per un tempo indefinito, fino a che tutto era esploso senza che lui potesse fare nulla per fermarlo.
Erano stato felice, oh sì, come mai in vita sua quando Arthur Pendragon aveva accettato il suo amore e i suoi poteri, lo aveva lasciato parlare, l’aveva lasciato spiegare le motivazioni che lo avevano spinto a mentirgli fino a quel giorno, lo aveva ascoltato, lo aveva abbracciato e poi baciato. Sì, perché loro erano amanti, o meglio lo erano stati. Il loro sentimento era nato poco alla volta, tassello dopo tassello fino a che, dopo un banchetto durante il quale l’allora principe di Camelot aveva alzato un po’ il gomito, le barriere che c’erano tra di loro erano state abbattute da un bacio e da una notte di passione. Avevano vissuto una storia d’amore proibito, nascosti tra le sicure mura della camera di Arthur, nascosti agli occhi di tutti, soprattutto agli occhi del re. Avevano condiviso segreti, sentimenti, cose che nessuno dei due avrebbe mai raccontato a qualcun altro; si erano amati profondamente ed erano stati inseparabili. Neanche il litigio più pesante aveva spezzato il loro legame.
Mai una volta Arthur aveva ferito Merlin e l’atto d’amore più grande lo aveva fatto quando aveva accettato la sua vera natura, la sua vera essenza. Ancora ricordava quella sera, quando in ginocchio ai suoi piedi, aveva raccontato al principe tutto ciò che aveva fatto per lui, per Camelot, tutte le battaglie in cui l’aveva aiutato, del drago che adesso era ai suoi ordini, dei mostri che aveva affrontato per lui e di aver barattato più volte la sua vita per salvarlo. In ginocchio di fronte al principe si era aperto, fidandosi totalmente di lui, affidandosi a lui. Arthur era rimasto scioccato, ma aveva dimostrato la sua gratitudine al mago baciandolo e stringendolo forte a sé, per ringraziarlo di tutto. Arthur era ancora un principe, eppure lo aveva accolto completamente nel suo cuore e Merlin aveva finito per amarlo con tutto se stesso. Aveva permesso a quei sentimenti, a quell’amore di sedimentarsi in lui, di crescere nel suo cuore, di travolgerlo completamente.
Poi Uther era morto, ucciso da un nemico di Camelot per proteggere il figlio e Arthur era diventato il re. Merlin in quel momento aveva provato una grande soddisfazione verso di lui. Arthur era magnifico nelle vesti di re e lui era onorato di essere suo, in tutto. Lo aveva amato ancor di più. Arthur gli aveva promesso che quando sarebbe stato re, avrebbe reso la magia libera, lo avrebbe reso libero di essere se stesso e Merlin lo aveva amato con tutto il suo cuore e il suo corpo quando gli aveva fatto quella confessione.
Dopo l’incoronazione però erano iniziati i problemi, Agravaine era diventato il suo consigliere più stretto e ogni cosa che faceva o diceva, allontanava il re dal mago. Era stato in quel periodo che era iniziato il logoramento del loro rapporto, Arthur era cambiato nei suoi confronti, non lo cercava più come prima, lo trattava con diffidenza e lo allontanava. Poi erano iniziati i litigi, durante i quali Arthur gli urlava contro, lo insultava, lo incolpava di qualcosa che Merlin non aveva commesso, non lo aveva mai tradito però. Non aveva mai detto a nessuno i loro segreti, le cose che prima si confidavano sotto le coperte, protetti dal mondo esterno. E più il re si comportava così, più il cuore di Merlin si piegava, si distruggeva, si spezzava insieme al suo animo. Le cose si erano incrinate in maniera peggiore quando, per caso, mentre si recava da lui per chiedergli scusa, qualunque cosa io abbia fatto, perdonami ti prego, aveva sentito Arthur chiedere a Ginevra di sposarlo. Lì, la loro storia era andata in declino, se poteva perdonargli il comportamento che aveva avuto in quel periodo, non poteva perdonargli questo. Ne avevano parlato, certo, ma avevano cercato di allontanare dalle loro menti il più possibile il pensiero di un eventuale matrimonio del futuro re, Arthur però aveva promesso che gliene avrebbe parlato, lo avrebbe reso partecipe della sua scelta. E il fatto che avesse deciso senza neanche consultarlo, gli aveva fatto male, lo aveva spezzato ancor di più, ma non era stato quello il momento in cui l’oscurità era entrata in lui, poiché aveva sempre saputo che sarebbe stato sempre l’amante e mai il consorte, perché era un uomo e un servo e Arthur un re, sapeva che non avrebbero mai avuto una storia alla luce del sole. Il fatto che la scelta fosse ricaduta proprio su di lei, nonostante facesse male, era stata apprezzata dal mago, era contento che Arthur avesse scelto una brava ragazza invece di una principessa. Lui sarebbe stato un re diverso, l’aveva promesso tempo addietro.
Poi era successo qualcosa che aveva spezzato ogni cosa.
Lancelot era tornato e con lui era sopraggiunto il tradimento di Ginevra ed il vero tradimento di Arthur, quello che aveva permesso all’oscurità di entrare in lui, quello che aveva distrutto per sempre il vecchio Merlin, colui che era stato un servo fedele, un suddito obbediente, un mago sempre pronto al sacrificio. La sera successiva al tradimento della donna e al suo esilio, Arthur aveva mandato delle guardie alla porta della stanza di Merlin. Lo avevano prelevato e portato al cospetto del re, che seduto sul suo trono lo accusava di aver usato la magia nera, di aver riportato in vita Lancelot, di aver deviato la sua anima, di aver spinto Ginevra al tradimento. Tutto avveniva sotto lo sguardo divertito e godurioso di Agravaine.
Arthur, ti prego, non ti farei mai una cosa del genere – lo aveva supplicato – non ho mai usato la magia contro di te, lo sai, la mia magia ti appartiene, ti è sempre appartenuta, l’ho sempre usata solo per te, solo per te lo giuro – il re era sordo alle sue suppliche – ti prego, mi conosci, sono lo stesso Merlin che ti ha sempre dimostrato fedeltà. Non ti tradirei mai – aveva detto ad un passo dalle lacrime – credimi, Arthur, ti prego… non userei mai la mia magia contro di te, lo sai, lo sai…
Arthur lo aveva guardato, per un momento i loro occhi si erano incrociati, poi il re aveva abbassato lo sguardo come se stesse pensando a qualcosa di importante e Merlin aveva pregato tutte le divinità dell’Antica Religione affinché prendesse la decisione giusta o quanto meno gli credesse. Mai, mai, mai avrebbe usato la magia per nuocergli; Arthur doveva saperlo, doveva esserne sicuro. Il re aveva lasciato la sala del trono senza dire nulla. Tutti erano rimasti immobili, in attesa che Arthur dicesse qualcosa, ma lui non aveva detto nulla, era uscito da lì, lasciando Merlin in attesa di un giudizio e tutto il consiglio con il fiato sospeso. Merlin aveva vissuto con tristezza, paura, rabbia e una minima speranza. Era una fiammella piccola e quasi spenta, ma dentro di lui sperava che Arthur si rendesse conto che davanti a lui non c’era un criminale, bensì Merlin, il suo servo, il suo amico, il suo amante. Non un nemico. Un pugno nel muro aveva risuonato tra le pareti della sala. Cercò tra i cavalieri i suoi amici di un tempo, Gwaine, Percival, Elyan, ma loro lo guardavano con disprezzo. Se solo Lancelot, il vero Lancelot fosse stato lì, lui avrebbe preso le sue difese, lui lo avrebbe sostenuto, lui sapeva, aveva sempre saputo chi era, era l’unico vero amico che avesse mai avuto; aveva creduto anche in Gwaine, ma adesso era un cavaliere ed era quasi normale che avesse sposato le cause del suo re, di colui a cui aveva giurato fedeltà. Lancelot lo aveva anche ringraziato quando aveva liberato la sua anima dal giogo di Morgana, aveva ritrovato l’amico per poi perderlo di nuovo e gli aveva fatto male; avrebbe solo voluto che Arthur capisse. Ma adesso veniva accusato di averlo riportato dal mondo dei morti e di averlo manipolato. Se solo avesse potuto, di certo l’avrebbe riportato lì solo per farlo testimoniare in suo favore. Ma non poteva, non era nel suo potere. Poi la porta si era aperta e tutti erano rimasti con il fiato sospeso di nuovo, Merlin aveva trattenuto il respiro fino a quando il re non si era seduto sul trono e quando aveva incrociato i suoi occhi azzurri freddi come la pietra, era stato investito da una secchiata d’acqua ghiacciata. Quello non era più l’uomo di cui si era innamorato, ma una sua copia, un fantoccio malleabile che era diventato il burattino di Agravaine e Morgana. A niente erano valse le sue raccomandazioni.
Le prove sono contro di te. Sei un traditore – aveva detto – quelli come te sono mostri che nuocciono al prossimo – più parlava, più il cuore di Merlin si spezzava, più l’oscurità entrava in lui – sono costretto a dichiararti colpevole di uso di stregoneria, pertanto la condanna è la morte – la sua sentenza aveva annebbiato la mente del mago, del mostro. L’oscurità l’aveva divorato. Non si era fidato di lui, di colui che gli era stato accanto per anni, che sempre gli aveva consigliato la giusta via da seguire, che lo aveva protetto, rispettato e amato con tutto se stesso. Non si era fidato di colui che definiva amante, di colui che aveva detto di amare, di colui che gli aveva offerto tutto ciò che aveva, che aveva messo la propria magia al suo servizio. Le guardie si mossero verso di lui, ma prima che lo prendessero, un urlo proruppe dalle sue labbra, alcuni vetri esplosero e, cogliendo lo sgomento del momento, il mago era fuggito velocemente. Immediatamente guardie e cavalieri si erano gettati al suo inseguimento, ma lui aveva fatto di tutto per seminarli. Si era fatto largo tra la folla accorsa al castello, aveva lanciato incantesimi su chi gli ostacolava il passaggio, ormai vinto dal suo lato oscuro, dal dolore che lo aveva raggiunto, dal tradimento dell’amore. Presto l’amore venne vinto dall’odio e quando si immerse nella foresta, le lacrime che avrebbe voluto versare rimasero bloccate a causa di una forza a lui superiore. Lui era potente, più potente di chiunque altro e promise a se stesso che tutti l’avrebbero pagata, che avrebbero sofferto nello stesso modo in cui avevano fatto soffrire lui, quello era stato il momento in cui aveva iniziato a meditare vendetta contro tutti. A partire da Morgana, lei e il suo stupido odio infantile verso un uomo che avrebbe mosso mari e monti per l’affetto che nutriva per lei, passando per Agravaine per tutto il male che aveva portato nella sua vita, fino ad arrivare ad Arthur per il tradimento subito.
Non si era lasciato catturare, neanche quando era stato scoperto, ma aveva lasciato pian piano che il rancore e il sentimento si impadronissero di lui, che serpeggiassero nel suo cuore e lo avvelenassero, fino al punto da odiare chiunque. Non aveva mai attaccato villaggi, ne ignorava il motivo. Si era limitato a scagliare contro il castello qualsiasi creatura lui riuscisse a padroneggiare e tutte le maledizioni che conosceva. Aveva lasciato Camelot, si era rifugiato sull’Isola dei Beati, oltre il lago di Avalon, dove gli indegni come il re Pendragon e i suoi omuncoli non potevano arrivare. Le prime creature che aveva mandato erano state le viverne. Aveva comandato i rettili affinché attaccassero i cavalieri di Camelot, solo e unicamente i cavalieri. Aveva osservato tutto dalla fonte magica, la stessa da cui anche Nimueh aveva mandato creature contro il regno. Aveva osservato anche il re, certo che l’aveva fatto, una parte di lui ancora si chiedeva come vivesse quel periodo oscuro, ma la parte cattiva prendeva il sopravvento e si beava delle immagini in cui i cavalieri restavano feriti. Senza di lui, nessuno poteva vincere contro la magia, solo la magia poteva vincere se stessa, non spade, lance e fiamme e i cavalieri di Camelot lo stavano sperimentando sulla loro pelle. Quando richiamò a sé le viverne, si sentì soddisfatto, non c’era bisogno di altra morte – nessuno in realtà era morto, solo molti feriti, lui aveva ordinato di attaccare non uccidere – e poi c’era stata la volta della carestia. Camelot e confini avevano vissuto una terribile carestia. Poi però dalla sua fonte aveva visto soffrire delle persone che non lo meritavano e aveva spezzato l’incantesimo, perché se Arthur lo aveva tradito non era giusto che gli innocenti soffrissero, ad una parte di lui ancora importava quella cosa. La seconda creatura che inviò fu un grifone, un meraviglioso e crudele esemplare che prese di mira solo i cavalieri in ricognizione per i boschi. Nessuno di loro morì, ma rimasero gravemente feriti e furono riportati a Camelot, dove furono guariti da Gaius.
Oh, il suo vecchio mentore. Ogni tanto dalla fonte lo guardava, lui era immune alle sue maledizioni, perché era l’unico che gli era rimasto sempre fedele; ogni tanto poteva sentirlo nella sua mente, lo chiamava e gli chiedeva di tornare, di affrontare la cosa, di ricordarsi chi era. Perché Gaius sapeva che dietro le piaghe di Camelot c’era lui. Ed era certo che anche Arthur lo sapesse. Il suo mentore, l’unica figura paterna che avesse mai avuto in tutta la sua vita, cercava di proteggerlo sempre, anche quando si stava trasformando piano piano in un mostro, un mostro come aveva detto Arthur stesso. Se anche l’uomo che aveva amato lo detestava, lo considerava tale, che senso aveva continuare ad essere un povero idiota solo per proteggere lui? No, lui aveva lasciato che il dolore lo guidasse e l’oscurità lo invadesse e adesso bramava vendetta. Ma non poteva fare a meno di ascoltare la voce di Gaius nella sua mente, che gli diceva costantemente che era straordinario, che in lui non c’era niente di malvagio, che un giorno Arthur lo avrebbe visto per quello che era.
Alla fine Arthur l’aveva fatto, ma non si era fidato di lui, aveva preferito un parente che mai si era interessato a lui prima della sua incoronazione, un serpente che bramava solo il suo potere e desiderava la sua morte.
Lo stregone aveva ripreso sotto il suo controllo Aithusa, il cucciolo di drago che era nato come promessa di un futuro migliore, come segno benefico per Albion, e l’aveva scagliato contro Morgana, iniziando la vendetta verso di lei; se lei non avesse profanato il nome del suo buon amico Lancelot, tutto ciò non sarebbe mai accaduto, Arthur sarebbe sposato e lui sarebbe stato un amante, un’ombra alle sue spalle, ma non avrebbe mai avuto su di sé lo sguardo colmo d’odio del re. Si era rivelato a lei come Emrys e l’aveva sfidata, il suo rancore l’aveva spinto quasi ad ucciderla. Ma si era fermato, poiché era sopraggiunto Agravaine, fedele alla strega come aveva sempre sospettato e mai era stato creduto. Merlin, vedendolo soccorrere Morgana, era andato in escandescenza, aveva lanciato un potente incantesimo verso di lui e lo aveva scagliato all’indietro, facendolo sbattere contro un albero. Non lo aveva ucciso, ma era certo di avergli fatto perdere i sensi. Aveva provato l’istinto di ucciderlo. Le sue mani avevano tremato, lo avrebbe fatto, se una parte di lui non lo avesse fermato, essa l’aveva spinto a non trasformarsi in un assassino, non ancora. Forse era stato qualche residuo del vecchio se stesso. Senza guardarsi indietro, aveva fatto ritorno all’Isola con Aithusa.
Non li aveva uccisi ancora, prima dovevano pagare per tutto ciò che avevano fatto. Doveva godersi la vendetta con calma e con freddezza. Guardò di nuovo nella fonte, vide Arthur solo nella sua stanza, chino per terra intento a pregare. Il suo viso era maschera di dolore, poteva riconoscere quelle piccole espressioni che lo caratterizzavano, conosceva a menadito quel viso perfetto e principesco. Un pezzo del suo cuore s’incrinò ancor di più ricordando quanto avesse amato quel giovane, quanto fosse stato felice con lui. Ma poi il ricordo del sordo dolore di quando l’aveva condannato a morte, senza neanche prestare ascolto alle sue suppliche, si affacciò di nuovo sul suo animo già tormentato. Strinse i pugni e chiuse gli occhi, impedendo al dolore di uscire da lui sottoforma di lacrime, lasciò che il dolore lo invadesse, lo fece suo e poi pronunciò un incantesimo. Un’altra piaga era stata inflitta al regno di Arthur Pendragon, ma non riusciva mai ad arrivare fino in fondo, interrompeva ogni maledizione prima che potesse uccidere qualcuno. Voleva solo che Arthur soffrisse sentendosi impotente, così come lui si era sentito impotente quando l’aveva umiliato in quel modo. Lo aveva accusato di averlo danneggiato quando non l’aveva fatto e adesso avrebbe assaggiato quella magia crudele su di sé. Ogni maleficio che infliggeva era una punizione ad Arthur ed era un pezzo della sua anima che si anneriva, che veniva risucchiata nell’oscurità, presto del Merlin che tutti avevano conosciuto non sarebbe rimasto più nulla, se non una figura vuota e crudele, vinta dal dolore e distrutta dal tradimento dell’amore.
 
§§§
 
Seduto sul suo letto, in un piccolo istante di tranquillità, Arthur Pendragon pensava, sospirava e soprattutto si pentiva. Non era passato neanche un giorno dall’atroce verità che aveva scoperto. Fino a quel momento era stato ingannato, soggiogato, umiliato. Aveva tradito l’unica persona a cui avrebbe affidato la sua vita, aveva trasformato un cuore puro in un mostro. Era da settimane che Arthur affrontava una minaccia magica alla volta, prima le viverne, poi le maledizioni, la carestia, il grifone, niente di tutto ciò aveva mai ucciso qualcuno. Ogni maledizione si interrompeva così com’era iniziata. Come si era ritrovato in quella situazione? Non lo sapeva neanche lui, era stato un processo lento e le cose gli erano sfuggite di mano all’improvviso. Quasi rimpiangeva il giorno che era stato incoronato re. Camelot veniva prima di tutto, certo, ma avrebbe preferito essere ancora un principe. Era tutto più facile quando lo era, era sereno, spensierato, felice. Soprattutto con Merlin, con lui era sempre felice, fin da quando quella notte d’ubriachezza l’aveva baciato e fatto suo, fin da quando gli aveva confessato d’amarlo e l’altro aveva ricambiato.
Ancora ricordava il giorno in cui Merlin gli aveva detto di essere un mago, il suo volto era parzialmente illuminato dal fuoco del camino vicino al quale si trovava, in ginocchio davanti a lui. Aveva chiuso le mani davanti alla bocca e quando le aveva riaperte da esse era uscita una meravigliosa farfalla blu, che aveva svolazzato per la stanza e si era posata sul suo naso. Quel piccolo momento aveva fatto sorridere il mago che era arrossito e lui gli aveva preso le mani, lo aveva spronato a parlare. Più il moro raccontava, più tutte le assurde situazioni che lo avevano coinvolto prendevano senso. Solo la magia avrebbe potuto sconfiggere la magia, era ovvio. Quando il racconto era finito, il fuoco nel camino era quasi spento, ma il volto di Merlin splendeva di luce propria. Il mago gli donò il suo cuore, la sua anima e i suoi poteri quella notte e Arthur gli promise che l’avrebbe sempre protetto e che un giorno, quando lui sarebbe stato re, la magia sarebbe divenuta legale. Lui sarebbe stato libero, poi lo aveva baciato e Merlin, preso dall’euforia, lo aveva baciato con altrettanta passione. Erano amanti da un anno, quando accadde. Ma quella domanda premeva sulle sue labbra, doveva sapere, ne aveva bisogno.
Perché non l’hai detto prima? – Merlin lo aveva guardato dispiaciuto e gli aveva spiegato i suoi timori, le motivazioni che l’avevano spinto a nascondersi, credendo che il principe non fosse pronto a ricevere una notizia del genere, ma che li avesse messi finalmente da parte, perché si fidava ciecamente di lui e sapeva che mai lo avrebbe tradito.
Bel lavoro, Arthur ­– pensò con rancore verso se stesso – Hai distrutto l’unica cosa bella che avevi, l’hai fatta a pezzi con le tue mani. Merlin gli aveva donato l’anima e lui l’aveva gettato via come una spada vecchia. Sapeva di aver sbagliato, ne era consapevole, ma se ne era accorto quand’ormai era troppo tardi.
La morte di suo padre gli aveva lasciato un vuoto enorme nel petto, aveva perso la sua figura di riferimento, il suo modello da imitare – non in tutto – aveva perso il pilastro attorno al quale gravava la sua vita. Era troppo giovane per divenire re e Agravaine, giunto dalla sua terra per aiutarlo, l’aveva usato per i suoi malefici piani. Lo aveva raggirato, l’aveva ingannato e adesso ignorava dove fosse scappato dopo il suo maledetto tradimento.
Quando era stato incoronato re, una parte di lui aveva desiderato non esserlo diventato, Agravaine aveva iniziato a sussurrare nel suo orecchio viscidamente come un serpente, si era messo alle sue calcagna e prima l’aveva spinto ad allontanarsi da Merlin – Non è bene che un re si faccia vedere così tanto con il suo servitore, non ripetiamo la scena penosa della sala del consiglio – lo aveva allontanato in qualche modo da sé, quasi inconsapevolmente. E ciò l’aveva spinto ad avvicinarsi a Ginevra, distrutta dalla perdita del suo amato Lancelot, pensava che stando vicini nel dolore, potessero avvicinarsi sentimentalmente, perché di prendere in moglie una nobildonna a cui non sarebbe importato nulla del suo popolo era un’opzione che non prendeva in considerazione. Più si avvicinava a lei, più allontanava Merlin, più lo feriva senza neanche accorgersene. Ogni volta che il mago gravitava attorno a lui, lo respingeva con crudeltà, quasi non si rendeva conto del suo atteggiamento, vinto dalle pressioni che incombevano su di lui.
Poi erano iniziati i litigi – Tu avresti potuto salvarlo! La tua magia a cosa serve altrimenti? Non dovresti starmi sempre attaccato al culo! Non è bene che un re si faccia vedere con il suo servitore! – e gli insulti che gli aveva rivolto erano stati pessimi, cattivi e senza onore; aveva riversato su di lui tutte le sue paure, le sue ansie, le sue arrabbiature e Merlin le aveva incassate bene una dopo l’altra. Il giovane mago si era scusato con lui per tutto, anche per quello che non aveva fatto e lo aveva fatto stare bene ogni volta, senza che lui pensasse al bene del suo servo, del suo amante. Ma ogni notte, dopo aver consumato l’atto sessuale, lo faceva andare via come una comune sgualdrina. La sua colpa era inesprimibile, ma ancora non aveva compreso cosa fosse accaduto. Aveva visto Merlin spegnersi, divenire un altro, ma nonostante ciò, egli aveva cercato di essere sempre lo stesso nei suoi confronti, sorrideva e lo baciava amandolo come solo lui sapeva fare, trasmettendogli ad ogni incontro sporadico tutto l’amore che provava. Merlin ci provava, Arthur lo respingeva. Ma le pressioni di Agravaine erano forti, secondo lui doveva trovare una regina. Così aveva smesso di invitarlo nelle sue stanze, aveva chiesto a George di occuparsi di lui e aveva relegato Merlin ad altri incarichi come le stalle, le armerie e altre cose che non includevano la sua cura personale. Lo evitava ogni giorno, pur sentendosi in colpa verso di lui. Lo aveva evitato ancor di più dopo l’ennesimo litigio durante il quale lo aveva accusato di qualcosa di non ben definito, ma l’aveva visto lo sguardo del moro, distrutto e spezzato. Aveva sentito il cuore del suo amante dividersi, ma non aveva mosso un muscolo. In quei giorni, si era avvicinato a Ginevra ancor di più. L’aveva corteggiata un po’, ma senza provare forti emozioni, l’aveva portata con sé per una colazione fuori le mura in una radura che aveva scoperto con Merlin, le aveva fatto i complimenti, le aveva anche regalato dei fiori – ricordava bene il giorno in cui Merlin aveva evocato un fiore e gliel’aveva messo dietro l’orecchio dicendogli che così sembrava una principessa invece che un principe, avevano riso insieme quella volta – al ritorno al castello, l’aveva invitata per una cena intima nelle sue stanze.
E quella sera stessa le aveva chiesto di divenire la sua regina. Non l’amava, ma lei era la persona giusta, avrebbe amato il popolo, sarebbe stata la regina del popolo e non la sua. Lui aveva solo una persona nel cuore, anche se la sua nobiltà lo spingeva ad allontanarlo. Agravaine non era stato felice della notizia, ma aveva accettato comunque, non poteva andare contro il volere del re. Si sentiva in colpa verso Merlin, poiché non aveva chiesto il suo parere, quand’era ancora un principe, gli aveva promesso che avrebbero scelto insieme la donna che avrebbe dovuto sposare – “Magari una racchia, brutta e vecchia, così tu sarai sempre mio!” aveva detto il moro, ridendo e baciandolo con trasporto “Ma io sono tuo. Lo sarò sempre, te lo giuro” gli aveva promesso con un sussurro a fior di labbra – ma adesso era re. Prendeva lui le decisioni e prendeva quelle più giuste per il suo popolo. Ginevra avrebbe pensato al popolo prima di qualunque altra cosa. Ma poi la notte prima del matrimonio, Lancelot, l’amore perduto della donna, il suo cavaliere morto nobilmente per salvare lui, era comparso di nuovo. E lei era stata vista alla luce del sole baciare un altro uomo dopo essere stata promessa al re, Arthur non aveva sofferto per quel tradimento, in fondo se l’aspettava, avrebbe anche consentito l’unione clandestina, se il tradimento non fosse stato pubblico e in qualche modo umiliante per il re. Poi la secchiata d’acqua gelata.
Lancelot era stato riportato in vita da una magia potente, era solo un corpo vuoto, riempito della volontà di uno stregone potente, il suo primo pensiero era volato a Morgana, ma lei non poteva sapere della sua intenzione di sposare la sua vecchia serva, doveva essere stato qualcuno vicino a lui, che non vedesse bene l’unione.
Si era rifiutato categoricamente di pensare a Merlin. Ma poi il mago era sparito insieme a Lancelot per due giorni e quando era ritornato era solo. Arthur aveva ancora rifiutato l’idea che il traditore fosse lui. Poi la conferma: Agravaine era arrivato da lui con un bracciale, gemello di quello che aveva Ginevra quand’era stata trovata con Lancelot e bandita. Era nelle stanze del ragazzo, Merlin – aveva detto lo zio – penso che sia uno stregone, Arthur.
La sua mente si era annebbiata in quel momento. Perché? Perché Merlin mi ha fatto una cosa del genere? Perché mi ha tradito? Perché mi ha umiliato in quel modo? Per vendetta? Per gelosia? – non avrebbe mai desiderato fare una cosa del genere, non avrebbe mai voluto tradire il suo segreto. Ma quella sera si ritrovò a confessare allo zio di aver sempre saputo di lui. E che forse era stato ingannato, ma il suo cuore si rifiutava di accettare una tale assurdità. Si rigirò tra le mani l’oggetto, era magico, c’erano delle scritte nella lingua dell’Antica Religione, Merlin gliene aveva parlato una volta mentre erano nel suo letto, dopo aver fatto l’amore. Il dolore del tradimento bruciò il suo cuore; in quel momento aveva odiato Merlin con tutto se stesso, lo aveva odiato per il tradimento, per averlo ingannato per aver tramato alle sue spalle come un qualsiasi altro stregone, non aveva sopportato la mole di sentimenti che quell’evento aveva scatenato in lui. L’odio aveva preso il sopravvento su qualsiasi altra cosa avesse mai pensato di provare per il mago; si ritrovò ad ammettere che suo padre aveva sempre avuto ragione, niente che veniva dalla magia era qualcosa di buono e Merlin non era diverso dai suoi simili. Quella stessa sera ordinò alle guardie di arrestare Merlin e condurlo nella sala del trono e lì lo attese. Freddo, impassibile, duro quello fu lo sguardo che rivolse al suo ex servitore. Lo accusò di praticare stregoneria, di aver usato la magia oscura per resuscitare Lancelot e per spingere Ginevra al tradimento. Udì le suppliche del moro, lì in ginocchio ai suoi piedi, giurava che mai aveva usato la magia contro di lui, mai lo avrebbe fatto, mai lo avrebbe tradito. Lui lo conosceva.
Sì, lo conosceva, ma chi aveva davanti era uno sconosciuto per lui, un uomo che aveva venduto l’anima al diavolo per complottare contro di lui e lo odiava, odiava tutto quello che rappresentava per lui.
Il suo cuore gli suggeriva di guardare oltre le prove, guardare il ragazzo che aveva di fronte, prono ai suoi piedi che lo supplicava, quella vocina gli suggeriva di ascoltarlo, di fidarsi di lui come in passato, ma lui era sordo alle suppliche del suo cuore. Le prove di Agravaine erano contro di lui. Le guardie non avrebbero mai mentito e se avevano trovato il manufatto magico nelle stanze del moro, allora era vero. Aveva tramato contro di lui, lo aveva ingannato e per quale motivo? Non riusciva a spiegarselo, forse era stata la gelosia, la possibilità di condividerlo con un’altra persona? Chi era colui che aveva davanti? Era un crudele stregone… o era l’amore della sua vita?
Vinto dai sentimenti contrastanti, sconvolgendo tutti si alzò dal trono e uscì dalla sala. Chiuse la porta alle sue spalle e si appoggiò contro di essa, respirando a pieni polmoni l’aria che sembrava venire a mancare nel suo petto. Cercò di recuperare il fiato. Cosa doveva fare? Una parte di lui gli suggeriva di entrare lì dentro, sguainare la spada e proteggere Merlin da chiunque avesse intenzione di fargli del male, da chi voleva metterlo contro di lui; l’altra parte gli suggeriva di usare quella spada per trafiggere il suo corpo e lasciarlo lì a morire per il tradimento che gli aveva rivolto. Colpì la porta con un pugno deciso, urlando la sua frustrazione. Non sapeva che stava compiendo lui il vero tradimento.
Vinse la parte oscura, quella che gli sussurrava la colpevolezza di Merlin, che gli suggeriva che Agravaine aveva ragione, che suo padre aveva sempre professato la dottrina giusta. Dopo un ulteriore respiro profondo entrò nella sala del trono a passo fermo e deciso. Si sedette di nuovo ed emise la sentenza di morte verso il suo ex amante, lo chiamò mostro, ma il vero mostro era lui che lo stava tradendo. Poi le cose avvennero in modo strano, vide il dolore di Merlin espandersi per la sala, sentì il suo urlo disumano echeggiare, i vetri della sala scoppiarono in mille pezzi, nessuno di essi toccò i presenti, come se fossero stati incantati. Poi Merlin fuggì dalla sala, facendosi largo tra le persone e lui ebbe appena il tempo di ordinare di catturarlo, prima di lasciarsi cadere sulle gambe, sconfitto. Lui che aveva promesso un mondo libero dalla persecuzione, che aveva giurato all’amore della sua vita che l’avrebbe reso libero da quella schiavitù di terrore, che aveva giurato che non avrebbe più dovuto nascondersi a causa della magia, aveva appena condannato a morte l’uomo a cui aveva fatto quelle promesse. Lo sguardo furioso e deluso che gli rivolse Gaius lo fece deglutire. Ma ormai aveva emesso la sentenza. La mano di Agravaine sulla sua spalla gli fu di conforto – so quanto eri legato al ragazzo, mi dispiace disse ma hai fatto la cosa giusta per il regno – sì, per il regno. Ma per se stesso, per il suo cuore aveva sbagliato su tutta la linea, ma era ancora troppo furioso, pieno d’odio e ferito per il tradimento subito per rendersene conto.
Pian piano i giorni passavano, il castello gli sembrava sempre più vuoto e scialbo senza Merlin, poi erano iniziati gli attacchi magici e aveva combattuto ogni creatura, rendendosi conto di quanto l’aiuto di Merlin fosse stato fondamentale in passato per sconfiggere quelle creature. Mai una volta avevano attaccato lui direttamente o le persone innocenti del popolo. Arthur sapeva che dietro gli attacchi, le carestie e le maledizioni c’era lui e l’aveva odiato ancora di più, perché lo attaccava, se sosteneva che non avrebbe mai osato far del male a lui e al suo popolo?
Poi iniziarono i sospetti, Agravaine era sempre all’erta, ma ghignava costantemente come se godesse delle maledizioni che venivano inflitte contro Camelot. Gioiva del fatto che fosse Merlin a lanciare quegli incantesimi contro di lui, gioiva quando lui sosteneva durante i consigli che dovessero trovare lo stregone al più presto. Ma non capiva le sue motivazioni, viveva ancora nell’illusione che quell’uomo provasse affetto nei suoi confronti. Un giorno, Agravaine tornò al castello ferito. Alla sua domanda di spiegarsi, l’uomo gli disse che era nel bosco – Arthur non gli aveva mai ordinato di andare nel bosco – e che era stato attaccato da Merlin; gli propose di allearsi con Morgana per sconfiggere il nemico comune. Merlin nemico comune? «Perché? Cosa ne sai tu dei nemici di Morgana?» la domanda del re mise in crisi Agravaine, che biascicò delle risposte infondate, senza senso, completamente a caso. E Arthur si risvegliò dal sonno. Come uno schiaffo forte sulla faccia, la realtà lo colpì brutalmente e lui si risvegliò. Era stato ingannato, manipolato per tutto il tempo, ma non da Merlin. Si rese conto di aver fatto un errore, un madornale errore.
Fu una frazione di secondo, Agravaine irato per essersi fatto sfuggire una verità di troppo, si era gettato su di lui con un pugnale tra le dita; era riuscito a ferire Arthur di striscio, prima di essere atterrato da un pugno del giovane re, che chiamò le guardie e lo fece rinchiudere nelle segrete. In un paio di giorni scoprì tutta la verità: Agravaine era un alleato di Morgana e aveva agito dall’interno, aveva tramato contro di lui fin dall’inizio, lui aveva portato Lancelot a Camelot il giorno prima delle nozze, lui aveva messo il bracciale nella stanza di Merlin per farlo trovare alle guardie, Morgana aveva resuscitato il cavaliere, quando lui stava per sposare Ginevra. E lui, da bravo stupido, aveva accusato Merlin.
E adesso in camera sua, con una gamba ferita lievemente da un ennesimo mostro, scagliato contro di lui dall’ira di Merlin, non poteva che sentirsi responsabile di aver trasformato l’amore della sua vita in quell’essere. Si meritava ogni cosa, si meritava quella ferita, essa non era una punizione degna per uno come lui. Era colpa sua se il cuore puro del mago era macchiato di scuro, se il suo animo puro era contaminato. Toccava a lui aiutare il mago a tornare quello di una volta. Doveva ritrovare il suo Merlin. Pianse quella notte, Arthur, chiuso nelle sue stanze, pianse per l’amore perso, per il tradimento compiuto, pentendosi dei suoi peccati. Come aveva potuto permettere che qualcuno lo manipolasse? Che lo allontanasse dall’unica persona di cui si fidava? Dall’unica persona con cui si sarebbe gettato da una torre, sapendo lui che avrebbe trovato il modo di salvarlo? Come aveva potuto permettere che le cose divenissero così cupe? Come aveva potuto pensare che Merlin lo avesse tradito? Che avesse usato la magia contro di lui, lui che aveva barattato più volte la sua vita per quella inutile del re? Lui che aveva giurato di averla usata sempre e unicamente per lui? Solo per te, Arthur, lo giuro, solo per te. Le sue parole si ripetevano come una nenia nella sua mente, più ci pensava, più si sentiva un mostro. Arthur non si sarebbe mai perdonato. Forse non meritava che Merlin lo perdonasse. Aveva tradito la sua fiducia, Merlin si era messo tra le sue mani, gli aveva messo la vita tra le mani, gli aveva donato il cuore e lui era riuscito solo a calpestare il suo essere, suoi complici la giovane età, la sua ingenuità e il suo essere una testa di fagiolo. Lo aveva spezzato, lo sapeva, era stato lui a permettere all’oscurità di entrare nel corpo di Merlin, di avvelenarlo in quel modo. Lui meritava di soffrire, non il mago. Lo stesso mago che lo aveva convinto che uccidendo non avrebbe ottenuto la pace che cercava, lo stesso che gli aveva mostrato la più sincera e completa lealtà con ogni gesto compiuto. Colui che l’aveva spinto a non giustiziare un bambino accusato di stregoneria – potrei essere io, aveva detto – che vedeva il buono in tutti, ma che riusciva a scindere tra giusti e ingiusti; colui che l’aveva messo in guardia da Agravaine e che non era stato ascoltato.
Il suo cuore dilaniato non aveva mai smesso di amarlo e ora quell’amore, seppellito sotto cumuli di bugie, era tornato ad invadere il suo cuore e si promise che avrebbe iniziato a cercarlo dal giorno dopo, per riportarlo a casa, da lui, per chiarire la loro situazione e farsi perdonare. Renderlo finalmente libero, iniziando a mantenere le sue promesse e anche di più.
La prima cosa che fece quando si svegliò il giorno dopo, alle prime luci dell’alba, fu revocare la condanna di Merlin, chiunque l’avesse trovato, avrebbe solo dovuto scortarlo a Camelot, senza fargli alcun male; il vero traditore era Agravaine. Quello stesso giorno abolì le leggi contro la magia, facendo cessare un regime di terrore per chi la usava con bontà come Merlin. Sperava di riportarlo da sé, di salvarlo. Stavolta avrebbe mantenuto le promesse fatte in passato, avrebbe protetto Merlin anche da se stesso e l’avrebbe riportato a casa, dov’era il suo posto.
Ti prego, perdonami – pensò avvilito. Non si sarebbe mostrato debole davanti agli altri, ma quando era solo e si guardava allo specchio si sentiva a pezzi. Chi era quell’uomo che vedeva riflesso lì? Di certo non lui, quello era un mostro che aveva ferito l’essere più puro esistente nel suo regno e in tutti gli altri regni. Lo aveva tradito e toccava a lui rimediare, doveva trovarlo e farsi perdonare, riportarlo a casa e salvarlo da se stesso. Perché sapeva che se avesse continuato in quel modo, del suo Merlin non sarebbe rimasto più nulla e allora sarebbe stato davvero troppo tardi.
Organizzò una spedizione con i cavalieri per trovarlo, anche se sembrava impossibile, Merlin era introvabile. Si nascondeva nell’ombra, agiva dall’ombra. Durante una ricognizione si unì a loro un giovane druido, Mordred, che si rivelò molto potente e affermò di poter trovare Merlin. Finché la speranza brillava nei loro cuori, allora le cose erano destinate a migliorare. Merlin doveva essere salvato, era questa la priorità.
 
§§§
 
Il desiderio di vendetta in Merlin cresceva sempre di più. Era in piedi all’ingresso della foresta di Ascetir, stava per darle fuoco. Voleva distruggere tutto ciò che aveva permesso che venisse costruito. Quella foresta era il luogo in cui lui e Arthur si accampavano indisturbati per cacciare. Invece di cacciare passavano le nottate stretti l’uno all’altro a baciarsi e a fare l’amore nelle grotte e poi si stringevano aspettando l’alba insieme. A volte lì, immersi nella natura, guardavano insieme le stelle, cercando di unirle e di trovare figure. Merlin aveva amato il sorriso di Arthur ogni volta che gli diceva che sì, quella combinazione di stelle sembrava proprio una spada, o quell’altra sembrava un drago. Non se la sentiva di dirgli che in realtà raffiguravano tutt’altro. Aveva amato restare tra le sue braccia, rabbrividire e sentire il re stringerlo e avvolgerlo nel suo mantello caldo e pieno del suo odore. Tutto ciò doveva sparire, così come era sparito il Merlin di quei ricordi. Non era più il dolce ragazzo di campagna che avrebbe dato la vita per salvare uno stupido re, adesso era qualcun altro, qualcos’altro, qualcosa di oscuro e non ben definito. Voleva bruciare tutto, lo desiderava così ardentemente che alla fine lo fece. Sorridendo malignamente, corse verso una radura, la radura con il laghetto, dove Arthur lo aveva portato per fare una cosa carina e desiderò bruciare anche quella. Il ricordo toccò per un momento la sua mente, proprio in quel punto vicino al lago, Arthur si era tuffato e aveva finto di annegare, lui istintivamente si era gettato per salvarlo e l’altro lo aveva tirato sotto l’acqua e lo aveva baciato. Era rimasto senza fiato quella volta, ma mai si era sentito tanto felice, ma adesso quel sentimento era stato sostituito dal dolore scuro e bruciante. Voleva distruggere tutto ciò che Arthur aveva costruito con il suo aiuto, voleva distruggere ogni loro ricordo. Ormai era schiavo del risentimento e dell’odio che provava dentro di sé, bruciavano al solo ricordo dei luoghi in cui erano stati insieme, ognuno di loro rimandava al tradimento. Tutto ciò era stato recriminato dallo stesso re, quando invece di proteggerlo, come aveva promesso, lo aveva additato come nemico. Lui un nemico, lui che aveva messo la vita di quell’ingrato re prima della sua, lui che aveva barattato la sua inutile vita di servo – volentieri – per salvare quella di Arthur, lui che più di una volta l’aveva rischiata per salvare il prezioso deretano del grande re. Si era lasciato catturare, torturare, distruggere per lui. E lui cosa aveva fatto? Cosa aveva fatto il grande re Arthur Pendragon? Nel momento in cui era stato messo davanti alla scelta di fidarsi totalmente di lui, lo aveva abbandonato. Lo aveva tradito, gettato via come una spada vecchia. Il re lo considerava un mostro e lui lo era diventato, forse perché una parte di lui stava ancora compiacendo il suddetto re. Non provava gioia o soddisfazione quando vedeva le piante bruciare, né provava colpa per ciò che stava facendo. Era vuoto, un guscio vuoto che si muoveva poiché spinto dalla negatività nata dal tradimento.
«Così sei venuto personalmente ad uccidermi» soffiò il mago, quando lo vide avanzare con i suoi cavalieri verso di lui. Aveva avvertito il suo arrivo ben prima che si palesasse in quel luogo, lui e i suoi cavalieri alla fine lo avevano trovato, o era stato lui a farsi trovare? Non si sarebbe fatto catturare o uccidere, di questo era assolutamente certo.
Quando Arthur giunse nel luogo indicatogli da Mordred per trovare Merlin, trovò intorno a sé la devastazione. E vide il mago pronto a distruggere quel posto. Non poteva permetterlo.
«Merlin, fermati!» urlò Arthur «Non sono qui per farti del male!» esclamò. Il mago alzò lo sguardo verso di lui, il blu profondo dei suoi occhi, era stato sostituito da un lugubre nero come il carbone iniettato di rosso. Una risata priva di allegria fuoriuscì dalle sue labbra, Arthur non lo riconosceva più; che ne era del dolce e indifeso Merlin? Dov’era finito il suo amato?
Quegli occhi scuri brillarono d’oro e i cavalieri furono sbalzati lontani dal re; caddero per terra privi di sensi. Erano dei traditori anche loro se non fosse stato per Merlin, non avrebbero indossato quelle armature da cavalieri. Ma questo non contava più, erano nemici. Il re, invece, era rimasto in piedi di fronte al mago. «Per favore, Merlin, adesso basta!» urlò di nuovo cercando di chiamare la parte del Merlin che lui conosceva.
«Come osi parlarmi così?!» tuonò lo stregone, alzando le braccia al cielo. Le nubi ricoprirono il cielo, che si riempì di lampi, si udirono i boati dei tuoni «Io sono Emrys! Sono il più grande stregone che abbia mai camminato su questa terra, tu sei solo un misero re!» urlò a pieni polmoni. Un fulmine si abbatté su un albero e questo prese fuoco sotto gli occhi allibiti di Arthur. Merlin aveva ragione, ma non poteva permettere che continuasse in quel modo.
«Fermati, tu non sei così!» continuò il re, ignorando le parole dello stregone «Non sei un distruttore!»
«Ah no?» disse abbassando lentamente le braccia, ma senza che i tuoni e i lampi si fermassero «Strano, mi era sembrato che tu mi avessi definito un mostro» sibilò. La sua voce sembrò terribilmente quella di un serpente, ma il re non si fece intimidire dalla furia dello stregone. Era potente, tanto potente e fino a poco tempo prima era stato un suo alleato. Adesso temeva di averlo perso per sempre. Adesso incuteva paura e timore, ma Arthur non si sarebbe lasciato vincere da ciò. Uno strano sentimento si fece largo in lui, un sesto senso che urlava pericolo, ma lui lo ignorò, deciso a riprendersi il mago. Il suo mago.
«Merlin…» lo chiamò piano, ma l’altro spalancò gli occhi che brillarono ancora, pieni di collera, di rabbia, di potenza che desiderava solo esplodere, liberarsi. Un piccolo fremito scosse tutto il corpo del re, un istinto primordiale di autoconservazione e difesa personale lo spinse a mettere la mano sull’elsa della spada. Ma non l’avrebbe estratta, non l’avrebbe affrontato. Avrebbe usato quella spada per difenderlo, come aveva promesso in passato.
«Non chiamarmi in quel modo!» tuonò. Alle spalle del re, la magia di Merlin esplose accendendo un enorme fuoco «Merlin è morto! Nel momento in cui tu, Arthur Pendragon, lo hai gettato via come un oggetto inutile!»
«Tu non sei un mostro» continuò il re, stringendo la mano sull’elsa della spada «Ma lo diventerai se continuerai così».
«Taci!»
Ad ogni urlo ed esclamazione del mago, un po’ della sua magia esplodeva. Arthur notò come essa non colpisse gli uomini riversi per terra o lui. Solo tutto ciò che li circondava. Conosceva quel luogo e capiva perché la sua magia si stava vendicando di quel posto. Racchiudeva un po’ del loro rapporto, quello che lui aveva gettato alle ortiche dopo l’incoronazione.
«Ti prego, Merlin, calmati. Torna a Camelot con me» disse il re con tono supplichevole «Cerchiamo di risolvere tutto».
«Così potrai uccidermi?» chiese lo stregone con apparente calma «Così potrai giustiziarmi come avrebbe fatto tuo padre?»
«No, ho revocato l’ordine, ascolta, io…»
«Taci!» ripeté «Tu mi hai tradito! Hai tradito tutto quello che avevamo costruito insieme! Ti sei fidato di Agravaine, mi hai accusato senza ascoltarmi e io ora dovrei fidarmi di nuovo di te?»
«Merlin, so di aver sbagliato, ma ti prego… lui era mio zio e…» deglutì, cosa poteva dirgli? Lo sapeva, tutte le sue parole erano vere, sebbene lo colpissero come fendenti in pieno petto.
«Giusto» emise flebilmente il mago, con un sorrisetto inquietante sul volto «Lui era tuo zio, io ero solo il tuo servitore» disse con una voce profondamente triste e mesta, abbassò il volto quando avvertì il peso di quella constatazione gravare sulla sua pelle. Quella verità ancora bruciava. Non era stato che un oggetto per il re, un oggetto da usare a proprio piacimento, sia sotto le coperte che durante le battaglie e adesso ne aveva la conferma. Il suo unico desiderio era portarlo a Camelot per giustiziarlo, ma non si sarebbe consegnato senza combattere.
Vedendolo leggermente più calmo, il re mosse un passo verso di lui: «Sai che non è così» disse piano «Noi eravamo…»
«Non. Dirlo.» scandì il mago, alzando di nuovo lo sguardo furente su di lui. Un altro incendio scoppiò, un altro fulmine cadde a terra. Dentro di sé Arthur era terrorizzato, ma superò la paura e avanzò di nuovo verso di lui, doveva convincerlo delle sue buone intenzioni, della sua lealtà. Il suo cuore gli era sempre stato leale, la sua mente aveva agito a causa delle circostanze. E non si era mai pentito di qualcosa come di quella. Desiderava solo cancellare gli eventi passati, ma non poteva e adesso doveva rimediare ai suoi imperdonabili errori.
«Noi eravamo amanti» continuò il re, imperterrito «Noi ci…»
«Zitto!» urlò il mago alzando una mano puntandola verso di lui, senza fare nessun incantesimo, un monito, una minaccia, un avvertimento. Dentro di lui qualcosa gli impediva di attaccarlo, per quanto desiderasse distruggerlo, fargli del male, una piccola parte di lui glielo impediva e si aggrappava a quel po’ di umanità che aveva ancora dentro di sé per impedirgli di ferirlo fisicamente.
«Noi ci amavamo, Merlin, tu mi amavi, io ti amo ancora» ammise, facendo un altro passo verso di lui, vincendo la sua paura di essere attaccato dal moro. Non gli avrebbe mai fatto del male, lo sapeva. «Per favore, torna a casa».
«Hai dimostrato bene il tuo amore, grande re» disse con voce lugubre senza rivolgergli lo sguardo. Erano due disperati sulla soglia del non ritorno. Erano due anime perse che cercavano di ritrovare la stabilità. Erano due cuori feriti e spezzati che andavano riparati e riportati alla vita. Erano Arthur e Merlin e dovevano tornare ad essere loro stessi. Arthur non era niente senza Merlin, era disperato, perso, solo.
Merlin senza Arthur mancava della parte migliore di sé, della sua luce, del suo lato luminoso.
«Ti prego» lo pregò, raggiungendolo, appoggiando il petto contro il palmo aperto di Merlin «So che non mi feriresti mai. Ti conosco. Sono stato raggirato e le mie terribili azioni hanno portato a questo. Merlin…»
Il mago scosse la testa: «Merlin non c’è più» soffiò. Poi si voltò dandogli le spalle, muovendo alcuni passi per allontanarsi da lui. Poi accadde qualcosa che Arthur non avrebbe mai immaginato neanche nei suoi sogni più fantasiosi: Merlin iniziò a parlare in una lingua sconosciuta, che trasudava potenza da ogni parola. E poi un drago planò sulle loro teste, atterrando accanto al mago. Arthur lo riconobbe subito, era il drago che anni addietro aveva attaccato Camelot, quello che Merlin aveva sconfitto con la sua magia perché lui era anche un signore dei draghi. Non meritava tutto ciò che aveva fatto il mago per lui e Merlin non aveva mai meritato il trattamento che gli aveva riservato.
«Merlin, cosa sta succedendo?» chiese il drago «Ferma questa pazzia, giovane mago, prima che sia tardi!» esclamò «Non è così che dovevano andare le cose e tu lo sai!»
Ma il mago era sordo alle parole del drago: «Portami via da qui» ordinò alla bestia «Non farmelo ripetere come un ordine nella tua lingua» minacciò. Il drago lo guardò in modo caparbio.
«Non essere sciocco, non è così che devono andare le cose, tu e Arthur…» gli occhi di Merlin si infiammarono, divennero dorati e parlò di nuovo in quella lingua. A quel punto il drago fu costretto ad abbassarsi al volere del suo Signore e dopo un’occhiata scambiata con il re, salì sulla groppa di Kilgharrah e volò via. Lontano da lì, lontano da Arthur e da tutto il resto. Arthur inerme osservò Merlin andare via, rendendosi conto di quanto fosse potente e affascinante sul suo drago. Una luce brillò negli occhi del mago, per un istante l’azzurro del suo sguardo aveva fatto capolino nel nero carbone. Era stato un attimo, ma il re l’aveva colto. Poi una tenue pioggia iniziò a cadere sulla terra e a spegnere gli incendi magici. Sapeva che era stato Merlin, altrimenti non avrebbe mai evocato il temporale. C’era una speranza, da qualche parte dentro di lui, il suo mago, il suo Merlin, il suo animo puro c’era ancora. Toccava a lui, trovarlo e riportare alla luce quella parte sopita. Toccava a lui salvarlo stavolta.
 
§§§
 
Erano passati alcuni giorni dallo scontro con il mago, Arthur era in ricognizione con i suoi cavalieri, Agravaine era fuggito e sicuramente si era ricongiunto con Morgana, che da un po’ era sparita; ma il re non aveva tempo per pensare a loro e ai loro piani. Doveva trovare Merlin e salvarlo dall’odio che lo stava divorando. Lo cercava notte e giorno, pattugliava i confini, le strade, le foreste, ma non lo trovava. La foresta dov’era avvenuto lo scontro con il mago era ricresciuta velocemente, Arthur pensava che si aggirasse da quelle parti. Ma i giorni passavano lenti e inesorabili e lui non si faceva trovare, era una situazione frustrante. Desiderava solo rimediare a tutti i suoi sbagli, ai suoi imperdonabili errori.
Mentre pattugliava una zona boschiva abbastanza fitta, udì una voce richiamarlo. La riconobbe immediatamente, era quella del drago. Forse c’era Merlin con lui! Senza dire nulla ai cavalieri, spronò il cavallo e seguì il richiamo fino ad una radura ampia. Una magnifica cascata si tuffava nel lago davanti a lui e quel luogo sembrava immerso nella magia più pura. Una volta Merlin gli aveva parlato della magia che risiedeva in ogni cosa e lui era rimasto incantato dal modo in cui gli aveva raccontato che c’era magia ovunque e che lui potesse percepirla sempre. Lo avrebbe ascoltato parlare della magia per ore, il suo viso si tendeva in un sorriso rilassato e lo vedeva felice. Sono felice di poter parlare di queste cose con te, non lo credevo possibile, gli aveva confessato una volta. Dannazione, quanto era stato stupido, meschino e idiota.
«Giovane re» lo chiamò il drago, Arthur sobbalzò e istintivamente la mano volò sull’elsa della spada «Non sono qui per farti del male o per nuocerti in alcun modo» proferì per tranquillizzarlo «Ma c’è qualcuno che ha bisogno del tuo aiuto».
«Merlin?» chiese, pur conoscendo già la sua risposta. Il mago aveva bisogno di lui, anche se nelle condizioni in cui era non l’avrebbe mai ammesso. E se il drago, che lui non aveva mai visto prima dello scontro con lo stregone, era andato da lui per chiedergli aiuto, voleva dire che la situazione era dannatamente pericolosa e critica.
«Sì, il dolore lo ha distrutto, il senso di colpa sta facendo il resto» spiegò il rettile «Solo tu puoi salvarlo».
«Come? Mi odia ormai» affermò il re con tono disperato guardando il drago. Voleva aiutare Merlin, ma non sapeva come. Ora lo stregone lo odiava ed era colpa sua che non aveva fatto nulla quando gli eventi avevano preso una piega poco amichevole per loro. Santo cielo, cosa aveva fatto? Come aveva potuto fare una cosa del genere? Come aveva potuto ferire in quel modo Merlin? Come si erano ridotti in quel modo?
«La linea tra odio e amore è molto sottile, mio re, può essere varcata in entrambi i versi, se i sentimenti sono reali e forti».
«Cosa vuol dire?» chiese perplesso, cercando di scrutare il volto del drago alla ricerca di risposte.
«Un grande amore può trasformarsi in un grande odio e il grande odio può tornare ad essere amore» spiegò il rettile confondendo ancor di più il re «Quando i sentimenti sono sinceri, tutto può accadere, giovane re».
«Non capisco…» la confusione sul suo volto era palese. Non capiva cosa intendesse il drago, né cosa dovesse fare.
«Due metà di un intero non possono odiarsi» spiegò il drago «Tu e Merlin insieme siete destinati a dare vita ad Albion, il più grande e prospero regno mai conosciuto dall’uomo».
«Ma come?» chiese, voleva una risposta sensata, non indovinelli senza senso. Cosa diavolo significavano tutte quelle parole? Come avrebbe potuto salvare Merlin con i sentimenti?
«Una volta ho detto al giovane mago che la forza più potente esistente al mondo, insieme alla magia, è la forza del vero amore, un amore tanto grande può spezzare il più potente degli incantesimi; non è una favola che si racconta ai bambini, Merlin ha spezzato più di un incantesimo con l’amore che nutre per te» spiegò il drago al re che rimase un momento perplesso, la sua mente vagò per eventi passati e ricordò di quando un sortilegio d’amore l’aveva quasi ucciso. Non ricordava come fosse ritornato in sé, ma aveva visto il sorrisetto furbo di Merlin. Poi c’era stato quel banchetto, quel bacio, quella notte, quei sentimenti. E il resto. Maledizione. Non aveva mai pensato che fosse stato Merlin a spezzare l’incantesimo, non gliel’aveva mai raccontato, lo aveva tenuto all'oscuro, forse perché si sentiva in imbarazzo. Il drago notando il suo sguardo emise uno sbuffo comprensivo, poi riprese a parlare «Recati sulle sponde del lago di Avalon. Lì una barca comparirà e ti trasporterà oltre il lago, sull’Isola dei Beati troverai chi cerchi. Va’ da solo, segui il tuo cuore, sii sincero» disse il drago con solennità «E salvalo».
Detto ciò, spiegò le possenti ali e spiccò il volo, sparendo sopra le nuvole, lasciando a terra un perplesso e confuso Arthur, che adesso aveva una certezza, una missione e un luogo. Doveva salvare Merlin e lo avrebbe fatto a qualunque costo. Stavolta non avrebbe avuto Merlin a proteggerlo e a combattere per lui, stavolta doveva essere lui a combattere per il mago.
«Lo farò» rispose, certo che il drago, ovunque fosse andato, l’avesse sentito. Avrebbe salvato Merlin.
Era arrivato il momento di dimostrare il grande amore che professava di provare e di riscattarsi agli occhi del suo unico amore. Poteva farlo, doveva farlo. Era la sua missione.
Sapeva dove si trovasse il lago di Avalon, lo avrebbe raggiunto in poche veglie di cavalcata. Così da solo, senza dire nulla ai cavalieri che ormai erano lontani da lui, salì in groppa al suo cavallo e lo spronò alla volta del lago. Pronto anche a sacrificarsi, pur di riportare luce e purezza nel cuore di un mago ferito e corroso dal dolore.
 
 
Giunto al lago di Avalon, Arthur scese dal suo cavallo e lo legò ad un albero. Una fitta e densa nebbia avvolgeva il lago e tutto ciò che lo circondava, gli tolse il fiato immaginare che l’artefice di tutto quello fosse Merlin; l’ira dello stregone doveva essere ancora potente, se quella nebbia era lì pronta ad avvolgere ed inghiottire tutto ciò che circondava l’Isola. Come il drago gli aveva detto, la barca era lì in attesa, oscillava placidamente mossa dalle piccole onde che muovevano il lago. Non c’era nessuno a guidarla, ma Arthur non si fece intimidire da ciò. Si avvicinò alla barca incantata e vi salì a bordo, non c’erano remi o qualsiasi cosa che potesse essere usata per guidarla. Poi un leggero scossone lo spinse ad aggrapparsi al bordo di legno della barca ed essa si mosse da sola, come incantata. La nebbia era fitta davanti a lui, si intravedeva solo la sommità di una torre, che si stagliava verso il cielo oltre la nebbia di Avalon. Poi così com’era partita, la barca s’arrestò. Arthur sussultò e si guardò intorno, che Merlin avesse percepito il suo arrivo e avesse deciso di bloccare ogni suo tentativo di avvicinarlo? Gaius una volta aveva parlato di quel lago come la dimora di molte creature e lo stesso Merlin ne aveva affrontate alcune per proteggerlo.
Si guardò intorno, ma non lo vide arrivare, forse non era opera sua. La nebbia si diradò giusto un po’ e vide emergere dal lago una mano. Si affacciò dalla barca e sotto la superficie del lago vide il volto di una bella ragazza dai capelli scuri e il volto dolce, lei gli sorrise dolcemente. Quasi gli venne l’istinto di buttarsi per salvarla, ma lei era tranquilla, non sembrava sofferente o in pericolo. Era in pace. Osservare la sua tranquillità, placò un po’ il suo animo tormentato.
«Chi sei tu?» chiese il re con curiosità, guardandola.
«Io sono Freya» rispose la giovane, la sua voce era soave e dolce «Ho conosciuto Merlin anni fa, lui mi ha insegnato a non aver paura di chi ero, mi ha salvata, liberata dalla schiavitù e da una maledizione. Mi ha portata qui, dove riposo e veglio su di lui, lo aiuto quando posso» Arthur sbatté le palpebre, non aveva mai sentito quella storia «Mi ha fatto sentire amata, anche se non ero la persona che lui desiderava» raccontò ancora la ragazza e il re sentì un nodo stringergli lo stomaco e una dolorosa stretta al cuore «Lui è la persona migliore che io abbia mai incontrato nel corso della mia vita» continuò, Arthur pendeva dalle sue labbra «Lui non è quello che sta diventando. Il suo cuore è ancora puro sotto la patina di dolore da cui si è lasciato coinvolgere, lui non odia nessuno in realtà. Non è capace di odiare» spiegò ancora «Ma devi fare presto, prima che la sua collera divori il suo animo e la sua umanità» disse la giovane «Devi aiutarlo, prima che perda se stesso e con esso la sua vita, perché nel momento in cui si risveglierà, il dolore e la colpa lo travolgeranno fino ad ucciderlo». Arthur si sentì male sentendo quelle parole. Non lo avrebbe permesso, non avrebbe consentito la morte di Merlin, non sotto i suoi occhi.
«Cosa vuol dire?» chiese «Come devo fare? Io non so come aiutarlo!»
«Allora perché sei qui?» chiese lei con un’espressione comprensiva sul volto «Cosa ti ha spinto oltre le sponde sicure del lago di Avalon, verso l’Isola dei Beati?» chiese la dama, scavando dentro lo sguardo del re, mentre lui cercava di comprendere le motivazioni che l’avevano spinto a fare una cosa del genere «Senso di colpa? Pietà? Dovere? Se sono queste le tue motivazioni, non ti sarà permesso di oltrepassare questo punto, la barca tornerà indietro e Merlin resterà bloccato nella sua spirale di dolore, fino a che non verrà ucciso dal rimorso e dal risentimento verso se stesso». Arthur accusò il colpo, ma si ritrovò ad ammettere che non erano quelli i sentimenti che lo spingevano. Sì, si sentiva in colpa, ma voleva redimersi e non era quello il motivo per cui era lì. Si fece un breve esame di coscienza. Aveva sbagliato, ne era consapevole, ma cosa l’aveva spinto ad intraprendere una missione suicida? Non era stato il drago o il dovere verso un destino più grande di lui. Era stato l’amore puro e sincero che provava per il mago, l’amore che lui aveva tradito con le sue azioni meschine. L’amore che intendeva riprendersi a qualunque costo. Aveva sbagliato, lo sapeva, ma era pronto a prendersi la responsabilità del suo sbaglio e a rimediare, sempre che gli fosse concessa una seconda opportunità. La verità era una ed una soltanto e non la tenne per sé.
«Sono qui per amore» ammise sentendo un macigno lasciare il suo cuore «Perché amo Merlin» aggiunse con sincerità il biondo «E voglio salvarlo, ma non so come fare» ammise. Freya sorrise, aspettandosi esattamente quella risposta.
«Tu sai quali corde del suo cuore toccare per riportarlo indietro» disse la ragazza, poi sulla mano ancora fuori dal lago comparve uno strano cristallo «Prendilo, è un dono per te. Usalo bene e riporta indietro Merlin, questo mondo ha bisogno di lui e anche tu». Così com’era comparsa la giovane scomparve dopo aver lasciato il cristallo tra le mani di Arthur. Ricordava incredibilmente un antico manufatto magico e non aveva idea di come usarlo. Soffiò un leggero grazie indirizzato alla giovane e la barca riprese il suo lento cammino verso Merlin, le creature del lago gli avevano concesso il passaggio. Doveva toccare le corde del suo cuore, ma in che modo? La donna del lago aveva detto che lui lo sapeva, ma non era vero, non sapeva come raggiungere il suo cuore ormai distrutto dal dolore, accecato dalla rabbia. Ma aveva anche ragione, lui aveva tremendamente bisogno di Merlin, era la sua metà speculare, la sua parte migliore, colui che lo completava e lo faceva sentire intero. Quando la nebbia iniziò a diradarsi si rese conto di essere quasi arrivato. Il suo animo fu scosso da un unico desiderio: salvare Merlin.
 
 
Lo stregone passò delicatamente una mano sul muso del drago bianco. Questo emise un verso stridulo che fece comparire sul volto del mago un breve sorriso. Era stanco e spossato. Aveva usato tutte le sue energie per sconfiggere Morgana. Dopo lo scontro con Arthur, che l’aveva scosso, che lo aveva lasciato con un vuoto nel centro del petto e che aveva scavato ancor più a fondo il risentimento e il desiderio di vendetta che provava verso di lui, era tornato sull’Isola. Come osava dirgli quelle cose? Come osava rinfacciargli quello che erano stati, quando l’aveva gettato via come una scarpa vecchia? Il drago quel giorno gli aveva fatto una paternale e l’aveva pregato di tornare indietro, di ritornare se stesso. Ma il mago l’aveva mandato via, deciso a seguire il suo piano di vendetta. Aveva meditato a lungo su cosa fare, come agire: seguire il piano originale e distruggere Agravaine, Morgana e infine Arthur Pendragon.
Aveva lasciato trascorrere alcuni giorni e poi aveva guardato nella fonte, pensando ardentemente ad Agravaine e lo aveva trovato, vagava nella foresta alla ricerca della sua signora. Sperava con tutto il cuore che lei trovasse il cadavere dell’uomo, dopo il suo divertimento. Con un movimento fluido del polso e un’occhiata dorata, comandò a degli enormi ragni giganti di attaccarlo. La soddisfazione che provò nel vedere il terrore nei suoi occhi, lo ripagò abbastanza. Ma non a sufficienza. L’oscurità dentro di lui voleva di più. Ma non provò niente mentre i ragni giganti lo divoravano vivo e lui strillava come indemoniato. Mandò via l’immagine dalla fonte e cercò la strega. Non riuscì a trovarla subito, ma quando riuscì ad individuarla godette profondamente nel vedere la sua disperazione davanti al corpo sfigurato del complice.
Adesso anche lei bramava vendetta e l’oscurità di Merlin banchettava con quei sentimenti; qualche giorno dopo, come se la torta gli fosse stata servita su un piatto d’argento, vide Morgana sulle rive del lago di Avalon, desiderosa di parlare con lui, l’aveva sentita nella sua mente, voleva un’alleanza contro il nemico comune, Arthur. Oh no, lui non aveva un nemico in comune con nessuno, lui era il nemico. Così le aveva permesso di raggiungerlo, desideroso di vendetta nei suoi confronti. Non poteva ignorare la voce dentro di lui che gli diceva che la colpa di tutto era della strega. Lei aveva messo Arthur contro di lui, lei e quel suo servetto inutile. La strega era arrivata sull’Isola, aveva provato a convincerlo ad allearsi con lei, ma lui si era rifiutato; così era scoppiato un terribile duello tra di loro: incantesimi e maledizioni erano stati scagliati, Morgana era forte, ma Merlin – Emrys – lo era molto di più. Ad un certo punto, Merlin stanco della lotta aveva evocato tutta la potenza, tutta la magia dell’Antica Religione che brulicava su quell’Isola e l’aveva scagliata contro la strega. Non aveva avuto scampo, il suo potere si era abbattuto su di lei e non aveva potuto fermarsi. Aveva preso il corpo senza vita della strega e l’aveva gettato nelle acque di Avalon, incaricando le creature che vivevano lì di farne ciò che volevano.
Aveva vinto, la grande battaglia che incombeva su Camelot non sarebbe stata combattuta, perché lui aveva sconfitto Morgana, l’aveva uccisa. Si guardò le mani, adesso erano sporche di sangue. Non era soddisfatto, non era felice, il dolore era ancora presente in lui, sebbene avesse ottenuto la sua vendetta contro la strega malvagia. Si disse di non provare ancora la giusta soddisfazione perché Arthur Pendragon non era ancora morto.
Ma desiderava davvero la morte di Arthur?
Per tutto quel tempo in cui si era ritrovato lì sull’Isola, bistrattato, tradito e vinto dall’oscurità, aveva mandato qualunque calamità su Camelot. Ma mai aveva fatto del male al re. Sì, lo aveva visto ferirsi per proteggere chi era in pericolo, ma lui non era mai stato il suo obiettivo. Non sapeva neanche perché, era il suo inconscio che gli impediva di farlo, quella piccola parte dentro di lui che urlava e scalpitava, quella parte non vinta dall’odio, a cui ancora importava. La metteva a tacere ogni volta, ma comunque non riusciva ad attaccare direttamente lui. Era ancora stanco e provato dallo scontro con Morgana, ma cercò comunque di concentrarsi sul re biondo. Non riuscì a trovarlo e per quel giorno aveva sprecato troppe energie magiche. Si lasciò scivolare lungo una parete rocciosa e si chiuse su se stesso per riposare. Doveva recuperare le forze, affinché potesse compiere completamente la sua vendetta, solo così avrebbe riscattato se stesso. Solo compiendo la vendetta contro il traditore, avrebbe trovato un po’ di pace. Aithusa si mise di fianco a lui, proteggendolo con la sua ala bianca, che cresceva sempre di più con il passare dei giorni e restò accanto al suo Signore fino a che questi ne ebbe bisogno. Merlin non dormiva realmente, non aveva più dormito fin da quando era giunto su quell’Isola, no, lui ricaricava le energie, chiamandole a sé dalla terra, dall’acqua, dal cielo e dal fuoco. Non aveva bisogno di dormire, lui era un potente stregone e desiderava solo la distruzione di tutto ciò che Arthur Pendragon aveva di più caro e di più prezioso. Rise amaramente tra sé e sé quando ripensò al giorno in cui il traditore gli aveva giurato che se suo padre avesse scoperto della sua magia, lui l’avrebbe difeso a spada tratta e l’avrebbe protetto con la sua vita. Aveva fatto esattamente l’opposto nel momento in cui gli era stato chiesto di agire per onorare le sue promesse, aveva seguito l’antico esempio del padre condannando l’uomo che l’aveva amato con tutto se stesso, fino a consumarsi completamente. Il vecchio Merlin avrebbe potuto perdonare tutto, avrebbe perdonato qualsiasi affronto, qualsiasi mancanza, ma quel tradimento, quel vile atto, quella condanna erano solo alimento del suo odio, del suo rancore, del suo desiderio di vendetta.
Chiuse gli occhi per una frazione di secondo e sentì che qualcosa o qualcuno stava arrivando sull’Isola, ma era protetta dalle magie di Avalon. Perché gli celavano qualcosa che arrivava per lui? Chi era? Un nemico? Un alleato? Sentì solo una strana inquietudine impadronirsi di lui. Morgana era morta, Agravaine anche (e di certo quest’ultimo non avrebbe potuto raggiungere l’Isola). Chi poteva essere? Freya? L’aveva vista, ma l’aveva ignorata conscio che lei avrebbe potuto far affiorare vecchi ricordi. Come quando Arthur aveva fatto di tutto per farlo sorridere, scusandosi a modo suo per l’atteggiamento asinino tenuto nel corso di quella giornata.
Perché la sua mente continuava a rimandargli quei ricordi? Con un battito di ciglia, li mandò via. Poi quando alzò lo sguardo, si ritrovò a spalancare gli occhi. Sulla riva del lago, in tutta la sua regale e possente bellezza, Arthur Pendragon scendeva dalla barca che l’aveva condotto sull’Isola dei Beati. Era lì per ucciderlo?
 
La rabbia esplose di nuovo con ferocia dentro di lui, surclassando di nuovo quella piccola parte che, in un momento di debolezza e spossatezza, aveva quasi preso il sopravvento. Come aveva osato, lui un comune mortale, un re che odiava la magia, raggiungere l’Isola culla dell’Antica Religione? Come osava violare un terreno tanto sacro?
«Vattene via» sibilò alzandosi in piedi pronto a fronteggiarlo. Vide Arthur guardare dritto verso di lui e sguainare la spada, tese la mano in avanti pronto a proteggersi, ma attese qualche istante prima di attaccare. Vide Arthur lanciarla lontano da lui e alzò le mani in segno di resa.
«Non sono qui per combatterti, Merlin» disse con voce profonda il re «Non sono qui in veste di nemico, né in veste di re». Qualcosa in lui suggeriva al mago che fosse sincero, ma non si fidava di lui «Sono qui come Arthur, il tuo Arthur».
«Sciocco! Pensi che questo patetico tentativo cancelli ciò che è accaduto?» la sua domanda echeggiò tra di loro con potenza, mentre il re muoveva un altro passo verso di lui. Come l’ultima volta che si erano visti, un temporale si abbatté su di loro, stavolta però invece dei fulmini iniziò a piovere acqua fredda, gelida, somigliava quasi al nevischio tant’era fredda. Era l’esatta rappresentazione dell’animo del mago: vuoto, freddo, gelido.
«No, non penso di cambiare ciò che è accaduto, ma spero di rimediare ai miei errori».
«È tardi» proferì con tremenda sincerità lo stregone «Vattene e non tornare mai più».
«No, Merlin, io non vado da nessuna parte senza di te». Merlin urlò con tutta la rabbia che covava nel cuore e gli lanciò contro una raffica di vento gelido, ma Arthur pur cercando di ripararsi non smise di avvicinarsi a lui, di muovere quei lenti passi verso di lui «Non sai fare di meglio?» chiese quando il vento si placò «Sbaglio o avevi detto di potermi distruggere con meno di un soffio?» lo sfidò, nello stesso modo in cui lo aveva sfidato la prima volta in cui si erano visti. Merlin scosse la testa e invocò uno stormo di uccelli che si precipitarono verso il re, attaccandolo. Arthur cercò di scacciarli, ma senza combattere. La spada giaceva abbandonata sulla riva lontana da lui.
«Difenditi!» urlò il mago ancora una volta «Cosa speri di ottenere? La morte? Mi offri la vendetta su un piatto d’argento senza nemmeno combattere?»
«Non è questo quello che vuoi?» chiese il biondo, alcune ferite causate dai becchi degli uccelli facevano mostra di sé sul suo viso, il corpo era protetto dall’armatura «Se è la vendetta ciò che vuoi, allora prenditela, io sono qui!»
Lo stregone restò spiazzato dalle sue parole, si fermò solo un secondo, abbassando la guardia, questo consentì al re di muovere un altro paio di passi verso di lui.
«Sono qui. Prendi la tua vendetta. E poi che farai? Prenderai il mio posto? Sul mio trono? Vuoi questo? Posso dartelo, se è quello che desideri» gli disse ancora Arthur «Cosa è che vuoi davvero, Merlin? Dimmelo e lo avrai».
«Non voglio niente da un traditore come te!» gli urlò contro in risposta, la sua rabbia esplose di nuovo e una tromba d’aria si originò vicino al re, che lo fronteggiava. Arthur, incapace di fare qualsiasi altra cosa, lasciò che quell’energia lo sballottasse un po’ di qua e di là. Quando ricadde al suolo sentì ogni singolo arto che doleva, ma era un dolore che meritava e che poteva sopportare per amore.
«Hai ragione, è colpa mia se sei diventato così» disse ammettendo la sua colpa «Avrei dovuto crederti, fidarmi di te come ho sempre fatto, avrei dovuto proteggerti come avevo promesso, avrei dovuto sguainare la spada, gettarmi davanti a te e dire ad Agravaine di andare al diavolo, avrei dovuto portarti via da quella sala. Ma non l’ho fatto». Più di ciò che lo stava logorando dentro, Merlin odiava quel genere di compassione, cosa sperava di ottenere andando lì, dicendo quelle cose? «Avrei dovuto amarti come meritavi, non trattarti come un oggetto. Lo so» continuò il re «Posso stare qua a raccontarti tutti gli errori che ho fatto e il tempo non sarebbe sufficiente per elencarli tutti».
«Smettila di parlare!» urlò e un tuono squarciò il cielo «Non voglio sentire le tue stupide scuse!» ringhiò. Pronunciò un altro incantesimo e quando il suo palmo toccò la terra sotto i loro piedi, essa tremò e alcune pietre della torre caddero al suolo. Arthur fu sfiorato, ma non colpito stavolta.
«Avrei dovuto comportarmi diversamente con te e di questo non smetterò mai di pentirmi, Merlin» continuò il re con caparbietà, restando a malapena in piedi «Ho fatto delle promesse che non ho mantenuto, quando mi è stato chiesto di dimostrare la mia lealtà verso di te, non ho ascoltato sono stato sordo e cieco» affermò con sicurezza «Non sono qui per combattere, ma se mi attaccherai non mi difenderò».
«Perché lo stai facendo? Sei un pazzo suicida!» esclamò il moro, stava per attaccarlo di nuovo, quando lo sguardo che il re gli rivolse lo congelò sul posto. Cos’era quella determinazione? Cos’era quel gesto estremo che stava compiendo?
«E a te perché importa?» chiese Arthur, avanzando ancora «Ti importa se mi fai del male? Allora non sei poi così spietato come dici di essere» disse ancora con tono di sfida. Merlin strinse i pugni e alzò lo sguardo verso di lui, i suoi occhi fiammeggiavano d’ira ancora repressa, ma uno sprazzo d’umanità ancora si celava dietro tutta quella rabbia, dietro quel rancore si celava il suo Merlin e lui doveva farlo emergere.
«Tu non sai niente, Arthur» disse guardandolo «Non sai cosa ho fatto. Non sai cosa sono capace di fare!»
«Allora dimostramelo! Dimostrami di essere il mostro che dici di essere!» esclamò il biondo ad alta voce «Forza, sono qui!» disse allargando le braccia «Uccidimi, fammi a pezzi, distruggimi, io non mi opporrò. Ho gettato la spada e non ho intenzione di combattere contro di te» disse ancora, avanzò ancora verso di lui, fino a trovarsi a pochi passi dal mago. Poi si inginocchiò davanti a lui, supplicandolo «Fallo. Uccidimi. Fallo fino a che non sarai soddisfatto. Ma ti prego, Merlin, ti prego, ricorda chi sei. Ricorda per cosa hai combattuto fino ad oggi» continuò «Non lasciare che un mio errore cambi chi sei. Merlin, ti prego, uccidimi e poi cerca di perdonarmi, perché almeno così potrò riposare in pace».
«Io ti odio» soffiò il mago, in piedi davanti a lui, la sua voce si incrinò. Era tutto sbagliato, tutto sbagliato. Non doveva andare così, Arthur doveva combattere contro di lui, doveva cercare di ucciderlo. Perché si stava mettendo nelle sue mani in quel modo? Perché gli stava affidando la sua vita?
«Allora vendicati, trova la tua pace. Ma poi vai avanti a e abbandona l’oscurità. Non mi importa di cosa farai di me. Ma tu lascia andare l’oscurità».
«Ormai fa parte di me».
«Non ci credi neanche tu» ribatté il re, guardandolo sempre in quel modo che aveva fatto tremare le gambe del mago, che adesso gli restituiva uno sguardo vuoto e gelido, come il tempo intorno a loro. Ma Arthur sapeva che stava abbassando la guardia, sapeva che stava permettendo alla luce di entrare di nuovo in lui, non ne aveva le prove, ma riusciva a vedere uno sprazzo di blu nei suoi occhi neri.
«Non sai niente di me. Ho ucciso i miei nemici» disse con un sorriso tetro sul volto «E ho goduto nel farlo».
«Non ti credo» disse il re guardandolo negli occhi «Tu sei quello che mi impediva di uccidere animali innocenti, perché la caccia è una pratica barbarica per te» Merlin scosse la testa «Tu sei quello che mi ha impedito di uccidere un mio avversario, perché non era così che si portava la pace» disse a denti stretti «Tu non sei un mostro!»
«Ho ucciso Agravaine! E poi Morgana!» urlò facendo un passo indietro, guardando il re ancora inginocchiato ai suoi piedi «Li ho uccisi con la magia. Non vedi che sono un mostro? Tu stesso lo hai detto!»
«E ti chiedo scusa. Non credevo che per compiacermi lo avresti fatto». Merlin lo guardò negli occhi, non vide derisione nel suo sguardo, solo una profonda consapevolezza e colpevolezza. Se il suo tono poteva apparire scherzoso, non lo era affatto, era profondamente consapevole «Hai usato la tua magia per uccidere i miei nemici, quindi dovrei esserti debitore anche di questo» affermò il re e ciò fece arrabbiare ancor di più lo stregone, non voleva la sua compassione, la sua pietà. Non voleva neanche la sua comprensione e tutto il resto. Voleva solo che andasse via.
«Smettila, stai zitto» sibilò tenendo una mano verso di lui, pronto a colpirlo di nuovo. Arthur si sollevò in piedi, fronteggiandolo, scosse la testa e si avvicinò a lui. Poggiò il petto contro la mano del moro e lo guardò negli occhi.
«Forza, che aspetti a farlo? Vuoi uccidermi? Fallo! In fondo l’ho fatto prima io, giusto? Non è quello che ho fatto, Emrys? Non ho ucciso Merlin?» chiese continuando a guardarlo per provocarlo, il mago contrasse le dita e Arthur sussultò al tocco «Non riesci ad uccidermi, vero? Dentro di te, c’è quella stupida voce della tua coscienza umana che ti suggerisce di non farlo. Tu lo sai che c’è. Tu lo senti. Lascia andare l’oscurità, Merlin, lascia andare questo odio» continuò guardandolo negli occhi «Io ti conosco, so che dentro di te c’è ancora il mio Merlin» disse piano alzando una mano per appoggiarla sulla sua guancia «So che in fondo al tuo cuore mi ami ancora».
«Non toccarmi» ringhiò il mago, senza muoversi dal suo posto.
«Impediscimelo, sei abbastanza potente da farlo» lo sfidò ancora il re, posando la mano contro la sua guancia. La toccò piano, la sfiorò leggermente, la sentì fredda, così diversa rispetto a tutte le volte che l’aveva sfiorata quando le cose tra lui e Merlin andavano ancora bene, quando non era stato un completo idiota e l’aveva ignorato. «Io sono qui. Ti amo. Non ti lascio».
«Mi ami?» chiese allontanandosi bruscamente da lui, la mano di Arthur restò a mezz’aria e il mago lo guardò stizzito «Devo ricordarti come mi hai trattato?» sibilò, la colpa apparve sul viso del re che ricordò benissimo il modo meschino in cui tutte le notti, dopo l’atto sessuale, lo mandava via «Ecco».
L’odio però adesso era sostituito da una profonda tristezza, non c’era più la rabbia bruciante di poco prima, poteva sentirlo nell’aria. La pioggia era diventata leggera, meno fitta, i tuoni non rimbombavano più e il vento si era calmato.
«Mi dispiace, Merlin, per tutto» disse, abbassando il capo, si sentiva sconfitto, ma non si doveva arrendere. «Ti ricordi quando siamo venuti qui? Quando Lancelot si è sacrificato?» chiese guardandolo, il mago non rispose «Beh, io ricordo che la notte prima, quando decisi di sacrificarmi per il regno, ti feci un dono» disse cercando il suo sguardo «Era il sigillo di mia madre. Tu non lo volevi, ma io insistetti affinché tu lo prendessi, così che avessi qualcosa di me, quando non ci sarei stato più».
«Non ha più valore per me» affermò il mago con tono lugubre, ma Arthur ormai non credeva alle sue parole negative, sapeva che stava combattendo contro quel sentimento opprimente che provava, contro quell’odio che ancora cercava di scavare dentro di lui, ma ormai c’erano solo tristezza e rassegnazione in lui «L’ho gettato via».
«Io sono certo che tu lo abbia ancora con te» allungò una mano verso di lui «Ti prego, Merlin, so che non sarà facile ricominciare, ma ti prego, perdonami. Ti prego, torna a casa con me».
«Io non ho una casa. Resterò su quest’Isola» disse rassegnato, voltando le spalle al re «Vattene da qui».
«Non osare voltarmi le spalle, Merlin!» esclamò il re con rabbia. La frustrazione che provava, la rabbia verso se stesso e il dolore di vedere ciò che era diventato Merlin per colpa sua premevano per uscire, era tentato di avvicinarsi a lui, afferrarlo e stringerlo senza lasciarlo andare. Non poteva lasciarlo andare.
«No? E cosa mi faresti, Arthur, se io disobbedissi al tuo ordine?» domandò continuando a dargli le spalle «Niente, non faresti niente, sei solo un povero, patetico uomo che vuole affrontare qualcosa più grande di sé» disse con tono tagliente, mentre il re dietro di lui stringeva i pugni e sentiva un dardo colpirlo nel petto e se il dardo fosse stato vero, avrebbe fatto meno male. Adesso poteva vedere chiaramente quanto male avesse fatto a Merlin, quanto l’avesse distrutto «Vattene, torna nel tuo regno. Hai la mia parola che non ti attaccherò più».
«Non voglio la tua stupida parola, io voglio te, idiota!» urlò il re sperando che il suo idiota, il suo Merlin, dentro quel corpo che aveva solo il suo aspetto, lo sentisse e tornasse a galla. Seppellito sotto tutti quegli strati di rancore, doveva esserci ancora, lo aveva scorto nel suo sguardo prima, perché continuava a celarsi? «Mi senti, idiota? Io voglio te, voglio di nuovo noi insieme! Come prima, meglio di prima, Merlin, so che ho sbagliato, ma ti prego, per favore, ti supplico» cadde di nuovo sulle ginocchia nel fango; vinto dai sentimenti, il re si era piegato a pregare, a supplicare un suddito, un mago, l’amore della sua vita di tornare con lui, per colmare quell’enorme vuoto che entrambi portavano nel cuore «So di essere imperdonabile, ma ho bisogno di te, ho sempre avuto bisogno di te. Senza di te non sono nessuno, ti prego, Merlin, torna da me». Le parole sincere del re fecero brillare il cristallo che Freya gli aveva donato, il re l’aveva riposto nel sacchetto che portava attaccato alla cintura e solo in quel momento se ne ricordò. Lo estrasse dal sacchetto e lo pose nel palmo della sua mano; non aveva ancora capito come usarlo, ma questo continuò a brillare attirando l’attenzione del mago, che si voltò di nuovo verso di lui. Si avvicinò al re e guardò il cristallo brillante, non era un comune cristallo, ma uno proveniente dalla Grotta dei Cristalli. Lo guardò da vicino e lo toccò, prendendolo nella mano: immediatamente immagini di distruzione si palesarono nella sua mente, lui che radeva al suolo Camelot, distrutto dal dolore e dal risentimento, lui che uccideva donne e bambini, lui che uccideva Arthur piantandogli Excalibur nel cuore e poi la realizzazione, il pentimento, il senso di colpa, lui che si toglieva la vita con la stessa spada ancora intrisa del sangue del suo re. Sussultò, sobbalzò e il cristallo cadde per terra tra di loro, spento e senza più immagini.
Merlin urlò coprendosi gli occhi, scuotendo la testa per scacciare quelle terribili immagini; la parte buona del suo cuore adesso premeva per vincere la crudeltà che l’aveva avvelenato.
«Tutto questo accadrà, se continuerai su questa via, giovane mago» la voce di Kilgharrah nella sua mente sopraggiunse come una rivelazione, era il futuro. Il futuro che avrebbe creato lui se avesse continuato in quel modo «Sei ancora in tempo per cambiare le visioni, sei ancora in tempo per cambiare il futuro e scegliere la via del perdono, dell’amore». Merlin urlò ancora, cercando di scacciare quelle atrocità dalla sua mente.
Arthur scattò in piedi e lo bloccò prendendolo per le braccia: «Merlin! Merlin!» lo chiamò, la sua voce trasudava disperazione e terrore, non l’aveva mai visto in quelle condizioni e non capiva cosa gli stesse accadendo. Merlin si divincolò dalla sua presa e scivolò per terra in ginocchio, batté i pugni a terra e tutte le emozioni che teneva dentro, scivolarono fuori dal suo corpo. Tutta la negatività, l’odio, il rancore, il desiderio di vendetta si sciolsero in calde lacrime che iniziarono a bagnare il suo viso, quelle lacrime che aveva represso fino a quel momento. Il re si abbassò davanti a lui, inginocchiandosi di nuovo nel fango e lo abbracciò forte, avvolgendolo completamente tra le sue braccia.
«Shhh, calmati, è finita» sussurrò dolcemente al suo orecchio «Va tutto bene, sono qui».
«M-Mi dispiace, Arthur… mi dispiace per tutto» singhiozzò Merlin, nascondendo il viso nel suo collo. Era sconvolto da ciò che era successo, era scioccato da ciò che era diventato e ciò che sarebbe potuto diventare lo spaventava «Perdonami, ti prego, perdonami…» sussurrò in un lento e rotto singhiozzo, mentre si beava del calore delle braccia del suo re. «Ti amo» sussurrò così a bassa voce che il re quasi non lo sentì. Singhiozzò stringendosi a lui come se fosse l’ultima ancora di salvezza che aveva, la sua voce aveva fatto breccia dentro di lui e il cristallo aveva fatto il resto. Non sapeva perché si fosse attivato solo nel momento in cui il re aveva aperto il suo cuore totalmente, ma sapeva che in quel momento la parte ancora buona del suo cuore aveva lottato con tutte le sue forze e aveva scacciato la parte maligna giusto in tempo per rendersi conto di ciò che sarebbe potuto accadere «Non ti avrei mai ucciso, lo giuro, non potrei mai…» singhiozzò.
«Lo so, lo so… basta scusarti» sussurrò il re con voce dolce, continuando ad accarezzarlo gentilmente «Perdonami tu, per tutto quello che ti ho fatto» disse il biondo, accarezzandogli piano la schiena scossa dai singhiozzi «Così bravo, getta tutto fuori…» Merlin scosse la testa e si allontanò da lui, guardandolo in faccia. Arthur sembrava diverso da quello che aveva visto l’ultima volta a Camelot, quello che lo aveva tradito, se ci pensava ancora sentiva il rancore e il risentimento, ma ormai erano brutti ricordi, li aveva fatti sgocciolare via da sé.
«Era vero?» chiese il moro con il volto rigato dalle lacrime «Quello che hai detto prima, era vero?»
«Tutto. Fino all’ultima parola. Mi dispiace per tutto quello che ho fatto, che ho detto. Mi sarei lasciato uccidere da te se fosse servito a placare la tua ira. È vero, ti amo e ti vorrei di nuovo con me, al mio fianco, come sempre».
«Anche se ho un lato oscuro?» chiese in un soffio. Non potevano ignorare ciò che era stato, non potevano ignorare che era successo e se volevano andare avanti avevano bisogno di quella certezza.
«Sì».
La sincerità nelle sue parole fece spalancare gli occhi di Merlin in modo inverosimile. Non si aspettava una dichiarazione del genere, in realtà non si aspettava tutto quello che Arthur aveva fatto per lui, per salvarlo da se stesso. Quasi titubante si avvicinò al re di nuovo e appoggiò la fronte contro la sua, sospirò profondamente.
«Ho fatto un sacco di sbagli…»
«Anche io» ammise il re «Lasciamoci questo orribile periodo alle spalle» disse, beandosi del calore dei loro corpi vicini «Torna a casa con me e sii mio per sempre».
Un piccolo sorriso increspò le labbra di Merlin, che affondò le dita nei capelli bagnati di pioggia del re, prima di appoggiare delicatamente le labbra sulle sue. Quel piccolo contatto fece tremare i loro cuori e sembrò che entrambi avessero ripreso a respirare. Merlin chiuse gli occhi beandosi di quel contatto che ad entrambi era mancato troppo, e mentre loro si baciavano le nuvole sopra le loro teste si diradavano, lasciando che un caldo sole estivo scaldasse le loro pelli congelate e portasse la quiete dentro i loro animi. Perché adesso erano di nuovo insieme, avevano superato una prova, la più dura, la più difficile, ma ne erano usciti insieme. Come sempre. Un arcobaleno di mille colori brillava alle loro spalle, indicando che finalmente, dopo la tempesta, la quiete era tornata nei cuori dei due amanti.
 
§§§
 
«Giuri di servire con onore questo regno? E di guidarlo con la tua saggezza?»
Arthur era in piedi, davanti al suo trono, gli abiti da cerimonia, la corona sulla testa e la spada tra le dita. Merlin, vestito di rosso, era inginocchiato davanti a lui.
«Lo giuro» rispose il mago con il capo chino, stringeva tra le mani il bastone dei Sidhe, come simbolo del suo potere, al collo portava il sigillo di Igraine, donatogli da Arthur. Il re aveva detto che poteva indossarlo, se ne aveva voglia.
«E giuri di usare la tua magia per proteggere il regno e per aiutare il tuo re nelle future battaglie?» gli occhi del mago brillarono d’oro e i dragoni sugli stendardi di Camelot si mossero sbattendo le ali. Il re alzò gli occhi al cielo, Merlin sorrise furbamente, mentre i presenti si lasciavano scappare una risatina sommessa «Giuri di usarla solo per servire il bene?»
«Lo giuro» rispose, infine. Il re sorrise fiero e soddisfatto, mentre toccava con la spada da cerimonia prima una e poi l’altra spalla del mago, che aveva gli occhi lucidi per il momento tanto toccante e meraviglioso.
«Alzati, Merlin di Ealdor, Stregone della corte di Camelot e Consigliere personale del re» disse solennemente. Merlin si alzò in piedi e si morse il labbro inferiore, sentendosi vivo e felice come mai in vita sua. Ti amo mimò con le labbra, voltandosi verso le persone sedute nella sala. Il suo sguardo si posò su Gaius, quando era tornato, sei lune prima era stato il primo ad abbracciarlo, dicendogli che non aveva nulla da farsi perdonare, che la sofferenza portava a fare pazzie. Lo aveva perdonato e piano piano tutti lo avevano fatto. E lui aveva scelto di perdonare il tradimento e le persone che gli avevano voltato le spalle, aveva scelto la via del perdono e dell’amore e in poco tempo tutto era tornato come prima o forse anche meglio. Quando Arthur gli aveva detto che desiderava averlo accanto, non si sarebbe mai aspettato che lo volesse con sé come consigliere e stregone di corte, ma non credere che questo mi terrà lontano da te, sarai sempre prima di tutto il mio amato. Santo cielo, aveva ricevuto una vera investitura dal re, adesso non era più un semplice servo. Ma la notizia migliore che aveva avuto, era stata sapere che Arthur non avrebbe preso in sposa nessuna regina, per gli eredi un giorno – lontano da quello – avrebbe pensato a cosa fare. Aveva riammesso Ginevra nel regno, poiché anche lei era stata vittima del tradimento di Agravaine e l’aveva lasciata libera con l’augurio che trovasse una persona che l’amasse.
«Evviva Merlin!» urlarono i cavalieri in prima fila, seguiti subito da tutte le altre persone presenti. Il mago non era abituato a stare al centro dell’attenzione in quel modo, ma per un solo istante il suo cuore si riempì di gioia ed essa si manifestò in tante piccole farfalle blu, che spuntarono dal nulla e iniziarono a svolazzare allegre tra i presenti e a posarsi su di loro. Mai in tutta la sua vita si era sentito così felice.
Alla cerimonia ufficiale seguì un banchetto, il primo banchetto a cui Merlin partecipava come ospite e non come servo; anzi era seduto accanto al re, nel posto che sarebbe dovuto spettare alla regina. Era in quel modo che Arthur lo voleva al suo fianco, e anche se non potevano dire apertamente della loro relazione, poiché le relazioni tra uomini non erano ben viste, lui riusciva comunque a farlo sentire amato, come gli aveva promesso. Gli aveva anche assegnato una stanza nuova, proprio accanto alla sua stanza regale. Ma Merlin non aveva idea di come fosse quella camera, dato che passava tutte le notti nel letto del suo re, amandolo e venerandolo come solo lui sapeva fare.
«Allora ti diverti?» chiese il re al suo orecchio in un sussurro. Merlin rabbrividì sentendo la sua voce sussurrata dritta nell’orecchio e raddrizzò la schiena sentendo un brivido scivolare lungo di essa.
«Molto» rispose a bassa voce sorridendo «Grazie Arthur».
«Vorrei baciarti in questo momento» sussurrò a quel punto, il moro scosse la testa ridacchiando piano, Elyan e Leon stavano guardando verso di loro con fare sospettoso. Il re si schiarì la voce e si alzò in piedi levando il calice di vino al cielo «Propongo un brindisi a Merlin, che ci ha più volte salvati da morte certa, che ha rischiato più volte la vita per noi, al quale dobbiamo il periodo di pace e serenità che è sopraggiunto sul regno».
Il mago arrossì prendendo il suo calice, appena riempito da una serva alla quale aveva appena sussurrato un grazie imbarazzato; tutti i cavalieri alzarono i calici al cielo e urlarono in coro: «A Merlin! Il nostro stregone!»
Per ringraziarli, il mago aveva fatto degli incantesimi che avevano animato il fuoco, modellandolo in piccoli draghetti. Tutti guardarono affascinati la magia, mentre applaudivano. Merlin si sentiva libero di essere se stesso e apprezzato per questo. Non doveva più nascondersi e la cosa lo rendeva incredibilmente spensierato.
I festeggiamenti durarono fino a notte fonda, Arthur aveva finto di aver bevuto troppo e aveva detto che gli girava la testa, così Merlin si era subito alzato per aiutarlo. Aveva scacciato il nuovo servitore del re con la scusa che le sue stanze erano vicine a quelle del re e lo aveva trascinato verso le scale. Poi insieme erano spariti.
«Pensano di ingannarci?» chiese Mordred, la nuova recluta dei cavalieri, il giovane ragazzo druido che avevano conosciuto quando erano alla ricerca di Merlin. Era stato il primo druido a divenire cavaliere, il re aveva compiuto quel gesto per dimostrare che il suo regno non aveva nulla contro la magia «Pensano davvero che non sappiamo di loro?»
«Lasciali illudere, novellino» disse Gwaine versandosi del vino «Lo sappiamo da tanto».
«Già, va avanti da quando Arthur era ancora un principe» sospirò il povero Leon «Io li ho beccati una volta e hanno avuto il barbaro coraggio di negare, dicendo che Merlin stava insegnando poesie ad Arthur» raccontò il cavaliere divertito. Tutti scoppiarono a ridere e continuarono a chiacchierare sulla coppia più discussa di tutto il regno. Loro provavano a tenere nascosta la cosa, ma con scarsi risultati: i cavalieri sapevano tutto, ma li rispettavano troppo per poter dire qualcosa di male contro di loro. «Scherzi a parte, meritano di essere felici, dopo tutto quello che hanno passato» affermò Percival alzando un calice di vino «Alla felicità del re e del suo consigliere!»
Gli altri convennero e alzarono i calici pieni in direzione del punto in cui erano spariti, poi ripresero a bere e a festeggiare; mentre al piano di sopra il re e il suo consigliere consumavano l’amore. Alla fine, Arthur e Merlin lo avevano capito, si erano accettati completamente. Ognuno di loro aveva un proprio lato negativo, bastava accettarlo e amarlo nello stesso modo di quello positivo. Insieme sapevano che non si sarebbero più piegati all’oscurità, poiché l’uno avrebbe salvato l’altro nel momento in cui se ne sarebbe reso conto.
«Il rosso ti dona» mormorò Arthur, accarezzandogli il fianco. Il mago si ritrovò a sorridere con le gote rosse «Sei proprio una ragazzina, Merlin, arrossisci ogni volta che ti faccio un complimento» disse ridacchiando, solleticandogli il collo con il naso.
«Non è per questo che mi ami?»
«Per questo» confermò il re «E per molto altro» concluse coinvolgendolo in un altro bacio «E ho tutta la notte per dimostrartelo» ghignò maliziosamente, tirandolo di nuovo su di sé. Il mago alzò gli occhi al cielo scherzosamente.
«Sei sempre uno zuccone» mormorò il mago, sorridendo appena «Ma ti amo anche per questo» il re sorrise sentendo le sue parole e gli accarezzò delicatamente una gota «E per molto altro» un bacio sigillò la promessa «Tu sei la mia luce nell’oscurità, sei la speranza che alberga nel mio cuore» confessò il mago «La parte migliore di me».
«E tu la mia».
E mentre Arthur baciava di nuovo Merlin, e quest’ultimo si lasciava amare da lui, insieme mettevano le basi per la costruzione di un regno nuovo: la grandiosa Albion.
 

Don't run away
Just tell me that you will stay
Promise me you will stay
Will you love me? Even with my dark side?

__________________
 

Hola people! 
Come promesso, ecco la OS che avevo annunciato nell'ultimo capitolo di Accidentally in Love ^^ 
So che è molto lunga, ma per ragioni di trama e la catarsi che accompagna il rapporto tra i due protagonisti non potevo dividerla, si sarebbe persa "la magia" che spero emerga come volevo far intendere. 
La canzone che dà il titolo alla OS e ne è in qualche modo parte è Dark side di Kelly Clarkson, cliccate sul titolo se non la conoscete!
La scena finale sembra un po' fuori luogo, ma sentivo fosse necessaria per smorzare la storia abbastanza tesa e piena di angst, inoltre, dovevo rendere vere le promesse di Arthur fatte a Merlin.
Ho messo l'OOC per 2 motivi: Non credo che Arthur potesse mai tradire Merlin in qualunque caso e Merlin non ucciderebbe mai solo perché preso dall'ira. Diciamo che la storia si è un po' scritta da sola e arrivata a quel punto non potevo più tornare indietro. Spero di non aver urtato la sensibilità di qualcuno o di aver sconsacrato qualcosa di sacro come il rapporto che hanno. In realtà, mi è venuta in mente domenica scorsa dopo una giornata un po' di merda ed è uscito un lato tetro di Merlin. Ognuno di noi ha un lato oscuro e il suo è uscito fuori in seguito ad un tradimento dalla persona che ha giurato di non tradirlo mai. Mi dispiace aver ucciso Morgana (perdonami, my queen) ma mi serviva ai fini della trama, ma non mi scuserò con Agravaine che mi stava sulle scatole e ci resterà sempre. Quando li uccide Merlin arriva al culmine della pazzia, vuole uccidere anche Arthur, ma non riesce per ovvi motivi. 
Sono parecchio soddisfatta della storia e spero possa piacere anche a voi! Altrimenti c’è dell’ottima frutta marcia alla gogna, Arthur è molto lieto di queste pratiche e non vede l’ora di lanciare il primo ortaggio.
Detto ciò, vi saluto e vi do appuntamento alla prossima storia che possibilmente arriverà non troppo tardi o quanto meno nelle prossime settimane. 
Rinnovo i ringraziamenti a chi ha seguito le storie precedenti e ringrazio in anticipo chi leggerà questa!
A presto, people! 
 

   
 
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