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Autore: The Blue Devil    16/05/2019    3 recensioni
Questa è una favola: ci sono regine, specchi magici, principesse, cacciatori, nani, principi e quant'altro. Attenzione però: niente è come sembra... o, meglio: nulla è come ci si aspetterebbe che fosse...
Genere: Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sinceramente, non ho idea a chi appartenga il © di questa "cosa".
 
Buona lettura
 
NEROCATRAME
 
C’era una volta, in una terra lontana lontana, un ricco castello arroccato su una zona montana...
In quel castello dimorava una regina di una bruttezza unica e indicibile, deforme e sciancata; una massa di capelli grigi, incolti e arruffati, incorniciava un orripilante volto, sul quale spiccava un enorme naso aquilino, "impreziosito" da un grosso porro nero; gli occhi, stretti ed incavati, erano perennemente arrossati e sorretti da un paio di antiestetiche "borse", di colore nero; due orecchie grandi e leggermente appuntite e un paio di labbra rattrappite – che sostenevano una peluria incolta – completavano il quadro.
E questa orribile regina non era affatto vecchia, infatti non superava i quarant’anni.
Ogni mattina, appena sveglia, interrogava il suo specchio:
«Specchio specchio delle mie brame, son sempre io la più brutta del reame? Rispondimi bene e non patirai pene».
La raccomandazione era inutile, poiché, essendo magico, quello specchio diceva sempre la verità. Che era sempre la stessa:
«Sì, mia regina, la più brutta sei tu, neppur la Befana ti batterà più».
Allora la regina, che era l’essere più gentile e nobile del regno, ricopriva lo specchio con un panno rosso e cominciava, felice, la giornata.
Ma, una grigia mattina d’inverno, accadde l’imprevedibile:
«Specchio specchio delle mie brame, son sempre io la più brutta del reame? Rispondimi bene e non patirai pene».
«Mi spiace regina, ma nel tuo regno pagherai pegno; ormai ora ce n’è, una più brutta di te».
«Come sarebbe a dire? Dimmi il nome di chi ha avuto l’ardire!», esclamò la regina, più rattristata che arrabbiata.
«Nel tuo reame c’è Nerocatrame, non hai più brame, ché puzza di letame».
«Non è possibile», pensò la regina, ricoprendo lo specchio, «Devo sapere chi è costei».
Così ordinò un’indagine che, ovviamente, confermò la verità dello specchio:
«Mia regina, vi è una ragazza, o almeno pare esserlo, che dimora nelle stalle... insomma anche i cavalli si rifiutano di starle vicino... puzza ed è orribile; il suo nome è Nerocatrame. Non adiratevi, ma è la verità».
«No, non ti crucciare ciambellano, devo pensare a qualcosa».
La buona regina, dopo aver a lungo pensato, trovò la soluzione; fece chiamare il grande cacciatore del regno Rolff, e gli disse:
«Rolff, prendi Nerocatrame e portala nel bosco; ivi giunti la affiderai ai simpatici nanerottoli delle Selve del Nord: il loro incarico sarà quello di renderla una splendida fanciulla, più bella di una principessa! Come prova di averla lasciata nelle loro abili mani, mi porterai la testa di uno di loro: tanto sono sette, neanche s’accorgeranno che ne manca uno. Va’ e non deludermi, prode Rolff, sarai generosamente ricompensato».
Seguendo con lo sguardo l’uscita del cacciatore, la sovrana pensò:
«Ho fatto la cosa giusta; una beauty farm mi sarebbe costata un occhio, mentre i nanerottoli sono gratis».
 
Rolff, che al momento della chiamata della regina se ne stava, fischiando su l’uscio a rimirar, tra le rossastre nubi, stormi d’uccelli neri, com’esuli pensieri, nel vespero migrar, storse il naso, ma la prospettiva di una generosa ricompensa era allettante e lo convinse ad accettare la delicata missione.
Si recò nelle stalle, raccattò Nerocatrame, che giocherellava con i suoi amici vermi nel fango e nel letame, e la condusse nel bosco; come aveva previsto non riuscì a convincere il cavallo a trasportarla – e neppure lui stesso la voleva sul cavallo – per cui dovette metterle un collare e trascinarla con un guinzaglio, conducendo il cavallo al passo.
Come aveva previsto la sovrana, nel bosco incontrarono i nanerottoli: sette in tutto.
Purtroppo, il prode Rolff disse o fece qualcosa che adirò i nanerottoli, i quali, armatisi di piccozze e pale, lo indussero alla fuga, lasciando lì la "ragazza".
I nanerottoli si guardarono perplessi e si dissero:
«E che ce ne facciamo di questa bruttura?».
Bruttolo, il capo dei magnifici sette, sentenziò:
«E sia. La terremo con noi, ci serve proprio una sguattera, una schiava».
Poi, rivolgendosi a Nerocatrame, disse:
«Tu, laverai, stirerai, cucinerai e scoperai per noi; in cambio non ti uccideremo e ti garantiremo un pasto freddo ogni due giorni».
Nerocatrame tentò una protesta:
«A me va bene, però "quella cosa" io non la faccio».
«Ahia», intervenne Sbrodolo, «nel vocabolario di una schiava, l’espressione "io non lo faccio" non esiste; attenta bimba, o qualunque cosa tu sia, o finirai male».
«Infatti ho detto "io non la faccio"», puntualizzò la sventurata.
«Questa tipa ha fegato: e dimmi, qual è la "cosa" che non saresti disposta a fare?», le chiese Sonnolo.
Dopo averci pensato, lei rispose:
«Ecco... vedete... quella cosa... insomma, scopare!».
Bruttolo si adirò, ma Intelligentolo, dall’alto del suo immenso sapere aveva indovinato il fraintendimento della loro nuova schiava:
«Ah! Capisco! Bruttolo, lei ha capito, sì, scopare... per generare nuovi nani».
Bruttolo, inarcando le folte sopracciglia, afferrò una scopa e le diede una dimostrazione pratica:
«Devi scopare con questa e per noi, non con noi... non in quel senso, ma così».
«Ah, ho capito, grazie per la dimostrazione, Brufolo».
«Bruttolo! Mi chiamo Bruttolo!», urlò il capo dei nanerottoli, afferrando il guinzaglio, per trascinarla nella loro catapecchia.
 
Il prode Rolff aveva assolto alla missione, ma non ne aveva la prova: la testa di uno dei nanerottoli. Fortunatamente, sul proprio cammino, incontrò una villa signorile, nel cui vasto giardino scorse dei nani di pietra. Gli venne un’idea:
«Taglierò la testa di uno di quei nani da giardino, la metterò in un sacco e la porterò alla regina; ai nipotini racconterò di aver fatto così, perché non ho avuto cuore di tagliare la testa ad una creaturina così simpatica e indifesa».
E così fece.
«Bravo Rolff; mostrami la testa».
Il cacciatore tirò fuori dal sacco la testa di pietra e la mostrò alla regina.
Avendo espresso delle perplessità su quella testa di pietra, la sovrana fu resa edotta dal cacciatore:
«Poco prima di sferrare il mio micidiale colpo di spada, il nanerottolo è rimasto "pietrificato" dalla paura».
Soddisfatta, la sovrana fece consegnare al prode Rolff un sacco ricolmo di monete d’oro: così, il cacciatore poté tornare, fischiettando, su l’uscio e a rimirar etc. etc.
 
Il mattino seguente si ripeté la consueta scena, ma la regina ebbe una brutta sorpresa:
«Mia regina, in una cucina che puzza di letame, è sempre Nerocatrame, la più brutta del reame».
«Com’è possibile specchio? Attento che ti butto nel secchio».
La regina si adirò e si scagliò contro lo specchio, finché questo non parlò di nuovo:
«Non ti crucciare mia regina; non ti adirare e va’ in cucina; travestita, incontrerai la troglodita; lo specchio non finirà nel secchio».
La donna si calmò, ricoprì lo specchio e si accinse a risolverne l’enigma. Finalmente lo capì:
«In cucina tengo le pozioni magiche e i miei intrugli; devo andare a verificare, ma non posso presentarmi così, spaventerei la povera piccina; devo cambiare aspetto».
Usando tutte le sue arti, la regina riuscì a trasformarsi in una splendida donna, la più bella che si fosse mai vista in tutto il regno; fece sellare il suo destriero e si lanciò sulle orme dei nanerottoli. Arrivata alla loro casetta, si turò il naso e vi entrò: accoccolata in un angolo, legata alla catena, in mezzo al fango e alla sporcizia, vi era un esserino di una bruttezza indicibile:
«Sei tu Nerocatrame, piccina?», chiese la buona regina.
Non riconoscendola come la regina, l’esserino rispose:
«Sì sono io, mia signora: comandate e obbedirò».
La regina la rassicurò e le svelò la propria identità; riuscì a liberarla e, preparata una bella tinozza di acqua calda e sapone, ve la immerse: sfrega e sfrega e sfrega e, dopo un’ora, dalla tinozza emerse una splendida fanciulla, aggraziata e gentile.
«Sei bellissima Nerocatr... aspetta: hai la pelle di alabastro, che sembra tu abbia fatto un bagno nella candeggina; tu non sarai più quella brutta cosa di prima, ma ti chiamerai Candida!».
«Grazie mia regina, mi sento più leggera e sollevata».
«Beh, ti ho tolto di dosso almeno un quintale di sporcizia».
Candida si vestì con gli abiti portati dalla regina e, per la prima volta in vita sua, sentì la puzza che aleggiava nella catapecchia e si turò il naso, non sopportandola più.
«Dobbiamo andar via», disse la regina, «i nanerottoli potrebbero aversene a male».
Le due donne stavano per varcare l’uscio, allorché udirono il canto fischiettato dei sette:
«Andiam, andiam, Catrame a torturar... andiam , andiam, poi ci riposiam...».
I nanerottoli si accorsero della presenza di due sconosciute e si armarono:
«Chi sono queste due?», esordì Sbrufolo, il più piccolo dei nani che, contrariamente a quanto si è sempre creduto, non era affatto muto.
Bruttolo esternò il proprio pensiero:
«Amici possiamo avere altre due schiave! E con queste possiamo generare altri nani!».
I magnifici sette avanzarono verso le due creature: invano la regina tentò di convincerli di essere la sovrana e tentò di usare la sua magia; ma, in quelle sembianze, ciò non le era possibile. Quindi si strinse all’altra, attendendo che si compisse il loro tristo destino.
Ma, d’improvviso, si udì uno strano suono, che allarmò il gruppo dei sette: un bellissimo giovine, alto, snello e fiero, se ne stava in cima alla collina con un piffero in mano. La melodia che suonava fece impazzire i nanerottoli che si diedero alla fuga; i sette, inseguiti dalla melodia, attraversarono valli e montagne, boschi e laghi, alture e depressioni e ogni terra conosciuta e sconosciuta, arrivando in cima al Grande Vulcano degli Dèi, nel quale si gettarono. Questa fu la fine dei nanerottoli e di Bruttolo, figlio di Thorin, figlio di... no, non c’entra!
«Tu che ci hai salvate, chi sei?», chiesero, ad una voce, le due al nuovo arrivato.
«Io sono principe; il Principe Giallo», rispose il giovine, che indossava appunto un mantello giallo.
«Un cinese? Un Mongolo? O un abitante della Terra di Chipango?», chiese la regina.
«Eh no, carine, piano con le offese, qua», pensò il principe, per poi aggiungere:
«Orsù chiamatemi il "Principe della Collina", che in cima a codesta mi trovo».
 
Tutti poterono tornare incolumi al castello: il "Principe della Collina" fu ricompensato con vari sacchi di monete d’oro e con tutte le ricchezze accumulate dai nani nella "Montagna Solitaria", guardata dal drago Smaug, amico del principe.
Ma la regina era molto triste: la magia che aveva utilizzato era irreversibile e sarebbe stata condannata a restare bellissima in eterno; inoltre aveva perso i poteri, non potendoli più utilizzare, in quella forma, come già detto.
Un’ultima volta si volle presentare davanti al suo specchio:
«Non riconosco il mio volto, il mondo si è capovolto; dammi la condanna specchio, lo prometto, non finirai nel secchio».
Lo specchio rispose:
«Non ti crucciare mia regina, ma gira la schedina; a destra, sotto la finestra».
La sovrana, perplessa, notò che vi era una piccola scheda nel luogo indicatole; la girò e subito accadde un evento prodigioso: lo specchio, con gran rumore, si capovolse.
La regina guardò e si riconobbe. Lo specchio parlò:
«Mia regina era un sortilegio, questo sfregio».
Bloccandosi, riprese:
«Ma basta parlare in rima, che palle! Ora non sono più capovolto. Praticamente, a seconda di come giri lo specchio, puoi vedere e ottenere una diversa situazione; forse questa è la tua vera condizione e rimarrai bella e desiderabile in eterno; fu una tua antichissima antenata che, vistasi vecchia e brutta, capovolse lo specchio, credendo di tornare giovane e bella, ma non funzionò, poiché quella era già la sua versione "bella". Per la grande delusione provata morì, prima di potermi riportare nella giusta posizione, condannando le sue discendenti alla bruttezza».
«E perché adesso sarò bella in eterno?».
«Perché la schedina si è esaurita e io non posso più essere capovolto: addio mia regina».
Specchio, schedina e panno scomparvero in una nuvola di fumo.
 
Così Candida e la regina regnarono insieme in eterno, felici e contente.
 
FINE
 
 
© 2019, The Blue Devil
   
 
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