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Autore: Lost In Donbass    19/05/2019    1 recensioni
Questa è la storia di Oliver. Oliver, che è depresso, che si taglia, che non sa come fare a salvarsi da sè stesso, che piange ma che prova a non arrendersi.
E' la storia di Denis, troppo bello per il suo stesso bene, che ama con tutta la forza del suo passionale cuore ucraino.
E' la storia di due ragazzi che si incontrano nella triste Liverpool, due anime perse che hanno smesso di credere e di sperare. E' la storia del loro amore tormentato, forse patetico, forse ridicolo, forse volgare.
Ma è anche la storia di Jenna, di Kellin, di James e di tutti i loro strani amici.
E' la storia di come Denis tenterà di salvare Oliver da sè stesso e di come Oliver darà del filo da torcere a tutti.
E' la storia dell'estate prima del college.
E' la storia di un gruppo di ragazzi disperati che non credono nel lieto fine.
E' una storia banale, è una storia d'amore.
E' la storia di Denis e Oliver, che si amano come solo due adolescenti possono amarsi.
E' la storia di questo amore che sarà la loro fine.
Genere: Angst, Commedia, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Scolastico, Universitario
Capitoli:
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CAPITOLO TERZO: NON TI HO SCELTO IO, MA IL MIO CUORE

I feel bright when you stand near
I know what I am when you are here
My place become so clear
[Lights – Drive My Soul]
 
E così, alla fine, erano tutti e quattro impalati di fronte alla porta del vecchio pub, più o meno ben vestiti, più o meno esaltati, in attesa dell’arrivo di Denis. Oliver continuava a tormentarsi l’orlo della felpa, giocando distrattamente con l’obbiettivo della macchina fotografica: poteva farcela. Doveva solo sorridere, con quel suo sorriso storto e magari scambiare qualche parola. Sarebbe andato tutto bene, se non si fosse lasciato soffocare dalla sua ansia. Sperò ardentemente che tutti gli ansiolitici di cui si era imbottito prima di uscire facessero effetto – non che andasse fiero di vivere sotto psicofarmaci, ma si era reso conto che erano diventati l’unica cosa che gli permetteva di tirare avanti. Xanax a bottigliette per tenere a freno l’ansia, antidepressivi ogni sera, erano tutti diventati i suoi migliori amici. Servivano? Forse come palliativo. Forse no. Forse sì. Non lo sapeva, ma in compenso sapeva che non sarebbe potuto andare avanti tutta la vita così.
Si scostò il ciuffo dagli occhi, guardandosi stancamente attorno. Odiava Liverpool? Sì, la odiava, per tutto quello che aveva significato per lui, per tutte le volte che era sceso al porto pensando di annegarsi, per tutti i momenti in cui aveva maledetto il suo cielo stellato, per tutte le peregrinazioni nel negozio di dischi, per tutte le sigarette fumate, i pestaggi subiti, i tagli sulle braccia, il vomito forzato, per le corse sfiancanti, per l’autobus che non arrivava mai, per le cantate sotto le stelle, per le scarpe slacciate e per il suo taglio di capelli passato di moda.
Voleva andarsene? Disperatamente, ma non sapeva dove. Forse avrebbe dovuto solamente prendere la prima corriera e vedere dove sarebbe finito. Un treno verso la Scozia, magari. Un traghetto per l’Irlanda e poi per l’America. Qualunque posto che non fosse la sua maledetta città.
-Ciao ragazzi, scusate il ritardo.
Oliver si voltò solo per vedere Denis arrivare di corsa, i capelli appena arruffati e la giacca di pelle sbottonata. Era ancora più bello di quel pomeriggio, ancora più selvaggio, sbarazzino, follemente affascinante.
Sperò di riuscire a salutarlo festosamente come i suoi amici ma riuscì solamente a balbettare un triste “c… ciao”. Nonostante tutto, vinse un sorriso aperto e sincero che lo fece arrossire selvaggiamente.
Perché quando Denis aveva visto Oliver, vi aveva visto dentro il dolore che voleva esservici letto. Aveva visto lo sguardo spezzato di chi ha perso la speranza, la magrezza eccessiva, l’aria abbattuta di un ragazzo che non sa più da che parte girarsi e per un attimo si era sentito vicino a lui. Il grigio degli occhi gli aveva ricordato i conturbanti cieli ucraini dai quali era fuggito, le mani tatuate erano fredde come il Mar Nero quando andava a fare il bagno a Naberezhne, la sua tristezza sembrava quella che lo coglieva nelle notti d’inverno, nella vecchia casa di Kharkiv. Era segretamente contento di essere stato invitato da quei ragazzi, e lo era ancora di più quando aveva visto di nuovo Oliver, con il suo ciuffone e la sua felpa degli Asking Alexandria.
-Così sei arrivato qui dall’Ucraina. È un bel cambiamento.- commentò James, una volta che si furono seduti a un tavolo nell’angolo e che ebbero davanti le pinte di birra.
-E’ tutto molto diverso, ma in qualche modo vedrò di ambientarmi.- ammise Denis, con un sorriso – Voi vi conoscete da tanto?
-Da quando siamo nati.- trillò Jenna – Veniamo tutti dalla stessa, triste strada. Siamo praticamente cresciuti insieme.
-Allora non riuscirò mai a diventare il quinto elemento.- Denis sorrideva, ma dentro di sé no. Fondamentalmente, a lui era sempre mancato un amico. Circondato da cinque sorelle maggiori, era sempre stato solo. Solo a Kharkiv, dove passava le sue giornate a suonare la chitarra e a sognare di una vita diversa, lontana dalla triste periferia ucraina. Solo a Naberezhne, impegnato ad andare in bici sulla rena per sentire il sapore del mare sulla pelle, abbandonato con le sue cuffie e i suoi sogni impossibili. Solo a Liverpool, appena sbarcato da una terra di confine, senza amici e senza destinazione. Denis era un ragazzo che navigava senza nessuno, che galleggiava da solo e sperava disperatamente di trovare qualcuno che gli tenesse compagnia, che lo prendesse per mano e lo portasse a correre in mezzo ai papaveri e ai campi di grano di casa sua, che gli dicesse che sarebbe andato tutto bene, che gli insegnasse a vivere, che cantasse sopra la sua chitarra, che gli pettinasse i capelli sempre arruffati, che gli dicesse che era bello, che lo strappasse da quel passato che avrebbe tanto voluto dimenticare. Denis aveva bisogno di qualcuno che lo tenesse aggrappato alla terra, che gli desse un motivo in più per sorridere al sole, che lo amasse di un amore puro e incondizionato. Voleva qualcuno a cui importasse di lui, del suo naso schiacciato e della sua chitarra.
-Perché no.- Kellin gli strizzò l’occhio – Mai dire mai, ragazzo ucraino.
Parlarono, quella sera. Parlarono di Liverpool, dei bulli, della scuola, dell’Ucraina, del tempo atmosferico, di Audrey Hepburn e dei Tokio Hotel. Parlò Kellin, che non stava mai zitto, parlò Jenna, solo per contraddirlo, parlò James, per metterli a tacere, parlò Denis, per raccontare della sua vita, disse qualcosa addirittura Oliver, che con tutto lo Xanax che aveva preso stava cominciando a rilassarsi. Più guardava Denis, più lo trovava perfetto. Il modo in cui parlava, in cui sorrideva, in cui beveva, in cui li guardava tutti negli occhi, c’era un fascino esotico e straniero che non poteva lasciare indifferenti. Parlarono un sacco, tra una pinta e l’altra, ridendo, scherzando, conoscendosi, cominciando a tastare il terreno e Denis poté dire di non essere mai stato bene come con quegli strani ragazzi inglesi. Avevano tutti e quattro gli occhi spezzati da un dolore senza nome, ma avevano i sorrisi più belli che avesse mai visto. Avevano un’amicizia e una fede incrollabile uno nell’altro, avevano la gioia di vivere che solo i perduti possono avere e quello a Denis piaceva da morire. Li guardava ridere, spintonarsi e darsi schiaffetti affettuosi e non poteva non trovarli stupendi nella loro semplicità. Chissà, si chiese pigramente, se anche io potrò comportarmi così con qualcuno, prima o poi.
-Guarda, Jen, c’è Taylor!- esclamò a un certo punto Kellin, alzandosi e indicando un punto non ben precisato della sala.
Jenna rimase un secondo instupidita, prima di seguirlo a ruota, strillando qualcosa di indefinito su una certa Taylor. Per un attimo, Denis tentò di individuare chi stessero cercando, ma non gli parve di vedere nessun nuovo arrivo nel pub.
James ci mise veramente poco poi a guardare l’orologio e ad esclamare
-Guardate, mi sa che devo andare. Devo controllare che mia sorella prenda le sue medicine. È stato un piacere, Denis. Oli, non bere più che ti si annebbiano gli occhi.
E anche lui si alzò, dileguandosi nel buio calato fuori, facendo rimanere soli Denis e Oliver. Il ragazzo ucraino, poi, ebbe da credere che tutte quelle furono strane manovre ordite dai tre per lasciarli soli, ma nel momento non ci fece molto caso, troppo impegnato a fissare i meravigliosi occhi grigio ferro di Oliver. Gli sorrise ancora, avvicinandosi impercettibilmente
-Hai degli occhi bellissimi.- disse, e rise quando Oliver arrossì selvaggiamente.
-Non è vero.- tentò di schernirsi, passandosi una mano tra i capelli.
Ma, segretamente, il suo cuore si scaldò un pochino quando sentì quel complimento. Nessuno gli aveva mai detto che avesse dei begli occhi, tutti troppo spaventati dal dolore che covavano.
Poi, forse complice l’alcol, o forse il sorriso accecante di Denis, o forse il calore di quell’angolo del pub, si arrischiò a prendere la macchina fotografica.
-Volevo chiederti se avessi voglia di posare per me.- disse, tutto d’un fiato.
-Come, scusa?
-No! Aspetta, non intendevo offenderti, io …
-Oli, tranquillo. Va benissimo, sono solo stupito. Nessuno mi aveva mai chiesto di posare.- Denis gli prese una  mano tra le sue, sentendo il calore estremo e il gelo più terribile fondersi gli uno con gli altri. Un passionale cuore ucraino e un gelido animo inglese che insieme, forse, avrebbero fatto faville.
Oliver prese un profondo respiro, si aggiustò il ciuffo e cercò di mettere ordine nei suoi pensieri. Bene, glielo aveva chiesto. Nessuno era impazzito. Deglutì rumorosamente e prese timidamente la macchina fotografica.
-Come avrai notato, amo fare foto. E mi chiedevo se volessi farmi da modello. Così, senza impegno.
Oliver sorrise appena. In quel momento, avrebbe voluto disperatamente fotografarlo, un po’ rosso in faccia, sorridente, con i capelli arruffati e gli occhi brillanti, nelle soffuse luci del pub. Era bellissimo, Denis, così tanto bello da fare male. Non lo aveva scelto lui, ma il suo cuore.
Si guardarono un po’ negli occhi, le ciglia abbassate e dei sorrisi timidi, come se si fossero appena raccontati un segreto preziosissimo. Uno di quei segreti che entrambi covavano dentro e che avevano troppa paura di ammettere nel terrore di essere rifiutati ancora da un mondo che li voleva morti. Uno di quei segreti che avevano urlato al mare, e che fosse il Mare d’Irlanda o il Mar Nero non cambiava poi molto, che avevano pianto nelle notti d’estate, che avevano affidato a diari che avevano poi incendiato nelle mattine d’autunno.
Erano uguali, Denis e Oliver, sotto canzoni metalcore e nazioni diverse, erano soli, arrabbiati, devastati, erano due fuochi fatui che si inseguivano nel buio, erano due selkie che cercavano la loro pelle di foca, erano due ragazzi persi che volevano solamente tornare a casa. Erano uguali, in quel pub, a pensare alle loro vite distrutte, tenendosi ancora la mano, davanti a pinte vuote, insieme a una strappalacrime canzone tradizionale.
-Sono un po’ stanco, vorrei tornare a casa.- disse Denis, spezzando il loro silenzio un po’ malinconico, forse anche un po’ dolce.
Oliver annuì, e si chiese cosa lo stesse trattenendo dal dirgli “ti accompagno io”. Voleva farlo, obiettivamente. Voleva prenderlo per mano e portarlo al porto, a guardare le foche, voleva correre con lui per le strade deserte, voleva fargli vedere la crudele luna inglese, voleva farlo ballare nel silenzio della notte, voleva fargli fotografie e raccontargli della sua vita disastrata. Voleva farlo, voleva stare tutta la notte con lui, a parlare, a danzare, a correre, a guardare le stelle, a cantare, a suonare la chitarra. Voleva, ma sapeva che non l’avrebbe mai fatto perché la sua ansia lo avrebbe bloccato, lo avrebbe divorato vivo. Lo guardò, e per un attimo ebbe voglia di piangere. Così, senza un perché, scoppiare in lacrime tra le sue braccia e farsi consolare da quella sommessa voce pesantemente accentata.
-Mi potresti accompagnare? Sai, è buio, ho paura di perdermi.- disse invece Denis, alzandosi e invitandolo a fare lo stesso.
-Sì, certo, non c’è problema.- balbettò Oliver, e la voglia di piangere passò tutt’a un tratto. – Vieni, andiamo.
Uscirono, e fuori faceva freddo, sotto la luna impietosa ma Oliver non lo sentiva, non quando poteva guardare nel profondo degli occhi ambrati di Denis che sapevano di fuoco e di calore. Si guardono un secondo imbarazzati e poi si misero a camminare, fianco a fianco, nella strada silenziosa e vuota, lasciandosi alle spalle il caotico pub.
-Un po’ mi manca Kharkiv, sai.- commentò Denis, fissando il cielo – Mi manca il cielo ucraino.
Oliver annuì, poi si fece coraggio e gli si avvicinò, facendo scontrare le loro braccia
-Raccontami ancora dell’Ucraina allora. Forse ti farà sentire più a casa.
Denis lo guardò e sorrise, prendendolo a braccetto di slancio e cominciò a raccontare di grandi città sovietiche, di palazzi di periferia, di babke calde, di piogge violente e di lingue sconosciute.
Oliver non lo disse, ma, per arrivare all’indirizzo di Denis, gli fece fare il giro più lungo possibile.
  
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