Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Sayami    20/05/2019    1 recensioni
"-La vita non è fatta per essere semplice, Laney, non lo è per nessuno. Ma se non provi, se non fallisci, se non cadi e ti rialzi dieci, cento, mille volte, puoi dire davvero di aver vissuto?
Laney esitò per un breve intervallo, valutò, soppesò la dichiarazione di Samuel con la massima cura, infine rispose: -No, credo di no."

Laney odia il mondo. Letteralmente. Misantropa, remissiva e un tantino paranoica, si chiede spesso quale sia stato il momento esatto in cui la sua vita ha preso la piega sbagliata, portandola a crollare sull'ultimo gradino della scala sociale: quello degli emarginati. Mentre le sue giornate procedono monotone, tra una sistematica opera di autodemolizione e il penoso tentativo di sopravvivere all'ultimo anno di liceo, in città fa ritorno Samuel, cugino della sua migliore - nonché unica - amica. Niente di eccezionale, non foss'altro che il nuovo arrivato, oltre a essere un tipo bizzarro, è anche un grandissimo impiccione! Così, tra situazioni paradossali, equivoci, incontri-scontri e un piano infallibile per realizzare tutti i sogni, Laney e Samuel scopriranno pensieri e sensazioni che credevano di aver sepolto tempo prima, insieme a un'ultima solenne promessa.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Image and video hosting by TinyPic

1.7

 
Ovunque era il suo profumo: impregnava l'aria, lo sentiva addosso e tutt'intorno, uno spiritello infestante e maligno.
Era già trascorsa una settimana dall'incidente del corridoio. Laney non era più andata a scuola da quel pomeriggio. Si sentiva frastornata, una mina vagante, una pentola a pressione sul punto di esplodere. La sola idea di rivedere Samuel le sembrava improponibile, non solo per l'imbarazzo, ma anche per il terrore che l'assaliva ogni volta che pensava a lui. E Laney non faceva che pensarci.
Lo rivedeva in controluce, il suo corpo solo una sagoma che affondava nel tramonto. Le sue braccia la avvolgevano, la stringevano e la sostenevano con una forza e una dolcezza sconcertanti. Percepiva la consistenza della sua maglia sotto alle dita, il suo respiro tra i capelli, i battiti accelerati del suo cuore nelle orecchie. Si era sentita al sicuro. Per un attimo, un istante infinitesimale, aveva creduto che tutto si sarebbe sistemato, che ogni cosa sarebbe andata a posto, ma si sbagliava. Ovviamente, si sbagliava.
Da giorni rimaneva chiusa in camera sua, neppure ricordava l'ultima volta che era scesa al pianterreno di sua spontanea volontà. Mangiava poco, dormiva ancor meno, di tanto in tanto prendeva lunghi respiri, come tornando a galla da un'apnea. Fissava il soffitto da una posizione panoramica, stesa sul suo lettino, e contemplava con languore la propria condizione, quasi con nostalgia, quasi che, in fondo in fondo, non appartenesse veramente a lei.
Mamma e papà credevano che avesse la febbre. O almeno Laney sperava che ci credessero, anche se sapeva che non avrebbe potuto continuare a lasciare il termometro nella camomilla bollente o sul termosifone ancora a lungo. Avrebbe dovuto reagire.
Già, reagire.
Quella parola la spaventava a morte. Non ne conosceva l'esatto significato, non si identificava in nulla di preciso, nulla di concreto, nulla di certo e infallibile. Non aveva appigli.
Come se non bastasse, ora Samuel era intenzionato a dare battaglia a Tyler e Laney non riusciva a immaginare un risvolto della vicenda per cui non venivano entrambi assaliti, immobilizzati, pestati a sangue e abbandonati chissà dove.
Aveva paura e, come al solito, era scappata. Si detestava per questo, ma sapeva benissimo che si sarebbe odiata ancor di più se per causa sua fosse accaduto qualcosa a Samuel. Non avrebbe potuto sopportarlo.
Rapido come un battito di ciglia, un rumore di colpi alla porta ruppe il flusso dei suoi pensieri. Laney si affrettò a sistemarsi meglio tra le coperte.
-Laney, sono io- disse la voce di suo padre. -Posso entrare?-
-Sì- pigolò la ragazza contro il cuscino.
Edward Barnes sgusciò nella cameretta in punta di piedi. Laney lo vide strizzare gli occhi, identici ai suoi, prima di abituarsi alla penombra in cui verteva l'ambiente. -Ti ho portato il tè- le disse, indicando con un cenno la tazza fumante tra le sue mani.
-Grazie- rispose lei, osservandolo mentre la abbondonava sulla scrivania.
L'uomo lanciò una rapida occhiata alle imposte. -Non vuoi alzare le tapparelle?- chiese.
Laney pensò al balconcino della camera di Samuel, proprio dirimpetto alla sua. Le era capitato, sbirciando dalla porta-finestra, di vederlo passare, intento alle sue occupazioni. Qualche volta guardava nella sua direzione, ma poi distoglieva subito lo sguardo.
Scosse piano la testa. -Ho un po' di emicrania, preferisco rimanere al buio.-
Il suo interlocutore contrasse il viso in una smorfia indecifrabile. -Come vuoi. Ti dispiace se rimango un po' qui con te?-
Laney si tirò a sedere per fagli spazio. Con andatura maldestra, l'uomo attraversò la stanza e si accomodò ai piedi del letto.
Edward Barnes non era mai stato un papà affettuoso. Era di indole timida e riservata (che lei stessa aveva ereditato), ragion per cui era solito dimostrare il suo affetto mediante gesti discreti, all'apparenza trascurabili, come comprarle ogni tanto qualche leccornia o, per l'appunto, portarle il servizio in camera.
Il loro rapporto si era costruito su abitudini comuni: giocavano a scacchi, andavano a passeggio, spesso discutevano del più e del meno, ma di rado suo padre le aveva concesso carezze, o baci, o slanci profusi di effusioni.
Però ricordava che da bambina, quando era malata, era solito vegliarla per ore, in silenzio, prendendole la temperatura e dedicandole ogni sorta di attenzioni.
Edward passò in rassegna tutti i poster che decoravano la stanza, poi la scrutò dritta in faccia. -Come stai?- le chiese.
Laney deglutì, allungandogli il termometro elettronico. Segnava 38.2 gradi centigradi.
Suo padre osservò per qualche istante la cifra riportata, prima di posarle con disinvoltura una mano sulla fronte. -Non scotti- affermò senza un briciolo di sorpresa.
Laney si strinse nelle spalle. -Non mi sento bene- replicò. -Ho freddo, mi fanno male tutte le ossa e non ho forze.-
Edward sembrò rifletterci un po' su. -Forse dovremmo chiamare un medico.-
-È solo un'influenza, papà.-
Si guardarono. Laney conosceva suo padre come le sue tasche. Sapeva bene che, se si trovava lì, era perché non la stava più bevendo, ma era comunque intenzionata a portare avanti la messinscena il più a lungo possibile.
-Come sta andando la scuola?- domandò l'uomo, di colpo interessatissimo alle scarpe in disordine sul pavimento.
-Perché me lo chiedi?-
-Perché sono tuo padre, suppongo.-
Silenzio. Laney prese un respiro infinito, prima di rispondere: -Bene.-
Edward si torceva i pollici. Era incredibile come anche una conversazione ordinaria come quella potesse risultare tanto delicata.
-Gli altri ti stanno di nuovo...-
-NO!- esclamò lei, troppo in fretta, troppo forte per essere credibile. -Assolutamente no.- Sperò con tutto il cuore che suo padre non avesse afferrato l'incrinatura nella sua voce, ma lo sguardo apprensivo che le rivolse non lasciò spazio a dubbi.
-Dico sul serio- si sentì in dovere di precisare.
-Allora perché fingi di avere la febbre da più di una settimana?- Edward aveva parlato in tono molto più pacato di quanto la sua espressione desse a intendere.
Laney annaspò. -Io non fingo di...-
-Io e tua madre siamo molto preoccupati. A dire il vero, stavamo pensando... Sì, ecco, stavamo pensando di trasferirci.-
Laney rimase di sasso. Guardò suo padre come se non l'avesse mai visto prima, gli occhi sgranati, le labbra dischiuse per lo stupore.
-Sarebbe la soluzione ideale- proseguì imperterrito lui. -Così non dovresti più preoccuparti dei tuoi compagni e potresti finalmente trascorrere quest'anno in tranquillità.-
Laney sentì lo stomaco contorcersi e il cuore salirle in gola. Le tremavano le mani. Non riusciva a crederci. -E il v-vostro lavoro?- esalò.
-Troveremo una soluzione- rispose benevolo l'altro. -Non preoccuparti.-
Ma come poteva? Come poteva stare tranquilla sapendo che i suoi sforzi erano stati vani? Che i suoi genitori erano sul punto di gettare alle ortiche anni di fatica e impegno per lei? Che li aveva fatti stare in pensiero di nuovo, che a nulla erano valse le bugie e i pianti segreti? Come poteva rassicurarsi sapendo di aver fallito per l'ennesima volta?
-Perché? Io non...- Le lacrime le pizzicavano i bordi degli occhi come spilli. -S-sto bene- languì. -P-prometto che la smetterò di farvi p-preoccupare. T-tornerò a scuola e mi farò degli a-amici. Dovete credermi, v-vi prego!-
Per tutta risposta, suo padre si alzò dal letto in un unico, goffo movimento. Le lasciò una delle sue rarissime, un po' affettate carezze fra i capelli, poi si avvicinò alla porta. -Noi ti crediamo, Laney- le disse. -Ma vorremmo che, per una volta, anche tu credessi in noi. Pensaci.-
-Papà...-
-Per favore.- E, detto questo, uscì dalla cameretta così come era entrato, in punta di piedi, lasciandola sola con i suoi pensieri.
Ma erano pensieri grigi e tristi, pieni di amarezza, avviluppati nell'angoscia e nell'incertezza. I suoi genitori amavano Tiny Town, i loro impieghi, la loro casa. Avevano lavorato sodo per costruire le loro vite, e ora erano disposti a mandare tutto all'aria.
E se anche si fossero trasferiti? Sarebbe davvero cambiato qualcosa? E se non fosse cambiato nulla? Se fosse stata destinata a quel trattamento ovunque andasse? Forse il vero problema non erano gli altri, era lei, l'incapace, stupida, piccola, debole Laney Barnes, un fallimento in tutto e per tutto.
Ormai ne aveva la certezza: era sbagliata. E non solo come persona, ma anche come figlia.
Il portone di casa Barnes era grande, lucido e verniciato di un bianco accecante, a contrasto con l'intonaco grigio degli esterni

Il portone di casa Barnes era grande, lucido e verniciato di un bianco accecante, a contrasto con l'intonaco grigio degli esterni. Davvero un bel portone, se non fosse stato per il campanello, minaccioso quanto un pluriomicida armato. Forse era quello il motivo principale per cui Samuel era rimasto impalato sulla soglia tanto a lungo.
Doveva sembrare davvero ridicolo visto da fuori, ma non poteva farci nulla: l'idea di bussare di nuovo ai Barnes dopo tutti quegli anni lo metteva in agitazione.
Tuttavia si era ripromesso che avrebbe aiutato Laney a ogni costo e non era certo tipo da venire meno ai propri impegni. Laney aveva deciso di non mettere più piede a scuola dopo la loro ultima conversazione in aula musica, e Samuel credeva anche di sapere il perché.
"Ti faranno del male, se continui a fare così!" gli aveva detto, e quelle parole gli echeggiavano ancora nelle orecchie, ma Samuel non sapeva bene come inquadrarle. Avrebbe voluto parlarne con qualcuno, esporre i suoi pensieri e ricevere qualche consiglio, ma James e Alicia continuavano a tenergli il muso, e lui non si sarebbe di certo scusato per aver detto la verità.
Così eccolo lì, sotto al portico dei Barnes di Sabato mattina, impacciato e un po' dubbioso se suonare o meno il campanello. Che cosa avrebbe potuto dire? "Perché non sei più venuta a scuola?" No, troppo inquisitorio. "Va tutto bene? È un po' che non ti vedo..." Decisamente troppo disinvolto.
-Oh, al diavolo!- mugugnò tra sé e sé, quindi si decise. Sollevò la mano sul bottone, ma quando fu sul punto di suonare, la porta si spalancò, rivelando una silhouette nota e minuta. Era infagottata in una salopette di jeans logora e sformata, i capelli biondi e lisci raccolti in una grossa crocchia in cima al volto allungato. Alla vista dell'altro, sia Samuel che Penelope Barnes spiccarono due balzi indietro niente male.
-O Signore!- esclamò la padrona di casa, portandosi una mano al petto.
-Mi p-perdoni- farfugliò Samuel, imbarazzatissimo. -Non volevo spaventarla.-
La donna ridusse gli occhi a due fessure azzurre, dietro alle spesse lenti degli occhiali da vista, poi, di colpo, la sua espressione si rilassò in un bellissimo sorriso. -Oh, Samuel, ma sei tu!- esclamò estasiata.
Samuel annuì, rigido come un soldatino. Le mani avevano iniziato a sudargli copiosamente. -Buonasera, signora.-
-Ma quale signora, chiamami Penelope! Pensa, proprio l'altro ieri sono passata a salutare Marianne, ma tu non eri in casa... Come sei cresciuto!-
Samuel si limitò a stringere le labbra e annuire. Da quando aveva fatto ritorno in città, non aveva mai incontrato i Barnes. Rivedere Penelope dopo tutto quel tempo gli faceva uno strano effetto. L'età le aveva segnato il viso, ma il suo sorriso non aveva perso di calore, e anche i suoi modi erano rimasti dolci e affabili. Samuel ricordava momenti di una vita, con lei: magiche giornate al parco, succulente merende in cortile, regali che erano belli come sogni nel cassetto. Si sentì un po' triste al pensiero che fosse tutto passato.
-Posso fare qualcosa per te?- gli chiese Penelope.
Samuel si schiarì la voce. "Ecco, ci siamo" pensò.
-Cercavo, ehm... cercavo Laney- disse. -Sono, ehm... venuto a portarle gli appunti della scorsa settimana. Abbiamo un paio di corsi in comune.-
Samuel vide le spalle della sua interlocutrice crollare lungo il busto. -Oh... Laney sta dormendo in questo momento, ha un po' di febbre. Posso andare a chiamarla, se vuoi.-
Samuel rimase deluso dalla risposta, ma si affrettò comunque a rassicurare la signora Barnes: -No, non la svegli. Ripasserò un'altra volta.- Le rivolse un sorriso cordiale, ma prima che avesse l'occasione di voltarsi e tornarsene a casa, quella disse: -No, aspetta! Se non ti dispiace, avrei un paio di cose da chiederti.-
Samuel la osservò interdetto. -D'accordo- rispose. Qualcosa, nell'espressione di Penelope, lo turbava.
-Vieni dentro- lo invitò lei, facendosi da parte sulla soglia. -Ti va una tazza di té?-
Samuel assentì e, seppur titubante, entrò. Casa Barnes aveva un profumo familiare: sapeva di menta, di spezie orientali e del tabacco da pipa del signor Barnes. Il salotto era rimasto tale e quale a come lo aveva lasciato, ampio e luminoso, arredato all'antica con mobili stile impero zeppi di argenterie e ritratti di famiglia, quadri di paesaggi esotici, tende bianche e voluminose in tinta con il pellame delle bergère e la scala da interni che conduceva alle camere da letto.
La signora Barnes lo fece accomodare al grande tavolo centrale (intorno a cui Samuel aveva consumato più pasti di quanti riuscisse a ricordare), dopodiché si volatilizzò in cucina. Ricomparve dieci minuti più tardi con due tazze fumanti e un cestino di dolcetti fatti in casa. -Fai pure come fossi a casa tua!- chiocciò tutta contenta, dopo avergli zuccherato il té. -Non mi racconti niente? Com'è l'Europa?-
Samuel, preso in contropiede, si esibì in una vigorosa scrollata di spalle. -Bellissima, ma un po' triste.-
-Oh...- fece la signora Barnes, che si era accomodata di fronte a lui. -Come mai?-
Samuel abbozzò un sorrisino, ma non c'era niente da ridere. L'Europa gli riportava alla mente tante cose, quasi nessuna piacevole: amici, feste, baci, odori di lenzuola e mascherine, coreografie, medaglie, firme, torri di documenti, vasi rotti, occhi rossi, bugie, aerei, notti insonni e poi...
-Non saprei- liquidò, un po' brusco. -Che cosa voleva chiedermi?-
La signora Barnes gli rivolse uno sguardo penetrante, ma decise di non indagare oltre. Al contrario, parve in difficoltà quando venne il momento di arrivare al sodo. -Si tratta di Laney- soffiò. -Vedi, è che... ultimamente io e suo padre troviamo che si comporti in modo strano. Lei non vuole parlarne, quindi mi chiedevo... sì, insomma, andate a scuola insieme, forse tu ne sai qualcosa!- Penelope si interruppe. Prese la propria tazza di té fra le dita, un tic nervoso, perché non ne bevve neppure un sorso. Ora, pensò Samuel, le rughe sul suo viso apparivano perfino più profonde. -I suoi... i vostri compagni le danno ancora fastidio?-
Samuel fu stupito dalla domanda, ma cercò di non darlo a vedere. Non sapeva fino a che punto i Barnes fossero a conoscenza di quello che accadeva alla propria figlia, né si aspettava di essere interrogato in materia. Annuì, impacciato. -Già.-
La signora Barnes sospirò. -Lo sospettavo.-
Ci fu una pausa. La rassegnazione nella voce della donna fece sentire Samuel più che in colpa. Forse non era il più informato sulla situazione, ma avrebbe almeno dovuto provare a darle qualche indizio. D'altro canto, si trattava dei genitori di Laney, e se lui non riusciva ad aiutare la ragazza, di sicuro gli adulti ci sarebbero riusciti. -C'è un nostro compagno, in particolare...- iniziò, ma la signora Barnes lo anticipò.
-Tyler Grint- disse con sicurezza sconcertante. -Lo so.-
Samuel la guardò basito e Penelope gli concesse un sorriso triste. -E dimmi, cosa... cosa le fanno di preciso?-
Samuel si sentì seduto su una sedia di spine. C'era un'urgenza malcelata, nel tono della donna, che gli fece capire quanto fosse importante per lei. Ma anche lui era ansioso di sapere: la signora Barnes avrebbe potuto spiegargli ciò che ancora gli sfuggiva?
Le raccontò della scena in corridoio, il primo giorno di scuola, e poi dell'esilio in giardino, dei motti, dei post-it e di tutte le altre angherie a cui aveva assistito. Nel farlo, gli parve quasi di sfogarsi, come se ne stesse parlando con una zia che avrebbe potuto comprendere tutto il suo disappunto. Tuttavia, quando ebbe terminato, sul volto di Penelope Barnes non trovò traccia né di rabbia, né di orrore, ma solo una profonda amarezza. Sembrava che
sapesse già tutto, come se lo avesse sentito raccontare migliaia di altre volte, e quando Samuel comprese che era proprio così, ebbe un tuffo al cuore.
"Nessuno può farci niente." Le parole di Alicia gli strisciarono addosso come sanguisughe.
Penelope, gli occhi fissi sul centrotavola, non commentò. Invece, con la massima calma, bevve il proprio té.
Vinto dall'impulso, Samuel chiese: -Posso farle anche io una domanda?-
-Certamente- rispose l'altra.
-Da quanto tempo va avanti così?-
Per la prima volta da quando quella conversazione era iniziata, Penelope Barnes si mostrò perplessa. Guardò Samuel con aria corrucciata e domandò: -Laney non te l'ha detto?-
-Io e lei non parliamo molto, in realtà- ammise Samuel. -Ha paura che gli altri possano prendersela anche con me, se ci vedono insieme.-
La signora Barnes scrollò il capo con fare severo. -Tipico di mia figlia... Ad ogni modo, per rispondere alla tua domanda, dal secondo anno, credo. Laney non è mai stata molto chiara.-
-Samuel strabuzzò gli occhi, allibito e furioso. Quattro anni erano decisamente un sacco di tempo. -Non riesco a credere che solo per quello stupido incidente alla festa di Judith...-
-Oh, ma non è stato solo per quello- intervenne la signora Barnes, malinconica. -Non è mai solo per quello.-
La notizia arrivò come un fulmine a ciel sereno. Samuel attese che la signora Barnes finisse di addentare un pasticcino, prima di azzardare un: -Che cosa intende?-
Lei neppure lo guardò. -Poco dopo l'inizio delle superiori, Laney ha avuto un incidente- disse. -È stata investita mentre stava attraversando la strada.-
Samuel fu colto da un improvviso capogiro. -Che?-
La donna annuì. -Per fortuna si è sistemato tutto, ma per un po' abbiamo temuto che non potesse più camminare. Le connessioni e i legamenti delle gambe erano...- Penelope si interruppe. Samuel la vide prendere un lungo respiro e schiarirsi la gola, prima di continuare. -Sono stati mesi duri, Laney non faceva che piangere. Vera le è stata molto vicina: è andata a trovarla ogni giorno fin quando non si è ripresa, e non l'ha mai abbandonata.-
Samuel si lascio sfuggire un sorriso. -Vera è speciale.-
-Moltissimo- convenne la signora Barnes. -È stata lei a suggerire l'idea di far prendere lezioni private a Laney, durante la terapia, perché al suo rientro a scuola non si sentisse indietro rispetto ai suoi compagni. Così abbiamo contattato il professor Thompson. Di certo lo conoscerai, insegna alla Turnips.-
-È per questo che lui e Laney sono così...- Samuel cercò di azzeccare il termine appropriato. -Vicini?- chiese.
-Proprio così- confermò la signora Barnes. -Hanno trascorso molto tempo insieme, e ora Thompson la tratta come se fosse la sua sorellina, anche quando non dovrebbe.-
-Capisco- disse Samuel. -Poi cosa è successo?-
-Laney è potuta rientrare a scuola solo quando il secondo anno era iniziato da un pezzo- proseguì la donna. -Faceva una fatica immane per integrarsi. È sempre stata timida, ma la permanenza in ospedale l'ha completamente disabituata alla socialità. Anche se balbettava e arrossiva, si è sforzata in ogni modo di parlare con gli altri e fare amicizia. Dopo un interesse iniziale, però, i ragazzi hanno iniziato a stancarsi di lei: la vedevano come una privilegiata, per via del trattamento che molti professori le riservavano, e alla fine, non riuscendo a capire che cosa la rendesse tanto speciale, l'hanno esclusa.-
-È stato allora che hanno iniziato a tormentarla?- domandò Samuel. Per tutta risposta, la sua interlocutrice lo guardò senza dire nulla. Solo in quel momento il ragazzo cominciò ad afferrare la reale portata di tutta la vicenda. Ogni parola che usciva dalla bocca di Penelope gli pareva più complessa e pesante della precedente, eppure stava affrontando l'argomento con una fermezza unica nel suo genere. Era forte, si vedeva.
Da lì, Samuel tentò di ricostruire il corso degli eventi. -A quel punto è arrivata la festa di Judith Pierce,- disse -e la situazione è peggiorata ulteriormente.-
La signora Barnes si lasciò scappare una smorfia arrabbiata. -Sai, Samuel, in questi anni sono successe tante cose brutte. Io ed Edward abbiamo cercato in tutti i modi di farla pagare ai colpevoli, ma a ogni azione corrispondeva una reazione. Ci hanno lanciato carta igienica imbevuta di acido contro le finestre, ci hanno devastato il giardino, ci hanno mandato lettere minatorie.- Si mordicchiò un labbro. -Se devo essere sincera, per un periodo ho anche pensato che fosse tutta colpa di Laney. Credevo che, se solo non fosse stata così timida e fragile, nessuno avrebbe mai avuto il coraggio di prendersela con lei. Credevo anche che forse un po' se lo meritasse.-
Samuel sgranò gli occhi, allibito. Penelope Barnes stava piangendo.
-La mia bambina- singhiozzò. -Ma sono stata sciocca, sai? Perché Laney è molto più forte di quanto tu e io possiamo immaginare. Pensa che non si è mai lamentata, neppure una volta.- La donna si asciugò gli occhi con il dorso della mano, e Samuel sentì un brivido freddo corrergli lungo la schiena. -Non importa quante torture subisce, cerca sempre di proteggerci, di non farci stare in pensiero. Anche se è stanca, resiste in silenzio, senza chiedere aiuto a nessuno.-
Un lampo balenò nella mente di Samuel. Misera, nel grigiore dell'autunno, una mano bendata sotto al tavolo del giardino. "Passerà" gli aveva detto. "Devo sopportare solo un altro po'." Ora si trovava al piano di sopra, pochi passi a separarla da loro. Aveva la febbre.
-Signora Barnes,- chiamò Samuel, a corto di fiato -Laney non può farcela da sola.-
Penelope lo guardò come se non lo avesse mai visto prima. -Lo so- disse, la voce rotta dal pianto. -Ma non sappiamo come intervenire. Dopo tutto quello che è successo, lei non ci permette più di farlo.-
Ci fu una pausa. Samuel stringeva le dita intorno ai bordi del tavolo, tanto forte da sbiancarsele. Ora sapeva, e comprendeva: erano impotenti, tutti quanti. Era una sensazione disgustosa, viscida, un enorme mostro ululante che incombeva alle spalle di ciascuno di loro. La solitudine di Laney.
-Solo lei è in grado di farlo finire- statuì a un tratto Penelope, cercando di recuperare la propria calma. -Solo lei ne ha il potere.-
Samuel deglutì. Non sapeva che fare. Il suo cervello viaggiava alla velocità della luce, si sentiva soffocare. Ripensava ai discorsi di Alicia e James, a quello che aveva appena ascoltato, alle scene a cui aveva assistito.
"Nessuno può farci niente."
A parte Laney.
Lui non voleva arrendersi. Lui non poteva arrendersi.
-Signora Barnes,- disse infine, risoluto -le prometto che farò del mio meglio per rimanere accanto a Laney. Non permetterò che le cose restino come stanno, dico sul serio.-
La signora Barnes gli rivolse un sorriso materno e infinitamente abbattuto. -Grazie, Samuel. Lo apprezzo tanto.-
Rimasero così per un po', fermi e silenziosi, seduti intorno al tavolo del salotto a rimuginare su quanto era stato detto, ma poi, di colpo, la signora Barnes scattò in piedi, come se fosse stata punta da un calabrone.
-Posso darti una mano- annunciò. -Aspetta un secondo.-
Si fiondò in cucina e ne riemerse più tardi con una penna e un paio di fogli svolazzanti. Si accomodò di nuovo di fronte a Samuel e gli fece scivolare un foglio sotto al naso. Era una locandina pubblicitaria. -Ecco- disse. -Il comitato cittadino ha organizzato una serata a tema per Halloween, nella piazza centrale. Laney vorrebbe andarci. Questo è il suo numero- e qui scarabbocchiò una serie di cifre sul secondo foglio, prima di passarglielo. -Se viene a sapere che te l'ho dato, mi uccide.-
Samuel non riuscì a trattenere una risatina. -Non glie lo dirò- promise.
Penelope assunse un'espressione soddisfatta. -Perché non provi a invitarla alla festa? Con noi non vuole venire, ma magari a te darà ascolto!-
Samuel sapeva perfettamente, avendo già avuto occasione di sperimentare in prima persona, che Laney non gli avrebbe riservato un trattamento diverso dagli altri. Ma la speranza era l'ultima a morire, e avrebbe pur sempre potuto fare un tentativo.
Dunque prese i fogli, li piegò per bene e se li infilò in tasca. -D'accordo- disse. -Ci proverò. Grazie mille, signora Barnes.-
La donna intrecciò le dita dietro al collo, i gomiti puntati sul tavolo. Aveva l'aria molto stanca. Samuel pensò che nessun membro di quella famiglia meritava ciò che stava accadendo loro. Nemmeno un po'.
-Di nulla- gli rispose Penelope Barnes, sorridendo cordiale. -Grazie a te.-



ANGOLINO TUTTO NOSTRO:
Hey, cutiepies! 
Che dite?
Io tornata con un coso di cose.
Che ve ne pare? Idk, con questa storia non riesco mai capire che acciderbolina io stia facendo...
Comunque il prossimo capitolo dovrebbe (e sottolineo dovrebbe, vista la mia scrittura disagevole) essere bellino, quindi stay tuned!
Cosa vi aspettate di vedere?
Detto questo, ringrazio come sempre tutti coloro che hanno recensito e che hanno messo la storia nei seguiti, nei preferiti e nei ricordati. Un beso e a presto (si spera ç___ç).
Sayami.

 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Sayami