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Autore: emmawh    24/07/2009    11 recensioni
Premetto che io AMO Johnny Depp. Questa è una rivisitazione della sua vita in dieci episodi-chiave visti con l'occhio pazzo dell'autrice e, dato che Johnny di autostima non ne possiede certo molta, ognuno di questi gli darà un motivo di odio per lui e di amore per noi. Se volete saperne di più su Johnny, anche sotto una versione romanzata, questa fan fiction è per voi.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: OOC | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Sono infernalico
Tanto da mettermi da solo, e volontariamente, nei casini

    «Johnny! C’è Sal al telefono!».
    Mia madre che mi chiamava. Che rottura.
    Spensi la sigaretta sull’infisso della finestra, già mezzo bruciacchiato, e buttai fuori il mozzicone.
    «Un attimo, ma’!», le urlai, cacciando via il fumo. Scesi le scale di corsa e afferrai in malo modo la cornetta. Mia madre sospirò, forse anche per la puzza di fumo, tornando in cucina. Non mi preoccupavo più di chiedere scusa o essere gentile. «Ehi, Sal» lo salutai, tamburellando le dita sul comodino. Le unghia della mia mano destra erano più lunghe di quelle della sinistra e facevano più rumore. Era bello essere un chitarrista.
    «Ehilà, Jo» mi chiamò, la voce un po’ arrochita. Di sicuro stava fumando anche lui. «Stasera c’è una bella festa da Pete».
    «E quando non c’è?» scherzai. Pete era famoso per le sue feste settimanali.
    «Ci vieni?».
    «Naturale».
    «E chi ci porti di bello?».
    Ma che razza di domande. «Sal, ma ti sei fumato anche il cervello? Ci porto Meredith, no?».
    Sentii una risata che presto si trasformò in tosse. «Non mi dire che non lo sai», mi disse, divertito, tossicchiando ancora.
    «Non so cosa?» gli chiesi sospettoso.
    «Meredith sta uscendo con Billy» ridacchiò.
    Mi ghiacciai. «Cosa?» chiesi con voce strozzata. Smisi di tamburellare e afferrai la cornetta con la destra. «Ma fai sul serio?»
    «Mai stato più serio».
    «Però stai ridendo» lo fulminai, incazzatissimo.
    «A causa tua. Quei due che vanno a spasso per la strada sono il pettegolezzo che più gira, ma da giorni, e tu non te ne sei accorto!».
    «Cazzo, Sal, dovresti imparare a parlare in inglese una volta ogni tanto!».
    «Non mi sembra che tu ne faccia buon uso» osservò.
    «Ridi ancora e giuro che vengo lì e ti spacco la faccia» minacciai.
    «Non mi metterei mai contro l’infernalico Jo!» rise ancora.
    Sbuffai. “Infernalico” era l’aggettivo che mamma si era inventata per me. In effetti, dopo la morte del nonno e con tutti quei trasferimenti, non mi si poteva chiamare bravo ragazzo. «Dimmi una cosa», gli dissi, glaciale, «sai se Billy viene stasera?»
    «Alla faccia! Non se la perderebbe per niente al mondo, lo sai! Ti schifa da quando hai messo piede in città!».
    «Gliela farò vedere a quella puttanella» imprecai.
    «Bravo! Mi godrò lo spettacolo stasera, allora!» mi disse, palesemente contento, e attaccò.
    Sbattei la cornetta sull’apparecchio.
    Merda. Come aveva osato? Stavo sempre con lei. La chiamavo quando poteva. Le avevo persino dedicato i Flame, la mia garage band, intitolandola in suo onore. Se non era amore era qualcosa di simile. Come cazzo aveva potuto abbandonarmi per Billy?
Andai in cucina infuriatissimo e presi un coltello. Mia madre e mia sorella mi guardarono come se fossi impazzito e volessi commettere un atto scellerato.
    «Johnny! Che cosa vuoi fare?» esclamò Christie avvicinandosi a me, i palmi aperti come in segno di resa. La fulminai con un’occhiataccia. Arretrò di un poco.
    «Un fottutissimo panino», risposi. Poi tirai fuori una pagnotta dalla dispensa e un po’ di prosciutto dal frigo. Le udii sospirare di sollievo. Mi conoscevano davvero poco se pensavano che avrei ucciso davvero qualcuno. Anche se in quel momento avrei potuto farlo.
    «Ti abbiamo sentito urlare a telefono» abbozzò Christie a mo’ di spiegazione.
    «Embe’?» domandai con una scrollata di spalle. Presi il coltello e lo infilai nel pane con quanta forza potevo, quasi volessi distruggerlo e farlo in briciole.
    «Lo sai bene» mi ammonì mia madre. La guardai, ancora arrabbiato, ma a una sua occhiata mi sgonfiai.
    Sì, ok, forse non ero esattamente un bravo ragazzo. Ero un tipo droga e rock and roll. Facevo preoccupare i miei come dei matti. A volte litigavano per colpa mia, anche forte. A volte mi odiavo per questo. Più spesso di quanto volessi ammettere, a dir la verità.
    Ma soffrivo troppo per permettere ai buoni sentimenti di far breccia. Ora scattava l’operazione “vendetta”. Meredith si sarebbe pentita di quel torto. Sentivo il mio cuore tornare a riempirsi d’odio.
    Addentai il panino con rabbia e uscii dando un calcio alla porta.

    Sal fischiò quando mi vide uscire da casa. «Però! Ti sei dato da fare, eh?».
    In effetti, mi ero preparato al meglio. Indossavo i vestiti migliori che avevo, avevo “preso in prestito” un profumo da mio padre e pettinato con cura i capelli. Non mi piaceva dar sfoggio di quello che Sal chiamava “calamita per pollastre”, ma quando ci vuole ci vuole. Dovevo ammetterlo, piacevo alle ragazze, ma a me non piacevano. Cioè, non in quel senso, non mi piacevano tutte. Più che pollastre, io le definivo oche. Credevo che Meredith fosse diversa. Vaffanculo.
    «Mer avrà quello che si merita» decretai solenne, mentre ci avviavamo verso casa di Pete. Non dovevamo prendere la macchina –scassata– di Sal per arrivarci, non era distante.
    Sal l’aveva comprata dal robivecchi con i suoi stessi soldi, non so se proprio onestamente guadagnati. Una vecchia Impala del ’67. Non era male per spostarsi con gli amici né per vantarsi con le ragazze, ma se provavi a fare più di cento chilometri crollava come un castello di carte.
    «Sentiamo, qual è il piano?» mi domandò Sal accendendosi una sigaretta.
    «Non lo so ancora. Credo che improvviserò».
    «È la strategia migliore», mi sorrise. Ah, com’era bello contare su un vero amico.
    «… Sal, ma quelle non sono le sigarette che ho perso l’altroieri?»
    «Ah, credevi di averle perse?». Gli amici buoni, veri, bastardi voltafaccia.
    Entrai in casa di Pete con un’aria lievemente cupa. Luci intermittenti erano appese ad ogni parete, il portico grondante di birre, il giardino già pieno di gente che vomitava, mentre dentro succedeva roba di tutti i colori. I genitori di Pete viaggiavano parecchio per lavoro e lasciavano la casa libera perlomeno una volta a settimana, da qui le famose feste. Credevano di potersi fidare del figlio sedicenne. Illusi.
    «Ehilà, ragazzi, non pensavo che veniste!» ci salutò Pete, già mezzo sbronzo, appena entrati.
    «Bleah! Allontanati, puzzi di birra in modo indecente!» si lamentò Sal.
    «Niente di grave» commentò con una scrollata di spalle. Poi fece un cenno verso di me. «Credevo che non avessi voglia di… ecco, insomma… vedere», concluse con una smorfia.
    «Tranquillo, Pete, non sono uno che si lascia fregare» ghignai. Senti delle ragazze poco distanti da me emettere risolini simili a squittii. Sal ridacchiò.
    «Come dici tu» si arrese Pete, poi ruttò. Si mise una mano sulla bocca. «Oh, mamma. Credo di dover vomitare». Detto questo, ci scansò e corse in giardino.
    Io e Sal ci mettemmo a ridere. Poi lui avvistò una brunetta che si stava scolando una pinta di birra, si lisciò i capelli lanciandomi un’occhiata eloquente (per la serie “questa-è-mia-non-la-toccare”) e poi le si avvicinò con aria ammiccante.
Io entrai in salotto guardandomi in giro. Alle feste, di solito, emergeva il mio lato timido e introverso, che mi portava a parlare sempre con lo stesso gruppo di amici. Ma stavolta avevo una missione da compiere. Per cui andai a un tavolo ricolmo di birre e ne afferrai una; la sbattei con forza contro il bordo, facendo saltare via il tappo. Poi me la scolai tutta d’un sorso. Meglio essere ubriachi che lucidi, in questi casi.
    Una ragazza bionda mi si avvicinò. «Fico, quello» mi disse sorridendo. Aveva un bel sorriso.
    «Cosa, questo?» le domandai con aria strafottente, aprendone un’altra. Gliela porsi.
    «Che gentile», mi disse, prendendola. Iniziò a bere.
    Mi appoggiai con i gomiti sul tavolo e la osservai. Viso un po’ lungo, caricato di trucco, un corpo niente male. Poteva anche sembrare attraente agli occhi dei miei amici, anche se non ai miei. Se me la giocavo bene, poteva diventare la mia arma di vendetta.
    «E una signora viene a una festa senza compagnia?» esordii, sorridendo.
    Lei smise di bere e mi guardò. «Non credo di essere una signora, sai?» disse maliziosa.
    «E io non credo di essere un signore». Sorrisi, mostrando i miei denti lucidati per l’occasione, lanciandole uno sguardo dei miei.         Evidentemente la colpii, perché rimase interdetta per un secondo; poi sbatté le ciglia con fare civettuolo. «Però, non male per un ragazzino» mi disse.
    «Lo prendo per un complimento». Era evidente che era un po’ più grande di me, minimo quindici anni, ma un po’ per l’alcool, un po’ per la mia calamita, avvicinò il mio viso al mio e mi baciò con trasporto. Ricambiai subito, mettendole le mani in vita. Restammo avvinghiati così per un po’. Con la coda dell’occhio vidi Sal, di nuovo alla carica dopo l’evidente rifiuto della brunetta, farmi l’occhiolino.
    La ragazza si staccò da me. «Vado a dire alle mie amiche che starò via per un po’» mi disse leziosamente.
All’improvviso mi salì un nodo alla gola. Che cosa voleva fare quella ragazza che l’avrebbe allontanata dalle sue amiche? Una parte del mio cervello lo sapeva, e quella parte gridava “No! io amo Meredith!”. L’altra parte, invece, quella annebbiata dall’alcool, diceva “Ben le sta”.
    Stavo per ascoltare la mia parte ragionevole e dire alla sconosciuta che col cavolo mi avrebbe portato a letto, quando entrò lei.
    Fu l’inizio della fine.
    Vidi la mano di Billy sulla sua spalla, che appena mi vide ghignò malvagiamente e la fece scivolare sulla vita. Vidi la bocca di Meredith schiudersi in una risata civettuola. Vidi i suoi occhi incontrare i miei e diventare glacialmente freddi.
    A quel punto afferrai la bottiglia lasciata dalla bionda, iniziai a bere senza staccare gli occhi da Meredith e, una volta scolata tutta, le sorrisi e dissi alla ragazza «Va’ pure, ti aspetto qui. Vado anch’io a salutare una mia amica».
    Quella, forse un po’ stranita dal mio prolungato silenzio, riprese l’aria provocante e se ne andò ancheggiando. Cazzo, come possono essere stupide le ragazze. Vidi il viso di Sal occhieggiare verso di me. Gli feci un cenno per fargli sapere che andava bene. Col cavolo.
Meredith e Billy entrarono appiccicati uno all’altra, stretti come la cozza allo scoglio. Solo che lei era tutt’altro che una cozza: vestita a festa era ancora più bella del solito. La guardavo sussurrargli chissà cosa all’orecchio. A quel punto, la parte ragionevole del mio cervello venne oscurata dall’alcool e mi avvicinai alla mia –ex– ragazza.
    «Ehilà» la salutai, barcollando un po’.
    Lei mi annusò e strizzò il naso. «Bleah, puzzi di alcool da un miglio di distanza». Billy ridacchiò a quella battuta del cavolo vecchia come il mondo.
    In quel momento mi venne voglia di dargli un pugno, ma mi trattenni. «Senti un po’, com’è esattamente che mi hai lasciato? Non me lo ricordo».
    «Johnny, non fare il melodrammatico» sbuffò. «Semplicemente mi sono stufata».
    «E aggiungerei che ha scelto il meglio» sogghignò Billy, stringendo la presa.
    La mia vista divenne totalmente rossa. Non sentivo più niente. Ero diventato un toro da corrida e con una forza pari a un treno mi scagliai contro di lui.
    Riuscii a vedere la sua faccia spaventata prima che Sal e un altro ragazzo mi bloccassero per le braccia. «Ehi, Jo, sta’ calmo», mi ammonì Sal. Io ringhiai per tutta risposta.
    «Cornuto!» mi urlò Billy.
    «Fottutissimo bastardo!» gridai di rimando, tentando di liberarmi. Ma la presa era salda e io ero ubriaco.
    «Non sei l’unico ad avermi lasciata, stronzo!» mi disse Meredith gelida.
    La guardai furibondo, poi mi ghiacciai. La mia vendetta si era rivoltata contro di me.
    Vaffanculo.
    In un impeto di rabbia mi liberai dei miei pesi e mi voltai verso un’altra stanza. Non dovevo sembrare proprio fico in quell’istante ma avevo perso, ed ero abbastanza cosciente da capirlo.
    Non abbastanza per frenarmi, però.
    Cercai e raggiunsi la biondina, che si era fermata in cucina a chiacchierare con un branco di oche starnazzanti che lei chiamava amiche. Quando mi videro arrivare mi additarono e lanciarono risolini. Ma andate a quel paese tutte quante.
    «Spero che tu non abbia cambiato idea» le sussurrai all’orecchio, una volta avvicinatomi, con il tono più suadente possibile. Ero alto quanto lei.
    Forse lei non se lo aspettava. Trasalì, poi sorrise maliziosa, scosse la testa intontendomi con il suo profumo troppo forte e banale e stringendomi la mano.
    Mi guidò di sopra, verso le stanze da letto. Entrammo dalla prima porta che trovammo e, avvinghiati, ci buttammo sul letto.
    Non capivo niente, ma sentivo tutto. Rabbia, frustrazione, ma soprattutto l’odio.
    Per Billy che mi aveva fottuto la ragazza.
    Per Meredith che mi aveva tradito.
    Per me, perché ero così dannatamente infernalico.

    Scesi quando la festa era quasi finita, barcollando, appena vagamente cosciente di quello che avevo combinato. Cercai Sal con lo sguardo e lo trovai a limonare con la brunetta che prima l’aveva scansato. Mi avvicinai a lui.
    «Sal» mormorai. Non avevo idea che la mia voce suonasse così scossa e impastata.
    Lui si girò di malavoglia e mi guardò, poi cambiò subito espressione. «Che ti è successo?» mi chiese, spaventato.
    «Non mi sento molto bene», gli risposi, ed era vero. Stavo per vomitare.
    Mi appoggiò a sé e mi trascinò fuori, in giardino. «Ecco, fai pure qui».
    Stavo per dargli ascolto quando vidi Meredith e Billy baciarsi in un angolo. Ricordai cosa avevo appena fatto e mi venne un conato, che rigettai indietro. Non l’avrei mai fatto davanti a loro. «Qui no» borbottai, e Sal, da buon amico che era, capì e mi portò via.
    Vomitai in un angolo della strada. Poi stramazzai a terra e Sal si stese vicino a me.
    «Scusa se ho mandato a puttane la tua serata» gli dissi, mortificato.
    «Sciocchezze. Sai quante ne trovo così» mi liquidò con un sorriso.
    Lo guardai e sorrisi anch’io. Poi sentii i miei occhi inaspettatamente umidi e mi lasciai andare a un pianto silenzioso. Vidi il viso di Sal trasformarsi in una maschera di paura. «Ho fatto un casino, Sal» singhiozzai, abbandonando la testa sulla sua spalla.
    Non so come, ma lui capì. L’aveva fatto sempre. Non disse niente, non mi toccò, mi lasciò sfogare. Piansi per tante cose. Per il nonno, per Meredith, per la biondina nella stanza da letto, ma soprattutto per me.

*


*

    «Hai visto quello quanto è fico?».
    «Ha dei muscoli da paura».
    Bah. Una banda di ragazzine che mi osservava mentre pulivo i vetri di una fottutissima decappottabile. Chissà quante vagonate di soldi aveva il tizio che era appena sceso a prendersi un pacchetto di sigarette e la ragazza con gli occhiali scuri che si stava rifacendo il trucco, sul sedile del passeggero.
    Non avrei esposto i miei muscoli se quel giorno non avesse fatto così caldo. Avevo solo una canottiera bianca, il tatuaggio del cherokee sul mio bicipite ben visibile alla luce del sole.
    Ripensai a quel tatuaggio. Me l’ero fatto poco dopo che i miei si lasciassero e poco prima di andare a vivere nell’Impala di Sal.     Ricordai il lavoro nei nightclub in Florida, dei fermi per risse. Del primo ingaggio con la nostra band, il nome opportunamente cambiato in The Kids. Serate da poco, per cui guadagnavo quello che potevo con dei lavoretti in giro. Quel mese era toccato alla pompa di benzina dell’angolo.
    Quando tornai in me, notai che anche la ragazza della macchina mi stava fissando da sotto gli occhiali scuri. Maledissi la mia calamita. Non l’avevo mai chiesta e non la avrei mai voluta.
    «Non sei tanto male, sai?» si complimentò quella con la voce maliziosa, abbassando gli occhiali. Begli occhi azzurri, ma non facevano per me.
    «Grazie, ma faccio questo lavoro da poco. Non credo di essere così bravo a pulire i vetri» le sorrisi educatamente. Lei rise in modo schifosamente falso.
    «Senti, che ne diresti di passare da me più tardi? Alloggio al…»
    «Forse non hai colto la mia sottile allusione a tagliarla corto» le sorrisi di nuovo, ma molto più freddamente. Lei si immobilizzò, stupita dal mio rifiuto. Mi girai per posare lo straccio quando mi sentii palpare il sedere. Mi girai di scatto, incazzato come una bestia, e vidi quella ragazza ridacchiare sotto i baffi. Mi affacciai verso di lei, posando le mani sulla portiera. «Forse non ci siamo capiti» le soffiai con voce tanto minacciosa che si spostò lievemente di lato, forse un po’ spaventata. Odiavo ricorrere a quei mezzi, ma odiavo anche essere preso per il culo così, letteralmente e metaforicamente.
    «Qualche problema, amico?» disse una voce da dietro le mie spalle. Alzai gli occhi al cielo. Non ci voleva molto per capire che il ricco stronzetto con il suo pacchetto di sigarette era arrivato a fare la sua figura da fico. Beh, con me aveva fatto male i conti.
    «Questo ragazzo mi sta importunando, amore» disse la ragazza. Spalancai gli occhi, sorpreso dalla falsità di quella puttanella.
    Quello mi mise una mano sulla spalla per convincermi ad allontanarmi. «Vattene, se non vuoi che chiamo la polizia».
    Lo guardai. Guardai la sua espressione strafottente, la sigaretta a fior di labbra, la sua decappottabile nuova fiammante, la sua mano sulla mia spalla.
    Lo guardai e gli sorrisi.
    Poi gli tirai un pugno che lo fece finire per terra. La ragazza alle mie spalle strillò. Lo afferrai di peso e lo buttai sui sedili posteriori.     «Se hai dei problemi con la tua ragazza dovresti chiedere spiegazioni a lei» gli dissi infuriato, poi lo mollai. Mi stavo allontanando verso la pompa di benzina, lasciando i due ricchi fidanzati stronzi, le civette dietro di me e il cliente che veniva dietro sbalorditi, quando mi ricordai di un’altra cosa. Mi girai verso di lui e lo schernii «E imparati l’inglese, stronzo».

    I poliziotti mi scortarono verso l’uscita, dove mi aspettava un esasperato Sal.
    «Scusa» abbozzai con un sorriso mentre mi toglievano le manette. «Incidenti sul lavoro».
    «Forse allora dovresti smettere di lavorare» sbuffò Sal, mentre uscivamo.
    «E da dove cazzo li prendiamo i soldi?».
    «Non è che spendendoli in cauzioni li usiamo al meglio». Risi, ma lui mi fulminò con un’occhiata. «Cazzo, Johnny, credevo che avessi smesso di essere un diavolo».
    «Ma io sono infernalico» scherzai, non senza una certa amarezza. L’odio verso me stesso non si era affievolito, nonostante gli anni.
    Notai un movimento di lato e vidi un uomo dall’aria familiare alzarsi da una panchine venirci incontro. «Tu sei quello che ha picchiato quell’uomo in decappottabile, vero?» mi sorrise.
    «Le assicuro che non ne va orgoglioso» soffiò Sal con una scrollata di spalle, poi mi guardò per una conferma. Ma io ero troppo occupato a spalancare la bocca per rispondere.
    «Tu… tu sei Jerry Harrison, il chitarrista dei Talking Heads» dissi tutto d’un fiato.
    Sal si voltò a guardarlo e spalancò gli occhi accorgendosene. Harrison rise. «Sì, sono io» ci disse. «Anch’io vi ho già visti: voi siete dei Kids, vero?».
    Noi annuimmo, incapaci di parlare.
    «Vi ho ascoltato in un nightclub da queste parti, qualche giorno fa. Volevo parlarvi dopo la serata, ma eravate già spariti. Non siete male e vi vorrei presentare al resto della band». Poi aggiunse, forse vedendo che non capivamo, le facce ancora sconvolte «Sapete, per aprire i concerti».
    A quel punto fu troppo. Mi misi a gridare e abbracciai Sal. Poi strinsi la mano di Harrison con un tale entusiasmo che credevo di staccargliela. «Grazie, signore, grazie davvero!» farfugliavo a voce alta. Quello rise di nuovo.
    «Ringrazia te stesso, figliolo. Se non avessi ammazzato di botte quel tipo non ti avrei mai riconosciuto. Anche se tu non sei uno che passa inosservato, non sei niente male» mi prese in giro.
    Ma io ero troppo felice per prendermela. Anzi, la frase “non sei niente male” non mi fu mai più gradita come allora.

*


*

    Quello fu l’inizio.
    I The Kids aprirono e fecero da spalla ai concerti dei Talking Heads, poi vennero presi anche dai B52s e da Iggy Pop, l’idolo di Johnny. In più, riuscirono a suonare con Billy Idol dopo essersi trasferiti a Los Angeles.
Il gruppo ebbe un discreto successo regionale, ma non riuscirono a sfondare del tutto, e Johnny si arrangiò sempre con dei lavoretti qua e là.
    Venne sempre riconosciuto e amato dalle ragazze per il suo bell’aspetto e la sua calamita, ma imparò a sopportare con più pazienza e non ci furono altri fermi.
    Per Johnny era finito il tempo di essere infernalico.

*

    Salve!
    Con questa mia storia voglio provare a riesaminare la vita del mio idolo, Johnny Depp, sotto un’altra prospettiva.
    Uomo tormentato, talentuoso e dannatamente bello, Johnny ha passato molti guai nella sua vita.
    E io ho voluto ficcare il naso e romanzarne alcuni.
    Questo, in particolare, si basa sulla sua dichiarazione di aver perso la verginità a tredici anni. L’accenno al nome dei Flame è vero, ma non sono sicura che la prima volta di Johnny andò così.
    Anche il suo essere infernalico è vero. Sua madre, da piccolo, lo chiamava hellion, che ho tradotto in questo modo dopo una notte insonne. Se volete usarlo dovete chiedere il permesso, perché c’è il copyright.
    Non sono neanche sicura che abbia ottenuto così un provino per i Talking Heads né che furono il primo gruppo con cui suonarono. Non credo che con la sua enorme timidezza abbia davvero esultato così davanti a loro.
    Il tatuaggio cherokee fu il primo che si fece e che mostrò anche a sua madre; lo scelse per il suo legame con gli indiani.
    Christie è davvero sua sorella ed è davvero stata sua consigliera e amica. Credo che non sarebbe mai sopravvissuto senza di lei.
    Dedico questo capitolo a lui per primo, poi a Sal, il suo amico di sempre. Non so se sono ancora in contatto ma credo proprio di sì. Inoltre a suo nonno, che lo protegge sempre da lassù, e alla sua famiglia. Infine a Wikipedia, inesauribile fonte di informazioni, e a johnnydepp.forumfree.net per le meravigliose foto del grande Johnny.
    Se vorreste onorarmi con un commento dedicherò questo capitolo anche a voi.
    Il prossimo toccherà l’adolescenza del Mito e a quel grande attore che lo presentò al mondo sotto le vesti del genio che si nascondevano in lui.
A presto, Emmawh
  
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