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Autore: fumoemiele    22/05/2019    3 recensioni
[Bandersnatch] [Stefan/Colin] [AU]
1984 - Inghilterra.
Stefan ha terminato la programmazione del suo videogioco interattivo, è pronto a presentarlo. Si sente ancora distante anni luce dal talento di Colin, che di videogames ormai ne ha sfornati un bel po'. Colin è tutto quello che Stefan vorrebbe essere: sicuro di sé, originale, geniale. Forse per questo quando Colin gli propone di seguirlo Stefan non può rifiutare. Non sa quanto l'unione di due menti folli possa causare disastri e aumentare i tormenti. Sarà convinto per un po' di starci bene, con Colin, finché non si renderà conto che quella che stanno percorrendo è soltanto la strada verso la follia.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Love on a real train
3
 
 
 
               
I nove piani che dovettero percorrere a piedi non furono piacevoli tanto quanto la fuga dalla presentazione dei videogames. A Stefan pareva piuttosto assurdo che, con lo stipendio che ricavava Colin, non potesse acquistare un appartamento dotato di un ascensore, tuttavia sapeva quanto l’altro fosse sopra le righe, quindi non se ne preoccupò troppo e arrivò all’ultimo piano con il fiatone.
Dell’appartamento di Colin lo colpì la lampada psichedelica blu, ferma sul comodino. Delle bolle di diverse dimensioni galleggiavano fluorescenti, occupandogli la vista intorpidita dalla stanchezza. Era stata una giornata pesante da sopportare, circondato da troppi esseri umani e non nella bolla sicura che era la sua camera, quella in cui si era rinchiuso per mesi con lo scopo di lavorare al progetto.
Si accovacciò sulle ginocchia per osservare la lampada. Un frammento della vita di Colin. In quell’appartamento gli sembrava di vederci la sua vita nascosta sotto alcuni astuti indizi, sciocchi inganni.
«Mi stavi parlando del glifo», disse Colin, scacciando via il silenzio che si era andato a formare, sopprimendo i sospiri dovuti al salire tutti quei piani di fretta. Gli indicò un pezzo di carta e una penna dall’inchiostro blu, poste sul tavolino di fronte al divano su cui aveva lasciato cadere pesantemente la schiena.
«Non c’è nulla di strano, in questo disegno», cercò di spiegarsi Stefan, prendendo posto di fronte a lui per afferrare la penna fra le dita sottili e tracciare quattro linee dritte sulla carta bianca.
«Ti ricordo che lo scrittore di Bandersnatch ha decapitato la moglie e ha tappezzato le pareti con quel coso», commentò l’altro, schietto. Curioso di capirci qualcosa, di quella faccenda, perché lo stuzzicava terribilmente.
«Rappresenta la scelta binaria», proseguì, nel tentativo di riassumergli tutto in modo chiaro e coinciso. «Qualsiasi scelta ha delle conseguenze, e sono sempre due. Serpeggiano come radici. Quando Davies decideva le varie possibilità, i vari finali del libro, lo disegnava continuamente per schematizzarle. In maniera involontaria, mentre programmavo le scelte del videogioco, ho iniziato a disegnarlo anche io per avere un quadro ordinato. Credo gli sia entrato in testa per questo… lo disegnava continuamente e senza rendersene conto, per dividere tutto in scelte».
Colin si avvicinò una canna alle labbra, ascoltando le parole di Stefan con attenzione, scrutando i dettagli del suo volto annebbiati dalla stanchezza, dal buio troppo scuro che brillava all’esterno dell’appartamento, all’esterno di quelle vite che si addentravano in un vicoletto altrettanto spinoso e macabro.
Stefan scrisse alcune parole intorno al glifo. Aveva creato un gioco intero basato su quelle scelte e in quel momento non riusciva a venirgliene in mente nemmeno una.


 
Vuoi andare avanti?
|
_____
|             |
Sì         
 No

«Non è nient’altro che questo: una scelta binaria», spiegò, girando il foglio dall’altro lato per mostrarglielo.
Colin annuì. «Chiaro», disse, «ma mi sembra troppo semplice e riduttivo. Andiamo… quel tizio si è-»
«Sì, me lo hai già detto, ha decapitato sua moglie e si è ucciso», sospirò Stefan. «Volevi sapere cosa ne pensassi del glifo… beh, non c'è nient'altro da dire».
L’altro sorrise, di sbieco, aspirando un paio di tiri dall’ennesima canna accesa quella sera. Si sollevò per infilare un vinile nel giradischi, adagiandogli con calma la puntina sopra per farlo partire.
«La musica aiuta un sacco, a programmare, sai?».
Stefan annuì, anche se non ascoltava molta musica quando lavorava. Preferiva farlo sugli autobus in viaggio, o quando camminava da solo per le strade londinesi, alla ricerca di un silenzio mentale che il traffico e lo smog non potevano dargli.
«Vuoi fumare?», chiese poi, cercando di trovare un argomento qualsiasi da affrontare, per sentirsi più tranquillo. Non era molto socievole ed era strano che avesse invitato a casa sua un altro essere umano. Preferiva evitare ogni contatto, rimanere da solo con i suoi casini e i suoi tormenti. Eppure quando aveva visto Stefan in difficoltà gli era parso di rivedere se stesso agli inizi, e gli era sembrato impellente il desiderio di aiutarlo, sebbene non sapesse nemmeno in che modo.
A Stefan venne spontaneo guardare il foglietto lasciato marcire sul tavolo, le due linee che rappresentavano le scelte. Poteva accettare o rifiutare ed entrambe le cose avrebbero portato delle conseguenze. Non era lui a dettarle come nel videogioco, eppure gli apparivano schematiche allo stesso modo.
Sollevò un braccio, sebbene la sua mente gli dicesse di evitarlo. Si sentiva già troppo su di giri e non riusciva a stare calmo, le sue gambe continuavano a tremare per l’emozione e l’adrenalina dovuta a tutti gli avvenimenti di quella serata. Non era solo stare con Colin, era tutta la carica che sentiva addosso, dovuta alla riuscita del progetto a cui aveva lavorato per quei lunghi mesi. Si sentiva felice per la prima volta, nella sua vita, e sentiva di meritarsi un po’ di spensieratezza. Con Colin era come se tutto il resto fosse sparito. C’erano solo loro due e una camera piena di quadri astratti e difficili da capire. Accettò di fumare da quella canna, tenendola insicuro fra le dita, aspirando qualche tiro senza fretta per evitare di strozzarsi e fare brutte figure. L’erba gli bruciò la gola, e dopo un paio di tiri trattenuti a lungo nei polmoni mai intaccati dal fumo gli sembrò di sentire la testa più leggera, la vista più chiara e nitida. Ogni volta che si fermava a fissarlo imparava nuovi dettagli del suo volto, così diverso da come appariva nelle foto che aveva guardato, sui giornali, mentre si documentava sull’autore di molti dei suoi giochi preferiti usciti in quegli ultimi anni. Non avrebbe mai pensato, prima di Bandersnatch, di ritrovarsi nell’appartamento di Colin Ritman, a fumarci come se fossero vecchi amici, sopprimendo il disagio dovuto al conoscersi, all’interagire.
Parlarono del più e del meno, di complotti e di realtà, e mentre il fumo gli occupava i polmoni e li lasciava marcire, li riempiva di buio amaro, avevano iniziato a conoscersi e a prendere consapevolezza di ciò che erano, di ciò che sentivano; di quella solitudine che, rimanendo lì, insieme, sembrava esser sfumata via per dar posto a un sentimento nuovo quanto inspiegabile.
Fu allora che Colin si sollevò per l’ennesima volta dal divano scomodo, rovistò fra i libri abbandonati sulle mensole e tornò da Stefan tenendo in mano un volume non troppo spesso. Di certo non aveva la quantità di pagine del libro di Bandersnatch. Eppure Stefan sentì subito che quel dannato rettangolo di segreti ne conteneva anche troppi.
“Vuoi prenderlo, Stefan? Sì o no?”, pensò, sbattendo le palpebre, lasciando che le ciglia gli proiettassero lugubri ombre sugli zigomi scarni. “No”, pensò, però la sua mano si mosse lo stesso e raggiunse la copertina. Un occhio che gli parve vivo, capace di scrutarlo pur essendo solo un disegno stampato su una carta rossa, iniziò a fissarlo con uno scintillio macabro nella pupilla nera quanto la pece. Stefan si sentì guardare dentro, come se fra quelle pagine ci fosse nascosto qualcosa; magari il segreto occultato di ogni male.
«Che cos’è?», chiese, come se non avesse mai tenuto fra le mani un libro. Sulla copertina rosso sangue, sopra l’occhio cupo, erano stampate alcune scritte. Colin non rispose con nulla capace di soddisfare quella sua curiosità, ripeté solo ciò che era già stampato a grandi caratteri sulla copertina.
«1984, di George Orwell».
«Sì, beh, questo posso leggerlo anch’io», commentò l’altro, «e allora?».
«Credo si stia avverando quello che c’è scritto sopra, credo stia arrivando un periodo troppo buio per Londra».
Stefan aggrottò le sopracciglia. «Spiegati meglio».
«Siamo controllati», trattene a stento un sorriso; adorava i complotti e quello era il suo preferito. «Ci fissano sempre, Butler, ogni istante della nostra vita siamo ripresi, probabilmente da quegli aggeggi infernali chiamati “televisori”».
«Per questo non ne hai uno?», chiese, guardandosi intorno per confermare quella teoria.
Colin annuì. «Sai qual è il lato peggiore? Non possiamo ribellarci perché è tutto nascosto. La gente si indignerebbe, se sapesse. O forse sanno, ma non parlano perché hanno paura di cosa potrebbe succedere. Chiunque si sia ribellato è finito morto, magari fucilato. Sparisce un sacco di gente e non se ne sa nulla. Ti sei mai chiesto il perché?».
Stefan scosse il capo.
«Te lo presto, leggilo», continuò. «Ti cambierà la vita, fidati».
Gliela cambiò davvero. 


                   


Assurdo, ma sì, sono finalmente riuscita ad aggiornare questa storia e devo anche ammettere che il capitolo, sebbene sia piuttosto breve rispetto a quelli a cui sono abituata, mi piace anche. 
L'idea di collegare il tutto a 1984 di Orwell è venuta fuori mentre lo leggevo, qualche mese fa; calzava a pennello perché Bandersnatch è ambientato proprio nel 1984, e con un soggetto come Colin il complotto era parcheggiato dietro l'angolo.
Mi ha fatta non poco sclerare il glifo, perché fatto con i segni della tastiera è terribile, ma sono troppo pigra per disegnarvelo lol 
Grazie per essere arrivati fino a qui! Alla prossima <3 
 

 

   
 
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