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Autore: Calipso19    23/05/2019    0 recensioni
Un viaggio infinito che racconta l'ormai leggenda di un mito troppo grande per una vita sola. Una storia vissuta sulle ali della musica, respinta dalla razionalità umana, colpevole solo d'essere troppo anomala in una civiltà che si dirige alla deriva. La rivisitazione di un esempio da seguire.
( Capitolo 4 modificato in data 14 marzo 2016)
Dalla storia:
- Sono cambiate tantissime cose da quando guardavamo le stelle nel guardino a Gary.
- E ne cambieranno altrettante Mike. Se fra quarant'anni saremo ancora insieme te ne accorgerai.
Insieme.
Michael ripetè nella mente quella parola più volte, come una lezione da imparare, e concluse quel bellissimo quadro con un sorriso.
- Certo che saremo ancora insieme, non dire sciocchezze.
- Ci credi davvero Michael? - lei lo guardò con occhi seri e sinceri. - Le persone attorno a te arrivano e se ne vanno come niente.
- Certo che lo credo, anche se non so dirti in che modo. E dovresti crederci anche tu Jackie, avere un po’ più di fiducia.
Abbassò gli occhi per vedere le proprie mani cingere la vita di Jackie, scorse una piccola macchia di pelle bianca sul polso.
Chissà quanto ancora si sarebbe allargata.
Tutto cambiava, senza sosta.
Genere: Avventura, Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Michael Jackson, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Salve, quanto tempo. Due brevi parole prima di iniziare: questa storia ha quasi dieci anni ormai, continuo a postarla per quei pochissimi che avranno piacere a leggerla. Grazie al cielo col tempo la scrittura è un pò migliorata, ma questo potrete notarlo fra qualche capitolo. Grazie a tutti quelli che leggono nonostante gli anni passati. Personalmente, lo devo a Michael, la cui ispirazione non trarrà decadenza dal tempo. Buona lettura!

 
Non camminare dietro a me, potrei non condurti. Non camminarmi davanti, potrei non seguirti. Cammina soltanto accanto a me e sii mio amico.

U.S.A. Los Angeles
Motown 25, Yesterday, Today and Forever
13 marzo 1983, alla fine del sogno e all'inizio di un altro


- Potrei rubarti un secondo, Michael Jackson?

- C-Certamente Mr. Mitcheel.

Non aveva idea di dove aveva potuto trovare la forza per rispondergli.
Era emozionantissimo e il respiro gli mancava: avere davanti il suo mito, l'uomo che aveva sempre stimato, uno dei suoi cantanti preferiti, era una sensazione eccezionale.
Con la poca lucidità che gli rimaneva, pensò che anche se Coleman Mitcheel era l'apice di tutte le celebrità, era pur sempre un uomo. Come tutti.
Ed essendo lui stesso famoso e ricercato, conosceva perfettamente la sensazione di essere guardati con adorazione.
E non era affare di completo gradimento neppure per lui.
Figuriamoci per Coleman James Mitcheel.

Quindi, per rispetto, tentò di frenare l'emozione e abbandonò almeno in parte la sua espressione sorpresa.
Tuttavia, i suoi occhi non potevano che mostrare la crescente curiosità di sapere il motivo di quell'incontro così bizzarro.
Jackie si ritirò in disparte, perché sapeva di non contare nulla, e si allontanò di un passo con la testa bassa rivolta verso l'uomo più anziano, in segno di profondo rispetto.

Dall'alto della sua statura, Coleman guardava il giovane con grande interesse.
Stentava a credere che quel viso timido appartenesse alla stessa persona che era salita sul palco qualche decina di minuti prima.
Le gote arrossite lo divertirono ancor di più, e la sua bocca si aprì in un sorriso appena accennato.

- Ci tenevo solamente a dirti che la tua esibizione mi è piaciuta molto. Hai una buona tecnica, e il tuo stile è interessante. - La sua voce burbera si addolcì in modo appena percettibile.

Un fulmine avrebbe fatto minor effetto?
Mai si era sognato di ricevere tali complimenti da tale mito musicale.
Tutto ciò lo mandò in uno stato di esplosione mentale, un delirio assoluto misto a emozioni e gioia che fortunatamente riuscì a contenere, troppo emozionato per esplodere in una danza di gioia frenetica.
Così sollevò solamente lo sguardo, mostrando gli occhi lucidi e splendenti di una luce nuova di pura felicità, e regalò al famosissimo artista la più bella delle sue espressioni estasiate.

- La ringrazio infinitamente Mr. Mitcheel. - disse solamente, mentre Coleman lo guardava piacevolmente colpito.

Dal buio dell'angolo dove si era rifugiata, Jackie osservava a bocca aperta, felice come una pasqua.
Seguì un attimo di silenzio generale, e in quel momento i due artisti si guardarono dritto negli occhi con tale intensità che Michael rimase stupito ancor più di quanto lo fosse già.
Coleman si sistemò una manica della giacca, come se quel gesto apparentemente spontaneo potesse far cadere il discorso e sviare tutta quell'emozione.

- Bene. Meglio che ritorni da mia moglie. Non vedo l'ora di sentire le tue prossime opere, Michael Jackson. - disse dandogli del "tu" ma mantenendo un atteggiamento distaccato.

Michael annuì e l'uomo, dopo aver mandato un cenno di cortese saluto a Jackie, si congedò e sparì.
Come un sogno.
E per un attimo regnò il silenzio.
Poi, scattando come una molla dalla sua posizione, Jackie si riscosse dallo stato di stupore e meraviglia nel quale era caduta e raggiunse Michael, ancora in trance, strattonandolo per un braccio.

- Mike! Oh Mike, non ci posso credere! - strillò a bassa voce per non farsi sentire.

- Nemmeno io. - Rispose lui con voce piatta. - Anzi, se devo essere sincero, non credo nemmeno che sia successo.

- E' successo, è successo. - confermò Jackie, sorridente. - Hai avuto la prova definitiva di essere stato grandioso.

Michael sorrise, e l'eccitazione rientrò in lui come una sorsata di acqua fresca.

- Eh già - disse incredulo. - Ha detto che gli è piaciuto… Bene! Mia cara, preparati che credo che mi rimetterò subito a lavorare su un nuovo album!

Coleman, che non se n'era andato per davvero ma si era nascosto, udì le loro giovani risate e sorrise spontaneamente.

Sapevo che saresti arrivato, pensò commosso. Sei tu l'artista che ho sempre aspettato. Sei tu che diventerai il re incontrastato della storia della musica.

Dio, se Michael avesse ascoltato le sue parole…
Dal canto suo, per tutta la sera il giovane uomo non pensò ad altro che a quel breve ma intensissimo colloquio, e persino gli abbracci di Berry e Diana passarono in secondo piano.

- Che rimanga fra noi, ma fra tutti gli artisti che si sono esibiti qui stasera tu sei senz'altro il migliore.

- Grazie infinite Berry.

- Sono orgoglioso di come sei diventato ragazzo, e cosa non darei per lavorare ancora con te.

Dopo aver detto quella sincera ma dolorosa frase, l'uomo più anziano si scostò per far passare Diana, che gli buttò le braccia al collo e il povero Michael non poté far altro che farsi abbracciare e baciare, e ricambiare a sua volta, commosso.

- Oh Mickey, sono così fiera di te.

Poche parole ma di grande effetto.
Michael la guardò negli occhi e pensò che mai avrebbe smesso di amare quella donna tanto speciale.
Gli aveva dato così tanto, aveva abitato insieme a lei, e gli era sempre stata accanto in ogni difficoltà.
Con gli occhi lucidi e senza dire una parola, le prese la mano e gliela baciò riconoscente.
A volte, mille bellissime parole sono insignificanti rispetto a un piccolo ma fondamentale gesto d'amore.

---


Los Angeles, da qualche parte a Roscoe
Blue Rose Street, 17
Aprile 1983


Era passato un pò di tempo da quella serata, ma Michael aveva ancora in mente ciò che gli aveva detto il grande Mitcheel, e da subito era rientrato nel tram del lavoro e dell'impegno, quel mezzo incontrastato che non si ferma mai.
Nuove canzoni avevano cominciato a vorticare nella sua testa, e preso più che mai da queste nuove folli idee, abbandonò tutto e tutti, compresa Jackie, che ne approfittò per badare a sè stessa.

L'omicidio di sua madre, Anna Foster, era ritornato nei suoi pensieri, e la voglia di sapere, di scoprire cosa ci fosse dietro quel vecchissimo episodio era diventata quasi un bisogno, un obbligo irrimandabile.
Aveva chiesto a Luca tramite posta di mandarle quanto più materiale poteva, e lui l'aveva accontentata senza fare storie dato che, come lei, voleva dare un volto all'assassino della donna che lo aveva dato alla luce.
Il primo pacco era arrivato da pochi giorni, e solo dopo accurate pause di riflessione Jackie si era decisa ad aprirlo.
Straripava di fotocopie, videocassette e altro materiale di diverso genere, e con pazienza Jackie esaminò uno ad uno quei documenti.

C'erano le copie dei giornali usciti quel fatidico 13 novembre 1961, un giorno così lontano ma, allo stesso tempo, così significativo che pareva esser molto più recente.
Jackie all'epoca aveva solo tre anni e faticava a ricordare, ma alcuni frammenti di esistenza sconvolta le erano rimasti bene impressi in testa.
Quei ricordi terribili che l'avevano segnata non potevano sparire.
Come i botti dietro di lei mentre scappava, il terrore provato nel sentire quell'uomo che la inseguiva, e lo sguardo disperato della madre che la fissava con intensità, pregandola di andare via.
Ecco.
Quegli occhi l'avevano colpita più di ogni altra cosa, persino più del corpo macerato e sanguinante bloccato contro il muro di mattoni.
Quegli occhi della stessa tonalità dei suoi, che in quel lontano momento le erano sembrati in un oceano di lacrime di sangue, due pietre di smeraldo immerse nel fuoco.

Asciugandosi le lacrime che ogni tanto le sgorgavano dagli occhi tristi vinti dalla malinconia, Jackie continuò la sua ricerca.
Da quei documenti scoprì che le indagini, non avendo avuto alcuna svolta positiva o negativa, erano state sospese il 30 Aprile 1961, e nessuno aveva più parlato di quel caso.
Lesse le lettere di protesta mandate da nonno Andrew alle autorità, ma che evidentemente non erano servite a nulla.
Alcune, risalenti agli anni successivi, richiedevano l'affidamento totale di tale Jacqueline Annie Foster, per toglierla dalle mani del padre residente negli USA, ma evidentemente anche quelle erano state ammassate e dimenticate.

E così, non era stata fatta alcuna giustizia sulla morte della povera Anna, e nessuno si era più curato di cercare una risposta, o dare un nome al volto dell'assassino.
Oh quanta crudeltà!
Tutta quella indifferenza la faceva soffrire, e si scoprì a piangere stesa sul tappeto del soggiorno.

Sono proprio una stupida, si disse quando ormai la tela sotto di lei era zuppa di lacrime. Invece di starmene qui a piangermi addosso devo reagire e scoprire da sola chi ha ucciso mia madre!

Jackie era determinata.
Nel pacco c'era anche un vecchissimo diario dalla copertina di cuoio, che si scoprì essere una vecchia agenda di zia Caterina.
Era piena di note superflue e insignificanti, come liste della spesa, annotazioni di appuntamenti e visite mediche, ma Jackie gli diede un'occhiata lo stesso.
In alcune pagine, che risalivano come data al 1960 e 1961, vi erano piccoli riquadri colorati di nero.
Frasi come "Oggi George mancato all'appuntamento per il compleanno di Luca ", "George fa piangere Anna", "George partito per l'America senza avvertire"  e mille altre di questo genere riempivano numerose le pagine ingiallite.

Da quegli scritti Jackie capì che nei mesi dopo la sua nascita il padre non era stato molto presente e, quando lo era stato, combinava qualche guaio o litigava con sua madre.
Perché?
Non lo sapeva, ma conoscendo il carattere burbero e violento di George, non si stupì di sapere che anche la madre aveva difficoltà ad andarci d'accordo.
Ma allora se non si sopportavano, perché si erano sposati? E perché avevano avuto lei? E perché non si erano separati?

Anna aveva già avuto due differenti matrimoni prima di George: prima di tutti col padre di Guglielmo, Joey Gravino.
Ma era durato molto poco, e lui era ritornato in Spagna con il figlio, mantenendo però i contatti con la moglie.
E poi con Antonio Flint, allora celebre avvocato fiorentino.
Con quest'ultimo Anna doveva esser stata molto felice, perché nel pacco c'erano anche fotografie dei due coniugi assieme, nella villa o durante il loro festoso matrimonio.
Avevano sempre un espressione sorridente e secondo il diario di zia Caterina, erano una coppia perfetta e litigavano raramente, vivendo in un rapporto di sincerità e amore.
Perché si erano lasciati? Jackie rifiutava di credere che la madre avesse lasciato un così brav'uomo per stare con George.
Scoprì poi che dopo il matrimonio con suo padre, Anna e Antonio avevano continuato a frequentarsi, a detta di tutti, da buoni amici.

Ma continuava a non capire.
Che sua madre si fosse improvvisamente innamorata di George senza alcuna spiegazione? Era molto probabile, poiché lui abitava in America, e all'epoca si era recato in Italia solo per una vacanza.
Cosa lo aveva spinto a sposarsi con quella donna italiana?

L'ultimo oggetto nel pacco era una vecchissima videocassetta, così rovinata che Jackie dovette litigare un pò col il videoregistratore per vederla.
Ma poi, quando finalmente il malfunzionante aggeggio decise di fare il suo dovere, una bellissima melodia cominciò a suonare e sullo schermo apparvero le distinte ed eleganti figure in bianco e nero di Anna e Antonio, bellissimi nei loro abiti da ballo, in un'ampia stanza, che ballavano assieme ad altre coppie sulle note di Por Una Cabeza di Carlos Gardel.
Probabilmente erano a un corso di ballo.
Il tango era passionale al punto giusto, ed estremamente raffinato.
Erano così belli e così affiatati che Jackie si commosse.

Erano davvero una bellissima coppia! pensò.

Antonio era un uomo molto affascinante, dalle sopracciglia ben definite e lo sguardo deciso ma dolce.
Anna era bellissima, con i capelli ricci come quelli della figlia raccolti in una raffinata acconciatura arricchita con perline e fiori, e un abito chiaro con un fazzoletto al collo. Gli zigomi alti e il viso sempre sorridente, guardava il suo uomo con aria fiera.

Curiosa, Jackie cercò la datazione di quel video e con stupore scoprì che era stata girata nel 1959.

Ma allora io ero già nata! E mia mamma stava con George! Ma com'è possibile? si chiese con incredulità.
Come poteva Anna essersi fatta riprendere con un altro uomo in tali circostanze durante gli anni del suo matrimonio?
Era evidente che sua madre e Antonio, in quel video, era davvero innamorati.

Forse la mamma era ancora innamorata di lui anche quando era sposata con mio padre ed ero già nata io…, pensò. Dev'essere sicuramente così. Ma allora perché non ha lasciato George e non è tornata ad essere la moglie di Antonio? Avremmo vissuto tutti meglio! Anche se non capisco come questo possa centrare con l'omicidio…

La situazione era troppo confusa per essere analizzata con occhi neutrali da Jackie, che in quel momento si sentiva troppo male per continuare a pensare.
Era solo un povera disgraziata che si arrampicava sull'edera secca del passato, cercando di ritrovare i boccioli appassiti di una vita una volta fiorita.
Aveva bisogno di aiuto, così chiamò Albert, e il fratello fu subito da lei per darle l'appoggio di cui aveva bisogno.

Jackie gli fece vedere la videocassetta, e lui rimase sorpreso dal contenuto.

- Tua madre era davvero bella! - commentò. - Ma non so proprio spiegarmi il "perché" e il "per come" di tutto questo.

Si alzò dal divano blu dov'era accomodato e raggiunse Jackie ai fornelli, che stava facendo bollire il tè in una teiera azzurra.
Lo sguardo di sua sorella era triste e grigio.
Perso nel vuoto.

- Non ti abbattere dolcezza. - Cercò di rincuorarla lui. - Troveremo tutte le risposte ai nostri quesiti.

- Vorrei tanto che Luca, Fabiana e Guglielmo fossero qui. Se fossimo tutti insieme sarebbe più facile valutare la situazione. - commentò una Jackie molto sconsolata.

- C'è un oceano che vi divide. E per ora non possiamo fare altro che contare sulla corrispondenza tra noi e loro e sui nostri cervelli da spremere. La cosa migliore da fare è riflettere con calma e riordinare i pensieri.

Jackie annuì, e servì le tazze.
I due fratelli rimasero silenziosi per un pò, ognuno perso nei proprio pensieri.  

- Sai cosa ho scoperto? - disse a un certo punto Jackie, mentre sorseggiavano la bevanda rigenerante.

- Cosa?

- Sapevi che Joey, il primo marito della mamma, era un musicista? Era un compositore di musica classica!

- No, non lo sapevo. Grazioso. Ma con questo?

- Anche mia mamma era una musicista! Cantava e suonava famosi pezzi blues, jazz e ballava il tango!

- Si, lo so.

- Lo era anche zia Caterina, prima di andare in pensione. E come lei, anche nonna Luna lo era! Entrambe suonavano il violino, e mia nonna anche il sax e il pianoforte!

- La moglie di tuo nonno? Si, questo lo sapevo. Ma che cosa vuoi dirmi con questo?

- Siamo proprio una famiglia di musicisti! - Jackie sorrise amabilmente, consapevole di aver detto una stupidaggine, e il suo ingenuo metodo di rilassarsi fece sorridere anche Albert, che ridacchiò sputacchiando il tè, divertito dal comportamento infantile della ragazza.

Cominciarono a parlare del più e del meno per distrarsi un pò, quando l'improvviso suono del campanello fece sobbalzare entrambi.

- Sono le 17. Chi sarà a quest'ora?

- Aprire la porta è un buon modo per scoprirlo.

Jackie spalancò l'ingresso e, stupita, s'immobilizzò non appena scorse la bizzarra figura ferma sull'uscio e immobile quanto lei.  

Pareva un uomo, dalle fattezze troppo grandi e che sembravano fatte di gomma, indecentemente sovrappeso, con un gonfiore spaventoso come pancia. Le scarpe nere e lucide e la giacca distinta non lo rendevano affatto elegante, anzi, contribuivano a ridicolizzarlo.
La nera barba incolta arrivava fino a metà petto e enormi occhiali da sole coprivano gran parte del volto, lasciando in bella mostra solamente un naso troppo grosso per essere vero.

Dire che Jackie non si spaventò sarebbe una bugia, e la poveretta rimase sulla soglia senza muovere un muscolo, con la mano ancora bloccata sulla maniglia.
Dietro di lei, Albert scoppiò in un'allegra risata.

- Potevi fare di meglio! - esclamò, e Jackie mise meglio a fuoco. I pochi tratti visibili del volto le erano vagamente familiari.

- M.. Michael??

Il bizzarro personaggio era effettivamente Michael, travestito per evitare che un'ondata di fan urlanti lo devastassero.
Per una star del suo calibro andare in giro, anche solo per far visita a qualcuno, era severamente proibito.

Il nuovo arrivato non sembrava nè spaventato nè divertito da ciò che aveva detto Albert.
Anzi, fissava Jackie con sguardo severo, come per rimproverarla.

- Ti pare il modo di aprire la porta a uno sconosciuto? Se non fossi stato io, ma un assassino maniaco, e se non ci fosse stato Albert, prova a immaginare dove saresti ora. Dove saresti, eh? Oh, non voglio nemmeno pensarci… - la sgridò.

Senza tanti complimenti, Jackie lo afferrò per la barba finta e lo tirò dentro con forza, preoccupata che qualcuno potesse vederlo.
Chiuse la porta con un tonfo, e chiuse a chiave, mentre il nuovo arrivato lamentava acuti dolori provocati dalla colla della barba che si era staccata, che gli aveva irritato le guance.

- Michael, che ci fai qui?

Il ragazzo cominciò a svestirsi.

- Sono venuto per aiutarti cara. So che stai cercando di scoprire chi è l'assassino di tua mamma, e voglio starti vicino. - spiegò risoluto e cercando di apparire tranquillo. Ma dalla sua espressione si capiva che era ansioso e preoccupato quanto loro.

Jackie sorrise, evidentemente felice. Quando aveva bisogno, Michael non si tirava mai indietro.
Albert gli appoggiò una mano sulla spalla.

- Sei un amico davvero caro Mike. Dico davvero. - Il moro sorrise.

- Dunque… cosa siete riusciti a scoprire? - chiese, e la castana gli raccontò tutto.

Ci volle una buona mezz'ora perché Michael venne a conoscenza di ogni particolare ed esaminasse per bene la situazione.
Insieme guardarono la videocassetta, e il moro rimase affascinato dalla figura bellissima della madre di Jackie.
Discretamente, il suo sguardo vagava dallo schermo grigio al volto in penombra di Jackie, mettendo a confronto madre e figlia, e poté constatare che le due si somigliavano molto, e che entrambe erano stupendamente bellissime.

Alla fine di tutto, dopo aver raccolto ogni dato che avevano scoperto, la situazione era punto e a capo.

- Come possiamo dire noi chi ha compiuto il delitto? Insomma, Anna poteva avere qualche conoscenza con cui non nutriva buoni rapporti. - osservò Albert.

- Conoscendo il carattere di Anna, mi pare da escludere assolutamente. - disse Michael convinto.

- Ho mandato tempo fa una lettera a Giada, la sua migliore amica, chiedendogli se effettivamente esisteva qualcuno di fastidioso, ma mi ha risposto che no, non c'era essere al mondo che odiasse la mia mamma, o che provasse risentimento verso di lei. No no, nulla di ciò. - Jackie scosse la testa come per allontanare qualsiasi pensiero negativo sulla figura angelica di Anna.

- Non abbiamo volti, e non abbiamo ragioni. - mormorò Albert, sconsolato.

- Già.. eppure sono sicuro che una spiegazione c'è, da qualche parte. Jackie, non mi hai detto che, quando eri nata, Anna aveva cominciato a litigare con George? - Michael non voleva arrendersi. Doveva assolutamente trovare una spiegazione.
Un sospetto navigò rapido nella sua mente.

- Si, ma questo cosa c'entra?

Michael deglutì. Non sapeva se rispondere o no.
Se avesse espresso i suoi pensieri Jackie se la sarebbe presa? Dopotutto, George era pur sempre suo padre, sebbene l'avesse trattata orribilmente molto tempo prima, a Gary…
Fortunatamente, o sfortunatamente, Albert capì ciò che intendeva dire Michael, e lo anticipò.

- Mio padre!? Potrebbe essere stato lui?! - esclamò col volto contratto. Jackie sobbalzò.

- Come potete dire una cosa del genere? - Guardò negli occhi entrambi gli uomini, mentre un mare di pensieri si affollavano contemporaneamente nella sua testa. - George e Anna erano sposati da pochissimo tempo! Mia madre lo amava molto… - disse, mentre il tono della voce diventava più basso e insicuro.

La convinzione nelle sue parole venne meno, e Jackie cominciò a riflettere sul serio. Poteva davvero essere che..? Che George avesse ucciso Anna?
No, era impensabile.
Litigavano certo, ma per delle banalità. Non l'avrebbe mai uccisa.

Albert e Michael si erano fatti improvvisamente silenziosi.
Guardavano la ragazza con gli occhi colmi di preoccupazione, perché sapevano ciò che le stava passando per la testa, e immaginavano già le emozioni che sarebbero scaturite a breve da quel giovane corpo già provato.

Jackie tentava di ricordare.
Ricordare un qualsiasi segnale che potesse aiutarla a trovare un indizio che la convincesse definitivamente che era George il colpevole.
Ogni ricordo del padre dopo l'ultima volta che lo aveva visto, quell'ultima litigata infernale, aveva tentato di cancellarlo, di rimuoverlo dalla sua mente per poter vivere più serenamente.
Le urla, l'odore pungente di alcool che scaturiva dalla sua bocca… tutti flash che erano datati a quando lei era ancora una bambina.
Doveva andare avanti.
Poi, un fulmine improvviso.

- Tu porti guai! Nemmeno ti volevo, io!

Rivide quegli occhi insanguinati d'odio, quel corpo abbrustolito dall'alcool e dall'odio profondo che gli rodeva l'animo.

- Sei stata un errore!

Come l'aveva ferita con quelle parole. Accasciato per terra come un verme che rantola in agonia, con una bottiglia mezza vuota in mano e i vestiti fradici di sudore. Quanta pena le aveva fatto.

- Nemmeno ti volevo, io!

Ma come poteva un padre dire questa alla propria figlia con tale sangue freddo?
Al ricordo di quelle tremende sensazioni, Jackie avvertì un tremore crescente lungo le braccia, e alzò gli occhi verso i due compagni.
Albert era in riflessione, col capo chino. Michael la stava ancora guardando, e appena si accorse della sua espressione disperata fece per alzarsi.

- Jackie.. - mormorò in preda all'angoscia.

- Può essere… che sia lui…. - sussurrò lei, con voce tremante.

Ma le scosse che la pervadevano non le permisero di parlare ancora.
Nascose il viso fra le mani e scoppiò a piangere convulsamente, senza più alzare gli occhi, senza rivolgere la parola a nessuno, nemmeno a Michael che le era corso accanto, e che tentava disperatamente di consolarla.

 
  
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