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Autore: Stella cadente    23/05/2019    3 recensioni
Hogwarts, 2048: dopo la Seconda Guerra Magica e una lunga ricostruzione, la Scuola di Magia e Stregoneria è di nuovo un luogo sicuro, dove gli studenti sono alle prese con incantesimi, duelli con compagni particolarmente odiosi, le loro amicizie e i loro amori – come qualunque giovane mago o strega.
Ma Hogwarts cova ancora dei segreti tra le sue mura; qualcosa di nascosto incombe di nuovo sul mondo magico e sulla scuola, per far tornare un conto in sospeso rimasto sepolto da anni...
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«Che cosa gli è successo?»
Il Preside sospirò.
«Anni fa, Black era Preside, ma... ben presto fu chiaro a tutti quale fosse la sua reale intenzione. Non voleva fortificare Hogwarts, bensì renderla più intollerante. Tutti noi insegnanti abbiamo temuto, finora, che tornasse. Io l’ho sconfitto ed esiliato, ed io l’ho privato di quello che era il suo posto. Un posto ambito, e soprattutto influente.»
[...]
«Ascoltami, Elsa» riprese, con tono cupo. «Fa’ attenzione, soprattutto al tuo potere. C’è bellezza in esso, ma anche un grande pericolo.»
Pausa.
«Ricorda», aggiunse, «la paura sarà tua nemica.»
Genere: Dark, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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36.


 
La notizia aveva fatto ormai il suo corso, nel mondo magico, e dopo una missiva di Merman al Ministero della Magia, anche al governo non si parlava d’altro. Dopo il terzo omicidio avvenuto ad Hogwarts – ed il secondo in cui ci avevano rimesso la vita due persone – la scuola di Magia e Stregoneria non era più un luogo sicuro, come tanto tempo prima. Gli Auror, una volta saputo che dietro agli attacchi si celava l’ennesimo mago nascosto dietro lo pseudonimo di Pitch Black, si erano già attivati, ed avevano subito stabilito delle giornate di ispezione dell’edificio, di interrogatori agli studenti, di prove che stabilissero l’innocenza di questi ultimi. La quasi totalità degli alunni era intenta a scrivere alle proprie famiglie, tentando di appellarsi a qualcosa per rassicurare genitori e parenti, immersi nella disperata volontà di riuscirci e nell’atroce consapevolezza che sarebbe stato ipocrita e falso farlo.
Esmeralda, in particolare, aveva scritto una lettera a Clopin – il suo padre adottivo – dicendogli che avrebbe fatto di tutto per impedire che Hogwarts crollasse, che tutto sommato stava andando tutto bene, e che sarebbe stata attenta. Si trovava vicino all’ufficio di Merman, nascosta da una colonna, le pesanti porte a battente in legno socchiuse. All’interno della stanza c’era Claude Frollo; era per quello che la Grifondoro era andata lì. Febo aveva tentato a tutti i costi di dissuaderla, la sera precedente, ma quando lei aveva saputo che Frollo sarebbe stato sottoposto ad ispezione il giorno dopo, nella sua mente aveva preso forma il programma per quella giornata.
Sapeva che, da sola, non avrebbe mai potuto combattere un mago come Pitch Black – ammesso che fosse davvero un mago, dal momento che Merman aveva detto che non era neanche un essere vivente. Ma unire la sua Casa, insieme a quella di Tassorosso e Corvonero, avrebbe potuto farlo, ed era pronta a scommettere che anche in quelle Case qualcuno stesse sospettando dei Serpeverde. Dobbiamo essere tutti uniti, tutti, le aveva detto Febo, come per sottolineare che era necessaria anche la loro collaborazione; ma Esmeralda era sicura che non sarebbe stata una buona idea. Sebbene, per via della presenza di Melicent, non si fidasse del tutto nemmeno dei Corvonero, allearsi con i Serpeverde le sembrava una pessima mossa.
Serrò le labbra, cercando di non lasciarsi andare a pensieri di sconforto. Resta concentrata, Esme, si disse, mentre ascoltava la voce grave di Frollo oltrepassare ovattata le porte a battente dell’ufficio di Merman. Non che si aspettasse chissà quale confessione da parte sua. Perlomeno, non spontaneamente; quello che sperava, era che gli Auror utilizzassero metodi poco ortodossi per estrarre informazioni, tipo il Veritaserum.
A quel punto parli per forza, pensò, con un sorrisetto. Il bacio che si erano scambiati quella volta, nel corridoio, aveva risvegliato in lei una rabbia che oltrepassava ogni limite, verso quel ragazzo. Si sarebbe sentita parecchio meglio se solo lo avesse detto a qualcuno; a Quentin, magari, visto che, tra lui e Febo, era sempre stato il più comprensivo. Ma, se possibile, a lui si sarebbe sentita di fare una confessione del genere ancora meno rispetto a Febo. Frollo era sempre stato quello che gli aveva reso la vita difficile, e quello che l’aveva sempre infastidita di più era il fatto che, nonostante questo, il suo amico non riuscisse ad avercela con lui. Più volte aveva pensato che Quentin fosse troppo buono, troppo comprensivo verso chi, spesso, non lo meritava – esattamente come Claude Frollo. Quel ragazzo era lo stesso che si comportava da bullo verso il suo migliore amico; come avrebbe potuto confessargli che si erano baciati e sperare in uno dei suoi soliti consigli?
Per di più, dopo che lui aveva preso parte all’incarico di Merman – molto prima che la questione di Black venisse fuori – si erano allontanati, e adesso Quentin passava un sacco di tempo con Merida. Esmeralda si sentiva una pessima persona, nel pensarlo, ma avvertiva una pungente, fastidiosa gelosia, ogni volta che li vedeva insieme.
«Certo; mi interesso di Magia Oscura, non è un segreto» la distrasse la voce di Frollo.
«Questo comprende l’accademia o altri fini?» sentì una voce femminile. Una Auror, imperterrita, gli stava facendo delle domande; Esmeralda riuscì anche a sentirla muovere dei passi lenti, prima di fermarsi. «Le conviene dirci la verità, signor Frollo; lei è maggiorenne, e se decidesse di non collaborare, niente tratterrebbe il Wizengamot dallo stabilire un’aggravante alla pena standard, nel caso si rivelasse colpevole. E, mi creda, se nasconde qualcosa, noi lo scopriremo» disse, neutra.
«Lo so perfettamente, agente» fu la gelida risposta del Serpeverde. «Ma le assicuro che io mi interesso di alchimia da sempre, e che il fatto che adesso al centro delle indagini ci sia un esperimento alchemico è puramente un caso» concluse, impassibile. Esmeralda cercò di imprimersi bene il tono della sua voce: non sembrava affatto uno che aveva qualcosa da nascondere. Ma era proprio per questo che una vocina interna le disse di non credergli: il fatto di recitare la parte del tranquillo studente modello poteva essere solo una tattica.
«Tra l’altro, se proprio devo dire tutta la verità» proseguì, sempre con quell’insopportabile voce lugubre e seria, «ho notato che alcuni appunti – che avevo preso per analizzare il caso di Black – mi sono stati rubati. Non so chi sia l’artefice, quindi non saprei aiutare in tal senso, ma suppongo che questo possa essere sufficiente ad escludermi dai sospettati.»
Esmeralda ascoltò il rumore di qualcosa che veniva estratto da una borsa, e dedusse che il Serpeverde stesse mostrando all’agente le pagine mancanti di un quaderno. Si ritrovò a provare la stessa, cocente rabbia, quando sentì la voce femminile dire: «Non proprio, in realtà. Ma per il momento può andare.»
L’ispezione era finita: era arrivata troppo tardi, ed era riuscita ad afferrare solo qualche dialogo sbocconcellato – o più semplicemente, Frollo era stato tanto abile da eludere ogni sospetto in breve tempo. Non voleva ammetterlo nemmeno a se stessa, ma lo invidiava per quella lucida calma che aveva mostrato; non era sicura che avrebbe saputo fare la stessa cosa, soprattutto se fosse stata colpevole.
Quando lo vide uscire, gli andò incontro con fare deciso, gustando immediatamente la sua espressione stupita; gli occhi scuri gli si erano spalancati un poco, e non aveva più quel ghigno che indossava sempre quando aveva a che fare con lei. «Che sei venuta a fare?» le chiese, un’impercettibile nota di rabbia che si agitava nella voce profonda. «Adesso – come se non bastasse quello che è recentemente accaduto – mi spii anche?»
«Esatto» replicò lei, senza cedere, inchiodandolo con lo sguardo. «Non mi fido di te. Ancora di più per quello che è successo.»
Claude inarcò un sopracciglio. «Beh, visto e considerato come sei fatta, non dovresti essere così ossessionata anche dagli altri membri della mia Casa?»
Silenzio.
«E dunque, perché proprio io
L’aveva ammutolita. Esmeralda era rimasta imbambolata a guardarlo, con quelle domande che le martellavano il cervello.
Già, perché proprio lui?
«Perché...» iniziò, lasciando però la frase a metà. «Questa domanda dovrei farla io a te, piuttosto» disse poi, incrociando le braccia. Si sentiva vulnerabile, e si rese conto che aveva fatto quel gesto in un inconscio tentativo di difendersi. «Perché non mi hai mai lasciata in pace, quest’anno?»
«Perché tu per prima mi hai infastidito.»
«Infastidito in cosa? Ti infastidiva il fatto che ti impedissi di rendere la vita difficile a Quentin?» In quella frase ci mise tutto il suo odio; odio per i gesti che quotidianamente il Serpeverde commetteva verso il suo amico, e odio perché – nonostante tutto – lei continuava a parlarci. Perché, più semplicemente, non poteva mandarlo al diavolo? Perché non riusciva a distaccarsi da lui?
«Sì» disse il ragazzo. «No», aggiunse poi, «insomma, non lo so» concluse, esasperato.
«Brutto capire di non essere più il leader della situazione, vero?» lo punzecchiò lei. «È questo che ti irrita: sei abituato a comandare sempre e comunque, senza che nessuno ti dica niente. E io sono l’eccezione.»
«Smettila!» alzò la voce Claude. «Con quale confidenza sputi sentenze sulla mia vita? Tu non mi conosci.»
«Non è difficile capire che tipo di persona sei.»
«Ti assicuro che non sai niente di me» adesso il Serpeverde era mortalmente serio, e la guardava come se volesse ucciderla seduta stante. «E ti conviene lasciar perdere la causa inesistente che stai seguendo, mezzosangue.»
Silenzio. Quel feroce appellativo con cui lui la descriveva sempre – ecco, quella parola – stavolta la fece sentire ferita a morte. Se ne stupì nella frazione di un secondo, quando si rese conto che, se fino a quel momento le aveva procurato solo fastidio, adesso la faceva sentire come se fosse stata investita in pieno da un drago.
Frollo, nel frattempo, la guardava con i suoi occhi di inchiostro; sembrava non smuoversi di un centimetro, come se qualunque cosa che lei potesse dire non avesse la minima influenza su di lui.
«A che cosa pensavi di arrivare?» aggiunse poi, senza distogliere lo sguardo. «Volevi farmi confessare con la forza quello che l’Auror non è riuscita ad estorcermi, dico bene?» rise leggermente, nell’ascoltare il suo silenzio spiazzato. «E poi sono io quello prevedibile. Voi Grifondoro avete tutti la stessa forma mentis: siete presuntuosi, sopravvalutate le vostre capacità e soprattutto non pensate. Esattamente, secondo te in che modo avresti scoperto la mia colpevolezza per quanto riguarda ciò che è successo, se per il momento non ci è riuscita nemmeno un’Auror? Forse rifilandomi del Veritaserum di nascosto?»
Esmeralda ormai non sapeva più cosa dire: non si conoscevano, era vero, eppure era comunque riuscito a prevedere il suo comportamento. Quella constatazione la fece sentire sconvolta, impotente e fragile in confronto a lui.
«Ho indovinato, vero?» insistette, ostinato. «Ti servirà un po’ più di astuzia per riuscire ad incastrarmi» sogghignò, tagliente. «Un’astuzia che non hai, temo.»
In quel momento alla Grifondoro sembrò talmente inquietante che represse a stento un brivido.
«Di’ la verità, mezzosangue» continuò il ragazzo, «hai paura di me.»
«Questo mai» rispose, forse troppo rapidamente. «Scordatelo.»
«È la risposta che mi aspettavo» si limitò a dire lui, avvicinandosi un po’. «Se ti può consolare, nemmeno io mi sento sereno a stare vicino a te.» La fissò come se cercasse delle risposte nel suo stesso sguardo, piantando le iridi nere nelle sue; l’inchiostro si scontrò con lo smeraldo lucente, e in quel momento Esmeralda sentì di essere pericolosamente attratta da quel ragazzo. Paradossalmente, il suo essere così cupo e inquietante era anche quello che non la faceva distaccare; in una frazione di secondo, si rese conto che l’unico motivo per cui era furiosamente accanita su Claude era che parlare con lui le faceva avvertire una scarica di adrenalina che la avviluppava, stringendola a sé, così come il Serpeverde aveva fatto quella volta nel corridoio. Si detestò per quella sensazione che non aveva alcun senso; e ancora di più quando si sorprese a chiedersi se lui provasse la stessa cosa.
«Perché mi hai baciata?» le scappò di bocca, la voce dura come pietra. Quella domanda restò poi ad aleggiare tra loro, invisibile eppure gelida, incorporea e terribile. «Non aveva alcun senso.»
Claude restò immobile, guardandola stavolta con occhi tormentati, sgranati in un’espressione quasi folle. «Lo so» si limitò a dire, serio. «Ma, come mi sembra di averti già detto, ci sono diverse cose che non sai di me.» La afferrò, di nuovo con quella forza inaudita, attirandola a sé prima che la Grifondoro potesse rendersene conto, senza smettere di guardarla negli occhi. «Davvero non ti sei mai resa conto che anche io sono letteralmente ossessionato da te?»
Avrebbe dovuto avere paura, pensò, nel sentire le sue dita che le artigliavano il braccio, in un violento gesto di possesso... invece, ancora quell’adrenalina, che le percorreva la schiena in brividi elettrici di eccitazione.
Brividi che si spensero quando sentì dei passi, dietro di sé, e una voce familiare che diceva: «Esmeralda, Jehan non c’era all’ispezione» la voce si affievolì di botto. «Per la barba di Merlino.»
Si voltò di scatto.
Era Febo.
 
 
 
 
 
 
 
Jehan Frollo camminava nella Foresta proibita, ascoltando il rumore del silenzio e delle fronde che ondeggiavano al vento, sotto i suoi passi strascicati. Il sole era coperto dolcemente dalle chiome degli alberi, ma quella giornata era nuvolosa, quasi come se stesse cercando di invitare il mago che lui stesso aveva agevolato. Sorrise di un sorriso disturbato: già da un po’ di tempo non era più il solito Jehan – quello che faceva scherzi, che rideva e a cui piaceva il Quidditch. Non era più lo stesso che ricercava la compagnia di Merida, o di Anna, o di Febo. Hogwarts, così come la conoscevano tutti, era perduta ormai; non c’era più niente da fare, il processo andava avanti ineluttabile. Black glielo aveva fatto capire sin dall’inizio dell’anno.
 
«Jehan, non è un caso se io ti ho scelto per farmi entrare al castello. Melicent è la prima a dover essere iniziata, perciò deve avere gli strumenti ideali per avviare il processo. Tu sei quello che dovrà fornirglieli; non sospetterà nessuno di te, credimi. Per qualsiasi cosa, i Westergard ti copriranno.» sorrise del suo sorriso da squalo, gli occhi gialli come topazi che brillavano di sete di potere. «Io sono l’ultima risorsa degli Antichi. Non posso fallire. Loro sono la mia famiglia» disse poi, avvicinandosi ancora di più. «Tu sai bene che cosa significhi avere una famiglia, vero? A causa di Merman, io non ho potuto più vederla per quattrocento anni.»
Il Grifondoro sentì il cuore stringersi. Sì, sapeva che cosa volesse dire avere una famiglia che ti incoraggiava, ma...
Claude.
«Signor Black» disse, fissandolo. «Che mi dice di mio fratello Claude? Lui, ecco... io e lui non andiamo più d’accordo da anni, ormai. Mi ha sempre fatto sentire escluso dalla sua vita, come se gli avessi fatto qualcosa di male.»
Black gli girò intorno, torvo e rassicurante allo stesso tempo. «Terrò sicuramente conto di questo, Jehan» promise.
 
 
Aveva visto il corpo di suo fratello segnato da orribili ferite, da tagli che potevano essere inflitti solo da un incantesimo oscuro e orrendamente doloroso. Le piaghe erano rosse, gonfie; sembravano scoppiare da un momento all’altro, lucide e con gocce di sangue nel mezzo, simili in tutto e per tutto a delle ustioni – o a dei tagli trascurati da giorni. Particolarmente evidenti sulle braccia, dovevano essere sparse anche sul torace, dal momento che la camicia della divisa era inzaccherata di rosso. La sua faccia era immobile, intrappolata in una vitrea espressione di morte; i suoi occhi sembravano ormai delle biglie inespressive, che però lo facevano sentire osservato in modo agghiacciante.
La sua voce, la voce di suo fratello, sembrò levarsi improvvisamente da quel corpo rovinato.
Jehan...
Aveva strizzato gli occhi e quell’immagine si era dissolta, lasciando il posto alla realtà del dormitorio di Grifondoro.
 
Che cosa sarebbe successo a Claude? Jehan si era pentito immediatamente di aver detto quella cosa a Black, facendolo di getto – come faceva sempre, senza pensare – tanto per vendicarsi dei maltrattamenti del fratello che negli anni si erano accumulati, pesando dolorosamente nella sua testa come zavorre di sofferenza.
Era stato lui sin dall’inizio; Black aveva ragione, nessuno aveva sospettato di nulla. Gli studenti erano troppo impegnati a concentrare tutte le loro energie sui Serpeverde, mentre Merman si stava focalizzando su Elsa. Lui era stato come un’ombra, che impercettibile agiva nel silenzio. Solo adesso era uscito allo scoperto, poiché ormai i tributi erano terminati e l’atto stava per essere compiuto, proprio quella notte.
E adesso... adesso stava andando da Black, nella foresta. Lo vide dopo qualche altro passo, in piedi nella radura, abbigliato con un mantello nero che scendeva fino a terra – fino a toccare le foglie.
«Hai fatto un ottimo lavoro. Ti sei allontanato dalla tua ragazza, hai fatto sì che nessuno sospettasse minimamente quello che stavi facendo» sembrava così fiero di lui, e per un attimo il Grifondoro si immaginò che fosse Claude a dirgli quelle cose. Sorrise di un sorriso trasognato, appena percettibile, che gli disegnò una quasi invisibile linea sul volto ormai pallido e segnato dalle occhiaie.
Aveva avuto incubi orribili, durante quei mesi. Aveva faticato a recitare la parte del solito Jehan, quando il suo cuore si stava riempiendo di oscurità, ma ce l’aveva fatta. Ce l’aveva fatta. Non era così incapace come lo dipingeva Claude. Non era il solito, superficiale Jehan Frollo che vedevano tutti.
«Adesso tuo fratello pagherà, in qualche modo, per quello che ti ha fatto.»
E il petto che si gonfia di eccitazione, che pompa desiderio di vendetta. Il Grifondoro sentì le mani prudere e un sorriso folle prendere forma sul suo volto, un tempo solare e sempre abitato da un sorriso tutto denti.
«Come?» chiese, gli occhi scuri – unica cosa che aveva in comune con Claude – illuminati da un luccichio di vetro.
Il mago sorrise amabilmente.
«Lo vedrai.»
Un brivido percorse il giovane Grifondoro, mentre il corpo con gli occhi morti di Claude gli rimbalzava in mente come un avviso.
Nella mano destra, i fogli con gli appunti di suo fratello sembrarono scottare, inopportuni.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
L’immagine che Febo si trovò davanti, quando svoltò nel corridoio, gli provocò la stessa sensazione di un manico di scopa ben assestato nello stomaco. Capì che non avrebbe mai dimenticato il bruciare della rabbia che gli raggiunse il cervello e gli infiammò le vene, quando vide Esmeralda così tremendamente vicina al volto di Claude Frollo.
«Oh mio Dio» disse la sua amica, a fior di labbra. Lo fissò, senza sapere cosa dire o fare, immobile, come un animale in trappola. Era congelata sul posto, gli occhi sbarrati e pieni di quella che sembrava paura.
«Ma che stai facendo?» le chiese il Grifondoro; la voce gli uscì delusa, amareggiata, perfetto specchio della sua mente che era un groviglio di pensieri impazziti. Perché la sua migliore amica si trovava da sola con Frollo? E per quale diavolo di motivo erano così vicini? Esmeralda aveva detto che sarebbe andata all’ufficio di Merman, visto e considerato che il Serpeverde sarebbe stato perquisito lì, per riuscire ad afferrare qualcosa – una confessione, magari. Ma adesso... adesso, la situazione che gli si presentava davanti agli occhi era completamente diversa. Avvertì il netto, invadente impulso di spaccare qualcosa; e più Esmeralda lo guardava con il terrore dipinto nelle iridi verdi, più quella sensazione si rafforzava.
«Febo...» tentò poi la ragazza, facendo uscire la sua voce in quel silenzio opprimente.
«Spero che tu ti renda conto del fatto che stai pugnalando Quentin alle spalle» disse solo, lanciando un’occhiata feroce a Frollo. «Quanto a me, non voglio sapere cosa sta succedendo, ma sono abbastanza sicuro che, qualunque cosa sia, puzza di bruciato.»
«Non vi tradirei mai, lo sai» fece lei, quasi disperata.
Il Grifondoro la guardò freddo, i sentimenti che ormai erano finiti da tutt’altra parte. «Non ci possiamo fidare di nessuno, di questi tempi» si limitò a dire, continuando a fissarla inespressivo. Gettò uno sguardo carico d’odio a Frollo, poi se ne andò a passo svelto.
«Aspetta!» la voce di Esmeralda che gridava dietro di lui gli arrivò in modo doloroso, mentre ascoltava i passi della sua amica che correva per raggiungerlo; ma non si voltò. Non sembravano in atteggiamento ostile, lei e il Serpeverde, quando li aveva trovati insieme; che lei stesse fraternizzando con lui? Si rifiutava di immaginare che proprio Esmeralda stesse voltando le spalle alla sua Casa, il solo pensiero gli faceva venire il vomito.
Sicuro che non ci sia altro, Febo?, chiese a se stesso. Si piantò le unghie nei palmi delle mani con forza, quando lo capì; certo che c’era altro. Quella sera con lei, nella Stanza delle Necessità... credeva che avesse significato qualcosa. Credeva che lui ed Esmeralda stessero iniziando a piacersi, ad essere un po’ più che amici. Era da tempo che aveva iniziato a non vederla più con gli stessi occhi, per dir la verità; forse dalla partita di Quidditch, o dagli allenamenti insieme, o addirittura da sempre. Non lo sapeva, eppure aveva sempre pensato che lei fosse troppo forte, troppo tosta per innamorarsi di qualcuno. Invece, si era innamorata proprio di lui.
Claude Frollo.
«Da quanto tempo sei innamorata di lui?» fece, dando voce ai suoi pensieri, una volta che furono abbastanza lontani per non farsi udire da nessuno.
«Non sono innamorata» lo aveva detto, ma aveva gli occhi lucidi e l’espressione confusa; Febo non l’aveva mai vista così. «Io... non so che mi è successo» aggiunse, con aria smarrita.
«Esme, devi allontanarti da quel tizio» Febo l’afferrò per un braccio, scuotendola leggermente. «Ti fa solo del male. Guarda come ti ha ridotta» proseguì duramente. «Sei riuscita a scoprire qualcosa, almeno?» le chiese, la voce come una frustata repentina.
La risposta della ragazza, però, venne interrotta da una voce che lo fece voltare, improvvisamente attento.
«Nel nostro dormitorio» diceva una voce maschile, sconvolta. «Il fratello di Claude, era sul suo letto. È morto.»
  
 

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Salve a tutti, lettori!
Mi sento esaltata dopo aver scritto questo capitolo, non solo perché ora ho le idee tutte chiare, ma anche per la portata del capitolo stesso. Vediamo, intanto, che la questione di Pitch Black non rimane solo nella dimensione circoscritta della Scuola di Magia, bensì si estende anche al Ministero; ho semplicemente trovato credibile un risvolto di questo tipo, ecco. Abbiamo poi una conversazione piuttosto interessante tra Esmeralda e Frollo, che viene interrotta da Febo: che reazione vi aspettate che susciti questo episodio, nella Casa di Grifondoro? Credo comunque che sia chiaro a tutti che porterà molto scompiglio e cambierà le carte in tavola...
Secondariamente, ci sono dei chiarimenti sul rapporto Jehan-Pitch Black; nel capitolo 34 abbiamo capito che Jehan c’entrava qualcosa, ma cosa?, mi sono chiesta. E dunque, ecco che nella seconda parte del capitolo 36 abbiamo tutte le delucidazioni necessarie :D Ho voluto rappresentare il modo in cui la distorsione della realtà e la follia innescata da Black abbiano preso possesso di Jehan Frollo, il personaggio che era – o meglio, appariva – come il più spensierato di tutti. Mi ha fatto impressione immaginarlo con un sorriso malato sul volto e gli occhi che sono ormai iniettati di pazzia.
Dulcis in fundo, abbiamo un’altra delle mie conclusioni secche e da infarto – o almeno, era questo l’intento.
Mi auguro che anche questo capitolo (sebbene un po’ macabro a tratti) vi sia piaciuto, alla prossima!
Stella cadente


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Lui era stato come un’ombra, che impercettibile agiva nel silenzio. Solo adesso era uscito allo scoperto, poiché ormai i tributi erano terminati e l’atto stava per essere compiuto, proprio quella notte.
  
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